L'HOGRA, IL POTERE E LA RIVOLUZIONE RUBATA
"Vedrai che prima o poi le cose si aggiustano anche per noi!" Glielo ripeteva sempre al fratello minore Salem. Che forza d’animo che aveva questo piccolo grande uomo, in quel centro agricolo a 160 chilometri da Tunisi. E chissà che anche quella mattina, che avrebbe cambiato il mondo arabo, Mohammed non l’avesse pensato, cioè che un giorno avrebbe potuto mettere a frutto quella laurea in Lingue e Letteratura araba, appesa al muro nella casa dei suoi genitori, come un vanto, ma forse soprattutto come un simbolo di speranza, per riscattare l’intera famiglia.
Il 72 per cento dei disoccupati tunisini hanno dai 15 ai 29 anni, di questi il 60 per cento sono laureati. Paradossalmente però la disoccupazione non era la cosa peggiore da sopportare ai tempi di Ben Alì, peggio di tutte era l’hogra, cioè l’umiliazione imposta dal potere assoluto delle autorità e dal disprezzo riversato nei confronti dei cittadini comuni. Solo chi ha vissuto in terre governate dalla mafia può capire un po’ cosa significa l’hogra… Un sistema di potere cioè costruito sugli esclusivi interessi di alcuni clan familiari che attraverso gli affari con i paesi europei hanno attivato un sistema turistico sfavillante, a basso costo di manodopera. Un sistema di potere governato dall’avidità di una famiglia presidenziale saccheggiatrice delle risorse del paese e quindi del popolo, dove le regole giuridiche e sociali erano soltanto dei paraventi per garantire i privilegi di pochi e perpetrare soprusi verso i più deboli… Un sistema di potere dove sulla polizia, con i suoi confidenti e i suoi sistemi organizzativi per tenere la popolazione sotto scacco, erano concentrate le maggiori risorse, deprivando persino l’esercito.
Quella mattina del 17 dicembre del 2010, come tutte le mattine Tarek al Bouazizi, di ventisei anni, detto Mohammed e soprannominato Bessbouss, doveva pensare a tirare su qualche spicciolo per lui, sua madre e i suoi sei fratelli e sorelle, e non c’era certo il tempo di riflettere su un futuro migliore. Nei suoi piani immediati c’era quello di riuscire a rimediare un furgoncino per evitare di trascinarsi con le proprie forze quel carrettino scassato dove mettere la verdura da vendere come ambulante "abusivo". Quella mattina aveva qualche cassetta di carote ed essendo venerdì, cioè il giorno della preghiera per i musulmani, il luogo più trafficato di Sidi Bouzid, città di quarantamila abitanti, era naturalmente Avenue Bourguiba, davanti alla moschea.
Ma Mohammed lì non ci poteva stare perché non aveva nessuna licenza per poter vendere la sua cassetta di carote, oltre al fatto che davanti alla moschea il giorno della preghiera non si poteva fare. Ma che regola era questa in un paese il cui Presidente Ben Alì si era sempre vantato con l’occidente di aver spento, laicamente, ogni rigurgito islamico… Che razza di regola era questa in un paese dove la corruzione era il principale strumento di gestione del potere. Semplicemente una regola per affamare ancora di più chi non aveva niente, né mezzi per vivere né speranze.
Faida Hamdi era l’unico poliziotto donna di Sidi Bouzid, e toccò proprio a lei far valere questa regola imposta dai suoi superiori. E quella mattina infatti ordinò a Mohammed di allontanarsi da lì. Ma il giovane non ne volle sapere niente, ancora l’hogra, ancora una vessazione, ancora una ingiustizia nei confronti di chi non aveva di che mangiare. Eppure Faida conosceva bene Mohammed, in quel villaggio di quarantamila anime si conoscevano tutti. Ma il suo lavoro era quello e doveva farlo. Litigarono i due al punto che la donna poliziotto cercò di sequestrargli la cassetta di carote e lui glielo impedì strattonandola. Poi lei si mise a piangere e qualche minuto dopo arrivò il Commissario di polizia a sequestrargli tutto quello che aveva.
Fu come se lo avessero ucciso dissero gli amici del ragazzo, e lui come atto di protesta si diresse al commissariato cospargendosi di benzina. "Lui non si voleva uccidere, fu un incidente, voleva solo dimostrare la sua amarezza…" Ricordano gli amici. La fiamma dell’accendino attacca i vestiti e Mohammed grida aiuto agonizzando. Gli estintori del Municipio di fronte sono vuoti, come pure quello del parcheggio di taxi lì vicino. Dopo un po’ qualcuno cerca di spegnere le fiamme con una sorta di mantello…
Il ragazzo che sperava in un futuro migliore morirà tre settimane dopo. La stessa sera però avrà inizio la primavera araba. Un gruppo di amici di Mohammed si diressero a Nurgabi nella zona ovest della cittadina tenendo testa alle forze dell’ordine per settimane, al punto da non riuscire più a gestire la situazione, inducendo Ben Alì a tentare di corrompere i rivoltosi concedendogli tremila dinari a testa (circa 1500 euro).
Ma quei giovani non si fecero corrompere. Su faceebook rimbalzavano le notizie a tamburo battente, tutto il popolo rialzò la testa e altri popoli vicini sentirono il bisogno di alzarla pure loro. Così il dittatore tunisino amico dell’Europa fu il primo ad essere defenestrato. Poi tante speranze presero corpo, tutte quelle che aveva sognato Mohammed e che sempre ripeteva al fratello: "Vedrai che prima o poi le cose si aggiustano anche per noi!"
Ma le cose, purtroppo, a distanza di un anno, non sono tanto cambiate. Ci sono state le prime elezioni libere nell’ottobre del 2011 vinte dal partito islamico "Ennahdha". Così ha dichiarato al giornale la Repubblica Mohammed Sgaier Awlad, noto scrittore tunisino: " E’ stata una rivoluzione rubata (…) Gli integralisti si sono impadroniti di un potere che non meritano. Non hanno partecipato alla sommossa (…) Ora vogliono cambiare la storia, cancellare la morte di Bouazizi e la lotta degli studenti e dei disoccupati. Con i soldi del Qatar, dell’Arabia Saudita e degli USA, hanno comprato i voti degli analfabeti e dei poveracci, che qui sono tanti. Bastano trenta dinari. Hanno approfittato della frammentazione della sinistra e della disillusione dei giovani. Ma questa non è la vera Tunisia…"