PERCEZIONE STRANIERO

26.10.2012 00:00
 
 
 
Individuare un possibile punto di partenza per poter ragionare sugli esodi dal terzo al primo mondo, non è certo semplice, una proposta potrebbe essere quella di partire dal concetto di percezione sociale. Perchè sembra che l’opinione pubblica non possiede una precisa cognizione di ciò che succede a quelle persone „diverse da loro“ che incontrano per le strade o sull’autobus o al supermercato o ancora sullo stesso pianerottolo. E questo, oggi, diventa uno dei temi centrali sull’inclusione sociale nel nostro paese. Anche perchè l’impoverimento diffuso delle condizioni di vita dei cittadini italiani aumenta le fratture nei confronti di chi proviene da altri paesi.

C’è da dire che l’iconografia del continente africano riporta alla mente lo stereotipo della fame nel mondo. Si, perchè il tema della scarsità di risorse, non riguarda la maggioranza delle persone „dalla pelle scura“ che incontriamo sull’autobus o sul pianerottolo. Molte di quelle persone, sembrerà strano, arrivano da paesi dove le risorse ci sono. La Nigeria ad esempio, è il sesto paese al mondo produttore di petrolio, ma lì non c’è benzina a basso costo, dato che il Paese dipende dall'estero per gli approvvigionamenti di carburante, e i proventi delle ricchezze prodotte dall’estrazione petrolifera rimangono nelle mani delle gerarchie governative.

In Nigeria c’è una delle più grandi diaspore del nostro tempo. 150 milioni di abitanti, 400 etnie, una miriade di lingue diverse fanno da contorno allo scontro tra ceppi etnico-religiosi: a nord regna la sharia e a sud il cristianesimo. Ma c’è anche la violenta ribellione del Mend, gruppo armato del Delta, contro le grandi compagnie petrolifere, che hanno annientato l’ecosistema per l’assenza dei meccanismi di sicurezza degli impianti, trasformando in deserti paludosi interi villaggi, dove pesca e agricoltura rappresentavano il sostentamento per migliaia di persone. E che dire del raket di Benin City, dove violenza, riti wodoo, superstizioni, sono gli strumenti per la riduzione in schiavitù per migliaia di ragazze. E che dire della classe politica nigeriana, che fa della corruzione e della violenza la sua ragion d’essere, come alle ultime elezioni, dove i partiti che gareggiavano assoldavano bande armate contro la popolazione.

La fuga da un paese come questo, riporta alla Convenzione di Ginevra del 1951, dove viene sancito l’obbligo dei paesi all’ospitalità per chi rischia l’incolumità fisica per motivi religiosi, etnici, politici. Quale significato allora è possibile dare al concetto di inclusione sociale, se questa è percepita come una minaccia per il mio mancato benessere? Ecco, forse è proprio questo il punto: lo stretto rapporto tra percezione sociale, senza conoscenza, e insicurezza innesca l‘ancestrale fobia.

C’è dunque una frattura a livello simbolico tra inclusione ed esclusione sociale di cui il sistema mediatico nè è sicuramente la cassa di risonanza. Se pensiamo che in pochissimi anni le città italiane, soprattutto a causa delle spinte neotribali del continente africano, ma non solo, sono state „travolte“ progressivamente da esodi, dove interi popoli vengono perseguitati, questo ha generato una trasformazione della morfologia sociale stessa delle città, dove persiste una mancata visione del modo in cui i territori devono rispondere a queste trasformazioni.

L’assenza di strategie territoriali, rappresenta quindi la causa originaria di tutti i problemi legati all’inclusione sociale poiche fisiologicamente dove c’è un’assenza di pianificazione territoriale emarginazione, violenza ed esasperazione sociale implodono nel territorio stesso. Se a questo si aggiunge la stereotipia creata sull‘equazione tra straniero e deviante, diventa semplice trasferire „l’assenza“ della dimensione pubblica nella dimensione privata.