La ragazza di Benin City

 

A Benin City, in Nigeria, sembra che il tempo si sia capovolto. Due milioni e mezzo di abitanti e le sue strade sono decadenti, sporche e piene di buche. Le case sono simili a baracche. La vita qui costa poco e non vale quasi niente. Bastano pochi spiccioli per mangiare il solito piatto di riso e pesce secco. Ma per pochi spiccioli una famiglia può anche “vendere” il proprio bimbo come domestico nelle case di chi sta un meglio.

 

Ogni notte vado sulla strada per pagarmi la libertà. Vogliono cinquantamila euro, è questo il debito che ho con loro. Sono tre anni che faccio questa vita e sono riuscita a restituirgliene solo ventimila, chissà quanto tempo dovrà passare prima che questo incubo finisca. Mi avevano detto che avrei trovato un lavoro onesto, che così potevo aiutare i miei, e invece si sono presi la mia vita.

 

Di lavoro a Benin City non ce n’è ed è difficile capire come la gente riesca a cavarsela. C’è sempre un gran via vai di persone in strada, nei mercati, ovunque. Una miriade di attività informali. Ma di lavoro vero e proprio, poco o nulla. Al contempo però in città convivono simboli di ricchezza e sviluppo: fuoristrada americani ultimo modello, campi da golf con il prato all’inglese, ville sontuose protette come fortezze.

 

L’altra notte un cliente gentile mi ha detto che potrei uscire da tutto questo, ma non è così semplice. La mafia controlla la mia famiglia e se non gli restituisco i soldi fanno del male a mio padre e a mia madre. Io non voglio problemi, loro sono potenti, controllano tutto. Sono cattivi. Ogni tanto mi picchiano, mi dicono che devo restituirgli i soldi e finchè non lo faccio appartengo a loro.

 

Camminando per le strade si sente una cruenta fame di danaro e questo si percepisce in tutte le dimensioni sociali: chi può procurarsi danaro con qualsiasi mezzo sembra legittimato a farlo, poiché le istituzioni pubbliche stesse lo fanno al di fuori di qualsiasi regola e rispetto umano.

 

Quando sono arrivata in Italia hanno fatto il rito ju ju a me e ad altre due ragazze. Hanno preso le mie mutandine dove c’era del sangue mestruale, poi mi hanno tagliato una ciocca di capelli e hanno mischiato tutto. Lo stregone ci ha fatto bere un liquido disgustoso, facendoci giurare che avremmo sempre obbedito, se no la mala sorte avrebbe colpito le nostre famiglie.

 

C’è tanta voglia di scappare, ecco perché i cybercafé, sono ovunque affollati di giovani. È il business che va per la maggiore. Alcuni cercano una scuola o un lavoro all’estero; le ragazze chattano con “fidanzati” che sperano di raggiungere in Europa. Altri si sono specializzati in truffe telematiche. Tutti paiono proiettati verso l’estero, il paradiso immaginato, inseguito, voluto a ogni costo.

 

L’altra notte ad una mia amica le hanno dato tante botte. Piangeva, piangeva tanto, voleva andare all’ospedale ma non ce l’hanno portata per non avere problemi. Non risultavano i conti, i preservativi non corrispondevano ai soldi che ha dato, mancavano trenta euro. Lei ha spiegato che l’aveva perso.

 

Ma cosa vuol dire scappare da un contesto come questo? Forse ritrovare la dignità di esseri umani, dignità rubata dai governi corrotti e violenti, con cui gli stati evoluti fanno affari, rubata dalle grandi holding petrolifere occidentali, che hanno saccheggiato la Nigeria. Allora com’è possibile che in uno dei più grandi paesi produttori di petrolio ci siano pochissimi ricchi e tantissimi poveri…? Benin City è proprio questa.

 

Come vedo la mia vita? Sarebbe bello un giorno avere un marito italiano che mi vuole bene e mi porta via da tutto questo. Sarebbe bello poter crescere dei figli e riuscire ad aiutare la mia famiglia. Ma certe volte ho un brutto pensiero, penso di stare per morire e che questo è solo un sogno irraggiungibile.