Quando tutto iniziò

 

I giorni in cui tutto ebbe inizio

 

La città s’era appena svegliata quella mattina di fine agosto. L’estate stanca si accingeva a raggiungere il traguardo finale. L’aria calda appesantiva i movimenti dei primi passanti, rito che del resto in quella stagione si ripete ogni anno giù in Sicilia. Le strade della città antica tornavano ad essere protagoniste, dopo l’irriverente solitudine della notte, ancora traumatizzata dai disastri della guerra. Una città soffocata dalla speranza d’una veloce ricostruzione, non ancora avviata poiché nel paese si continuava a combattere.

Una città confusa, dove legittimato a ristabilire l’ordine e la normalità era un esercito straniero. Gli alleati avevano suddiviso la Sicilia in due aree d’influenza: la parte occidentale, il cui centro operativo era Palermo, fu gestita dall'esercito americano, mentre la parte orientale, il cui centro operativo era Catania fu affidata agli inglesi, con a capo il famigerato Tenente Colonnello French.

L’ufficio politico dell’alto comando alleato faceva riferimento al rito scozzese della massoneria anglosassone. Infatti il progetto di ricostruzione del sistema politico comunale, appena la città venne liberata, iniziava proprio con la nomina a sindaco, da parte dell’alto comando alleato di un vecchio aristocratico massone, un cosiddetto “33”, cioè un gran maestro.  Ma che fosse un massone ad essere nominato dagli inglesi sindaco della città liberata non c’era nulla di strano, anche perché l'aristocrazia massonica governava la città dalla fine del secolo passato. Il marchese nominato sindaco però, cosa alquanto bizzarra, era stato non di meno l’ultimo podestà fascista… Il primo cittadino del regime sconfitto diventava cioè primo cittadino del regime vincitore. Pratica questa adottata in molte altre città del sud via via liberate.


Quella mattina di fine agosto del 1943, in via Carità, una di quelle strade appese tra l’antico splendore del barocco settecentesco e la tipicità morfologica d'un altrettanto antico assetto viario, si fermò una grande e scura automobile. Una di quelle vetture dell’alto comando alleato, un po’ in contrasto con quel territorio urbano ferito dai bombardamenti. Da uno degli sportelli posteriori scese un ufficiale dell’esercito inglese. Indossava la divisa d’ordinanza, e tra le mani stringeva il solito frustino che ogni tanto faceva schioccare: era il colonnello French che insieme ad un paio d’intendenti entrava dentro un portone. Uno dei due assistenti si avvicinò al vecchio portiere chiedendo in un italiano spezzato a che piano abitava il professore Carmelo D'Arrigo. L’interpellato accennò un tenue sorriso, divertito dalla pronuncia del ragazzotto anglosassone: “O secunnu sta u pruussuri!” E per meglio farsi comprendere fece un cenno con le dita.


Il professore D'Arrigo era un insegnante di matematica. Un uomo serio, rigido, a cui i figli dovevano baciare la mano quando rientrava in casa. S’era diplomato negli anni venti all’antico liceo fisico-matematico, quello che poi diventerà il liceo scientifico, e già allora aveva iniziato la carriera di insegnante privato. Nel ’23 il giovane D’Arrigo divenne presidente dell’Azione Cattolica, dove conobbe Luigi Sturzo, a cui ideologicamente rimarrà legato per tutta la vita.


La sua militanza durò poco poiché i fascisti misero fine all’attività dell’organizzazione assaltando la sede, malmenando il suo presidente, facendogli bere il solito olio di ricino. Da quel momento il professore divenne ufficialmente antifascista, e decise di non laurearsi, poiché durante l’esame di laurea era obbligatorio indossare la camicia nera. Continuò la sua attività di docente privato, fin quando fu denunciato e quindi costretto a formalizzare la propria posizione accademica. Durante la seduta di laurea anziché indossare la tradizionale casacca del regime, mise un panno nero che la moglie utilizzava per stirare i panni. Fece un grande foro e se lo infilò come se fosse un poncho messicano. Al ritorno preso da uno scatto d’ira, si tolse il tessuto e prendendolo a morsi lo ridusse a brandelli.


La delegazione inglese bussò alla porta, fu lo stesso professore ad aprire, visto che la moglie era intenta ad accudire i loro cinque figli. “Buon giorno professore – esclamò il militare in un discreto italiano – sono il colonnello French, e a nome dell’esercito inglese le porgo i saluti”. Il professore restò decisamente perplesso, ma anche un po’ imbarazzato, poiché l’appartamento era in disordine. I bambini giocavano facendo un fracasso infernale. Per di più nessun salotto da ricevimento era appropriato per accogliere il capo dell’alto comando alleato, poiché alcune stanze erano state lesionate dalle bombe cadute attorno all’abitazione.

In effetti quella casa aveva una storia tutta particolare. Era una residenza enorme. Un lungo corridoio di quaranta metri, che praticamente univa due appartamenti, faceva da passaggio a tre immensi saloni e a diverse camere da letto, a cui si aggiungevano due complessi cucine poste agli estremi. Durante i bombardamenti degli alleati i saloni vennero tutti distrutti. Bombardamenti che in teoria non avrebbero dovuto effettuarsi, poiché davanti al palazzo vi era l’ospizio di beneficenza Asilo Sant’Agata, tutelato dal Vaticano. Per tal motivo doveva essere in vigore il divieto di scaricare ordigni attorno a quell’area. Infatti i tetti dell’ospizio erano ricoperti da bande bianche e gialle, i colori del Vaticano appunto. Ma da informazioni dell’intelligence gli americani sapevano che dietro quei simboli si nascondeva un comando nazista. Così fecero fuoco coinvolgendo i palazzi adiacenti.


Il professore chiamò la moglie e la presentò all’ufficiale. “Deve scusarci caro colonnello – disse la consorte – ma sa questa è l’unica sta che le bombe ci hanno risparmiato”. Era il salottino piccolo, in stile Luigi XV. Una grande libreria a muro sovrastava il divano in noce scolpito mano e coperto da un panno rosso in fustagno. French si avvicinò alla biblioteca soffermandosi innanzi a dei testi di Proust. Uno in particolare destò la sua attenzione, e col proverbiale snobbismo inglese esclamò: “Vedo che lei possiede la Bibbia d’Amiens… Se mi permette l’appunto, caro professore, questo libro è stato semplicemente tradotto da Proust ma appartiene al nostro John Ruskin… Mi chiedo come mai lo ha inserito tra i testi francesi?” “Colonnello – rispose D’Arrigo – quel testo è stato tradotto dall’autore di Alla ricerca del tempo perduto. Lei crede davvero che altrimenti il suo Ruskin sarebbe oggi conosciuto?” il colonnello tacque, del resto aveva voluto sfidare un intellettuale sul suo terreno.

“Prego, si accomodi – sdrammatizzò la padrona di casa – si sieda su divano vicino ai suoi uomini”.

“La sua gentilezza mi onora” rispose French.

“Posso offrirle qualcosa signor colonnello?”

“Grazie signora non si scomodi”.

“Forse i suoi uomini non hanno mai bevuto il nostro latte di mandorla… e lei signor colonnello lo ha mai assaggiato?

“No signora, ma mi hanno detto che è una delle cose più buone della vostra terra”.

“Allora deve per forza assaggiarne un po’”.


La tensione calò immediatamente grazie all’intervento della padrona di casa. Il professore guardò il gentiluomo inglese e non poté fare a meno d’interrogarlo.

“Mi perdoni signor colonnello, ma lei come mi conosce?”

“Ha ragione professore, forse avrei dovuto presentarmi in modo diverso. Io sono a capo dell’alto comando alleato distanza in città. Il nostro compito è quello di ricostruire il sistema istituzionale. Di lei sappiamo tutto. Sappiamo che è stato un autentico antifascista, sappiamo che ha diretto l’Azione Cattolica, sappiamo che è accreditato in Vaticano…”


Un certo stupore coprì il volto di D’Arrigo che nel frattempo era stato raggiunto dalla moglie che teneva un vassoio d’argento tra le mani, in cui erano adagiati dei bicchieri colmi di latte di mandorla.


“Le proponiamo, caro professore D’Arrigo, di entrare a far parte del CLN, come esponente delle forze cattoliche.”

“E perché proprio io?”

“Ma professore lei è uno dei personaggi più rappresentativi di questa città. Lei è un intellettuale che ha avuto un ruolo attivo nella crescita di questo territorio. Per noi lei è un personaggio affidabile…”

“Potrei sapere quali sono i vostri piani?”

“Come lei saprà abbiamo già nominato il nuovo sindaco, il marchese di San Germano, persona rispettabilissima che appartiene ad una famiglia di antiche tradizioni istituzionali… La cosa per noi importante che a uomini come lei sia affidato il compito di far rinascere questa città…”

“Ma io non ho nulla a che fare col marchese di San Germano...”

“Sappiamo che la sua è un'altra estrazione, ma il suo impegno nelle forze cattoliche di questo paese è per noi una garanzia di affidabilità. In questo momento è assolutamente fondamentale l'affidabilità istituzionale, al contrario di certi indipendentisti di cui non abbiamo fiducia...”