Processo ai bravi

 

Quando in Costa d'Avorio, nel 2007, si forma il nuovo governo i nodi politici da sciogliere sono principalmente legati all'impossibilità, quasi “tecnica”, di normalizzare il paese, poiché la titolarietà della gestione del territorio ce l'hanno i clan militari, o per meglio dire gli ex clan militari, i cui componenti da adesso in poi verranno definiti ex ribelli. Ed è proprio questo il punto. Perché il nuovo posizionamento di Soro garantisce se stesso e pochi altri, la gran massa di bravi che fino a quel momento si sono arricchiti negli anni della guerra, restano sul campo a saccheggiare il territorio, rifiutando di consegnare le armi. La popolazione civile diventa preda di bande che si sono ancor di più frammentate e ricomposte, dentro un'area territoriale assolutamente senza legge. Non solo, ma il fatto che il controllo del territorio voglia dire guadagni, mette in competizione le bande tra loro. Queste si fanno guerra a vicenda, utilizzando ritorsioni e regolamenti di conti in perfetto stile mafioso. Come in stile mafioso sono le pax, cioè gli accordi di non belligeranza o addirittura di collaborazione tra clan diversi.

I boss di queste bande sono dei crudeli criminali che taglieggiano i cittadini, riducono in schiavitù donne e bambine, trafficano in organi, cercano cioè di arricchirsi a più non posso dal potere che esercitano nel loro feudo, e che difendono con le armi. Ecco la maschera del bravo, predatore nato, famelico nella sua delirante rabbia di ricchezza, bandito comune poiché sprovvisto di mete ideali. Il concetto di separazione tra vita e morte non è praticabile, perché la morte è comunque uno strumento di guadagno.


Ma c'è un'altra storia da raccontare. Una storia dove le maschere possono essere viste come la rappresentazione assurda di un mondo capovolto, dove il bene e il male non riescono a trovare le proprie radici poiché si perdono negli anfratti remoti della realtà. E' la storia di un processo penale mai svoltosi, che vede come imputato il capo di un immenso campo militare, nei pressi della città di Man, trasformato in villaggio di guerriglieri che lo abitano con le loro famiglie, in tutto circa cinquecento, proprio in mezzo alla zona di confidenza. Il boss viene accusato di atroci crimini nei confronti della popolazione civile, come anche dei suoi stessi uomini. Le accuse rivolte dal Pubblico Ministero sono gravi e circostanziate poiché comprovate da una serie di testimonianze dirette raccolte da organismi di cooperazione internazionale.

 



Quest'uomo, per circa tre anni, ha organizzato assalti ai villaggi con massacri e stupri. Posti di blocco per rapinare la gente di passaggio, torture e ferimenti di vario genere, dove l'arma più usata è il machete, oltre a reprimere, anche nel sangue se fosse stato necessario, le manifestazioni di protesta della popolazione di Man, contro i suoi soprusi”.

 

Poi, dopo l'accordo tra il Principe ed il Guerriero, lui che era semplicemente un bravo, decise di smobilitare il campo e unirsi ad un altra banda di ex ribelli, costituitasi in una sorta di “cupola”, poiché raccoglieva piccoli gruppi di sparuti bravi, per prendere il controllo totale delle due città: Man e Duekoue.

 

Con gli altri leader venne deciso che ai componenti del villaggio, che non volevano unirsi alla nuova organizzazione, sarebbero stati riconosciuti 500.000 franchi per tornarsene nelle loro città al sud del paese. Un centinaio di uomini non aderirono al nuovo progetto, e i capi affidarono i danari da dividere all'uomo che era il loro capo e che oggi abbiamo qui davanti. Egli però ne corrispose solo in minima parte, il grosso del quantitativo se lo tenne lui. Gli uomini protestarono fortemente, minacciando di ucciderlo. Egli allora prese tempo. Disse loro che il resto dei soldi sarebbero stati dati nel giro di pochi giorni. Così, si recò notte tempo dai leader della nuova organizzazione e li denunciò, raccontando che quelli in realtà non avevano nessuna intenzione di tornarsene a casa ma stavano per armarsi proprio contro di loro. La notte seguente nel villaggio entrarono diverse centinaia di ex ribelli e massacrarono quei cento uomini, stuprarono le donne e poi le uccisero insieme ai loro figli”.

 

La cosa che colpisce in questa storia, oltre ovviamente ai crimini, è l'arringa del difensore del bravo, che cercando di sovvertire il sistema dei significati, come fa ogni scaltro avvocato, individua le responsabilità dei crimini del proprio cliente in qualcosa che sta al di sopra della sua umana vita. Ma è davvero un sovvertimento dei significati o ci può essere una logica in tale strategia difensiva...?

 

Quello che mi si chiede oggi è di difendere un uomo che voi avete già condannato. Si perché i crimini che avrebbe commesso sono così estremi che il giudizio sembra irrimediabile. Però permettetemi prima di iniziare con un ricordo. Quando il nostro Primo Ministro anni fa strinse la mano al mio cliente e gli disse bravo, so che la nostra causa trionferà perché abbiamo uomini come te... Questo gli disse il nostro Primo Ministro! Ed è proprio per questo che ora vi chiedo di ascoltarmi. Io oggi voglio parlare del nostro mondo, cioè della nostra Africa. Ma voglio anche parlare di un Grande Gioco che ha tenuto il nostro continente schiavo del mondo occidentale. Quel Potere oggi non si manifesta più come una volta, imponendoci le sue leggi, i suoi governatori, i suoi costumi. Oggi è diverso. Oggi è il denaro che conta, perché questa è la nostra società. E' la caratteristica dell'umana specie del nostro mondo, perché non c'è niente, dico niente che possa realizzarsi al di fuori del denaro. Niente di glorioso, gradevole, orgoglioso che si possa realizzare senza il denaro. Forse i governi di tutti paesi africani non sono retti sul piacere del denaro, soprattutto quando fanno affari con gli occidentali per sottrarre le risorse ai cittadini...? Non è forse la forza dello stesso denaro a far si che se si combattono guerre c'è chi ci guadagna...? E ancora, vi chiedo, non è forse il denaro a sventrare interi territori per far posto agli insediamenti industriali occidentali, distruggendo pesca e agricoltura, affamando così il popolo, che su quelle attività ha costruito la propria vita...? Già, il popolo...! Perché illustrissimi signori della corte, voi oggi rappresentate il popolo, e questo tribunale giudica in nome del popolo...! Ma il popolo può giudicare gli abusi che subisce dal Principe e dai suoi guerrieri...? Perché quali abusi possono essere ascritti al comportamento del mio cliente se non quello di essere un uomo fidato del Principe, su cui il Principe ha puntato per la riscossa della sua stessa causa, perché è questo che è successo al mio cliente. Si dice che ha fatto uccidere per denaro, ma non è la stessa cosa che fa il Principe...?Non è forse la stessa cosa che fanno le compagnie economiche occidentali? Ma allora, signori della corte, perché il mio cliente deve pagare per questo? Si dice che ha torturato, ma in una guerra come questa un soldato, che ha anche delle responsabilità di comando, utilizza quei metodi che gli sono stati insegnati. Si dice che ha stuprato delle donne. Ma nel nostro ordinamento non esiste una legge che vieti di avere rapporti sessuali anche non consensuali. E poi si sa, l’uomo è un dominatore per vocazione, e di questo vogliamo fargliene una colpa? Si dice poi che ha venduto esseri umani, che ha ucciso bambini, si dice persino che avrebbe violentato una infante di tre anni! Ma signori, lo stesso Presidente della repubblica ivoriana ha firmato una ordinanza che garantisce l’amnistia per quei cosiddetti crimini commessi nell’ambito della guerra. Perché una guerra è una guerra! Una guerra è di per se un crimine contro l’umanità, e per questo deve pagare il mio cliente? Ma gentili signori della corte, vi sembra possibile che un uomo che per anni è stato accanto al nostro primo ministro, possa essere portato in un tribunale per essere giudicato...? Un uomo che ha combattuto per un paese di ivoriani deve trovarsi alla sbarra? No, signori della corte, questa è una vera e propria ingiustizia, che voi come rappresentanti del popolo dovete sanare...”