La città e la metropoli

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Pubblicato il 15 marzo 2008 sulla rivista on-line "Lucidamente"

 

 

Un paio di mesi fa, tre immagini si imponevano all’attenzione della cronaca, tutte legate, dal punto di vista territoriale, al Mezzogiorno d’Italia. La prima riguardava la “mondezza” di Napoli, la seconda fotografava un ministro della Repubblica dare le dimissioni poiché la moglie, presidente del Consiglio regionale della Campania, veniva inquisita per affari di corruzione e clientelismo, la terza vedeva il presidente della Regione Sicilia festeggiare con gli amici, a base di cannoli, una condanna a cinque anni per favoreggiamento nei confronti di un mafioso… Ma noi dovremmo parlare di Bologna, però… Che c’entra la cultura mafiosa, l’abbandono sociale, il feudalesimo di derivazione latifondista, con le due Torri? Il modello bolognese, un tempo, era un esempio di sviluppo socioeconomico compatibile, di efficienza nell’organizzazione ed erogazione dei servizi. Faceva proprio da contraltare al sottosviluppo del Meridione, i cui cittadini, per due generazioni, sono emigrati proprio in città come Bologna… Erano le due Italie, e lo sono ancora… Però qualcosa è cambiato…



Trasformazioni sociali e processi d’integrazione


Ci sono state le trasformazioni sociali… I processi di integrazione delle masse di immigrati in Italia, comunitari ed extracomunitari, insieme allo stato di precarietà sociale ed economica, hanno prodotto una condizione generalizzata di malessere, che si è andata a scontrare con la tradizionale vocazione della città, proiettata al benessere per tutti… Il concetto di sicurezza, insieme al discorso sulle famiglie che non arrivano a fine mese, sono diventate le parole d’ordine dell’emergenza urbana di tutte le aree metropolitane.


Sul concetto di sicurezza, ad esempio, ci sarebbe da parlare… Per una città come Bologna, la sicurezza diventa tema politico-amministrativo legato al degrado di piazza Verdi e ai punkabestia, piuttosto che ai lavavetri, piuttosto che ai locali del centro storico, piuttosto che alla violenza sulle donne… Sicurezza, come sinonimo di legalità, sono state le parole chiave delle campagne dei sindaci durante gli ultimi tre anni. Ora, se immaginassimo una sorta di gioco di ruolo, trasferendo il sindaco di Bologna a Napoli o a Reggio Calabria o a Catania oppure a Palermo, le due parole chiave, sicurezza e legalità, si declinerebbero, come tema politico-amministrativo, in modo diverso: dominio mafioso, illegalità diffusa sia a livello pubblico che privato, omicidi, pizzo, classe politica corrotta, definizione del potere in termini “familistici” e clientelari…



La gestione del territorio come nuova forma di incapacità politica


Tempo fa, saranno passati otto, dieci mesi, circolavano per i giornali locali di Bologna alcune

affermazioni di un pugno di maîtres à penser indigeni, tra cui il “Magister” Lucio Dalla, i quali, a proposito del dilagare degli stupri in città, si lamentavano del modo in cui viene tradita la tradizionale “accoglienza” del capoluogo emiliano-romagnolo. Cioè un fenomeno di cronaca nera veniva relegato, in qualche modo, a fatto di costume… È dunque questa la percezione diffusa dell’emergere di devianza e degrado, che nasconde l’incapacità di lettura, da parte della società civile, delle trasformazioni di una città un tempo esempio di buone prassi civiche. La violenza, e i ghetti urbani ce lo insegnano, nasce da povertà, emarginazione, alienazione sociale, assenza di definizione dei diritti e doveri, impedimento all’affermazione del concetto di cittadinanza, incapacità di gestione dei cambiamenti, che si trasformano in emergenza. Ma tutto questo in quali ambiti e competenze deve ricadere se non nella gestione politica del territorio? Già, la gestione del territorio…


Ma ancora non abbiamo risposto alla domanda iniziale: che c’entra Bologna col Sud dello Stivale? Tutte e due hanno una cosa in comune: il basso livello del ceto politico. Non si tratta di destra o di sinistra, si tratta di caduta negli inferi della classe politica. Certo, per le condizioni in cui versa il paese, questa caduta negli inferi è un fatto prima di tutto nazionale, data l’incapacità di governare in base al principio dell’interesse pubblico e non di quello personale, che sia esso materiale o carrieristico. Abbiamo letto delle caste, e ci siamo d’un tratto accorti che il sistema politico della grande potenza economica Italia è più simile a un paese sudamericano che europeo. È la storia che ce lo insegna: quando una casta legifera lo fa in funzione non dell’esatta lettura delle fratture sociali, ma per conservare se stessa, e i propri privilegi. In qualche modo, ce lo avevano già detto Max Weber e Gaetano Mosca all’inizio del Novecento, ma oggi in Italia ha assunto dimensioni parossistiche, basti pensare alla legge Bossi-Fini come anche al pacchetto Amato sulla sicurezza...


Intanto al Sud la mafia, la camorra, la ’ndrangheta, negli ultimi dieci anni hanno ridisegnato i loro confini, ricostruendo in modo sempre più capillare il sistema di dominio sul territorio, attraverso proprio il ceto politico di bassa levatura. Certo, nel Sud è sempre stato così, da quando Salvemini e Gramsci denunciavano la “Questione meridionale”, un secolo fa. Da allora ne sono successe di cose: due guerre mondiali, tre regimi diversi, Guerra fredda, rivoluzioni giovanili, terrorismo, globalizzazione. Nel Sud però tutto è rimasto immutabile, l’illegalità è diventata sistemica... E i significati della società alfabeta si sono capovolti, per cui lo stato di diritto viene riconvertito in stato di ricatto e sudditanza...


La via Emilia è oggi l’arteria principale, nel contesto del Nord Italia, dove viaggia un fenomeno che connota un altro capovolgimento dei significati della società alfabeta: il nuovo schiavismo di massa… Siamo stati abituati a pensare, studiando i libri di storia, che lo schiavismo si fosse esaurito, agli albori della storia contemporanea, con la Guerra di secessione. Forse è per questo che non si ha la percezione di quello che sta succedendo nell’Europa centromeridionale, cioè uno sprofondare della civiltà in antiche barbarie… O forse perché questo fenomeno si traveste, a fini di business, in prostituzione… E la prostituzione nelle strade, si sa, infastidisce il cittadino, turba il suo focolare domestico, per questo è necessario fare battere le ragazzine di quindici anni, rapite dall’Est, in luoghi lontani da scuole e servizi pubblici… È questa la lettura del fenomeno nel pacchetto Amato, come quella di multare i clienti, facendogli arrivare le sanzioni nelle proprie abitazioni, come deterrente… Nel frattempo, le nuove organizzazioni mafiose dell’Est Europa guadagnano milioni di euro con la tratta degli esseri umani, potendo contare sulla complicità di cittadini italiani, nel nostro caso bolognesi, attraverso coperture territoriali e, peggio ancora, affari immobiliari. Tornano le parole legalità e sicurezza, ma come interpretarle?

I criteri della governance per ripensare il territorio


Secondo i criteri dettati dalla legislazione europea in materia di governance – e la strategia di Lisbona, in tal senso, rappresenta lo spartiacque generazionale –, le parole legalità e sicurezza vengono declinate in termini di coesione sociale, crescita sostenibile, occupazione e innovazione… Cioè, per gestire il territorio occorre disegnare un quadro strategico che indichi come vuoi che sia la tua città, in linea con le dinamiche sociali globalizzate e con una linea guida Ue. È la ricerca di una visione del territorio, che trovi soluzioni efficaci, attraverso una pianificazione lungimirante, tesa a legare agenzie e soggetti sociali in un unico scenario, dove un’altra parola dovrebbe fare da guida: integrazione. È lì che le scommesse di governance

devono determinarsi… E questo non riguarda solo i processi multiculturali, ma anche la ridefinizione dei ceti sociali, con l’intervento sulle nuove povertà… Pianificazione territoriale, gestione integrata dei processi di sviluppo, ri-allocazione delle risorse, dovrebbero essere gli strumenti con cui misurarsi per ogni amministrazione politica, al fine di pensare quale tipo di città si vuole; quale nuova identità territoriale ricercare, nel rispetto delle vocazioni territoriali… C’è da dire che esistono dei casi sporadici che mostrano come sia possibile pensare la città. Parliamo di Modena, ad esempio, che anziché far diventare il problema dei lavavetri un falso problema, è intervenuta con programmi di integrazione territoriale e di inserimento al lavoro, estirpando, al contempo, il fenomeno del caporalato, altra forma infame di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di cui la via Emilia si trova a essere protagonista.

Il fallimento delle politiche di integrazione: il caso badanti


Le migrazioni di massa fisiologicamente producono sacche di violenza, poiché alla base dei processi migratori vi è la povertà, l’emarginazione, il degrado culturale… L’Italia le sa bene queste cose, poiché verso la fine dell’Ottocento ha fatto dono agli Stati Uniti di una cosa chiamata “mano nera”, che poi il secolo successivo è diventata “cosa nostra”… Più che mai, il fenomeno migratorio deve essere gestito da politiche adeguate, soprattutto in epoca di globalizzazione, perché, se falliscono le politiche di integrazione, l’esempio francese delle banlieu è emblematico, la comunità sociale implode su se stessa, dopo che magari è esplosa sulle piazze…


Un’altra immagine salta agli occhi. Chi vive nei centri periferici dell’area metropolitana bolognese spesso incontra per strada delle giovani donne dell’Est Europa, dagli sguardi spenti, che spingono carrozzine o accompagnano sotto braccio fragili donne o uomini anziani: sono le cosiddette badanti… Figure emblematiche queste, poiché vivono una condizione di estrapolazione dal mondo sociale, per affidare la loro esistenza alle famiglie di chi devono accudire. Non sono figure professionali vere, perché sono soggette a una permanente condizione di sfruttamento: ventiquattro ore su ventiquattro a servizio e mal pagate… La loro vita è funzionale alla vita altrui… Nessun diritto di cittadinanza, dunque, perché non possono esistere diritti laddove diventa impossibile esprimere la propria individualità sociale…
Però anche qui qualcosa sta cambiando. A segnalarlo è il Centro studi di Politica internazionale. Queste donne hanno la necessità di integrarsi nel tessuto sociale sia in termini di vissuto personale che di ricongiungimento familiare. Questa condizione sta spingendo sempre di più alla necessità di restare in Italia ma non in una situazione di sfruttamento economico e sociale. Ciò porterà, secondo il Centro studi, le etnie asiatiche e africane, a subentrare a quelle dell’Est Europa, producendo un peggioramento della situazione dell’anziano, per il divario culturale che si verrebbe a creare… Quindi solo una famiglia che avrà la possibilità economica di pensare al proprio anziano potrà in futuro ricevere un’assistenza adeguata... Ma a che cosa è dovuta questa situazione secondo il rapporto del Cespi? Principalmente al mancato collegamento con le realtà locali dei paesi dell’Est Europa, a cui vengono “scaricate” le problematiche legate all’assenza d’intervento qui in Italia... La politica continua a perdere e il paese continua il suo processo d’implosione...