La guerra delle maschere

 

Gli eventi che hanno caratterizzato la Costa d'Avorio dal 2002 al 2011 sono difficilmente codificabili nelle categorie che appartengono alle guerre tra i popoli, dove potere politico, interessi industriali e appartenenza etnico-religiosa si sono incrociati a vari livelli lungo tutto il ventesimo secolo e oltre. Se le guerre che attualmente sono combattute in Africa hanno un comune denominatore nel tribalismo, dato che principalmente coinvolgono le popolazioni civili, o neo-tribalismo, visto che le armi usate appartengono alla contemporaneità, quello che è successo in Costa d'Avorio, per alcuni versi, ha più i caratteri di una guerra di tipo feudale del nostro medioevo. Perché ad esercitare violenza sul territorio sono dei veri e propri clan, che dal 2002 si sono decuplicati. All'inizio vi era un'unica organizzazione militare ribelle, le Forces Nouvelles, dove convivevano tre ex gruppi autonomi. A questi si aggiungevano numerose formazioni mercenarie che operavano ai confini con la Liberia e la Sierra Leone, combattendo per il miglior offerente.

 

Ci sono molti aspetti particolari in questa vicenda che in qualche modo la rendono unica. Innanzitutto i motivi che hanno scatenato la guerra, motivi inizialmente difficili da leggere dall'osservatorio europeo. C'è innanzitutto la strana storia di una ordinanza del governo per smobilitare due guarnigioni, i cui ufficiali per organizzare una protesta, diciamo così, vigorosa cercano di coinvolgere alcuni esiliati promotori del precedente colpo di stato, che hanno ancora un certo ascendente nelle forze armate nazionali. C'è poi la vicenda del dissesto economico che il paese vive negli ultimi anni. La Costa d'Avorio è una delle nazioni più sviluppate dell'Africa sud sahariana. La funzione strategica del porto commerciale di Abidjan è una delle chiavi di lettura della circolazione delle risorse per l’intero paese, tanto che proprio in seguito alla crisi prima e all'instabilità indotta dalla guerra interna dopo, non poté più servire da polo di attrazione per alcune aree limitrofe, come il Mali, paese senza sbocco sul mare che a sua volta viene travolto da una crisi interna di sistema. Ma la principale chiave di lettura è sicuramente la gestione delle materie prime e soprattutto del cacao, di cui la Costa d’Avorio è leader mondiale nella produzione ed esportazione.

 

Sulle piantagioni di cacao c’è tutta un’altra storia da raccontare che risale al 1995, quando l’allora capo di stato Henri Konan Bedié, succeduto al padre della patria Houphouet-Boigny, per contrastare le mire di potere del suo rivale Alassane Ouattara si inventò il mito della purezza etnica ivoriana, facendo breccia tra ampie fasce della popolazione, generando un conflitto sociale latente. In Costa d'Avorio esistono una sessantina di gruppi etnici cosiddetti autoctoni, e poi svariate nazionalità africane, mediorientali ed europee che hanno migrato dagli anni quaranta fino agli anni novanta, creando commistioni tra ceppi sommariamente definiti non autoctoni. Tutto questo nel contesto generale di un paese diviso in due: il nord musulmano e il sud cristiano. Durante il lungo regno del Presidente Houphouet-Boigny la dimensione multietnica era diventata proprio uno dei punti di forza sia della filosofia del potere che dello sviluppo produttivo, facendo diventare la Costa d'Avorio una delle aree più stabili ed economicamente progredite dell'Africa. Con la morte del leader carismatico la sua eredità non fu assunta da nessuno, anzi la lotta per il potere iniziò a provocare la caduta negli inferi, che pochi anni dopo, cioè durante gli eventi che stiamo raccontando, porterà a galla un barbaro conflitto civile. Ma come ogni storia che si rispetti, riguardante gli scontri di civiltà che siano essi endogeni o esogeni, dietro il mito della purezza etnica ci stanno degli interessi da gestire, perché le piantagioni di cacao sono prevalentemente localizzate nel sud del paese ma gestite da imprenditori provenienti dal nord.

 

Sta di fatto che le politiche nazionaliste del nuovo governo in carica producono una forbice socio-economica sempre più ampia tra ricchi e poveri, considerato che questo paese è uno dei pochi dove esiste una classe media, proveniente dai commerci e dalle imprese, nelle aree urbane, e dalle piantagioni nelle aree agricole.

 

Però, da questo momento in poi, ci sono altre storie che si dirimano, che si perdono nei meandri dell'interpretazione storica. Una di queste è la diaspora. Si, perché già nei mesi immediatamente precedenti allo scoppio della guerra civile, nell'estate del 2002, molte famiglie non autoctone del nord furono stimolate ad andare via dal governo nazionale, perché la guerra era imminente e loro sarebbero stati presi di mira dai ribelli. Poi ci furono le successive espulsioni di massa, gli sfollamenti, la fuga di decine di migliaia di persone dai loro villaggi nei bush, per salvarsi dalle ritorsioni trasversali dei clan. Quello che è successo si può semplicemente sintetizzare nel fatto che attraverso il tema etnico le organizzazioni criminali hanno potuto saccheggiare villaggi e città, producendo fughe di massa, interne ed esterne... Tutto questo ha creato una situazione tale che rende impossibile poter fare un censimento esatto sulle famiglie. Ma la cosa ancora più paradossale è che l'impossibilità di censire la nazione diventa uno dei motivi che ha sempre impedito di indire le elezioni per normalizzare il paese: se il cane si morde la coda, vuol dire che qualcuno ci marcia...

 

Tante storie che si vanno ad incrociare e rendono assolutamente ingarbugliata la matassa da districare. Cerchiamo di leggerle attraverso l’uso delle maschere. Nella storia del teatro e della letteratura le maschere hanno sempre assunto una funzione esplicativa della realtà: il principe o il guerriero, il bravo o il codardo, il traditore o l'eroe.

 

Il Principe è Laurent Koudou Gbagbo. Professore di Storia all’Università di Abidjan e Preside della facoltà di Lingue, dopo aver fondato il Fronte Popolare Ivoriano, è costretto, nell’85, all’esilio in Francia, per rientrare qualche anno dopo, giusto in tempo per candidarsi, con scarso successo, alle elezioni presidenziali del ‘90. Lo ritroveremo nel 2000 sempre come candidato alla medesima carica. Il suo rivale è il leader militare Robert Guéï, che si dichiara vincitore. Scoppia una rivolta ad Abidjan, poiché Gbagbo afferma di aver vinto lui con quasi il 60% dei voti. Guéï scappa e Gbagbo si insedia nella carica: finalmente diventa Principe, anche se l’amministrazione Clinton non lo vuole riconoscere, per la poca chiarezza nella gestione delle elezioni.

 

Ma torniamo per un attimo alle motivazioni del tentativo di colpo di stato che due anni dopo cercherà di defenestrarlo. Perché c’è un’altra versione, dove entra in gioco un altro Principe, assai più potente del Presidente in carica, che però nella messa in scena degli eventi ivoriani assume una dimensione strettamente legata alla maschera del Potere in quanto tale: è la Francia. Attenzione, non si tratta della Francia rappresentata dal questo o quel Presidente, ma la Francia come Potere di condizionare le ex aree coloniali attraverso la cosiddetta Françafrique. Infatti, una delle altre storie che sono uscite fuori da questa vicenda è che la ribellione sarebbe stata fomentata, soprattutto con l’intervento dei mercenari, tra Liberia, Sierra Leone e Burkina Faso, proprio dal governo francese, per destabilizzare il Principe ivoriano, considerato troppo nazionalista, al punto da minare gli interessi economici del paese d’oltralpe. Secondo questa nuova interpretazione degli eventi in Costa d’Avorio, non ci sarebbe stata una vera guerra civile ma un’attività di guerriglia che inizialmente aveva i punti forti nelle città di Abidjan al sud e Bouake al nord. Non riuscendo nell’impresa di sovvertire il Principe ivoriano si è dunque creata la situazione per cui Abidjan, capitale commerciale del paese, è rimasta al Potere costituito, e dal punto di vista sociale si è normalizzata, mentre Bouake è andata ai ribelli, diventando ricettacolo di violenza e degrado morale, tale da farla sprofondare nel medioevo appunto.

 

Certo, anche questa interpretazione risulta difficilmente leggibile se contestualizzata all’evoluzione dei fatti, considerato che le Nazioni Unite avevano da subito dato il loro sostegno al governo eletto e la Francia non poteva certo, nemmeno ufficiosamente, come fu per decenni nello stile degli Stati Uniti in Sud America, apparire come sponsor dei guerriglieri. Quando nel 2002 le tre organizzazioni militari si riuniscono a Bouake sotto un’unica regia politica, chiedono immediatamente alla Francia di restare fuori dai giochi e che ogni rappresaglia militare nei confronti dei ribelli sarebbe stata considerata un atto di guerra a tutti gli effetti. Questo perché l’esercito francese, nei mesi precedenti, era intervenuto contro i ribelli nelle città di Man e Duekoue, sempre nel nord del paese. L’elemento ancora più assurdo che si va ad aggiungere è che soltanto pochi mesi dopo i francesi cominciarono ad essere attaccati anche dai governativi, per poi raggiungere un accordo di non belligeranza.

 

Ufficialmente l’esercito francese era presente in Costa d’Avorio, per controllare il cessate il fuoco concordato nell’ottobre del 2002: una tregua restata sulla carta. La Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale intanto aveva deciso l'invio di 1.500 uomini da impiegare accanto al contingente francese. Dopo si aggiungeranno i caschi blu dell’Onu, e tutti insieme per cinque anni controlleranno una sorta di linea Maginot, chiamata zona di confidenza, che si estendeva tra est e ovest dividendo in due il paese: il nord controllato dai ribelli e il sud dal governo eletto.

 

E il guerriero chi è in questa storia? Si chiama Guillame Soro ed è il capo dei ribelli delle Forces Nouvelles. E’ colui il quale dopo le prime settimane di battaglia prende in mano il nord del paese, fomentando azioni di guerriglia. Ma Soro è un guerriero sui generis perché anziché fare la guerra di movimento, mantiene il controllo di una determinata area del paese, attraverso i clan. Il suo quartier generale è a Bouake; nel momento in cui si insedia costruisce il suo sistema di controllo territoriale, all'interno del quale c'è un patto con i ceti produttivi, a cui vengono garantiti protezione per loro, le loro imprese e le loro famiglie al costo di un pizzo mensile sui guadagni. Nell'accordo che aveva stilato con lui e con gli altri imprenditori e commercianti della città si stabiliva anche che quando Soro sarebbe riuscito ad andare al potere, tutti avrebbero smesso di pagare la protezione, poiché la situazione si sarebbe normalizzata. Infatti, è proprio lui il referente dei tavoli per le trattative di pace, che si susseguono negli anni senza alcun risultato.

 

Bouake, un milione di abitanti, era già da diversi anni un caso-tipo di decadenza morale, a causa dei crimini contro l'umanità. Paradossalmente c'erano due città parallele: la prima era quella, appunto, dei ceti produttivi, della borghesia, soprattutto non autoctona, che pagava la protezione a Soro e riusciva a garantirsi una vita assolutamente normale. Era la città del miscuglio etnico, combattuta dal falso mito dell’ivorianità. Poi c'era la città sodomita, cioè la città sprofondata negli inferi, perché la guerra in Costa d'Avorio è stata proprio questo. C’è un evento che è abbastanza significativo per spiegare cosa succedeva a Bouake. Nei vari scontri che si sono succeduti tra esercito regolare e ribelli l’obiettivo era sempre quello di riconquistare la città. Dopo uno di questi attacchi il ministero della difesa annunciò che la città era stata presa e che l’esercito regolare l’aveva posta sotto il suo controllo. In alcuni quartieri si sollevò una sorta di caccia ai ribelli, la cittadinanza stessa uccise alcuni di questi incontrati per strada. La vendetta fu atroce. Vennero massacrate decine e decine di persone, le donne furono indotte in schiavitù e i bambini furono venduti ai ribelli che controllavano le zone boschifere.

 

Esodi, sfollamenti, persecuzioni, massacri hanno smembrato migliaia di famiglie. Chi ad esempio apparteneva all’amministrazione pubblica veniva trucidato a colpi di machete. Così donne e ragazze rimaste sole sono state rapite e schiavizzate dai capi clan, costringendole, attraverso brutali riti di iniziazione, alla sudditanza. Ai figli troppo piccoli di alcune di queste ragazze è stata riservata una fine terribile: dentro delle fosse comuni. Dopo aver soddisfatto le voglie dei bravi, le donne venivano fatte prostituire nei locali della città, i cui clienti erano normali cittadini, ribelli o addirittura funzionari dell’ONU.

 

Poi, nel 2007, in Burkina Faso c’è la svolta. Viene raggiunto un accordo, poiché dal tavolo del negoziato rimane esclusa la mediazione internazionale con in testa la Francia: il Principe rimane presidente ed il Guerriero diventa primo ministro.

 

Da quel giorno la situazione nel nord anziché regolarizzarsi con la resa delle armi da parte dei clan e la riorganizzazione di un esercito regolare, va a peggiorare. I clan si spezzettano in sottogruppi praticamente anarchici, rifiutando di deporre le armi.