LA SINDROME DI CLITENNESTRA

 

Questo studio è stato realizzato all'interno della Cattedra di Sociologia delle Comunicazioni di Massa dell'Università di Catania, nell'anno accademico 1996.

 

I PROCESSI IN  TV E LA SINDROME  DI CLITENNESTRA          

 

1. Le schegge di realtà anomale

 

Il processo penale  è un efficace sistema di comunicazione per l'identificazione del "sociale" con la coscienza collettiva. Al suo interno convivono molti degli elementi fondanti della vicenda umana: il bene e il male, le regole, le sanzioni. Proprio per questo la dinamica processuale si scandisce in  dinamica narrativa, attraverso la quale vengono raccontati eventi più o meno tragici, connotati da delitti. La rappresentazione del male come rito collettivo si sviluppa sull'intreccio del racconto, il quale deve trovare risposte tese alla salvaguardia del modello sociale messo in discussione dall'atto criminoso. Il processo diventa così il "luogo di risoluzione mitico" della trasgressione al tabù, nel quale l'azione criminale viene posta all'attenzione della comunità come modello negativo di riferimento.

 

E' una scena, quella all'interno della quale vengono narrati gli accadimenti, dove gli "attori" si muovono in ossequio a funzioni inerenti al proprio ruolo, che hanno scelto di "interpretare" in precedenza. "Il processo penale mira ad inserire schegge di realtà anomale e preoccupanti nella compatta e tranquilla routine quotidiana... Incontriamo la realtà vista attraverso l'ottica dei rappresentanti dell'ordine, socializzati, appunto, a mantenere ordine nella realtà, indotti dal loro ruolo a difendere la vita quotidiana definendo in maniera decisa l'accettabile dall'inaccettabile, il bene dal male..."

 

In tutte le narrazioni vi sono protagonisti e figure secondarie: qui il protagonismo è determinato dalle funzioni dell'accusa e della difesa. Gli altri, in un certo senso, vivono per simbiosi: l'imputato innanzitutto, che pur caratterizzando  l'azione che costituisce il contenuto del processo, è quasi del tutto passivo sulla scena. Il giudice, il quale ha il compito di garantire che tutto si svolga all'interno delle regole. Infine, la giuria, che stabilisce se esiste una trasgressione della legge. I meccanismi che fanno da perno al protagonismo dell'accusa e della difesa vengono innescati al fine di costruire due realtà antitetiche, sulle quali si struttura il racconto. Se il fine dell'accusa è la salvaguardia dell'ordine costituito, quello della difesa è di dimostrare che l'imputato è innocente, oppure patteggiare la pena innanzi alla prova del reato. "Il difensore nel procedimento penale presenta la propria costruzione della realtà... Egli difende il suo assistito dinnanzi ai giudici ma lo difende anche nei confronti dell'altro generalizzato".

           

2. I Tipi sociali

 

Lo sviluppo di un evento drammatico,  nel momento in cui viene descritto alla società, si propone come presa di coscienza della realtà, di cui rende partecipi i cittadini. Le radici di questo tipo di  rappresentazione possono essere rintracciate nella tragedia greca. Se Clitennestra uccide il marito Agamennone, la sua mano è armata dagli dei o l'atto deriva da una sua volontà preordinata? Due verità a confronto, rappresentate e rese problematiche dal teatro. Attraverso la tragedia di Eschilo la città scopre il delitto e s'interroga su di esso; prende se stessa come oggetto di rappresentazione, mette in causa il "sociale", ponendosi in termini dialettici col suo mondo mitico, portando il mito vicino al cittadino.

 

La forma espressiva della tragedia può fornire un' interessante chiave di lettura per comprendere il legame tra rappresentazione dell'evento drammatico e comunità: un legame sinergico, il cui contenuto simbolico è finalizzato alla consapevolezza della collettività, e il cui rapporto con l'autorità è ancestrale. Il senso dell'autorità, in quanto ordine superiore, è espresso dalla simbologia legata agli dei antropomorfi, le cui più alte rappresentazioni possono essere rintracciate nei poemi omerici, ripresi appunto dagli autori drammatici. "E' possibile che il senso d'atterrita pietà ancora spirante nella tragedia greca per la sorte dell'individuo abbandonato come un fuscello alla incurante ferocia degli dei sia un residuo dell'antichissimo terrore dell'uomo verso i cataclismi naturali, contro i quali aveva si debole difesa".

Il rapporto tra rappresentazione dell'evento drammatico e comunità può essere considerato un elemento di statica sociale, che coinvolge tutte le epoche. Va però contestualizzato nell'ambito delle due tipologie che vogliamo esaminare: società tradizionale (teatrale) e società di massa (televisiva). Ci è utile comprendere i due "tipi sociali" sulla base di differenze e somiglianze che, di rimando, coinvolgono l'uso sociale dei mezzi di comunicazione. Alla base del processo di rappresentazione sta la relazione "individuo-società". Utilizzando i paradigmi durkheimiani, individuiamo il significato della società nell'interazione delle coscienze individuali che formano un'autonoma coscienza collettiva, che si   erge     ad    autorità   morale,  senza la quale l'uomo non potrebbe realizzare se stesso. La natura umana, dunque, non può essere che sociale: "Competizione, diffidenza, gloria mostrano l'essenza che sta al fondo di tutte le costruzioni sociali della realtà... Ogni determinazione storica della società è solo una forma di cui il sociale si riveste...".

 

Nella dialettica tra "società e sociale" risiede il senso dell'evoluzione delle due tipologie... La società tradizionale è una società fortemente stratificata, dove non si dà voce  all'individualità, quindi la funzione del soggetto coincide con quella del gruppo di appartenenza, che dà senso al sociale. La società di massa è invece debolmente stratificata; al suo centro sta l'individuo con la sua capacità di mobilità sociale, autonoma  dalla coscienza collettiva. "L'economia borghese, attraverso il valore di scambio, libera il sociale dalle sue determinazioni storiche, culturali e simboliche, dunque dalla stessa società, al punto che sociale e valore di scambio coincidono...".

In sostanza, nella società tradizionale l'indole sociale dell'uomo era collegata alla finalità della natura o degli dei, mentre nella società di massa l'indole sociale può svilupparsi illimitatamente, in quanto processo infinito di capitalizzazione.

              

In merito alla rappresentazione dell'evento possono esservi due piani di osservazione: il mezzo di comunicazione ed il rapporto tra pensiero sociale e pensiero giuridico. Per ciò che concerne la storicizzazione del mezzo ci sembra pertinente ricordare l'approccio di McLuhan in relazione agli effetti di nuove tecnologie comunicative sugli scenari sociali, come produttori di processi di alfabetizzazione: "Coloro che per primi sperimentano l'affermarsi di  una nuova tecnologia, sia esso l'alfabeto o la radio, rispondono calorosamente poichè i nuovi rapporti tra i sensi che all'improvviso si instaurano per la dilatazione tecnologica dell'occhio e dell'orecchio, pongono davanti a loro un mondo nuovo e sorprendente che fa intravedere un nuovo e vigoroso rinserrarsi, ovvero un nuovo modello d'intreccio tra tutti i sensi insieme... Ma lo shock iniziale gradatamente svanisce mentre l'intera comunità assorbe le nuove abitudini in tutti i settori di lavoro e di scambio. La vera rivoluzione ha luogo in questa seconda fase di adattamento al nuovo modello di percezione creato dalla nuova tecnologia".

             

La tragedia greca vive dell'influsso rivoluzionario che la nascita d'una lingua strutturata come l'alfabeto ha per l'intera civiltà. Attraverso il linguaggio alfabetico inizia l'elaborazione  compiuta del mito, rappresentato dal teatro sotto forma di conflitto permanente. Nella società televisiva, il processo di adattamento all'alfabetizzazione è molto più veloce, e la produzione d'una mitologia di massa risponde alle esigenze di consumo proprie al sistema capitalistico.

           

Se i punti in comune sono l'alfabetizzazione e la costruzione d'una mitologia, esistono delle naturali differenze inerenti al ruolo del pubblico e alla funzione sociale. Il pubblico nella tragedia è partecipe, assiste in prima persona all'evento come risultato di un "atto di purificazione" che precede la rappresentazione. Il teatro da spazio d'interazione comunicativo assurge a sistema di significazione simbolica, nella determinazione dei valori propri alla collettività. Sull'identificazione d'un sistema di significazione simbolica si fonda il senso stesso della comunità sociale, elemento centrale su cui si forma la coscienza collettiva. Simboli di appartenenza e condivisione esperienziale formano i pilastri del sistema normativo a cui l' "uomo sociale" fa riferimento. Il mezzo di comunicazione è la fonte di un'attività rituale, a cui è demandato il compito di regolare l'immaginario collettivo e incardinarlo nell'ordine sociale.

 

Nella società di massa è la televisione a rispondere alle esigenze dell'attività rituale, tesa a sviluppare un processo emozionale, puntando su oggetti e situazioni sociali definite, che si trasformeranno in senso di appartenenza. Il mezzo esprime le sue dinamiche comunicative in maniera direttamente proporzionale al tipo di legame sociale. Si tratta di una società "compartimentata", dove non è l'individuo a recarsi al "tempio", ma è il messaggio che arriva direttamente a casa sua, in un processo di omologazione sociale individualizzato.

              

A proposito del secondo piano di osservazione ripetiamo che la problematicità dell'evento rappresentato si sviluppa in una tensione continua tra valori giuridici e tradizione. Il "caso Clitennestra" è emblematico di un'azione sociale, che può essere determinata da due fattori:  dalla volontà o dalla determinazione divina. Siamo ancora in una fase in cui il diritto non ha una compiuta significazione nella comunità. Aristotele parla di "atto morale", che rappresenta le modalità d'azione situazionale: compiuto per costrizione esterna  o per proprio piacimento... In questa fase il concetto di "colpa" è labile, perchè nel primo caso non sarebbe sanzionabile.

Ma, insomma, Clitennestra è colpevole? La "realtà giuridica" rappresentata e resa problematica dal coro sottolinea la premeditazione e sottintende la sanzione. La controrealtà di Clitennestra, la difesa, pur ammettendo la premeditazione si richiama agli dei che hanno armato la sua mano sacrificale.

              

Con la laicizzazione del diritto, compiuta in tempi moderni, i concetti di responsabilità e colpa assumono una connotazione diversa. Il diritto infatti diventa lo strumento razionale di una società razionale, teso a garantire l'individuo. Secondo Hegel, il diritto rappresenta in termini assoluti la libertà autocosciente: è proprio in virtù del diritto che l'individuo esiste in quanto persona. La nascita della società borghese segna in sostanza l'avvento dell'autonomia sociale dell'individuo in rapporto alla società, quindi il soggetto è proprietario di se stesso, nel rispetto delle potenzialità individuali. Ecco  il concetto di autodeterminazione, come diritto di proprietà.

 

3. Spettacolarizzazione e costruzione simbolica

 

Il problema della rappresentazione televisiva si pone nel momento in cui, a causa della spettacolarizzazione, il medium può snaturare il senso del rito processuale. Quando il processo penale viene ripreso dalle telecamere, soprattutto se in diretta, si corre il rischio che esso perda la sua funzione giuridica per modellarsi al semplice intrattenimento. Questo può accadere a causa del fatto che le modalità espressive del messaggio, nella neotelevisione, non sono univocamente proprie ad un genere, per una sorta di commistione tra fiction, intrattenimento e informazione, generi del palinsesto che ormai vivono simbioticamente.

               

Nel mondo dell'informazione questa omologazione ai ritmi dello "Show" provoca spesso e volentieri delle cadute, trasformando il "luogo della conoscenza" in un "circo mediatico". Gli elementi propri alla spettacolarizzazione del processo televisivo sono da un lato l'enfasi amplificatoria, che può essere utilizzata a fini manipolativi, a cui si aggiunge il "modo di raccontare" proprio ai meccanismi della fiction. "Qualsiasi mezzo di pubblicizzazione del rito processuale non è uno strumento neutrale di illustrazione di ciò che accade, ma può essere portatore di messaggi parziali, enfatizzati o scoloriti, e comunque fuorvianti".

                

In merito al "modo di raccontare" ricordiamo che il processo penale è tradizionalmente una delle ambientazioni televisive più caratterizzanti del racconto mimetico con la realtà, ponendosi come modello esplicativo della realtà stessa: Perry Mason ne è l'esempio ricorrente. Il rito processuale è uno spaccato della realtà (così come la guerra) su cui la fabbrica culturale ha tradizionalmente costruito una notevole fetta dei prodotti di fiction destinati all'immaginario collettivo. Questo perchè l'iter processuale si presta a soddisfare le esigenze espressive di cinema e televisione. "Si ritiene che la forma narrativa non abbia a che vedere soltanto con uno specifico atto semiotico, ma che essa costituisca in generale uno dei modi fondamentali tramite i quali noi rappresentiamo, innanzitutto noi stessi, gli eventi cui assistiamo o del cui accadere veniamo a conoscenza".

              

Un evento rappresentato mediaticamente può esprimere il modello simbolico di una tipologia sociale, e attraverso tale meccanismo si ha la costruzione di una mitologia che ha come vettore il linguaggio. Prendendo per buona l'accezione di Barthes, possiamo dire dunque che il mito è un sistema di comunicazione che non si definisce dal suo messaggio, ma dal modo in cui lo si proferisce. Oggi al mondo dell'informazione, anche se non soltanto ad esso, è demandata la funzione di creare miti. C'è anche da dire che, come nel passato, anche oggi il mito possiede una funzione totemica, per cui soggetti e oggetti veicolati dai media assumono forte valore simbolico.

              

Sappiamo dunque che solo per il modo di trattare un argomento o un personaggio, l'informazione li può tradurre in simboli e miti. Dobbiamo dunque chiederci: la rappresentazione mediatica, data questa sua potenziale capacità, può contribuire alla costruzione di una realtà esterna, magari alternativa a quelle espresse nel processo? Se ciò fosse vero, quali sono le ragioni che pongono in essere questo tipo di esperienza?

              

Abbiamo visto in precedenza come nella nostra epoca la realtà sociale abbia acquistato autonomia dalla società, liberando le possibilità di sviluppare l'indole dell'individuo... E' possibile che questo abbia determinato una linea d'ombra nell'identità del soggetto sociale, allentata dal medium televisivo. Se questa è un'ipotesi, di certo c'è che la televisione deve comunque collegarsi al sociale per fare audience e quindi avere peso nella società. 

              

Se la dinamica sociale s'incardina in quella processuale, è possibile che venga a generarsi l'autoreferenzialità del sistema informativo. In altri termini, se il rito processuale viene condizionato dalle dinamiche proprie al sociale, attraverso l'intervento dei media, questo non può che alimentare il sistema informativo, che seguirà i suoi percorsi autonomamente rispetto all'iter giudiziario. Il sistema informativo, nutrendosi di "sociale", è pronto così a contribuire alla costruzione di una realtà da porre, appunto, all'attenzione collettiva. Una realtà esterna che sottolinea come il concetto stesso di Diritto possa essere alterato. Se se ciò avvenisse dovremmo rivedere un altro concetto ad esso collegato: la "colpa". Nel momento in cui una sentenza di  tribunale fosse frutto dell'umore sociale, anzichè delle prove, il concetto di colpa verrebbe traslato e ritornerebbe ad assumere una funzione non più razionale e normativa ma etico-umorale: ecco la "Sindrome di Clitennestra" che ritorna nella civiltà massificata...

 

4. I modelli giuridici

 

Nella storia giuridica americana, soprattutto recente, i casi di potenziale condizionamento mediatico sono stati numerosi,  e molti di questi, sia che si trattasse di uomini pubblici o di perfetti sconosciuti, hanno connotato il momento storico e la tipologia sociale, in quanto modelli di riferimento.

              

Abbiamo già detto che la "trama" dell'iter processuale si struttura attorno al protagonismo dell'accusa e della difesa; nella tradizione forense americana questa situazione viene tradotta nel detto per cui la giuria non deve stabilire se esiste un colpevole, ma chi è il miglior avvocato... Infatti la figura del "Prosecutor" possiede delle caratteristiche particolari, da cui si evince la differenziazione sistemica dell'apparato processuale americano da quello italiano, pur trovandoci in ambo i casi di fronte a modelli accusatori. Il Prosecutor è un avvocato e non un magistrato come il nostro Sostituto Procuratore: il suo dovere, ovviamente, non è di ottenere la condanna dell'imputato ma di fare giustizia, ma il problema nasce dal fatto che questa condizione viene rispettata solo nella fase che attiene alla ricerca delle prove. Nella fase dibattimentale questo ruolo viene stravolto per consuetudine, trasformandolo in una sorta di "partisan prosecutor", il cui intento è quello di ottenere a tutti i costi una condanna. "L'impulso di vincere del prosecutor deriva non solo dal suo interesse ad ottenere  un gran numero di condanne utilizzabili come biglietto da visita elettorale, ma anche dal fatto che la quasi totalità dei componenti degli uffici dell'accusa provengono dalle file degli avvocati e sono quindi naturalmente portati ad assumere nel dibattimento un atteggiamento marcatamente di parte". Questo elemento può essere rivelatore di una precisa condizione del processo americano, nel senso che esso rappresenta non un modello dominante in sè, ma uno dei possibili modelli simbolici. Il contrario avviene in Italia, dove il sostituto procuratore è un magistrato che rappresenta la certezza della legalità. La problematica che oggi investe il sistema giudiziario italiano, che secondo alcuni, potrebbe inficiare tale certezza, riguarda la separazione delle carriere tra magistrato inquirente e giudicante, funzioni che nell'attuale ordinamento possono essere ricoperte dal magistrato tout court.

               

Nel processo penale del sistema americano la parità giuridica tra le due parti processuali si trasforma nella parità delle significazioni simboliche espresse dalle costruzioni della realtà che si contrappongono. Queste "realtà" prendono forma attraverso la tecnica di escussione testimoniale, che implica appunto modalità narrative determinanti del raccontare, su cui si edificano i modelli simbolici di riferimento. "Direct examination" e "Cross-examination" sono gli strumenti dibattimentali della difesa e dell'accusa per procedere negli interrogatori, strutturando il percorso delle rispettive "realtà".

               

La difesa utilizza la direct examination facendo leva su due punti di forza: il concetto della presunzione d'innocenza, per cui nel dibattimento essa possiede ampi margini di aggressività, al fine di scongiurare che un innocente  venga condannato. Inoltre, vi è dalla parte dell'imputato la regola secondo cui l'accusa deve riuscire a provare la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio...

               

Il sistema giudiziario italiano, pur ristrutturato dal nuovo codice, risponde a dinamiche sociali diverse da quelle insite nello scenario statunitense. Il rito accusatorio non pone al centro della scena di rappresentazione  l'accusa e la difesa come elementi di un processo dialettico tra tesi e antitesi. Si può ipotizzare che ciò avvenga anche in conseguenza di una peculiare e doppia tipologia sociale. Da un lato, un livello di criminalità interagente con lo Stato, che hanno portato a Tangentopoli e ai grandi processi per mafia, che per essere gestiti avevano bisogno di "Pool" inquirenti data l'imponenza delle inchieste. I processi, in tal modo, non possono che essere gestiti ancora sui verbali. Dall'altro lato, un sistema informativo che per essere tradizionalmente legato all'establishment politico, non ha potuto e saputo svolgere la sua funzione originaria di portavoce della collettività e di denuncia sociale. Per un processo entropico, questo ruolo negli anni novanta  è stato assunto dalla magistratura. Nell'ambito dei grandi processi di devianza di massa il sistema informativo non ha fatto altro che rendere conto dei fatti giudiziari, inseguendo notizie, ottenute sulla base di rapporti preferenziali con magistrati e funzionali agli interessi di questi ultimi.

             

Abbiamo accennato a questi punti come possibile retroterra di un'azione mediatica nei "casi" giudiziari, per offrirne alcuni esempi significativi in relazione al paradigma della "sindrome di Clitennestra".

 

5. Processo Simpson

 

Nel processo Simpson l'elemento che ha caratterizzato la sentenza di assoluzione è stato il dubbio. La difesa è infatti riuscita ad insinuarlo nella giuria,  anche minando la credibilità dei testi attraverso la cross-examination. Il perno di tutto il procedimento accusatorio era rappresentato da un detective, Mark Fuhrman, il quale  trovò la prova schiacciante dell'omicidio: il guanto insanguinato... La difesa, indagando sul detective, e facendo leva su una certa ambiguità e approssimazione nella raccolta dei referti, costruisce una controrealtà...

               

Fuhrmann, secondo il "dream team" di difesa, preleva quel guanto dalla scena del delitto e lo colloca nella villa di Simpson esclusivamente perchè è un razzista, appoggiato dalla polizia di Los Angeles. L'attore diventa il capro espiatorio. La difesa riesce a trovare una registrazione nel quale Fuhrmann esplicita il suo razzismo, esprimendosi con i peggiori epiteti nei riguardi del suo capo, che è casualmente  la moglie del giudice del processo, Ito, il quale, dopo aver sentito la registrazione, scoppia in una crisi di pianto.

               

Ecco che il principale problema dibattimentale non è più la colpevolezza di Simpson, che non ha un alibi, e che tutta l'America ha visto in Tv in una rocambolesca fuga subito dopo l'omicidio, ma la prova che il suo accusatore è un razzista. L'odio razziale diventa la controrealtà del processo, stigmatizzata dalla difesa e massificata dai media; "realtà"  questa che in una città come Los Angeles, luogo in cui si svolse l'atto criminoso e teatro di una rivolta urbana per questioni razziali, poteva avere effetti deflagranti.

              

Così, la "sindrome della rivolta", fattore esterno al processo, sembra essere stata la motivazione che più di ogni altra, ha indotto la giuria a scagionare Simpson. In tale situazione che funzione hanno avuto i media? Senza l'amplificazione del sistema informativo, il collegio di difesa di Simpson avrebbe comunque potuto sfruttare efficacemente l'odio razziale per capovolgere l'assetto del processo? La risposta è implicita poichè la serialità rituale del sistema mediologico, nella mimesi con la fiction, ha costituito lo strumento in mano alla difesa al fine di erigere un modello simbolico alternativo a quello rappresentato dai "Prosecutors" in nome dello Stato. Vi è stata probabilmente la riformulazione del tabù sociale, attraverso i media, dal delitto al razzismo. Ecco il modo in cui viene azionato il paradigma della "Sindrome di Clitennestra", attraverso cui un fattore, esterno ai contenuti del dibattimento, condiziona l'esito finale del processo...  

 

6. Processo Bobbitt

 

Il processo  Bobbitt rappresenta un evento davvero straordinario, che solo in parte ha a che vedere col fatto di giustizia: la vicenda non è una storia ma è la storia. Non siamo cioè di fronte ad un particolare evento delittuoso, ma ad una situazione sociale tipica della società   americana,   che   è    di  per sè      un modello

 simbolico.

              

John e Lorena sono due giovani sposi, vivono nelle campagne della Virginia. Lei viene dall'Ecuador, e non parla neanche troppo bene l'inglese. Lui è un ex marine a cui piace bere e pavoneggiarsi. Una coppia in crisi, con tanti sogni irrealizzati, che diventano piccole e laceranti meschinerie quotidiane. Presto la loro diventa una vita infernale. Lui torna spesso a casa ubriaco e picchia la moglie in modo selvaggio. Spesso la obbliga a sottostare alle sue voglie sessuali. Giorno dopo giorno si consuma una tragedia domestica fatta di violenza e di stupro...

               

Questa è la storia di John e Lorena Bobbitt così come, mediamente, è stata veicolata dalle cronache giornalistiche, ma potrebbe essere la storia di centinaia di migliaia di donne americane ed europee che vivono il dramma della violenza domestica, come anche il soggetto di un film o  il segmento di una soap opera. Cos'è allora che li distingue? Cos'è, insomma, che distingue la realtà dalla finzione? In questo caso nulla, nel momento in cui sia l'una che l'altra sono "mediatizzate" dalla televisione. Posseggono gli stessi meccanismi narrativi, sono ambedue specchio di un sociale e modelli esplicativi della realtà.

               

La notte del 23 giugno del '93, John, rientrato a casa ubriaco, costringe la moglie a pratiche sessuali sadomasochistiche contro la sua volontà. La donna allora reagisce, dopo la violenza, evirando il marito con un coltello da cucina. La domanda da porsi, dal punto di vista giuridico, è se l'atto del marito può essere considerato uno stupro. Questa, infatti è l'accusa che viene rivolta al giovane da un tribunale, da cui viene scagionato. Se non c'è stata violenza sessuale allora l'atto della moglie può essere perseguibile, e così sarà, visto che Lorena viene a sua volta incriminata per aver evirato il marito...           

              

Il processo viene ripreso in diretta dalla CNN e dalla Court Tv, una rete televisiva specializzata in avvenimenti giudiziari. La comunità sociale si specchia nella storia, confrontandosi con le contraddizioni del proprio tempo. 

    

Una società sessuofoba è quella in cui si specchia l'America, che ha rinunciato al valore della qualità per la quantità, tratto tipico del valore di scambio e della mercificazione dell'essere umano. Il sesso diventa il parametro di misurazione quotidiana del valore di scambio. Tutto ciò in un contesto in cui vengono sovvertiti i ruoli sociali, che, al di là delle rivendicazioni ideologiche del femminismo, trova nel ruolo della donna un protagonismo tradizionalmente sconosciuto. Una sorta di revanscismo maschile produce un "conflitto dei sessi", dove da un lato la donna, dal punto di vista dell'immaginario comunicativo, è icona di fisicità, tipica del valore di scambio appunto, dall'altro però è ormai entrata nei posti chiave dell'organizzazione sociale. Una condizione questa che crea fratture nell'ambito del privato, generando violenza.  Lorena Bobbitt, col suo gesto, fa accendere i riflettori sullo scenario domestico americano, che riporta, in termini di massificazione sociale, alcuni temi cari all'uomo contemporaneo. Uno di questi è la psicosi della castrazione, di freudiana memoria, dove il simbolo fallico assurge a mito di potenza permanentemente in pericolo.

               

E' dunque chiaro come in questo caso, prima che l'evento giudiziario si verifichi, si è di fronte ad un evento proprio al sociale, che, durante l'iter processuale, dal sociale prende legittimità, e questo ovviamente grazie alla mediazione televisiva che permette lo svolgimento del processo giorno per giorno nelle case americane, dove possibilmente si perpetrano le medesime violenze che ha dovuto subire Lorena, che a causa di un particolare ingranaggio giudiziario si trova nella condizione di imputata. Ed è proprio qui che entra in gioco la sindrome di Clitennestra, perchè grazie all'intervento esterno del sociale, tramite il livello mediatico, Lorena si trasforma da imputata in vittima...

               

Come nel caso Simpson, anche qui è determinante l'azione del collegio di difesa, che trasforma un dibattito processuale in un caso umano... Per far questo l'iniziale collegio di difesa tutto al maschile chiama al suo interno  una giovane avvocatessa, che possa trasmettere alla giuria processuale e a quella televisiva, le sensazioni e l'emozionalità femminile in un grave atto di violenza. Lisa Kemler fin dall'inizio invoca la legittima difesa e la temporanea infermità mentale, provocata dalla "sindrome della donna violentata". A tal punto ricostruisce l'immagine dell'imputata, un  look    semplice,   per sottolineare      le    caratteristiche somatiche del viso di Lorena intrise di ingenuità, quindi un diverso taglio di capelli. Di fronte ad una platea di duecentocinquanta milioni di telespettatori la Kemler crea il caso nazionale. Cita dati statistici: "il settanta percento delle donne che minaccia di lasciare il marito viene ucciso". Ha un atteggiamento fiero nei confronti del giudice, il quale per parte sua tiene a dimostrare alla nazione di avere rispetto nei confronti dell'avvocato donna. Nel frattempo la società si mobilita: dalle manifestazioni del movimento femminista, agli specialisti televisivi che si alternano nei dibattiti. Lorena è la vittima, da giudicare nel tempio sacrale del simbolismo televisivo. La sua significazione sociale viene modellata in funzione di un atto di trasgressione penale, che diventa atto di liberazione sociale, come se la sua mano fosse stata armata dagli stessi dei che armarono Clitennestra. Visto che gli dei del nostro tempo risiedono nel Diritto in quanto strumento di garanzia umana, la seminfermità legittima l'atto. Cosi Lorena diventa eroina della guerra dei sessi, una nuova Giovanna d'Arco, di cui si tenta di sacrificare il destino per giustificare il vacillante impero maschile, in questa America ossessionata dal sesso.

              

Ma il punto di maggiore sacralità pagana, che dà il senso a tutta la vicenda, televisivamente parlando, lo si ha con la testimonianza di Lorena, teatrale, per la tensione emotiva della ragazza, struggente, per il racconto della violenza. Racconto che l'avvocato difensore impone nei minimi particolari: "Mi prendeva come e quando voleva..." "Mi faceva male alla vagina..." La Kemler obbliga la ragazza a nominare chiaramente l'organo maschile, e a pronunciare con tutta schiettezza le cose subite. Ma Lorena non resiste. Il suo interrogatorio è cadenzato da un lungo e straziante pianto, che commuove l'America. Nell'arringa finale l'avvocatessa argomenterà la sua seminfermità strutturandola su una frase: "Ha visto il pene di lui contro la sua vita..."

              

Lorena sarà assolta;  la sua storia è rimasta nella memoria collettiva come modello di conflitto e liberazione sessuale del mondo contemporaneo. Una sentenza evidentemente dal valore umano più che giuridico, che sottolinea comunque la dinamicità della giustizia americana  a ridiscutere i rapporti tra sesso e diritto. Forse in questo caso la sindrome di Clitennestra ha avuto la funzione di impedire un' ingiustizia. Ma non è sempre così, come abbiamo visto per Simpson e come fu, in un certo senso, per Kennedy-Smith, nipote trentenne del Presidente JFK, accusato di stupro nei confronti di Patricia Bowman. La violenza fu consumata nella villa dei Kennedy a Palm Beach. All'evento era presente lo zio Ted, quello dell'incidente di Chappaquiddick. Determinante fu proprio la testimonianza del senatore Kennedy, a prescindere dalla colpevolezza o meno del ragazzo, e non tanto per la conoscenza dei fatti, ma per il richiamo ai suoi fratelli uccisi, che rappresentano il sacrificio dell'America per la libertà. Sia la giuria televisiva che quella processuale scagionarono il giovane Kennedy.

 

7. Processo Cusani

               

Col processo Cusani entriamo all'interno della prima grande esperienza del rito accusatorio nel processo penale in Italia, ma i suoi primati  non si fermano certo quì, perchè è un evento che racchiude in sè tutti gli elementi e le contraddizioni che hanno portato l'Italia ad una "rivoluzione giudiziaria", che ha permesso la caduta di un intero sistema politico. E' dunque chiaro che non siamo di fronte all'ordinarietà di un processo penale i cui delitti possono essere ascritti a fenomeni causali di devianza psicosociale, come uno stupro o un omicidio. Qui siamo di fronte ad un     fenomeno che è già stato definito di "devianza di massa",    ascrivibile a un tipo sociale all'interno del quale  sono state alterate le norme che regolano il sistema, generando un vuoto anomico. Ma Tangentopoli, con Milano come capitale, non è il solo fenomeno di devianza di massa del tipo sociale italiano. In questa categoria possono essere annoverati i grandi processi di mafia, che come capitale hanno Palermo. 

              

Dal punto di vista giudiziario la denominazione "processo Cusani" potrebbe essere errata; forse meglio sarebbe chiamarlo processo Enimont. Il conflitto tra denominazioni non è un banale gioco semantico, ma rivela di per sè una contraddizione in termini...  Sergio Cusani è il rappresentante della Montedison, accusato di illecito finanziamento ai partiti e falso in bilancio. Ma i "fatti in causa", come li definisce l'accusa, si sviluppano su procedimenti paralleli: "La corruzione di pubblici ufficiali

 in concorso con esponenti politici e in concorso con esponenti, amministratori e dirigenti della Montedison e della Ferfin..." In altre parole si sviluppa un procedimento di concussione e corruzione. In questi casi,  l'accusa si propone di determinare, rispetto ai risultati in divenire del processo, in che termini si possono ripartire le responsabilità. A tal proposito essa riesce ad ottenere la convocazione dei cinque segretari dei partiti di maggioranza dell'epoca, in qualità di indagati.

               

La linea difensiva mira ad ottenere una graduazione delle responsabilità, cioè a stabilire se abbia avuto più colpa Cusani dei politici corrotti o degli imprenditori corruttori. La difesa non punta  ovviamente sulla responsabilità di un uomo, ma sulla fisiologia di un sistema di illegalità a cui l'uomo non poteva sottrarsi... Questo processo è nei confronti dell'uomo o nei confronti del sistema di illegalità ai più alti livelli istituzionali? Per i media, inizialmente, il processo è all'uomo, per la naturale predisposizione narrativa del mezzo alla personalizzazione dell'evento; per l'accusa il processo è anche, e forse soprattutto, al sistema. Questa lettura è possibile per la presenza stessa del secondo troncone procedurale, che permette all'accusa di chiamare alla sbarra, come inquisiti, i maggiori rappresentanti del sistema politico. E' in questo campo che si oggettivizza la sindrome di Clitennestra...

               

Analizziamo i tre poteri sistemici in campo: sistema politico, sistema dei media e sistema giudiziario. Il sistema informativo in Italia ha tradizionali caratteristiche che lo differenziano dal modello statunitense,  perchè ha esautorato la propria autonomia  in ragione d'un processo simbiotico col potere politico. Una simile condizione ha tolto la possibilità al mondo dell'informazione di ergersi  a vero e proprio "Quarto potere", nella sua funzione di contrappeso al potere politico. I media non hanno quasi mai potuto svolgere un ruolo proponente, in linea con le aspettative del sociale, come nel modello americano, ma hanno registrato eventi, manipolandoli in difesa della parte politica ad essi più vicina.  I motivi di questa situazione storica sono diversi, fatto sta che il maxi scandalo di Tangentopoli, trasformatosi in "rivoluzione", non è stato prodotto dai media ma dalla magistratura. In questo contesto i media si sono trovati in una situazione mai verificatasi in precedenza, per cui i loro obiettivi sono confluiti in quelli della magistratura. "Ecco l'obiettivo strategico su cui gli interessi dei media-men e gli interessi dei magistrati coincidono: la creazione di una fascia di consenso quanto più larga possibile, la cui protezione serve per superare le soglie di insabbiamento, di autocensure, di connivenze che per tanti anni le avevano bloccate; e serve ai media, oltre che per vendere copie, per salvarsi dall'autodafè e legittimarsi di fronte a qualunque futuro inquilino del Palazzo (in alcuni casi - anche - per ritrovare il gusto per la professione)".

              

L'interazione tra la magistratura e informazione sposta l'asse del ragionamento su un nuovo versante, che attiene ai ruoli e alle funzioni ricoperte dai singoli sistemi. Se è la magistratura a tenere il gioco sulla circolazione delle notizie, che siano esse dibattimentali o confidenziali, ai media resta un'unica funzione, quella di legarsi alle aspettative del sociale, con l' "eroica" defenestrazione del potere politico, elemento esterno alle ragioni proprie del dibattimento: è la "sindrome del cambiamento". Adesso anche per i media il processo non è a Cusani ma al Palazzo. Impossibilitati a costruire una loro realtà, hanno assecondato del sociale l'umore del riscatto dal giogo di un Potere, quasi hobbesiano. Per i meccanismi insiti nei processi di costruzione della mitologia di massa prima descritti, l'umore del riscatto ha trovato facile rispondenza nella figura del giudice Di Pietro. Le ragioni sono diverse: in primo luogo perchè è stato l'inquisitore del sistema politico corrotto, colui il quale è riuscito a mettere alla sbarra i grandi potenti. E' infatti questo il momento più significativo del processo Cusani, ed è questo il segmento del dibattimento che connota il personaggio di fronte al sociale e lo rende epico ed eroico. Di Pietro è poi un uomo che parla il linguaggio della gente comune, poco lineare e a volte volutamente marcato (la frase "che c'azzecca" è ormai entrata nel lessico comune): è un giudice che sembra abbattere i tabù non solo dal punto di vista del potere, ma anche dell'immagine. E' vicino ai cittadini proprio perchè è uno di loro. Infine, nella sua originaria essenza, che richiama l'onestà e la pulizia, spiccano i suoi metodi, che sono dinamici, in alcuni casi forse troppo, e moderni, soprattutto nell'uso dell'informatica.

              

8. Funzioni e modelli

                

Dal punto di vista narrativo le dinamiche nei due modelli non divergono. In ambo i casi è presente una "sindrome di Clitennestra", originata dal meccanismo di identificazione col sociale, innescato dal "medium", in quanto elemento esterno al contenuto intrinseco del procedimento dibattimentale. Nel modello americano questo è un elemento tradizionalmente costante nella funzione dei media, mentre in quello italiano compare per la prima volta, poichè ci si è trovati quasi all'improvviso di fronte ad un complessivo slittamento di ruolo tra sistema politico, sistema giudiziario e sistema dei media.

              

I soggetti delle rappresentazioni mediali nei due modelli invece divergono. In quello statunitense il gioco tra realtà e controrealtà, quindi tra tesi e antitesi è strutturato attorno al protagonismo dell'accusa e della difesa, la quale utilizza i media al fine di azionare la "sindrome di Clitennestra", per mobilitare l'opinione pubblica su un fatto e trasformarlo da giudiziario, a umano, sociale, razziale o quant'altro.

              

Nel caso italiano (non possiamo parlare di modello poichè non esiste un universo di casi statistici  per considerarlo tale) non vi sono una realtà e una controrealtà, una tesi ed una antitesi tra accusa e difesa. Questo perchè l'interesse del dibattimento non è che un anonimo finanziere facesse da mediatore in fatti di corruzione, ma che tramite questo finanziere si potesse risalire nominalmente al ceto politico corrotto, e quindi inquisito nell'ambito del processo. Non essendoci nessuna realtà da contrapporre, dal punto di vista massmediologico, la via non poteva che essere quella di seguire l'umore sociale, non come tesi ma come cambiamento generazionale. L'eroe non può in questo caso essere "Perry Mason", cioè un avvocato e quindi un cittadino privato, ma colui il quale è istituzionalmente l'espressione della certezza e della supremazia del  diritto: il magistrato, l'inquisitore dei malvagi...