L’ORDINE CAPOVOLTO NELLA CITTA’ SOMMERSA
Reportage da una dimensione urbana ai confini dell’immaginazione
Dal nostro inviato Chico Bahiero
Scalo Adela è una specie di frontiera posta tra cinquecento chilometri di deserto e la civiltà. Da lì inizia la ferrovia che raggiunge i centri abitati più vicini ed anche la costa. Fa parte della provincia di Ramblash, il cui porto commerciale è il punto di snodo della circolazione delle risorse per molti paesi limitrofi, soprattutto quelli senza sbocco sul mare; e da lì infatti che partono le materie prime da esportare. La gran parte delle vetture in transito che arrivano a Scalo Adela, dirette prevalentemente verso il sud sono auto-rimorchi. Trasportano varie merci, in special modo una strana sostanza erbacea che cresce nel deserto. E’ un'erba graminacea che serve a fabbricare ceste e calzature in corda. Per arrivare nella città sommersa bisogna necessariamente partire da lì anche perché è da quel luogo di frontiera che si inizia a percepire la dimensione eterea su cui si regge il segreto di Ramblash.
A Scalo Adela c'è una stazione di polizia il cui compito formale è quello di ispezionare i carichi, al fine di evitare che possano passare prodotti illegali, come l'haschisch, ad esempio. Paradossalmente è questa una delle principali fonti di sostentamento del sistema economico per l’intera provincia. La si importa dal nord attraverso le compagnie di autotrasporto, che affidano a turno, nell'arco di una settimana, la partita di droga ai vari dipendenti. Da Scalo Adela la droga viene smistata ai capi-zona dei principali centri urbani, che si servono della copertura delle centrali di polizia, e della benedizione degli assessori ai servizi sociali.
I dividendi vengono poi spartiti a seconda della posizione sociale. Il quaranta per cento va ai politici, il venti alla polizia, il dieci ai capi-zona, il tre agli spacciatori, i quali si servono per lo più dei bambini per il contatto diretto con i clienti. L'ampiezza del business non può che basarsi sull'illegalità. C'è però da rispettare l'equilibrio sociale, per cui le leggi di proibizione non possono che essere funzionali al sistema stesso. Il vero fulcro del commercio si poggia sullo sforzo organizzativo delle compagnie di autotrasporto, le quali passano la merce da un confine all'altro.
Essi stessi tagliano in appositi centri d'imballaggio, l'haschisch in etti, per poi smistarla secondo i contratti. Quando il carico giunge a Scalo Adela, l'ufficiale in comando che coordina le operazioni di controllo e vidimazione del carico viene informato, attraverso una semplicissima telefonata, qual è il numero di matricola del camion che non deve annotare nei registri, considerato che giornalmente ne arrivano un centinaio…
Attraverso le mie fonti vengo in contatto con uno di questi autotrasportatori che accetta di farmi salire sulla sua vettura per poterlo intervistare. Ovviamente non vuole dirmi il suo vero nome, quindi decido di chiamarlo semplicemente John, perché mi ricorda un po’ John Wayne, un omaccione alto e robusto, intorno ai trent’anni, con una faccia larga e simpatica.
"La settimana scorsa quell'idiota dell’ufficiale in comando ha saltato la telefonata proprio quando è toccato a me il turno di rotta. Non ha preso la chiamata, capisci..."
Questa è una bella rogna immagino…
"Un'ora ci ho messo a spiegargli che era tutto regolare. Cristo queste cose ti possono costare la galera, capisci...?"
"Credo di non capire. Scusa, ma se siete tutti d'accordo che rischi ci sono?"
"Non ci sono infatti, tranne che se incontri qualche stronzo come quello! L'organizzazione, pensa a tutto l'organizzazione. L'unica rottura è che una volta che arrivi a Scalo Adela si passa il pizzo alla pattuglia che fa il turno di guardia. Almeno un etto. Non che a me freghi, ma il regolamento lo vieta, capisci. Se il capoccia lo viene a sapere mi licenzia".
"Ma mi sembra assurdo parlare di regolamenti in una cosa come questa".
"Amico, in questo mestiere se non rispetti le regole sei fuori".
Quella descritta da John, sembra, apparentemente, una situazione davvero paradossale, tanto che ho l'impressione di trovarmi nel paese degli opposti, dove una situazione sociale assume la sua ragion d'essere dall'assoluto stravolgimento dei comuni codici di convivenza sociale. Poi, questo stravolgimento viene ridefinito, racchiuso all'interno di poche e semplici regole comportamentali, tese a stabilire una sanzione se trasgredite.
Arriviamo a Scalo Adela a sera inoltrata. Ci sono decine di auto-rimorchi che ancora devono essere controllati. Ci mettiamo in fila con gli altri nell'area destinata al controllo, tra un vecchio motel e la stazione di polizia. La pattuglia è composta da sette persone: cinque agenti, un sottoufficiale e l'ufficiale in comando. Quest’ultimo è un tipo grassoccio, basso, il berretto largo tanto da coprirgli tutta la fronte. Cammina lentamente e a gambe larghe, il cinturone gli pende sulla coscia destra e col palmo della mano toccava il calcio della pistola. Viene immediatamente verso di noi e appena Katz si accorse di lui esclama: "Siamo apposto, c'è il cow boy".
"Ce l'hai tu il carico?"
"Già, è martedì oggi..."
Scende dalla vettura e gli va incontro. Si salutano, scambiano qualche parola e si avvicinano insieme al camion.
"Quante ne trasporti?" Chiede il cow boy.
"Trenta fasce".
"Bene, adesso facciamo girare le vetture, tu mettiti in coda. Non dimenticare poi di dare il pezzo al ragazzo".
"Ok, contaci!"
John sale su, mentre il cow boy inizia a dare le disposizioni per il controllo. Fa spostare gli autocarri a spina di pesce e John si mette per ultimo. Mi guarda sogghignando. Io annuisco.
"E' bello lavorare con gente come il cow boy..."
"Quant'è una fascia?"
"Un chilo, un chilo netto, capisci".
Convinco John a fornirmi alcune informazioni prima di partire per Ramblash, e visto che il primo treno utile è alle sei del mattino, prendo una camera al Motel e do appuntamento al mio informatore all’unico snak bar di Scalo Adela. Appena entrato sono investito da un insopportabile puzzo di fritto ed un senso di vecchio decadente che tiene in piedi quel solaio. Il bancone è di legno marcio. Il rumore d'un flipper d'altri tempi fa da sfondo alle risa degli avventori, che tra un sorso e l'altro di birra fanno un baccano infernale. Il padrone urla a squarciagola le ordinazioni. Un tipaccio con uno sfregio sul naso ed un dente laterale mancante. In fondo al bancone vedo John. Gli chiedo senza tanti giri di parole cosa ne sa lui della corruzione che sembra sia diventata la dinamica sociale su cui si regge la città…
Si, perché per quanto ne so io il sistema corruttivo é diventato lo statuto etico su cui la città si regge, e a vedere quello che succede a Scalo Adela questa idea é sempre più preponderante. Ma come può essere che una città rigogliosa e ricca come Ramblash ha edificato il suo sistema produttivo sull’illegalità? E come può essere che la classe dirigente della città ha costruito un sistema di regole ferreo, pur anche con delle sanzioni nei confronti di chi le trasgredisce? E infine, come può succedere che i cittadini siano così intrappolati dalle tenaglie del potere da non riuscire a trovare il modo di ribellarsi?
Pongo queste domande a John, ma lui glissa senza darmi risposte. Quando cerco d’incalzarlo mi dice: “Voi giornalisti avete creato un caso mediatico inutile. Ramblash è una città che non può essere letta con gli stessi parametri delle altre città…” Perché? “Perché? Quando ci andrai capirai.” Si, ma da dove devo partire? Gli chiedo. Cioè chi sono gli uomini che possono darmi delle informazioni. “L’unico modo che hai di iniziare la tua inchiesta è quello di partire dalla strada… Anzi guarda, se vuoi un consiglio vai al Cafè Columbia è un locale in centro, lì può darsi che incontri qualcuno di interessante da intervistare… AHAHAH… Buona fortuna!”
Arrivo a Ramblasch dopo un paio d'ore di treno. M'immergo immediatamente nella città. I fiumi della tranquillità scorrono lentamente tra gli apostrofi soddisfatti di pochi passanti che qua e là si incontravano. Larghi e semivuoti boulevard fanno da scenario ad un paesaggio colorato. Architetture liberty si affacciavano mute, mentre qualche taxi macina l'asfalto. M'incuriosisce parecchio non vedere nessuno per le strade in prima mattina. C'è un'atmosfera di strano riposo che lega le varie parti di quegli spazi. Dopo qualche centinaio di metri vedo una stazione d’autobus e chiedo con quale mezzo poter arrivare al Cafè Columbia.
Il bus mi lascia a cinquecento metri in una piazza antistante il porto. Un'altra realtà appare ai miei occhi. Decine di ragazzi sono sdraiati su dei prati recintati. Da lì parte un lungo viale pedonabile, colmo di gente che passeggia. Vi sono ai lati un intrecciarsi di tavoli che ospitavano i turisti. Musicisti ambulanti riempiono di suoni l'aria frizzante, venendo ripagati con lanci di monete; la stessa cosa accade per due pittori che ritraggono immagini bibliche sul pavimento.
A metà del viale vi è una imboccatura che porta a piazza Columbia. Una immensa folla la riempie. Sulla destra, appena entrato, sotto dei portici in stile antico, vedo dei tavoli che danno al passaggio: il Cafè Columbia! Mi siedo e ordino da mangiare e da bere. Si avvicina un ragazzino facendomi strani cenni. Si ferma e mi bisbiglia a bassa voce: "cioccolatto, vuoi cioccolatto...?" Esce dalla tasca un pezzo di haschisch e lo posa sulla mia mano. Davanti al mio diniego mi guarda un po’ scocciato e se ne va. In effetti lo scenario è davvero variopinto. Venditori di collane e oggetti strani si univano a spacciatori di cocaina. Si muovevano in mezzo alla folla cercando di piazzare la propria merce. Genti di tutte le razze si incontravano con le loro storie e le loro emozioni. C’è una confusione infernale. La piazza è circondata da bar che espongono i loro tavoli sferici. Al centro vi è una fontana su cui stanno seduti dei ragazzi a suonare la chitarra...
Mi inoltro nella piazza. Vedo delle stradine che sembravano veri e propri vicoli, poste agli angoli di quello strano quadrilatero. Penso che da quelle parti avrei potuto trovare una stanze a basso prezzo. Ne scelgo una, e inizio a percorrerla. E’ una stradina piccola e stretta, chiusa tra due pareti di case decrepite. Bar fetidi immortalano quella tetra atmosfera. Bambini scalzi corrono appresso ai pochi passanti, al fine di vendere roba rubata. Vecchi seduti innanzi alle proprie abitazioni, che poi sono veri e propri tuguri, giocavano a carte, Una miseria atroce fa da fondamento a quella piccola casbah, mentre un alone di sporcizia si alza lento, imprigionando quelle straziate esistenze.
Vado alla ricerca di una pensione in cui si potesse stare dignitosamente, ma tutte offrono stanze con un puzzo soffocante. Una mi colpisce particolarmente, una camera molto piccola e senza finestre, con un luridissimo letto che a malapena si regge in piedi, e con le pareti avvolte da uno strano colore giallastro. Al termine di quel vicolo trovo un hotel che in parte può rispettare questo nome. Appena salgo, m'imbatto in un paio di forti omaccioni di colore completamente nudi. L'aria era comunque pulita, come del resto le pareti. Decido di prendere quella stanza. Dopo aver sistemato la roba mi sdraio sul letto e mi appisolo. Mi riprendo qualche ora dopo. Il cielo sta lentamente per imbrunirsi: a Ramblasch fino alle dieci di sera c'è ancora luce.
Dall'altra parte della strada si sentono rumori d'ogni genere e in mezzo urla ambigue. Mi affaccio dalla finestra e vedo nel palazzo di fronte strani movimenti. Una donna ripete sempre lo stesso nome, con una cadenza ossessionante: "Sora...! Sora...!" Noto che in una di quelle stanze c’é un uomo che sta denudandosi, seguito da un'appariscente ragazza. E’ un bordello... Sto per chiudere la finestra, quando vedo quella tipa spogliarsi. E’ quasi completamente senza seno, il suo corpo è pieno di lividi. Quando completa il suo atto scopro che era un uomo...
Fine prima puntata…