Dalla televisione alla rete

 

DALL'AMERICAN  DREAM  ALLA  ROTTURA  DEL PATTO FIDUCIARIO

 

 

1. La società televisiva

 

Seguendo la divisione del sistema capitalistico in Centro (società industrializzate, economicamente autonome), Periferia (società deboli soggette al controllo del centro), Semiperiferia (società in via d’industrializzazione, poco soggette al controllo del centro), emerge, dalla fine della seconda guerra mondiale, un complessivo stravolgimento dei rapporti di forza internazionali, dove il ruolo di protagonista viene ricoperto dagli Stati Uniti d’America, nazione guida del centro capitalistico. Il suo ruolo si è ulteriormente rafforzato poiché è l’unica nazione uscita indenne dallo sconquasso della guerra, assumendosi perciò l’onere finanziario e militare per la salvaguardia del sistema capitalistico.

 

Nel 1949 nasce la NATO, organismo internazionale di difesa militare dei valori capitalistici contro la minaccia comunista, che rappresenterà l’altro blocco socioeconomico nelle ripartizione del pianeta.

 

Negli anni ’50, la guerra di Corea, segna la primissima fase dello scontro bellico tra i due blocchi, quello capitalistico e quello comunista, nelle rispettive aree d’influenza… In occidente invece è guerra fredda, conflitto combattuto a tutti i livelli e che investe di conseguenza l’ambito dei costumi culturali. I mezzi di comunicazione ne diventano strumento essenziale. Vediamo come…

 

Lo sviluppo delle risorse produttive, è negli anni cinquanta il principale nodo da sciogliere per i governi delle società centrali. Di pari passo un rapido processo di sviluppo industriale, stimolato dagli Stati Uniti coinvolge le stesse verso il raggiungimento di quelle mete collettive strutturate attorno ad un insieme di valori quali la felicità e il benessere per tutti. Questi vengono veicolati dalla diffusione di consumi di massa, strutturando un vero e proprio sistema culturale, che interagisce con quello economico. Entrano così di scena i beni simbolici.

 

“I beni simbolici (messaggi culturali) che circolano nel mercato culturale hanno una realtà a due facce: sono allo stesso tempo merci e significazioni” (Bechelloni).

 

E’ il “dominio” della cultura di massa che si accinge a costruire un sistema mitologico moderno legato intimamente all’immaginario collettivo, rendendolo d’uso quotidiano, poiché prodotto secondo schemi di fabbricazione industriale.

 

La cultura di massa indirizza la sua simbologia qualsiasi livello della stratificazione sociale,  omogeneizzandone i bisogni. E’ la nascita di una nuova civiltà,  una società della comunicazione che trova nei paesi del centro capitalistico i punti di più forte irradiazione di quell’ordine socioeconomico contrapposto al comunismo, fondato su quei messaggi che le tecniche di divulgazione offrono alla “massa sociale”, con un impressionante potere di penetrazione.

 

Società, cultura, comunicazione sono gli elementi di un sistema che vede nell’esaltazione della “partecipazione collettiva” ai meccanismi di strutturazione della “vita associata”, le fondamenta del modello occidentale. Questa civiltà priva in teoria di divisioni e barriere, almeno per le società del centro, è tale poiché formulata mediante i codici della classe egemone.

 

Scrive Umberto Eco: “Abbiamo così la situazione singolare di una cultura di massa nel cui ambito un proletario consuma modelli culturali borghesi ritenendoli una propria espressione autonoma (…) Tutti gli appartenenti alla comunità diventano, in misura diversa, consumatori di una produzione intensiva di messaggi a getto continuo elaborati industrialmente in serie e trasmessi secondo i canali commerciali di un consumo retto dalla domanda e dall’offerta”.

 

2. Il secolo americano

 

Il “Secolo americano”, è forse lo slogan più interessante per indicare il profondo convincimento sul ruolo dell’America, fulcro della libertà e del benessere planetario.

 

Dice Mammarella: “Lideologia del neocapitalismo si incentra sulle tesi di una rigenerazione del sistema della libera iniziativa”. Stiamo parlando di quello che verrà definito “capitalismo democratico”, un sistema in grado di dispensare benessere a tutte le classi sociali, grazie ad un aumento della crescita economica. Questi concetti formeranno lo statuto dei ceti produttivi oltre che dell’establishment politico, concetti sposati anche dall’opinione pubblica, per cucirsi addosso il ruolo di popolo guida dei processi post-industriali. Con l’anticomunismo si completa l’assetto della ideologia americanista. Un anticomunismo che attecchisce nel mondo intellettuale, convertendo su posizioni conservatrici molta di quella intellighenzia dalle “simpatie marxiste”, cresciuta durante il New Deal.

 

Su queste radici va a tessersi la “Caccia alle streghe”, una delle pagine più oscure della storia americana. Un fenomeno che prenderà il nome dal suo promotore, almeno formalmente, il senatore repubblicano Joseph R. McCarty. Ma il maccartismo riflette anche tutta una serie di opportunità politiche manovrate dal partito repubblicano e dal suo leader Eisenhower.

 

Mammarella: “Davanti al rischio di rimanere ancora esclusi per lungo periodo, i repubblicani, già prima dell’arrivo di McCarty, non esiteranno a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di screditare e colpire l’amministrazione Truman e attraverso essa la politica di Roosevelt, e, in ultimo sforzo per scardinare le fondamenta, decideranno di utilizzare l’occasione offerta da McCarty, uomo privo di un passato politico e che s’impone all’attenzione del paese con le sue qualità di tribuno, una grande ambizione e un’eccezionale aggressività”.

 

La campagna maccartista può essere considerata, in sostanza, una delle più indovinate strategie politico-mediali della storia americana, poiché sull’anticomunismo confluirono gli interessi politico-ideologici dell’establishment politico e dei grandi potentati economici che gestivano i mezzi di informazione. Il più alto esponente dell’industria mediale del periodo fu un personaggio mitico per l’epoca: Henry Luce, marito dell’ambasciatrice americana in Italia, proprietario delle due testate più famose d’America, Time e Life, le cui sedi erano nell’ancor più mitica Madison Avenue di New York City, la strada dove erano accentrate originariamente gran parte delle imprese della comunicazione e comunque simbolo della mentalità imperante dei mezzi d’informazione.

 

A tal proposito, è bene sottolineare che la società americana stessa nasce sulla condivisione di valori dominanti, che formano il senso stesso dell’essere americano, e che tradizionalmente accomunano sia l’opinione pubblica che il potere politico che ancora i mezzi d’informazione, creando un patto fiduciario fra i tre “poteri”…  

 

I principi etici su cui era costituito il maccartismo, sono, infatti,  fioriti come esperienza di massa attraverso i mezzi di comunicazione, poiché il referente a livello di audience era quello definito da Mammarella dell’ “America Way of Life”, cioè la filosofia americanista che vede come protagonista la cosiddetta “Middle Class”. Gli anni cinquanta segnano l’ascesa della classe media che copre una vastissima area socioculturale, grazie all’espansione dei redditi. Questi infatti determinano una capacità di consumo su cui si basa l’assetto produttivo del sistema statunitense. La televisione in quanto simbolo della neomassificazione produttiva, diventa il principale veicolo dei beni di consumo, che sono poi gli status symbol del progresso americano.          

 

Mammarella: “Dopo la prima automobile, che ormai è alla portata di tutti molti acquistano o programmano di acquistare la seconda, gli studi universitari per i

Figli, il viaggio all’estero, la prima e domani la seconda casa, tutto rientra nel novero dei traguardi possibili e il loro raggiungimento appare solo questione di tempo”.

 

3. Il kennedismo e le grandi trasformazioni

 

“La televisione serve da teste, da notaio, da autentificazione, da prova finale di ciò che sta accadendo. Usare la registrazione a schermo pieno quando una bomba fa saltare in aria persino un giornalista, è il più straordinario espediente di deposizione sulla realtà” (F. Colombo).

 

Negli anni sessanta, dopo la morte del Presidente Kennedy emerge un nuovo modello di comunicazione, che vede la televisione come lo strumento consacratorio  dei cambiamenti in corso nella società americana.

 

Nella formula informazioni – immagini – spettacolo, rientra la condizione di un modello narrativo – visuale su cui si strutturano le funzioni del medium.

 

Ma vi è un momento ben preciso che segna lo stravolgimento nel rapporto comunicazione – informazione televisiva, che innesca una consapevolezza che ancora fino a quel momento non era prassi.

 

Un momento che tragicamente è in qualche modo legato ancora al nome di Kennedy: l’ assassinio in diretta di Lee Harvey Oswald, colui il quale è stato accusato di essere il responsabile materiale della morte del Presidente.

 

Oswald viene ucciso mentre sta per essere trasportato dalla polizia per l’interrogatorio. Tra i flashes dei reporter, le domande dei giornalisti, la folla che accalcava, sbucava improvvisamente un uomo, identificato come Jack Ruby, che estraeva la pistola, puntandola al petto di Oswald, sparando un colpo con freddezza impressionante. L’America inorridiva. In quel momento il paese era collegato dai teleschermi. Il popolo americano assisteva in tempo reale all’assassinio di un uomo.

 

“Il momento stesso in cui Jack Ruby ha estratto la sua piccola pistola puntandola lentamente contro il petto di Oswald, davanti a tutti, e in tempo reale ha cominciato a far fuoco, ha svelato che non vi è alcuna relazione tra questo strumento e il cinema, o il teatro o i giornali o la letteratura o ogni altro mezzo d’informazione e di comunicazione finora conosciuto. A partire da quel momento è diventato chiaro per tutti che dire bello o brutto di un programma vuol dire usare una categoria di giudizio priva di senso e del tutto irrilevante” (Colombo, 74).

 

In sostanza, quello che viene a verificarsi, è che la televisione viene a porsi come tramite della realtà, registrando le variazioni continue di questa che diventa una forma di spettacolo vera e propria, come può essere un quiz, dove le alterazioni e le incognite fanno parte integrante dello show.

           

4. L'era delle passioni

 

Quello che Colombo chiama “Il nuovo paesaggio dello spettacolo di notizie”, si può benissimo estrapolare dalla guerra del Vietnam. Questa infatti farà da stimolo verso un processo che segnerà profondamente il sistema di valori americano come delle comunicazioni di massa. Due momenti che interagiscono sulla integrazione della società americana con i movimenti di massa esplosi alla fine degli anni sessanta.

 

“La vera sede della violenza televisiva sospettata, in America, come altrove, delle più gravi colpe sociali del paese, proveniva dallo spettacolo-notizia della guerra in Vietnam non dal giallo sbrigativo e povero di scrupoli. L’ondata di violenza sociale in coincidenza col pericolo del Vietnam è stato enorme. Un simile rapporto di crescita non si è mai riscontrato in relazione a nessun altro fatto o spettacolo di massa”. Colombo '74

 

I processi di trasformazione della comunicazione portano al mutamento del ruolo del giornalista che “non è più un osservatore ma un protagonista”. Il reporter segue le grandi manifestazioni per i diritti civili, gli scontri con la polizia, come quelli di Chicago nel ’68, dove addirittura le troupe televisive si infiltrarono tra la folla con i blindati.

 

E’ questa la fase in cui esce fuori il giornalismo di denuncia che assimila alcuni elementi del giornalismo d’opinione, in quanto struttura narrativa che dal fatto sfocia all’analisi.

 

Glisenti-Pesenti: “Il periodo d’oro dei grandi reportage e delle grandi inchieste firmati da nomi celebri del giornalismo scritto e televisivo (…) era coinciso con l’esplosione di fortissime passioni nazionali, suscitate dal movimento per i diritti civili, dalle marce antisegregazioniste, dalle rivolte studentesche, dalla nuova ondata del movimento femminista”.

 

5. Cronkite: “Abbiamo perso!”

 

La televisione assume una importanza rilevante in questo contesto, poiché pur essendo un processo che vede coinvolto il mondo dell’informazione nel suo complesso, attraverso le immagini, gli americani possono entrare all’interno dei grandi conflitti. In Vietnam le telecamere entrano nei campi di battaglia, insieme ai soldati. Tutti possono assistere ai massacri. La televisione diventa per gli americani l’unico referente con cui confrontarsi, esautorando lo stesso governo.

 

E’ proprio il ruolo dell’anchorman ad assumere un peso determinante. L’anchorman d’America è Walter Cronkite, un uomo su cui si è tessuta la leggenda che lo vuole il principale artefice della fine della guerra. In effetti, Cronkite, col suo carisma, con la sua capacità di analisi, con la sua personalità, ha inciso in quel tempo profondamente sulla coscienza degli americani, i quali sono riusciti a trovare in lui quella verità che spesso, ai tempi del Vietnam veniva a scontrarsi con i dispacci del governo.

 

Il comandante delle truppe americane distanza in Vietnam William Westreland: “Io cercavo di adempiere le mie funzioni militari evitando politica e diplomazia. Bisogna dire che i militari non sono molto bravi a tenere le pubbliche relazioni. La svolta fu con la sconfitta del Tet. Militarmente la vincemmo noi, ma due giorni dopo il suo inizio Walter Cronkite annunciò in tv che noi avevamo perso, e quella diventò la verità”,

 

Il Vietnam rappresenta quindi il momento in cui il rapporto fiduciario tra l’opinione pubblica e l’establishment comincia a sgretolarsi. C’è chi sostiene che la guerra fu persa nelle case americane a causa delle immagini trasmesse in Tv.

Glisenti-Pesenti: “Il filo di questo rapporto fiduciario di adesione al modello dei valori generali della società democratica americana, si è rotto nel momento in cui il mondo dell’informazione si ritiene tradito, quando il rapporto fiduciario da sempre riconosciuto tra giornalisti e istituzioni politiche viene compromesso”.

 

L’opinione pubblica nel sistema americano non ha il tramite del partito per esprimere il proprio stato d’animo, innesca delle spinte dal basso che esplodono violentemente e che trovano nei mezzi di comunicazione di massa il miglior strumento di raccordo tra il proprio malessere e le scelte del potere politico.

 

Dice Ben Bradlee, storico direttore del Washington Post: “Il Vietnam ha cambiato tutte le regole. Ci avevano ingozzato di bugie e solo allora ci accorgemmo di come eravamo stati inconsapevoli altoparlanti…”

 

6. Tutti gli uomini del Presidente

 

Sul versante della carta stampata proprio il  Washington Post si rese artefice dell’evento che ruppe definitivamente il patto fiduciario tra establishment politico e opinione pubblica…

 

Giugno ’72. Negli Stati Uniti sono in corso le primarie per l’elezione del Presidente, che si dovranno tenere nel novembre dello stesso anno. I due contendenti sono il Presidente Nixon e lo sfidante democratico McGovern.

 

Nella sede democratica, il palazzo del Watergate, vengono sorpresi alcuni uomini mentre manomettono l’ufficio centrale del comitato elettorale. Ma l’effrazione al Watergate non sembra destare particolare scalpore, vista la concitata atmosfera elettorale.

 

Sono solo due cronisti del Washington Post a fiutare qualcosa di oscuro: Bob Woodword e Carl Berstin, che con l’appoggio del capocronista Barry Sussman e del direttore Bradlee, tessono una complicata inchiesta tra lo scetticismo complessivo.In breve tempo i due cronisti risalgono a tutta una serie di personaggi che, attraverso dei finanziamenti mascherati come contributi alla campagna elettorale di Nixon, hanno avuto incarichi poco chiari da altri esponenti dell’establishment. Lentamente i pezzi che i due giornalisti cercano con difficoltà, ma con tenacia, di mettere assieme, formano un percorso che porta direttamente a Nixon.

 

Ottobre ’72. La televisione inizia ad interessarsi del caso Watergate. Walter Cronkite, dagli schermi della CBS dedica due trasmissioni di news costruite interamente sui montaggi di prime pagine del Post. Infatti per quasi un anno gli unici ad interessarsi al caso sono i due reporter del Post, anche se il Senato, a maggioranza democratica, si avvia ad aprire una inchiesta.

 

Contemporaneamente si apre la seconda fase del caso giudiziario condotto dal Giudice John Sirica. Cadono nella rete parecchi uomini dell’entourage del Presidente, come l’ex ministro della Giustizia Mitcell.

 

In breve tempo seguono le confessioni del consigliere particolare di Nixon, l’avvocato John Dean, che aveva avuto l’incarico dal Presidente di insabbiare il caso, diventato per questo il capro espiatorio.

 

Aprile ’73. Nixon, rieletto Presidente in novembre, parla in televisione, assumendosi la responsabilità del fatto, chiarendo però che egli era allo scuro di tutto. Ma Dean lo smentisce, facendo luce sulle attività illegali dell’amministrazione, e non solo sul caso Watergate. Saltano fuori dei nastri che proverebbero l’accusa di alto tradimento. Ma Nixon rifiuta di consegnarli, adducendo motivi di sicurezza nazionale.

Mammarella: “L’atto che più danneggiò il Presidente di fronte all’opinione pubblica, che nel corso dell’estate aveva seguito con crescente stupore e indignazione le udienze teletrasmesse dal comitato congressuale fu la decisione di Nixon di licenziare Cox*, poiché quest’ultimo aveva rifiutato il compromesso proposto dal Presidente. La  reazione  del   pubblico  di fronte  a  quest’ultima   manifestazione  di

arroganza del potere fu tale che Nixon fu costretto a promettere la consegna dei nastri, ma quanto esso avvenne i nastri risultarono compromessi e incompleti…”

           

Agosto ’74. Richard Nixon si dimette dalla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America.                       

 

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*Archibald Cox, docente di Diritto ad Harward, nominato dal Presidente Nixon, su imposizione del Senato, come inquirente speciale per il proseguimento dell’inchiesta giudiziaria.

 

7. L'epoca del  villaggio globale

 

“Dopo tremila anni di espansione in ogni settore e di crescente alienazione specializzata nelle innumerevoli estensioni del corpo umano e delle sue funzioni, il nostro mondo, con drammatico rovesciamento di prospetti, si è ora improvvisamente contratto. L'elettricità ha ridotto il globo a poco più che un villaggio e, riunendo con repentina implosione tutte le sue funzioni sociali e politiche, ha intensificato in misura straordinaria, la consapevolezza delle responsabilità umane...”

 

Quello descritto da Marschall McLuhan, è “un mondo in cui vengono stravolti gli indirizzi significanti della civiltà evoluta. I media elettronici riportano la comunità sociale alle dimensioni del villaggio antico, dove la conoscenza degli eventi si fondava sulla comunicazione interpersonale. L'elettricità ha massificato la conoscenza, intesa come flusso di informazioni, esautorando lo spazio fisico... Come accadeva nell'antica comunità sociale, le esperienze individuali si trasformano in collettive, nel nostro caso globali, portando l'individuo, come afferma Joshua Meyrowitz, ad acquisire una “percezione riflessa del sé”.

 

Quando negli anni sessanta McLuhan costruiva il suo sistema analitico, all'interno della Teoria del Medium, la società di massa era nella sua seconda fase di sviluppo, poiché l'avvento della televisione, nel decennio precedente, aveva ridisegnato il rapporto tra individuo e società con un segno di discontinuità rispetto alla società radiofonica, delle guerre mondiali. Si era già cominciato a capire come la televisione riusciva a ri-codificare il rapporto tra spazio e tempo, spostando i confini dimensionali della percezione umana nella comunità sociale. Ma vi erano ancora delle frontiere, costituite dalla lentezza delle informazioni, provenienti dall'esterno. C'è da dire, che i processi di sviluppo dei sistemi televisivi negli anni sessanta erano abbastanza differenziati tra Stati Uniti ed Europa. Bisogna sempre considerare che il modello statunitense è il modello originario, non solo dal punto di vista delle routine produttive ma come livello di investimenti. Ecco perchè in quella fase, nel mercato televisivo statunitense, si susseguirono grandi rivoluzioni culturali, legate soprattutto alla novità di poter vedere gli eventi in presa diretta, cioè nel momento stesso in cui avvenivano. In Europa non era così. Il primo vero e grande evento in diretta fu lo sbarco nella luna... Dunque, mentre negli Stati Uniti il Big Event televisivo, legato alla diretta, era un fatto sociale periodico, in Europa era invece eccezionale.

 

Solo negli anni ottanta iniziano a cadere le barriere grazie all'avvento della Tv via cavo, e prima vera protagonista fu la “Cable News Network”, meglio nota come CNN. Inizia l'era della New Television. La CNN sancisce la nascita della terza società di massa, poiché attraverso il nuovo sistema televisivo vengono tenuti in collegamento tutti i punti della terra, possibilmente in diretta. Cambia anche il rapporto d'interazione tra media e opinione pubblica o per meglio dire audience, poiché non esiste più eccezionalità dell'evento per il sol fatto che il medium si avvicini ad esso... La rappresentazione della quotidianità ha molte facce e tutte eccezionali, di per se diventa Big Event.

 

Adesso il cittadino sociale ha possibilità di scelta, secondo i propri gusti, a quale spettacolo avvicinarsi. La televisione deve mettergli a disposizione  quanto più materiale possibile: è l'era del supermarket dell'informazione. La CNN, e più in generale la Tv via cavo, hanno contribuito a far crollare i muri di separazione tra gli elementi tradizionali del palinsesto: intrattenimento, informazione, fiction. Da un lato il cittadino sociale può costruirsi  il proprio palinsesto a seconda dei propri bisogni di consumo, dall'altro vi è stata la presa di coscienza che la realtà può intrattenere, tenere col fiato sospeso, e informare allo stesso tempo. Ma se la realtà assurge a spettacolo dominante, per essere fruibile deve essere raccontata secondo gli schemi narrativi della fiction.

 

Gli anni ottanta, dicevamo sono il decennio in cui l'intuizione di McLuhan si realizza, il mondo si trasforma in un villaggio informativo, tutti sono a conoscenza di tutto, tanto da far parlare i massmediologi di sovraccarico delle informazioni. Informazioni su ogni cosa e da ogni luogo, in tempi sempre più stretti, che hanno avuto bisogno  di tecnologie sempre più avanzate per essere gestite e canalizzate. Potremmo definire quella degli anni ottanta la “Società Planetaria Liberale dell'Informazione”, con i suoi luoghi di rappresentazione e soprattutto le sue icone... Michail Gorbaciov, innanzitutto, il primo ed ultimo leader sovietico ad utilizzare gli approcci comunicativi della società capitalistica, diventando mito occidentale, e, paradossalmente, alla fine del suo mandato, odiato al suo interno. Glasnost, Perestroika, sono diventati slogan usati in termini positivi in occidente, poiché sono diventati sinonimi di liberazione dalla guerra fredda: è con la caduta dei muri. In questo caso la New Television ha un ruolo nevralgico, poiché si trasforma in mezzo liberatorio per i popoli, impedendo gli spargimenti di sangue. Vediamo come sintetizza questo fenomeno il politologo Giovanni Sartori: “Se c'è stata una rivoluzione pacifica, è stata probabilmente perchè era vista in televisione. Le autorità che avevano smesso di credere nel loro potere, non hanno avuto il coraggio di schiacciarlo con uno spargimento di sangue. Lo stesso vale per la Cina. Fino a quando c'era la televisione la rivolta era protetta, non appena si sono spente le telecamere è stata annientata sulla piazza Tien An Men”.

 

Con la caduta dei muri nasce un nuovo ordine internazionale: la società planetaria liberale ingloba l'est Europa, ma un nuovo conflitto s'intravede... Se infatti la televisione contribuisce all'annientamento indolore dei regimi a socialismo reale, dal nuovo assetto esce fuori un ennesimo conflitto, quello tra nord e sud del mondo. Un conflitto tra processi di sviluppo differenziati, e quindi diverso utilizzo dei sistemi tecnologici, che fa emergere proprio lo squilibrio nella circuitazione dei flussi di informazione: massificati al nord e quasi del tutto assenti al sud. Un conflitto tra chi possiede la “risorsa” della comunicazione di massa, e chi sostituisce questa col credo religioso.

 

L'Iraq di Saddam Hussein diventa lo stato dove meglio viene sintetizzato questo conflitto, che ovviamente nasconde interessi legati al controllo del petrolio, ambito di studio non di nostra competenza, ma che sulla comunicazione costruisce in qualche modo le sue dinamiche, poiché viene rappresentato con le caratteristiche produttive di un  serial televisivo, in presa diretta. La sceneggiatura è legata alla difesa della società planetaria liberale, e delle sue aree d'influenza nel sud, dal dittatore mediorientale, fornita di un grande apparato bellico, ma senza apparato mediatico, quindi isolato dal sistema circuitale della comunicazione. E' il primo vero Big Event seriale dopo la caduta dei muri, che apre le porte agli anni novanta, caratterizzati dalla rivoluzione della rete: internet rappresenta infatti la quarta società di massa. Altri Big Event seriali seguiranno sempre in Unione Sovietica il colpo di Stato contro Gorbaciov, la salita al potere di Yelstin, i vari processi mediatici degli anni novanta e la seconda guerra del Golfo...

 

8. La Società in rete e la de-territorializzazione

 

Meyrowitz sviluppa un altro concetto poi centrale nelle riflessioni sulla deterritorializzazione quale quello da lui definito dei cacciatori e raccoglitori dell’era informatica. trova che gli antichi popoli nomadi con il loro rapporto di scarsa fedeltà con il territorio presentano un modello di organizzazione sociale più simile a quello nostro futuro di quanto si possa essere portati ad immaginare. Sostanzia, infine, che tra tutti i tipi di società che hanno preceduto la nostra quelle dei cacciatori-raccoglitori sono state le più egualitarie nei rapporti sociali. Vi era un effettivo controllo sociale comunitario simile a quello auspicato da Habermas nelle sue definizioni del ruolo dell’opinione pubblica; vi era un tipo di apprendimento non lineare, acronologico, non gerarchizzato; e, soprattutto una gestione dell’autorità in senso persuasivo piuttosto che coercitivo. L’autore sostiene, quindi, che la società dell’informazione si basa sulla caccia e sulla raccolta non tanto del cibo quanto di informazioni, reperibili, per altro, in (sovra)abbondanza.

 

 

La tendenza, dunque, che prevale nelle relazioni sociali mediate dal computer è quella di una radicale messa in discussione del confine fra spazio pubblico e spazio privato, fra ribalta e retroscena. Nella lotta per il riconoscimento dei pari che si svolge fra membri delle comunità virtuali non è più possibile ottenere un riconoscimento di status fondato sul ruolo sociale. Tutti sono costretti a spiegare “chi sono io” accendendo le luci non solo sulla ribalta ma anche e soprattutto sul retroscena, esponendo allo sguardo altrui i “segreti” su cui si fondano sapere (reale o presunto), carisma, carattere, virtù, dell’individuo-attore. Parlare di fine dell’anonimato urbano e di ritorno al pervasivo controllo del vicinato (elettronico) è probabilmente eccessivo, se non altro perché nel nuovo “villaggio” manca la presenza fisica del vicino.