PROGETTI
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I MIGRANTI DEL GUSTO
“Società globale”, “Società multietnica” sono espressioni di uso comune ormai, che cercano di fotografare il nostro tempo. Sono espressioni però che hanno due facce, una bianca e una nera, perché a seconda del modo in cui vengono utilizzate, assumono un’accezione positiva o negativa.
Il concetto di società globale ha prevalentemente una chiave economica o economicistica, che si rifà alla capacità di scambiare merci e informazioni in tempi rapidi e senza barriere, velocizzando i processi di produzione del capitale. La società multietnica è invece un concetto sociologico, che caratterizza il novecento in quasi tutti i paesi industrializzati, tranne che in Italia, dove è di recente evocazione, proprio perché qui non essendovi state, nei secoli passati, politiche coloniali l’immigrazione di nazionalità diverse ha avuto luogo negli anni ottanta.
Queste visioni del mondo però non tengono conto di una semplicissima dinamica della storia e cioè che l’uomo, dalla “notte dei tempi”, si è sempre spostato da un luogo all’altro, da una terra all’altra, da un continente all’altro, contaminandosi continuamente sia dal punto di vista somatico che dal punto di vista culturale. E le migliaia di diramazioni che generazionalmente le contaminazioni hanno prodotto è possibile rintracciarle prevalentemente in tre ambiti della nostra vita quotidiana: la gastronomia, la musica e le arti performative in genere. Ecco perché i due termini che prima abbiamo analizzato forse oggi possono essere considerati inadeguati poiché ambedue possono essere usati in modo contrapposto. C’è un altro concetto, invece, che spiega meglio come siamo arrivati all’oggi, tanto che non può essere oggetto di disputa, visto che, antropologicamente, le vicende umane sono vicende di viaggi e contaminazioni: “mondialismo”.
Il viaggio é scoperta di luoghi sociali ma anche di luoghi della memoria, poiché è lì che si conservano i sapori, gli odori, i suoni e i colori propri ad un paese o ad una città o ad un villaggio. La storia ci dice che la migrazione è parte integrante dell’umana specie, appunto, ma questa sembra che oggi sia una dimensione negata. Il valore del viaggio ci riporta alla vera natura dell’uomo, al fine di rintracciare come i sapori antichi sono arrivati fino a noi, spiegandoci i motivi stessi dell’appartenenza, prima che ad una comunità, al mondo stesso. Attraverso i sapori è infatti possibile leggere come nel tempo si siano conclamate le contaminazioni tra i luoghi del mondo che, a prescindere dai motivi che hanno spinto gli uomini e le donne a spostarsi, si sono adattate alle caratteristiche dell’ambiente naturale: ogni viaggio è un racconto di contaminazione.
Ora, pensiamo ad una qualsiasi città europea di medie o grandi dimensioni. Proviamo a camminare per le strade di queste città, anche solo con la memoria, e pensiamo a quali e quanti segnali di grammatiche diverse incontriamo camminando per queste strade. Ci colpì, ad esempio, questo tipo di esperienza a Budapest, capitale di un paese che ha subito, da un paio d’anni, un golpe bianco, dove un dittatore eletto ha riscritto una costituzione liberticida e ha fatto approvare leggi anti inclusive, nazionalistiche, razziste, ecc…
Eppure camminando per le strade di Budapest si respira il mondo, poiché segnali visivi provengono da paesi lontani, soprattutto per ciò che concerne i luoghi della ristorazione. Ecco che allora c’è il kebab arabo o il ristorante messicano. C'è anche una tavola calda buddista, di fronte al ristorante turco. E ancora la teeria tibetana qualche decina di metri più avanti di un locale greco e giapponese, ma c’è anche il Cafe Factory, e, proprio dentro la stazione, c’è un McDonald al piano inferiore ed un “cappuccino italiano” al piano superiore, collegati da una specie di ammezzato. Questo significa che in Ungheria la direzione dei processi politici è diversa rispetto a quella dei processi sociali…
Incredibile che a dircelo sia proprio il cibo, o per meglio dire la gastronomia…