UNO SPETTRO S'AGGIRA PER L'EUROPA: IL NAZIONALISMO ETNICO

 

Gyöngyöspata è una cittadina di 2800 abitanti a ottanta chilometri da Budapest. Lì vi è o per meglio dire vi era una comunità rom di circa 450 persone. La settimana scorsa le ronde del Véderö, un gruppo paramilitare legato al partito di estrema destra Jobbik, che alle elezioni politiche del 2010 ha guadagnato il 17 per cento dei voti, ha intrapreso una “caccia armata ai nomadi”. Per giorni decine di uomini armati di spranghe, bastoni, catene ed armi con proiettili di gomma, sono stati artefici di aggressioni per le strade e assedi alle abitazioni, in ottemperanza all'ordine del partito, che ha nel suo programma politico combattere la “criminalità degli zingari”. C'è da dire che l'organizzazione paramilitare aveva costruito un campo di addestramento proprio all'interno della cittadina, dove venivano simulate azioni di guerriglia urbana con strategie di pulizia etnica. Venerdi scorso la Croce Rossa internazionale è riuscita ad organizzare diversi pulman per evacuare dalla zona circa 300 persone tra donne, anziani e bambini e metterli a riparo in una sorta di villaggio nella periferia di Budapest. Gli unici rom a rimanere a Gyöngyöspata erano uomini, per cui le ronde del Véderö hanno continuato le loro azioni di rappresaglia. Tre giorni fa, in seguito ad una di queste azioni, quando alcune abitazioni sono state sottoposte a sassaiole, ottanta rom hanno isolato cinque di questi “miliziani”aggredendoli pesantemente. Solo allora la polizia è intervenuta per smantellare il campo di addestramento: il bilancio è stato di 4 feriti e dieci arresti.

 

Se questa notizia mancasse dei riferimenti geografici richiamerebbe al “pogrom” della famigerata notte dei cristalli nella Berlino del 1938. Ma quello che ormai avviene da un anno in Ungheria è di certo lo specchio amplificato del contesto politico europeo. Già, in Ungheria, il cui governo da gennaio ha iniziato il semestre di presidenza dell’Unione Europea, dove alle ultime elezioni ha preso il potere il partito di destra Fidesz, il cui leader e oggi primo ministro si chiama Viktor Orbàn, già premier, quella volta di matrice liberale, alla fine degli anni novanta. Su 386 deputati egli ne controlla 262, 47 sono Jobbik, 59 socialdemocratici. E sono proprio questi ultimi i principali responsabili della situazione, a causa dei loro otto anni di gestione del potere, tra scandali e deficit pubblico che ha portato il paese sull’orlo della bancarotta, tanto che è impensabile per l’Ungheria poter adottare l’euro in tempi brevi.

 

La cosa davvero inquietante è che i fatti di Gyöngyöspata evolvono la settimana dopo l’approvazione in Parlamento della nuova Costituzione ungherese, che riporta l’Europa proprio agli anni trenta. Infatti la schiacciante maggioranza parlamentare ha permesso di smantellare una carta costituzionale un po’ pasticciata, poiché ancora vigente era quella del sistema comunista, tantissime volte emendata con gli elementi fondanti dello stato di diritto e della divisione dei poteri. Col nuovo testo viene individuata come centrale la dimensione etnica: "Il figlio di un cittadino ungherese è ungherese (…) a prescindere da dove si trovi". Ciò significa che si escludono dallo Stato le minoranze non magiare, e si da la possibilità di voto alle comunità ungheresi in Serbia, Slovacchia e Romania, riaccendendo il sogno del grande impero precedente alla prima guerra mondiale, inserendo così motivi di conflitto con i paesi limitrofi. Inoltre viene costituzionalmente proibito l’aborto e ristrette le competenze della Corte Costituzionale, mentre la nomina dei membri dei principali organi dello stato sono in carico al governo e hanno una durata di un decennio, per cui se nell’ipotesi che il Fidesz dovesse perdere le prossime elezioni, il suo leader avrebbe comunque il controllo del paese. A ciò si aggiunga la cosiddetta “legge bavaglio” approvata pochi mesi fa, che restringe la libertà di espressione dei mezzi d’informazione: siamo nell’ambito di un vero e proprio golpe bianco.

 

Forse, leggendo i fatti ungheresi, diventa più chiara la tendenza francese alla restrizione di Schengen sulla circolazione dei miganti, pressato com’è Sarkozy dai sondaggi che mettono in auge la destra xnofoba di Marine Le Pen. Diventa invece difficile fare valutazioni contestuali sull’Italia, vista la tragica parodia in cui versa il paese, se non per il fatto che la strada del golpe bianco ricercata dal premier italiano, a causa del suo personale conflitto col potere giudiziario, è prioritariamente dovuta alla debolezza di una sinistra fantasma di se stessa, anche se l’aria che si respira è davvero pesante, basti pensare alla politica anti rom del sindaco di Roma. Il fatto è che la mappa dei partiti politici in Europa a sfondo xnofobo e autoritario sta sempre più ingrandendosi, facendo breccia a livello di consensi in un continente dove l’assenza di governance delle istituzioni europee rappresentano una vera e propria crisi di identità democratica. In Danimarca una coalizione ultraconservatrice ed euroscettica guida saldamente il paese. In Belgio il sistema politico disgregato non riesce neanche ad indire delle elezioni politiche, e c’è chi parla con insistenza di scissione tra valloni e fiamminghi. In Olanda il partito anti-islamico, il cui leader è stato assassinato nel 2002, macina sempre più consensi. E poi ancora paesi come la Finlandia, la Svezia, l’Austria, la Bulgaria, formazioni populiste, nazionaliste e xnofobe si impongono sullo scenario politico.