Prove per un  laboratorio sociale di comunicazione giornalistica

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Nel 2008, all'interno della rivista on line "Lucidamente" di Bologna, abbiamo realizzato una esperienza di tipo laboratoriale di comunicazione giornalistica, legata al concetto di citizen journalism, che ha avuto una fase d'aula ed una fase di lavoro sul campo, di cui di seguito riportiamo alcuni elementi esemplificativi.

 

PRASSI TEMATICHE DEL LABORATORIO

 

COMUNICAZIONE EDITORIALE

  • La formula del “citizen journalism” per comunicare le trasformazioni del territorio
  • Rilettura delle mappe sociali: dal mondo al territorio
  • Ricodifica delle prassi sulla notiziabilità e sui valori-notizia
  • La cronaca come chiave di lettura delle trasformazioni sociali
  • La storia al singolare come fattispecie dell'azione sociale
  • Il Medium è il messaggio: operatori, persone, organizzazioni territoriali vettori della comunicazione
  • La narrazione come percorso di sintesi tra informazione, fatti e spaccati di umanità
  • La rete dei soggetti sociali come punto sorgente delle trasformazioni
  • Fonti e catalogazione delle informazioni quali-quantitative

COMUNICAZIONE RELAZIONALE

  • Come comunicare il disagio sociale
  • Modalità relazionali individuali nel contesto sociale
  • Le dimensioni del comportamento come muscoli da allenare
  • Ridefinizione della mappa mentale in rapporto agli ostacoli sociali
  • Allenare le resistenze al cambiamento nei confronti del disagio e della diversità
  • Come comunicare con chi è diverso da noi
  • Guardarsi come promotori di sviluppo sociale

 

TRACCE NARRATIVE DEI COLLABORATORI DI REDAZIONE

 

La comunità moldava di Bologna
La comunità moldava di Bologna rientra tra i primi dieci gruppi etnici della provincia; sono un insieme molto compatto ed eterogeneo. Il flusso migratorio moldavo si è fatto consistente al momento della caduta dell’impero sovietico, tra il 1998 e il 2001. A quel tempo erano soprattutto le donne che raggiungevano la nostra penisola per trovare lavoro e poter aiutare il resto della famiglia che rimaneva al di là dei confini. Fino al 2004 la maggior parte di loro finiva sui marciapiedi di Bologna e di altre città, soprattutto del Nord.

Ora, fortunatamente, non è più così, la prostituzione non è più un problema che preoccupa la comunità moldava in Italia. Chi viene a cercare un lavoro è quasi assicurato perché esiste un sistema di tam tam e passaparola, attraverso cui, in Moldavia, si viene a conoscenza delle possibilità d’impiego e di quali siano le richieste del mercato lavorativo italiano.
Poi comincia l’iter burocratico...
 

Prima accoglienza ed ethnic embeddedness
Certo è che quando gli immigrati arrivano a Bologna, spaesati e senza conoscere la lingua, sono esseri nudi e, il più delle volte, privi di qualsivoglia forma di capitale, se non – quando gli va bene – all’interno della stessa comunità d’appartenenza. Ciò però, permette loro di sfruttare solo relazioni, istruzione e simboli della propria cultura di partenza senza permettere l’interazione col contesto d’arrivo.
Hanno bisogno d’una prima accoglienza. Centri come quello di via Pallavicini, Residenza Sociale Temporanea Irnerio, sostengono gli immigrati nella ricerca di lavoro, casa, cibo. Qui dovrebbero transitare per raccogliere quel minimo di capitale economico da cui partire come attori della società, per stabilire relazioni, istruirsi, capire tutta la nuova simbologia del paese Italia.

 

Spazi urbani e integrazione
Il tema dignità/sfruttamento è delicato e s’intreccia alla relazione tra integrazione e trasformazioni del tessuto cittadino. È vero, ci sono segnali d’avvicinamento alle abitudini del paese d’accoglienza, sul piano della fecondità e del sostegno parentale, ma spesso emergono le difficoltà economiche nel trovare un’abitazione separata per i diversi nuclei familiari e la necessità di chiudersi in gruppi allargati.

E poi c’è anche la consapevolezza dello scoglio che rappresenta il non avere origini italiane, in termini di mobilità sociale, affermazione, o addirittura per quanto riguarda la percezione dei propri figli in termini d’intelligenza rispetto ai coetanei italiani. Le famiglie immigrate risiedono per lo più nel centro storico, dove collocano attività commerciali di piccole dimensioni: alimentari, posti telefonici pubblici, mercerie, ecc. o in quartieri abitati da famiglie con reddito medio-basso che negli ultimi anni hanno visto crescere il fenomeno immigratorio.
Di fatto, questi avvenimenti hanno comportato una vera e propria ridefinizione di tali zone che ora sono caratterizzate proprio dalla presenza d’attività commerciali orientate a una clientela “etnicamente definita”.
 

Meglio lo smog che essere colpiti da una pallottola
Roland racconta che da dove viene non c’è giorno che non si speri di restare vivi. «Sopravvivere» dice «vuol dire sperare di essere uccisi da una pallottola piuttosto che restare storpi, senza un braccio, una gamba, o con gli occhi bruciati». È felice della sua vita ora. «Ci sono giorni che non mangio, amico, ma va bene, va bene. Cosa penso di starmene tutto il giorno in mezzo al traffico? Non m’importa, qui mi piace persino respirare lo smog; sto meglio, davvero, poi oggi mi hai dato due euro, è un cappuccino questo». Storie d’immigrazione come questa a Bologna ce ne sono tante, nonostante l’Emilia-Romagna, come ricorda l’Osservatorio dell’Immigrazione, sia tra le prime regioni italiane a essersi dotata d’una normativa che mira al superamento dell’intervento emergenziale ed episodico, includendo richiedenti asilo, rifugiati, e assicurando loro una serie di diritti sociali fondamentali come l’istruzione, la formazione professionale, l’apprendimento linguistico, l’assistenza sanitaria e il diritto al lavoro (art. 2 della legge regionale 5/2004).

 

Comunità “nascoste”, poco visibili
La mancanza di un associazionismo sudamericano, o di una vera unità a Bologna e provincia, si fa sentire nella visibilità di queste comunità.
Se vi sono associazioni, come la Comunità peruviana e l’Abip, esse si occupano di risolvere problemi quotidiani e burocratici dei migranti che vivono in città e non hanno legami particolari con i paesi di origine. I rapporti con la propria patria vengono mantenuti dalle singole persone o famiglie, in qualità di rapporti di amicizia e parentela. Si organizzano raccolte fondi da destinare a progetti nei paesi di origine, tuttavia sempre a titolo personale.
La comunità cilena, nonostante alcune divisioni interne di carattere politico, fu molto visibile tra il 1973 e il 1980: mantenne l’unità nella lotta e nella sensibilizzazione contro il regime dittatoriale di Pinochet, denunciando i crimini da lui commessi. Si organizzavano raccolte fondi per i rispettivi partiti in Cile e per i compagni in carcere. I rifugiati politici cileni tornarono poi sulla scena politico-sociale italiana e mondiale quando fermarono Pinochet nel 1998 a Londra, per chiedere che venisse giudicato all’estero per i reati commessi. Inoltre diversi cileni, raggruppatisi in associazioni culturali, appoggiarono le varie cause latinoamericane.

 

Clandestinità e devianza elementi fisiologici del fenomeno
E mentre «si continua a presupporre che i lavoratori stranieri da assumere aspettino dall’estero la loro chiamata, è risaputo che, in attesa di essere ufficialmente assunti, essi già hanno iniziato a lavorare in Italia», amplificando il fenomeno della clandestinità e tutto ciò che esso comporta. A quote di ingresso non adeguate, vanno quindi aggiunte cause come la scarsa praticabilità dei percorsi stabiliti per l’inserimento legale e per l’incontro tra datori di lavoro e persone da assumere, la diffusione dell’area del lavoro nero, la precarietà dello status di regolari, e la posizione geografica del nostro paese che favorisce l’intensità dei flussi migratori.