Brasile

Brasile, rieletta Dilma:

sarò presidente del dialogo

 

Conquista il 51,64% e apre al conservatore sconfitto

 

 

   Ansa - 27 ottobre 2014

Brazilian president Dilma Rousseff victory's press conference (foto: EPA)
 

La presidente brasiliana Dilma Rousseff e' stata rieletta al secondo turno con il 51,64% dei voti, pari a 54.498.042 voti. Il suo sfidante Aecio Neves ha ottenuto il 48,36%, pari a 51.040.588 preferenze. Gli aventi diritto al voto erano 142.822.046, i voti validi sono stati 105.538.630. La percentuale di votanti e' stata del 78,9%, quella degli astenuti il 21,1%. Le schede bianche sono state 1.921.803 (pari all'1,71%), quelle nulle 5.219.538 (4,63%). Dilma ha vinto in 15 stati, Aecio in 12. Lo stato natale dei due candidati, Minas Gerais, di cui Neves e' stato governatore per due mandati fino al 2010, e' stato conquistato da Rousseff.

 

"Sono disposta al dialogo e questo sarò il mio primo impegno di questo secondo mandato: dialogare". Mano tesa della presidente rieletta di sinistra del Brasile, Dilma Rousseff, all'avversario conservatore Aecio Neves, battuto al ballottaggio dopo una campagna elettorale caratterizzata da un duro scambio di accuse tra i due candidati. ''Governerò in maniera pacifica e democratica'', ha aggiunto il neo capo di Stato, davanti a una platea di militanti, nel suo primo discorso ufficiale dopo il risultato delle urne. Parole in sintonia con la telefonata di complimenti ricevuta dallo sfidante di centro-destra. ''Le ho chiesto di svolgere un buon governo, che unisca il Paese con un progetto dignitoso'', ha dichiarato Neves subito dopo aver ammesso la sconfitta. E proprio di ''unione'' ha voluto parlare anche la presidente. ''Non credo che queste elezioni abbiano diviso il Paese a metà'', ha esordito. ''Capisco che abbiamo mobilizzato idee e emozioni a volte contraddittorie - ha proseguito Dilma -, ma mosse da un sentimento comune: cercare un futuro migliore''. ''Invece di ampliare divergenze - ha continuato Rousseff per ribadire il concetto - ho speranza che questa energia mobilizzatrice abbia preparato un buon terreno per la costruzione di ponti''. Dopo aver più volte ringraziato ''il presidente Lula'' per il sostegno ricevuto, Dilma ha poi sottolineato di voler essere ''una presidente ancora migliore di quello che sono stata''. ''Diamoci la mano e avanziamo in questa camminata che ci aiuterà a costruire il presente e il futuro'', ha poi detto rivolta all'opposizione. ''Oggi sono molto piu forte, serena e matura per il compito che mi è stato dato. Brasile, questa tua figlia non fuggirà dalla lotta neanche stavolta'', ha concluso Rousseff.

 

 Voto in Brasile:

si va al ballottaggio Rousseff e Neves.

Aecio apre a Silva. Dilma: "Avanti con lotta"

 

La sfida si deciderà il 26 ottobre, fuori gioco la

carismatica leader ambientalista evangelica Marina Silva

 

  Ansa  -  7 ottobre 2014

 

In Brasile Neves al ballottaggio con Rousseff

 

La presidente uscente ha preso il 42%,

e il candidato di centro Neves il 34%:

resta fuori Marina Silva, malgrado la recente

attenzione del mondo sulla sua campagna

 

ilpost.it - 6 ottobre 2014

Aecio Neves

 

Dilma Rousseff, il presidente uscente di centrosinistra del Brasile, ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni presidenziali brasiliane, ma non abbastanza per essere eletta al primo turno. Con il 42 per cento dei voti e dovrà quindi sostenere il ballottaggio contro il candidato di centro Aecio Neves, che ha ottenuto il 34 per cento. Il secondo turno si terrà il prossimo 26 ottobre e la vittoria di Rousseff non è data per scontata da diversi analisti politici, che prevedono un probabile testa a testa (il sistema dei sondaggi in Brasile è ritenuto molto poco affidabile, e quelli precedenti al primo turno hanno avuto grandi oscillazioni). Marina Silva, la candidata del Partito Socialista su cui si erano concentrati molto i media durante la campagna elettorale, ha ricevuto solamente il 21 per cento dei voti ed è quindi esclusa dal ballottaggio.

 

mappa-elezioni-brasile

Tenendo un breve discorso dopo i risultati elettorali, Rousseff ha detto che gli elettori hanno “respinto i fantasmi del passato, la recessione e la disoccupazione”. Ha poi aggiunto che se sarà rieletta continuerà a lavorare per il cambiamento nel paese. Durante la prima presidenza Rousseff, in effetti la disoccupazione in Brasile ha raggiunto livelli molto bassi, intorno al 5 per cento, mai ottenuti dai suoi predecessori negli ultimi decenni. È stato aumentato il salario minimo e si sono ridotti sensibilmente i casi di denutrizione, soprattutto nelle regioni più povere. Il Brasile nell’ultimo anno e mezzo ha però dovuto fare i conti con una economia indebolita dalla recessione, con il peggioramento di alcuni servizi a partire dai trasporti pubblici che ha portato a grandi manifestazioni di piazza contro la presidenza Rousseff. Altre polemiche ci sono state per i numerosi casi di corruzione legati alla costruzione delle infrastrutture per i Mondiali di calcio, giocati la scorsa estate.

 

Fino a due mesi fa, cioè prima della morte in un incidente in elicottero di Eduardo Campos – il candidato “originale” del Partito Socialista – Marina Silva non era nemmeno candidata alle elezioni. In un mese ha prima avvicinato e poi superato Rousseff secondo alcuni sondaggi, ma ha poi perso la spinta della novità, perdendo progressivamente terreno a beneficio di Aecio Neves del Partito Socialdemocratico (nato come partito di centrosinistra ma che ha successivamente spostato le sue posizioni più verso destra). Neves si è proposto come il vero cambiamento, criticando duramente Rousseff per le condizioni economiche del Brasile e per la recessione. In seguito ai risultati delle elezioni, ha chiesto agli elettori di Silva di votare per lui al ballottaggio in quanto unica possibilità di cambiamento. Silva ha detto che il suo partito si riunirà prima di annunciare l’eventuale sostegno per uno dei due candidati al ballottaggio.

Il Brasile al voto.

Dopo le proteste la sfida di Dilma Roussef    

   

 oltremedianews.com  di Michele Trotta - 5 ottobre 2014

 
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Oggi il Brasile al voto. Un bivio per il gigante sudamericano: tra progresso degli ultimi anni, lotta alla fame, ma anche enormi disuguaglianze, persistente emarginazione, questione ambientale e recessione tecnica degli ultimi mesi. Si sfidano Dilma Roussef, Marina Silva e Aecio Neves. 


 
 
Oggi il Brasile alle urne. Dopo le oceaniche manifestazioni del giugno 2013 e le contestazioni ai mondiali di luglio, per il gigante sudamericano si tratta di uno degli appuntamenti elettorali più importanti e nel contempo più incerti degli ultimi trent'anni. 

Favorita, secondo gli ultimi sondaggi, l'attuale presidente in carica, Dilma Roussef, esponente del Partito dei Lavoratori. Il soggetto politico, schierato a sinistra e grande protagonista delle politiche redistributive e di lotta all'estrema povertà dell'ultimo decennio, è appoggiato dalle classi meno abbienti. I programmi sociali dell'ex presidente Lula hanno infatti consentito a milioni di persone di uscire dallo stato di sottonutrizione e di questo i brasiliani ne hanno ben donde memoria. In questo senso Dilma Roussef rappresenta un po' la continuità, anche se nonostante gli innegabili progressi fatti dal Brasile in questi anni qualcosa comincia a scricchiolare.

Non è tutto oro quel che luccica. I recenti scandali di corruzione che hanno scosso le aziende statali ed assieme ad esse i governi Lula e Roussef, la limitata crescita degli ultimi mesi, attualmente addirittura convertitasi in recessione tecnica, le critiche ad uno sviluppo economico che ha da una parte sfamato milioni di persone nelle città, ma dall'altra affondato molte economie locali degli immensi territori dell'Amazzonia funestate da un progresso deturpante ed insostenibile dal punto di vista ambientale. A ciò si accompagnano le critiche mosse da chi guarda ai programmi sociali come a politiche assistenzialistiche prive di effettivi vantaggi economici nel lungo periodo. Una critica solo apparentemente di destra, ma che vista sotto un certo aspetto tocca il tasto dolente della promessa inesaudita fatta dal Partito dei Lavoratori ai brasiliani per una società con meno disuguaglianze. Va bene cominciare dalla lotta contro la fame attraverso i sussidi in un periodo di crescita economica elevata, ma che succede nelle fasi di recessione? 

E' la domanda che si pongono un po' tutti. Nelle città le favelas nonostante anni di governo della sinistra sono rimaste dove sono, la polizia è sempre una delle più violente al mondo. E' in queste contraddizioni che si è inserita Marina Silva, leader del Partito Socialista (Psb), ambientalista ed evangelica, capace di trarre linfa dalla disillusione di molti brasiliani sfociata nelle proteste di piazza degli ultimi due anni. Spuntata apparentemente dal nulla, la leader socialista ha conquistato consensi trasversali (anche di una parte di borghesia scontenta e di impostazione progressista) e punta a proporsi come vera outsider di queste elezioni. Chi invece punta su un ritorno dei conservatori sono le classi più agiate, in fase di riorganizzazione dal punto di vista politico in tutto il subcontinente sudamericano. In Brasile, a farsi portatore delle istanze delle destre è Aecio Neves, leader del Psdb, il quale potrebbe contendersi l'accesso al secondo turno proprio con Marina Silva (visto che il ballottaggio per la favorita Roussef è dato per scontato). Infine tornando a guardare a sinistra, tra gli undici candidati alla presidenza, spicca la personalità di Luciana Genro, donna, femminista e volto della sinistra radicale vicina ai movimenti critici con l'attuale esecutivo. 

Sì perché sull'esito finale potrebbe incidere proprio il modello a doppio turno del presidenzialismo brasiliano. Un sistema che sicuramente favorirebbe Dilma Roussef in caso di sfida al secondo turno con il candidato di centrodestra, mentre potrebbe crearle qualche problema in caso di contesa a due con Marina Silva, la quale avrebbe maggiori chances di attrarre gli indecisi. 

Insomma nulla è scontato per i 142milioni di brasiliani che stanno cominciando a votare in queste ore. Una cosa è certa: per vincere il secondo turno la Roussef dovrà essere capace di rendere credibile il sogno di una società più giusta nel segno del progresso, della redistribuzione e della lotta contro le emarginazioni, parole d'ordine che hanno fatto grande il Brasile. 

 

UN MONDIALE PER CHI?

 

 

  oltremedianews.com   Michele Trotta  -  23 giugno 2014

 

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Il Brasile visto oltre le coltre di menzogna celebrata dalle immagini da cartolina di questo mondiale. Tra sprechi, soprusi, disuguaglianze e sviluppo insostenibile l'altra faccia del gigante sudamericano ha un sapore amaro, eppure tremendamente reale.


 

Sole, mare, carnevale, amore e...mondiali. Il volto del Brasile, quello delle canzoni e dei balli spensierati, quello che viene mostrato in questi giorni dalla copertura mediatica del Mundial, è soprattutto questo. Un volto europeo, conforme all’immaginario collettivo di un Brasile da cartolina fatto di spiagge assolate, divertimento, belle donne e paesaggi mozzafiato. Di sicuro il Brasile è tutto ciò, ma c’è un altro volto, quello forse a noi più nascosto eppure tremendamente noto a milioni di brasiliani, dal sapore amaro eppure ben più reale.

A gridarlo con forza sono i movimenti che da anni ormai stanno provando a squarciare quella coltre di menzogna che da sempre circonda il paese nascondendo la persistente influenza delle oligarchie sul governo del paese, la realtà delle favelas, la crescita delle disuguaglianze e gli effetti dannosi di uno sviluppo insostenibile; coltre che potrebbe venire solo rafforzata dal mondiale in corso. Già nel mentre della Confederation’s Cup dell’anno scorso furono in milioni a partecipare alle proteste contro le spese eccessive del governo impegnate nell’organizzazione degli eventi sportivi e soprattutto contro le promesse mancate sugli effettivi benefici per la popolazione. Allora, in quella che era la più grande mobilitazione dal 1992, l’impegno (o la minaccia) era quella di impedire il Mondiale 2014. Il blocco ancora non c’è stato, complice la violentissima repressione dei focolai di malcontento ed una massiccia campagna mediatica di sensibilizzazione per la tutela dell’interesse nazionale (della serie ''chi critica è un nemico della nazione''), ma per il 28 e 29 giugno sono già previste grosse mobilitazioni, e chissà cosa accadrà al termine della rassegna.
 
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Coppa del Mondo per chi? E’ quello che però continuano a chiedersi i movimenti di lotta da un po’ di anni con l’obiettivo - in parte riuscito - di portare in evidenza il carattere elitario dei cd. ‘’grandi eventi’’ e denunciare le enormi contraddizioni della società brasiliana ancora oggi, nonostante le promesse, rimaste irrisolte. ‘’Chiediamo un alloggio dignitoso per tutte le persone rimosse, pensioni vitalizie alle famiglie dei lavoratori morti o resi disabili in infortuni sul lavoro, la creazione di campagne per combattere lo sfruttamento sessuale e la tratta di esseri umani, la fine della violenza di stato, della pulizia sociale (igienizzazione) delle strade dei centri cittadini, della persecuzione e criminalizzazione dei movimenti sociali’’ così i Comitês Populares da Copa a margine di una delle tante manifestazioni che hanno coinvolto 353 città brasiliane. 
 
 
Copa pra quem? Per la Fifa anzitutto, che sembra realizzerà il maggior profitto della sua storia. Per i suoi sponsor, che negli spazi gestiti da Blatter e soci potranno commercializzare in esclusiva i propri prodotti senza pagare nemmeno un real di imposta (gli affari sono per accordo tutti esentasse). Per le imprese di costruzione che grazie a mega appalti e alla spesa più alta della storia - di 15miliardi di dollari - hanno potuto conseguire enormi profitti con la realizzazione di stadi, strade, porti ed aeroporti; tutti pagati dai contribuenti. Per i ricchi proprietari dei 650 elicotteri privati che ogni giorno infestano i cieli di San Paolo i quali, in spregio alla misera condizione dei 2milioni di favelados, possono gustarsi le imprese sportive di ricchi giocatori nei recinti dorati degli stadi. Infine per gli speculatori dell’edilizia e non, protagonisti delle annose bramosie di sgombero delle favelas e della depredazione della foresta equatoriale soppiantata da industrie minerarie, monoculture e grandi dighe.

Sicuramente non è una Coppa per il popolo: in un recente sondaggio il 66% dei brasiliani ha detto di ritenere che il mondiale stia portando più danni che benefici, e non è difficile capire perché. Anzitutto l’enorme spesa pubblica per i 12 stadi, i 21 nuovi terminal di aeroporti, le 7 piste di atterraggio ed i 5 terminal portuali: erano stati promessi investimenti privati, ma alla fine solo i profitti son stati tali mentre le coperture sono arrivate tutte dalle casse dello Stato. Degli impegni presi dal governo per una riqualificazione urbana, poi, solo il 20% è stato portato a termine: nella città di Manaus dove l’Italia ha giocato la partita d’esordio, ad esempio, la metropolitana leggera progettata non è stata neanche cominciata; mentre i più lamentano l'esosità dei prezzi dei trasporti urbani: in città come San Paolo o Rio de Janeiro per acquistare un ticket un dipendente deve lavorare 15min, una media altissima rispetto alle altre grandi città straniere. Sicuramente non è un mondiale per il medio lavoratore brasiliano: i prezzi dei biglietti per assistere alle partite variano dai 66 - 128 euro per le fasi iniziali sino ai 323 - 726 euro della finale, impossibili da acquistare per un semplice impiegato il cui salario medio medio in una città considerata ricca come San Paolo è di 400 euro al mese; in più in questi ultimi mesi i prezzi sono cresciuti in modo selvaggio mettendo sempre più in crisi il bilancio familiare anche di chi il calcio non lo segue. Nonostante ciò non è un mondiale nemmeno per i commercianti locali: ai piccoli negozianti, agli ambulanti (128mila solo a San Paolo), ed agli artisti di strada è preclusa ogni attività entro un raggio di 2km dalle aree FIFA e dai Fan Fest. Neanche a dirlo, non è un mondiale per i favelados, anzi per loro questa rassegna è stata una vera tragedia: si stima che per realizzare le opere progettate siano state sfrattate dalle favelas circa 200mila persone e che molte altre ancora siano in pericolo a causa della speculazione edilizia che spesso ha luogo a margine di tali eventi. Non è nemmeno un mondiale per la Terra: chi ad esempio mangerà un hamburger prodotto da uno degli sponsor FIFA, molto probabilmente starà gustando carne allevata con soia prodotta nello Stato del Mato Grosso dove da anni le monoculture minacciano l’ecosistema locale, tanto importante per l’equilibrio climatico globale.
 
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Di sicuro non è il mondiale sognato da Lula e da Dilma Rousseff. I fischi dello scorso anno al suo ingresso nello stadio riecheggiano ancora nelle orecchie della presidentessa. Quest’anno il pubblico, forse solo per amor di patria, è stato più magnanimo ma ciò non toglie che le elezioni sono in autunno e la resa dei conti con i movimenti e con la destra incalzante è vicina. Per loro, i presidenti socialisti, e per tutti quelli che avevano creduto in un ‘’mondiale diverso’’ è stata una enorme occasione sprecata. Sì perché nonostante i progressi degli ultimi anni in Brasile le disuguaglianze sono cresciute.
 
Nelle campagne la diffusione delle monoculture ha fatto del paese carioca il primo esportatore di legno e di bio-combustibile, ma i 7milioni di ettari di foreste artificiali di eucalipti transgenici tolgono acqua ai piccoli coltivatori ed impoveriscono il suolo. La costruzione della diga di Belo Monte (sarà attiva nel 2015), nello stato del Parà, causerà l’inondazione di 500km di terre fertili: non darà energia alle popolazioni indigene locali, le quali anzi saranno costrette ad emigrare in un numero stimato di 100mila persone, mentre servirà per rifornire le industrie minerarie del sud. Sempre i rapporti con le popolazioni indigene sono uno dei punti critici del governo brasiliano: per il solo imponente apparato di sicurezza del mondiale sono stati stanziati 791milioni di dollari, dieci volte di meno delle risorse attribuite al Dipartimento degli Affari Indigeni, segno che passano i governi ed i regimi, ma la politica di sfruttamento del territorio e di integrazione r delle minoranze rimane la stessa. 

Se però focolai di protesta e movimenti di sensibilizzazione capeggiati dai Sem Terra nelle campagne ci sono sempre stati, la vera novità delle mobilitazioni degli ultimi anni viene dai movimenti di lotta per la casa e dai comitati cittadini. Qui, secondo i più disillusi, la parola integrazione esiste soltanto nei discorsi di facciata dei leader di governo del Partito dei Lavoratori (PT). Qui più che di integrazione si può parlare di estrattivismo urbano: l’espressione è stata coniata dai movimenti di protesta ma rende bene l’idea della lotta senza quartiere perpetrata nei confronti dei tanti senza tetto o delle politiche di sgombero delle favelas non supportate da adeguati piani di edificazione popolare. Proprio nelle città la natura reazionaria e violenta dei corpi di pubblica sicurezza (250mila effettivi schierati) ha mostrato l’eredità oscura dei regimi dittatoriali degli scorsi decenni: le violentissime repressioni nelle piazze ed il controllo con mezzi audiovisivi delle favelas saranno un lascito difficile da cui sottrarsi. 

Insomma, doveva essere il mondiale celebrativo del progresso brasiliano, è stato invece l'evento che ha palesato l'esaurimento della capacità propulsiva di una ricetta, quella socialdemocratica, che, dopo anni di buio oligarchico, ha fatto sì le recenti fortune del Brasile, ma che sembra non aver più, nella lotta alle disuguaglianze, l'efficacia di un decennio fa. Tra il ritorno dei populismi di destra, la pressione delle classi meno abbienti e la rinnovata invadenza USA nello scacchiere sud-americano, il futuro di questo fantastico paese rimane allora tutto da decifrare.
                                                                                                                                           

 

  Che aria tira in Brasile

 

A due giorni dall'inizio dei Mondiali alcuni stadi

hanno ancora bisogno di rifiniture,

per altre infrastrutture non si farà in tempo;

e tutto fa pensare che le proteste continueranno

 

   ilpost.it - 10 giugno 2014

Brasile

 

Mancano due giorni all’inizio dei Mondiali di calcio in Brasile e ancora non si capisce bene cosa ci aspetta, al di là delle partite di calcio. Da tempo dal Brasile arrivano notizie su scioperi, scontri e proteste e molte di queste hanno a che fare con i Mondiali e le spese che hanno comportato; durante la Confederations Cup, organizzata l’anno scorso in Brasile, le manifestazioni e gli scontri ebbero frequenza quotidiana.

È interessante come si sia arrivati a far detestare a una parte importante dei brasiliani la cosa che questi più adorano – il calcio e i Mondiali di calcio – e ci sono molte possibili spiegazioni: l’enorme quantità di denaro speso per infrastrutture che non saranno utilissime dopo il torneo; i ritardi nella realizzazione delle strutture e i molti incidenti sul lavoro; il comportamento arrogante della FIFA, l’organismo di governo del calcio mondiale, che per esempio ha costretto il Brasile a cambiare alcune leggi per far comodo agli sponsor. Inoltre, come spesso accade in casi del genere, l’occasione di grande visibilità mediatica è stata sfruttata da molte categorie professionali per rivendicare richieste e diritti.

Gli stadi e le morti degli operai
Su O Globo, quotidiano con sede a Rio de Janeiro, sono elencati in un’infografica tutti gli stadi che ospiteranno i Mondiali con relativi costi, stato di avanzamento lavori e problematiche. Il Maracanà di Rio de Janeiro e il Mineirão di Belo Horizonte sono stati due dei pochi impianti ad essere stati consegnati rispettando le scadenze. Nel primo, riaperto nel 2013 dopo quasi tre anni di lavori, si giocherà la finale. L’Itaquerão, a San Paolo, ospiterà invece la partita di apertura, ma ha ancora bisogno di opere di finitura che, a questo punto, saranno fatte dopo i Mondiali: per ora sono state sistemate delle tribune provvisorie (per 17 mila posti). I ritardi sono stati causati dalla morte di tre operai durante i lavori: due sono caduti da una gru, il terzo durante l’installazione delle tribune temporanee.

Il Beira-Rio di Porto Alegre è stato inaugurato ufficialmente nel mese di aprile, ma non sono state concluse diverse opere esterne, come per esempio i marciapiedi. Ci sono ancora alcuni cantieri e anche qui si è rimediato con opere temporanee. L’Arena da Baixada a Curitiba è stato uno degli stadi più problematici: a trenta giorni dall’inizio dei Mondiali era ancora oggetto di lavori significativi e ha corso il rischio di rimanere escluso dal torneo. Diversi problemi ci sono stati anche all’Arena Pantanal di Cuiabà: il 9 maggio il ministero del Lavoro e dell’Occupazione aveva deciso il blocco dei lavori di manutenzione e di intervento sulle linee ad alta tensione a causa della morte di un operaio. La maggiore criticità dell’Arena Pernambuco a Recife è invece l’accesso, piuttosto difficile. L’Arena das Dunas a Natal è stato inaugurato nel gennaio del 2014 ma continua ad avere bisogno di alcune rifiniture.

Il primo incidente mortale sul lavoro durante i lavori negli stadi del Mondiale è avvenuto invece al Mané Garrincha (lo Stadio Nazionale di Brasilia), il secondo per dimensioni, ma il primo per i costi (circa 620 milioni di euro). L’Arena da Amazônia a Manaus è invece al primo posto per numero di morti: quattro operai durante i lavori di ristrutturazione. Ieri, lunedì 9 giugno, in un incidente a un cantiere dell’ambizioso progetto per la costruzione di una monorotaia a San Paolo, è morta una persona in seguito al crollo di una sezione della struttura. Due altri lavoratori sono rimasti feriti. La linea della monorotaia, con un percorso lungo quasi 18 chilometri, nei piani iniziali doveva essere completata per l’inizio dei Mondiali di calcio, ma i lavori sono in ritardo e non potrà essere attivata in tempo. Una volta terminata, la monorotaia collegherà l’aeroporto di San Paolo-Congonhas, utilizzato principalmente per voli interni, con tre delle cinque linee della metropolitana.

In generale si può comunque dire che tutti gli stadi previsti, sebbene con qualche criticità, saranno utilizzabili. Il problema più grande riguarda ora gli aeroporti e il sistema di trasporto agli stadi: alcune opere non sono state completate, come la monorotaia di San Paolo, e altre si teme non saranno in grado di far fronte al grande afflusso atteso di turisti e tifosi.

Le proteste
Le principali proteste che si sono svolte negli ultimi mesi in Brasile sono state causate all’enorme quantità di denaro speso per la Confederations Cup del 2013 e i Mondiali del 2014, che secondo molti sarebbe stato più utile per migliorare i servizi e affrontare la povertà e la corruzione diffuse nel paese (bisogna tenere conto anche del fatto che Rio de Janeiro organizzerà le prossime Olimpiadi estive, nel 2016). Le manifestazioni più grosse si sono tenute l’anno scorso e hanno visto la presenza di oltre un milione di persone, ma sono continuate anche nei mesi successivi, fino agli ultimi giorni.

Le mobilitazioni non hanno un leader, si sono diffuse rapidamente e hanno rivendicazioni molto diverse: partecipano soprattutto studenti, lavoratori e attivisti di sinistra. Quando sono iniziate, molti esperti di movimenti di massa hanno sostenuto che poiché le rivendicazioni erano diverse e non vi era un’organizzazione precisa a guidarle, sarebbero state destinate a proseguire e a crescere. Così è stato: nel giugno del 2013 c’è stata la protesta contro l’aumento del costo dei trasporti pubblici, poi ci sono state quelle organizzate lo scorso 15 maggio a Rio de Janeiro, Brasilia, San Paolo e Recife, poi quelle degli indigeni di diverse etnie che hanno marciato per chiedere la demarcazione delle terre che occupano e che sono spesso invase da contadini, allevatori e grandi multinazionali. E ci sono stati diversi scioperi: degli insegnanti, degli autisti di autobus, dei geologi, delle guide dei musei, degli infermieri, fino a quello più recente dei lavoratori della metropolitana di San Paolo.

Il governo del Brasile ha sempre dichiarato che le richieste di ciascuna categoria erano specifiche e che non potevano in alcun modo essere ricondotte all’organizzazione dei Mondiali. In realtà, come spiegano diversi analisti, alcune proteste sono direttamente legate ai Mondiali e ai soldi che avrebbero potuto essere spesi per il welfare o l’edilizia scolastica, mentre altre lo sono indirettamente: sfruttano l’attuale visibilità globale del paese per fare pressione sul governo e fare in modo che le rivendicazioni vengano accolte. Quello che emerge è comunque il fatto che non sembra esserci una chiara e univoca strategia governativa per affrontare la situazione: in alcuni casi, come quello dei biglietti del trasporto pubblico, su indicazione della presidente Dilma Rousseff i sindaci di diverse città hanno revocato l’aumento; altre volte – come nel caso dello sciopero dei lavoratori della metro di San Paolo che oggi è stato sospeso – si è cercato di prendere tempo per provare a trovare un compromesso, possibilmente in tempo per l’atteso inizio dei Mondiali di calcio.

Nel frattempo il governo ha stabilito un imponente piano per la tutela dell’ordine pubblico: a presidiare le principali città del paese sono stati schierati migliaia di agenti, poliziotti e guardie municipali della prefettura. Le forze armate – che contano più di 5 mila uomini – sono state allertate per intervenire, se necessario, durante i Mondiali; in parte saranno ospitate nelle caserme delle città per essere pronte a entrare in azione. È stato calcolato che per garantire la sicurezza durante l’evento sarà speso il corrispettivo di 620 milioni di euro, cinque volte l’importo investito dal Sudafrica nel 2010, e saranno impiegati in totale circa 170 mila agenti di sicurezza.

Mondiali in Brasile: dove è la festa?

 

 

    unimondo.org   di Lorenzo Piccoli  -   01 giugno 2014

 

La partita inaugurale dei Mondiali di calcio in Brasile, quella tra la Seleçao e la Croazia, sarà giocata tra meno di due settimane: il 12 giugno. Sarà allora, in un’atmosfera festosa, che celebreremo il rapidissimo progresso economico e sociale del Brasile. Quando nel 2007 il Brasile fu scelto come il Paese che avrebbe ospitato la Coppa del Mondo FIFA 2014 l’allora presidente Luis Inácio “Lula” da Silva godeva di un radicato consenso popolare e l’economia era in fase di espansione. Il Brasile era pronto a diventare una grande Potenza globale e i Mondiali di calcio del 2014 sembravano l’occasione ideale per la consacrazione finale.

 

Tuttavia, anche se il tripudio della competizione nasconderà quello che è venuto prima, non dovremmo dimenticare il percorso tormentato e a tratti disastroso che ha accompagnato il Brasile fino al calcio di inizio di questi Mondiali. Oggi, a pochi giorni dal calcio di inizio, quindi ben al di là della data di scadenza iniziale fissata per dicembre 2013, la metà degli stadi della competizione devono ancora essere completati. Tanto che qualche mese fa il presidente della Fifa, il discusso Sepp Blatter tuonò: “nessun Paese è mai stato così indietro con la preparazione come il Brasile”. Più recentemente Blatter è andato oltre, aggiungendo che “non si può rendere felici tutti quanti, è ovvio. I brasiliani sono un po’ scontenti perché è stato promesso loro molto. Il Brasile è di fatto la sesta economia mondiale, e quando alla presidenza c’era Lula, egli disse: il paese sarà migliorato, ma per questo occorre anche la volontà di un popolo che lavora, e questa società che Lula voleva creare si è divisa”. Un altro portavoce Fifa è andato meno per il sottile e ha detto che i brasiliani “avrebbero bisogno di un bel calcio in culo”. Più raffinato, ma sulla stessa linea il messaggio di un recente articolo dell’Economist, che ha ironizzato sull’improduttività dei lavoratori brasiliani, “gloriosamente improduttivi”.

 

Il problema va ben oltre la competizione sportiva. Numerosi osservatori hanno rilevato che esiste un forte disavanzo tra la domanda delle famiglie e la limitata offerta di prodotti e servizi nel Paese. La crescita di inizio secolo ha stimolato un forte consumo di beni, che tuttavia non è corrisposto a un aumento adeguato della produzione. La prima conseguenza di questa differenza tra offerta e domanda è stata un forte aumento dell’inflazione del real, la moneta nazionale. Secondo i dati dell’OCSE e della Banca Mondiale, Il Brasile è tra i paesi con il maggior tasso d’inflazione del Sud America, inferiore solo a Paesi come l’Argentina e il Venezuela. Le conseguenze sul più lungo termine rischiano di essere ancora peggiori. Intanto pochi giorni fa l’agenzia di rating statunitense Standard & Poor’s (S&P) ha declassato il Brasile da BBB a BBB-, appena un livello sopra lo status di “Junk”, spazzatura.

 

Il governo brasiliano spera ancora che la Coppa del Mondo di calcio aiuti il Paese a tornare sotto una luce positiva. Per evitare una figuraccia su scala globale, il governo ha tuttavia dovuto intensificare gli investimenti, nonostante inizialmente si era prospettato che la maggior parte delle spese sarebbe stata coperta da fondi privati. Alla fine invece il settore pubblico ha pagato il 99% dei costi dell’organizzazione per una spesa finale di oltre 15 miliardi di dollari, una cifra pari a oltre quattro volte tanto quella dei precedenti Mondiali in Sudafrica.

 

Non c’è da sorprendersi, dunque, se una parte consistente della popolazione brasiliana è contraria ai Mondiali. Le mobilitazioni contro l’organizzazione dell’evento, sotto lo slogan “Não vai ter Copa!” (No alla Coppa del Mondo), sono iniziate già nel 2013 in corrispondenza con la Confederations Cup giocata in Brasile. Da allora, i movimenti sociali non si sono fermati e spesso hanno paralizzato intere città. Le proteste potrebbero intensificarsi ora che la Seleçao ha iniziato a prepararsi per la competizione: questi giorni sono stati poco incoraggianti per coloro che confidavano in un graduale sgonfiamento delle proteste con l’avvicinarsi della Coppa.

 

Il governo di Dilma Rousseff, la cui popolarità è in costante calo e ormai prossima a scendere sotto il 35% a pochi mesi delle elezioni di ottobre, ha risposto al dilagare delle proteste con una nuova legislazione anti-terrorismo, che mobiliterà oltre 170.000 persone tra poliziotti e membri dell’esercito durante la manifestazione sportive. Si tratta del 22 per cento in più del Sud Africa nel 2010, circostanza nella quale pure la mobilitazione delle forze dell’ordine era stata sontuosa. La “Presidenta” si gioca gran parte delle sue possibilità di rielezione al primo turno proprio sul successo dell’evento.

 

Secondo Raquel Rolnik, rappresentante delle Nazioni Unite per il diritto all’abitazione, in Brasile si sta prendendo come scusa la Coppa del Mondo del 2014 per cambiare la struttura e l’organizzazione dello stato e delle città brasiliane senza una previa discussione pubblica. Anche Amnesty International ha denunciato che 150mila persone sono state sfrattate dalle loro case per permettere la costruzione degli stadi dei Mondiali di calcio, mentre città come Porto Alegre, Rio de Janeiro e San Salvador de Bahia hanno ridotto l’estensione e il numero delle zone di preservazione ambientale permanente per fare spazio alle nuove infrastrutture. Aggiungiamo a questo i problemi legati ai diritti civili, compressi per accelerare l’organizzazione dell’evento: molte Ong non sono preoccupate dell’aumento della prostituzione durante i Mondiali – sui media hanno recentemente ricevuto attenzione i corsi di inglesi gratuiti per le prostitute di Mina Gerais in vista dell’evento - e hanno denunciato che l’accelerazione dei lavori è stata resa possibile da risparmi eccessivi sui materiali e sulle regole di sicurezza, che sono costate la vita a otto lavoratori morti sui cantieri negli ultimi sette mesi.

 

Tra pochi giorni staremo festeggiando l’inizio dei Mondiali di calcio, celebrando un altro grande successo per una manifestazione planetaria. Proviamo, allora, a ricordarci anche del percorso catastrofico che ha permesso al Brasile di presentarsi a questo appuntamento.

 

Brasile, un video di Amnesty contro la violenza della polizia


 

In vista dei Mondiali del 2014,

Amnesty International lancia con un video

una nuova campagna globale contro

la violenza della polizia.

 

Globalist 28 maggio 2014

 

In vista dei Mondiali del 2014, Amnesty International lancia con un video una nuova campagna globale contro la violenza della polizia, esortando le autorità a garantire sicurezza, "giocando secondo le regole" durante i campionati di calcio. La campagna "No foul play, Brazil", chiede ai cittadini di tutto il mondo di inviare cartellini gialli al presidente brasiliano Dilma Rousseff e al presidente del Congresso, Renan Calheiros, esortandoli a rispettare i diritti di tutti e la libertà di espressione e di riunione pacifica durante la Coppa del Mondo. Amnesty International: "Le proteste continueranno e il Congresso brasiliano sta valutando nuove leggi per reprimere i manifestanti. Inoltre la formazione della polizia sembra inadeguata per l'uso eccessivo della forza a cui troppo spesso assistiamo".

LE FAVELAS CHIEDONO LA FINE

DELL'OCCUPAZIONE MILITARE

 
 
 

    anovademocracia.com.br  -   1 maggio 2014


Dopo la sepoltura di Dougas Rafael da Silva, centinaia di persone hanno marciato attraverso
Copacabana e si sono scontrati con la polizia

 

I residenti di Complexo do Alemão e Pavão-Pavãozinho/Cantagalo, a Rio de Janeiro, è contro gli omicidi di residenti seguiti dalla polizia e ha chiesto la fine dell'occupazione militare delle favelas. Sono numerose segnalazioni di crimini e abusi commessi da agenti della repressione nelle favelas "pacificate", dove la vita diventa insopportabile. Uno stato di eccezione non dichiarato criminalizzare i poveri ed è difeso le unghie e denti dalla stampa monopolio.

BRASILE.

In corso le bonifiche delle favelas

in vista dei mondiali

 

Notizie Geopolitiche30 marzo 2014

brasile favelas esercito

Continuano le operazioni di bonifica delle favelas di Rio de Janeiro in vista dei mondiali di calcio, che si svolgeranno in Brasile fra 74 giorni: questa mattina la polizia e l’esercito brasiliano sono entrati nella vasta area delle favela di Maré, nei pressi dell’aeroporto internazionale, considerata roccaforte dello spaccio e dell’illegalità, ma anche zona cruciale della città che vedrà il transito di decine di migliaia di tifosi.


Sono 16 le favelas di Rio in cui sono in corso le operazioni di occupazione da parte delle forze dell’ordine, in una città che ospiterà 7 partite di calcio, fra le quali la finale del 13 luglio.


In totale le favelas monitorate dalle autorità brasiliane in vista dei mondiali sono 174, realtà poverissime in cui vivono 600mila persone.

 

 

 

Rio: protesta prof degenera in guerriglia

 

Con arrivo anarchici mascherati e black bloc,

incendiato un autobus, distrutte vetrine delle banche

 

Ansa - 08 ottobre 2013

Blac block incendiano bus e distruggono vetrine alla manifestazione dei professori di Rio

 

Più di 10.000 persone, secondo la polizia, hanno marciato pacificamente ieri sera a Rio de Janeiro per sostenere le rivendicazioni degli insegnanti, ma la manifestazione è poi degenerata con con l'intervento di circa 200 anarchici mascherati, autori di numerosi atti vandalici nel centro della città. Al grido "Questo governo cadrà! Fuori Cabral e Paes!" (rispettivamente Sergio Cabral, governatore di Rio, ed Eduardo Paes, il sindaco della città), migliaia di manifestanti - insegnanti e simpatizzanti - hanno marciato nella via Rio Branco fino a piazza Cinelandia, dove ha sede il Consiglio municipale. Gli incidenti sono cominciati verso le 20 (l'1 in Italia): black bloc hanno incendiato un autobus, distrutto le vetrine delle banche ed eretto barricate accatastando sedie ed altro materiale. Un gruppo di anarchici mascherati ha fracassato quindi le porte del Comune, altri hanno lanciato bombe contro la facciata e bruciato spazzatura in strada. I manifestanti sono stati dispersi dalla polizia antisommossa, che ha usato gas lacrimogeni.

 

 

Dilma Rousseff l’ex guerrigliera

che non sa come parlare al suo popolo

 

di Maurizio Chierici 23 Giugno 2013 (Il Fatto Quotidiano)
 
 

Il cartello di una ragazza raccoglie i pensieri che agitano le folle in marcia nelle città del Brasile: “Dilma, ma non eri una di noi?”. Malgrado la biografia che inquieta, in un certo modo non lo è mai stata. Adesso prova ad avvicinarsi con l’impaccio della manager che sa programmare e far di conto ma non ama le tribune che incantavano Lula, il più amato ieri, il più amato ancora oggi.

 

57 brasiliani su cento lo rivorrebbe presidente, subito, elezioni 2014, mettendo da parte la ricandidatura annunciata dalla Rousseff che nel confronto si ferma al 32. Per 7 giorni ha taciuto mentre le rivolte si allargavano. Al telefono Lula la invitava a “fare qualcosa”. Si sono incontrati, Dilma voleva capire cosa. L’idea era mandare in tv il ministro dello Sport o dei Trasporti, quei 25 centesimi d’aumento sui biglietti dei bus: in apparenza hanno scatenato il pandemonio.

In apparenza, perché il malessere cresce nella solitudine delle città mostro dove sopravvivono nuova piccola e media borghesia. Il Brasile cresce nell’immagine internazionale e nei giochi dell’economia, nella gente no. Forse con la voglia segreta di affacciarsi al teleschermo, Lula l’ha pregata di rispondere alle domande che salivano dalle strade. Nessuna delega, lo Stato è lei e lei deve spiegare. Franklin Martin, già ministro della Comunicazione è il giornalista giusto per scrivere il discorso, consiglio del vecchio presidente. E finalmente Dilma parla. Annuncio amichevole e sottile sul Brasile che ha lottato duramente per diventare democratico ed ecco che liberamente la democrazia si manifesta in una protesta “della quale siamo orgogliosi”. Il segretario del suo Partito dei Lavoratori (Pt) si mescola addirittura ai ragazzi (non solo ragazzi) annunciando di condividerne le proteste. Perché il timore della sinistra al governo (ma anche di Cardoso leader della conservazione) è sollecitato dalla mancanza di un leader riconoscibile nel movimento che ogni giorno si allarga. Vuoto pericoloso. Tentazioni populiste per i volponi politici di ogni colore: saltare nella folla per guidarla chissà dove.

 

Il miracolo di Lula che Dilma ha globalizzato consolidando il Brasile fra le economie più dinamiche nel panorama avvilito della finanza mondiale, questo miracolo non ha avuto ricadute razionali sulle nuove generazioni che si affacciano nel timido benessere. E poi Dilma non ama mescolarsi. Ruvida ma solo quando lavora. Appartata quasi sempre. Ed anche permalosa. Quando va in visita alla Casa Bianca immaginava un pranzo di gala per l’accoglienza che non doveva essere troppo diversa da quella che Obama aveva riservato a Cameron, premier inglese. Invece colloquio formale: salone ovale, caminetto, strette di mano. Nessuna chiacchera fuori protocollo. Si racconta sia tornata furibonda.

 

Il cartello della ragazza immaginava un passato che avvicinasse la signora presidente al furore della sua protesta: Dilma non è mai stata così. Dura, radicale, ha affrontato prigione e torture del regime militare nella dignità silenziosa di una signorina di buona famiglia. Padre bulgaro e gigante delle costruzioni, collegio di suore, morbida vita familiare alla quale ha voltato le spalle per la clandestinità della guerriglia. Consigliere segreto di Dilma José Dirceu, guerrigliero dalle mille facce: l’ultima se l’è fatta ridisegnare all’Avana per tornare nella sua San Paolo quando i militari governavano con la mano dura. Dirceu ha fondato il Pt assieme a Lula e Dilma era lì. Sempre al loro fianco nella scalata alla presidenza del leader operaio.

 

Al fianco di Dirceu fino a quando uno degli scandali fioriti attorno alla signora che governa ha cancellato dalla politica non solo Dirceu, ma altri ministri di Lula e tanti suoi uomini. Le mani della Rousseff restano trasparenti; forse non sa scegliere gli uomini che il partito propone. Sa sorridere ed essere gentile ma implacabile nel lavoro. Ama letture “non ermetiche” e pittori “non complicati”: Matisse, Caravaggio. Adora Chopin. Insomma, signora di buona famiglia. Se l’ufficio di Caravalho, segretario della casa presidenziale, è soffocato da santi portoghesi e icone di madonne nere, il laicismo di Dilma increspa i rapporti non distesi con la Washington dove le signore del Thea Party affidano lo slancio politico ad un integralismo religioso paranoico.

 

E poi niente aborti, mai divorziare, mentre Dilma si è sposa due volte. Nei suoi programmi l’aborto è il bersaglio più frequentato della destra brasiliana e il suo nazionalismo non è gradito alle multinazionali. Sta facendo del Brasile il paese baluardo in un continente dalle bandiere bianche stese lungo il Pacifico (Cile, Perù, Colombia, Panama, Guatemala), paese di riferimento delle bandiere rosa (Argentina, Uruguay, Salvador) e delle bandiere rosse: Bolivia, Venezuela Cuba, Nicaragua. Può dominarle e condizionarle perché governa un paese cassaforte di tutto: dai tesori sepolti in Amazzonia a gas e petrolio sepolti sotto il mare. Resta il tallone debole di oligarchie economiche che separano il benessere dalla folla dei diseredati ai quali la signora presidente garantisce con Borsa Famiglia un reddito minimo per tutti.

Ma se i poveri sono scesi al 20 per cento (da più di 40) il suo governo non sa dare risposte alle nuove generazioni acculturate ed ugualmente esasperate. Sono loro a guidare le proteste alle quali i meno fortunati si accodano. E Dilma prova a tamponare la sfiducia nel Pt, fino a ieri partito di un popolo che adesso cerca altri orizzonti.