KOSOVO

          Kosovo: lungo le strade dell'esodo

 

 

Il lago di Palić (Dávid Sterbik/flickr)

Il lago di Palić (Dávid Sterbik/flickr)

 

Ogni giorno centinaia di kosovari fuggono dal loro paese e entrano illegalmente nell'Ue attraversando la frontiera tra Serbia e Ungheria. Un tragico esodo che sembra essersi accentuato nello scorso dicembre

 

(Pubblicato originariamente da Zeri il 5 febbraio 2015, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e Osservatorio Balcani e Caucaso)

Non si direbbe che ha solo 16 anni, il suo viso ne dimostra di più. Ardian è originario di Batllava, presso Podujevo, ha in spalla uno zaino nero con tutte le sue cose e i vestiti che gli serviranno per il viaggio. La temperatura è sotto zero ma è difficile capire se le sue guance sono rosse per il freddo o per la tristezza del dover abbandonare i suoi genitori malati, per andare, attraversando la Serbia, in Ungheria.

 

Non sa ancora quale sarà la sua destinazione finale ma sa semplicemente che non vuole rimanere in Kosovo. Ardian non domanda niente più che una vita migliore per sé e per la propria famiglia. Il suo paese – che tra due settimane festeggerà il settimo anniversario dalla dichiarazione di indipendenza - non è in grado di garantirgliela.

Videoreportage 

Radio Free Europe ha dedicato al passaggio del confine tra Serbia e Ungheria un videoreportage

 

“Ho paura per i miei genitori. Sono entrambi ammalati e senza lavoro. Non abbiamo redditi. Oggi siamo tutti tristi, loro e anch'io”, racconta il ragazzo, accigliato e con la fronte corrugata, come tutte le volte che ricorda la vita a casa sua a Batllava, sui bordi dell'omonimo lago.

 

Parte con due compagni di viaggio originari di Gnjilane/Gjilan, cognati di sua sorella. “Cercheremo di trovare una soluzione. Siamo in tre, sarà comunque difficile”, spiega Ardian. “L'importante è arrivare stasera in Serbia. Se ci arriviamo, siamo alle porte dell'Europa”, aggiunge uno dei suoi compagni, 24 anni. I tre sono coscienti della multa di 7500 euro annunciata dalle autorità per chi si rende colpevole di emigrazione illegale in Europa. “Multe? Ce ne freghiamo. Possono anche arrestarci ma almeno in prigione abbiamo qualcosa da mangiare”, scherza Ardian.

 

Un uomo magro dai capelli neri spiega sussurrando come presentarsi a Belgrado. “Vi aspetteranno. Vi spiegheranno come continuare... e concordate il prezzo”. L'autobus Erhan Trans parte. Ci si separa e si piange. Le famiglie con bambini hanno priorità sui posti in autobus. “Non c'è nulla qui, siamo obbligati a partire, senza lavoro da anni... Occorre trovare una soluzione”, spiega un'anziana mentre suo figlio tira fuori un fazzoletto dalla tasca.


Stazioni degli autobus

Alla stazione degli autobus di Gnjilane/Gjilan, i viaggiatori con destinazione Preševo e Bujanovac, in Serbia, si moltiplicano. Tanto quanto le offerte di passaggi in taxi verso la vallata di Preševo. Dietro alla stazione si negozia per un passaggio sino a Subotica. I tassisti chiedono 300 euro a persona, 1000 euro se si è in quattro. Altri prendono invece il taxi o l'autobus per Preševo/Presheva e Bujanovac, e da lì continuano il viaggio verso la Serbia centrale e poi per l'Ungheria.

 

Ogni giorno, alle 9 di sera, la stazione degli autobus di Bujanovac si riempie di kosovari. L'autobus per Belgrado e Subotica parte alle 10 e 15. Gli autobus della Niš Express sono strapieni. Donne e bambini seduti, uomini in piedi, per almeno 600 chilometri. Alla stazione di Bujanovac una signora bionda parla contemporaneamente con due cellulari. E' una “privilegiata”, ha contatti con gli uffici della stazione degli autobus. Si dice abbia dei “ganci” sia qui che a Subotica. Parla bene il serbo, ignora gli altri kosovari e si siede a fianco del conducente. Il viaggio sino a Subotica costa 28 euro.

 

Poco prima della partenza fa capolino una pattuglia di polizia serba. Sale sull'autobus per un controllo dei documenti. Tutti i passeggeri mostrano la loro “carta bianca”, che prova che sono kosovari e che hanno diritto a rimanere una settimana in Serbia.

 

Controllati uno ad uno dai poliziotti, i passeggeri simulano di andare a trovare dei parenti. Un anziano, originario di un villaggio del sud della Serbia, Ternoc, spiega che alcuni sono entrati in Serbia illegalmente, dai villaggi di frontiera di Breznica e Dobrosin, ma sono riusciti ad ottenere la “carta bianca” dalla polizia dopo aver pagato 50 euro ad alcuni intermediari. A Bujanovac gli hotel sono pieni, ma tutti restano una sola notte. Lo scopo è quello di arrivare il prima possibile in Vojvodina e al confine con l'Ungheria.

Dopo 10 ore di viaggio e qualche fermata alle autostazioni, eccoci a Subotica. E' qui che inizia il vero dramma.


Palić

I gruppi di trafficanti del Kosovo, della Vallata di Preševo e della Serbia si sono dati appuntamento a Palić, all'ingresso di Subotica. Secondo la gente del posto, fanno i loro affari senza alcun disturbo da parte della polizia, che rimane indifferente perché i kosovari continuano la loro strada verso l'Europa e non si fermano in Serbia.

“Non so se è rimasto qualcuno in Kosovo oltre ai politici. Sembrano essere venuti tutti a Palić. A causa della miseria non hanno senz'altro alternative”, scherza amaro un cittadino di Palić, della minoranza ungherese.

 

Questi trafficanti “multietnici” utilizzano pensioni lungo le rive del lago di Palić. E' la che i kosovari dormono per una notte, prima di passare all'alba, a piedi, la frontiera tra Serbia e Ungheria. Case che hanno un nome Verona, Nikolas, Lira. Le prime due erano strapiene. L'ultima aveva ancora due camere libere.

All'ingresso di Villa Lira gli “organizzatori” chiedono innanzitutto se si vuole soggiornare una notte e poi preparano il passaggio della frontiera. Le camere sono sporche, le condizioni di igiene minime. La notte costa 15 euro. Si sentono solo le voci dei bambini, perché agli adulti è stato detto di non fare rumore.

Dietro la pensione sono parcheggiate alcune auto con targhe locali, due immatricolate in altre zone della Serbia ed una Mercedes nera con targa kosovara, che apparterrebbe al padrino del traffico.

 

Nella serata i passeur incontrano i loro clienti al ristorante della pensione e spiegano loro la strategia per il passaggio della frontiera, da fare prima che sorga il sole. Ciascuno deve pagare 250 euro in anticipo, per passare sul versante ungherese. La via dura meno di un'ora. Stasera presso la pensione albergano più di 90 persone ma per passare la frontiera verranno divisi in gruppi di 20-30 persone.

 

I passeur sono convinti che non ci saranno problemi con la polizia serba, di cui però i kosovari hanno paura. Sanno però che se sono scoperti dalla polizia ungherese, saranno piazzati in detenzione provvisoria per un massimo di 72 ore con un'ingiunzione a lasciare immediatamente l'Ungheria o di presentarsi presso un centro per i richiedenti asilo.

 

“Se la polizia ungherese vi scopre, cosa che non credo avvenga, perché conosciamo bene la strada, possono solo tenervi dentro per 72 ore e poi vi rilasceranno. Dovete allora salire subito sul treno per Vienna piuttosto che presentarvi ad un centro per richiedenti asilo. Ma siete voi che dovete decidere” spiega uno dei passeur.

 

Nel 2014 vi sarebbero state 35.000 domande d'asilo in Ungheria. Di queste 12.500 nel solo mese di dicembre, delle quali metà fatte da kosovari. A causa di questo numero in crescita esponenziale di richiedenti asilo il governo kosovaro ha deciso di creare una task force di alto livello per controllare questi “spostamenti illegali di cittadini del Kosovo”. Secondo i responsabili governativi “la crescita dell'immigrazione illegale deve interrompersi perché rischia di mettere in pericolo l'importante processo di liberalizzazione dei visti”.

 

La fase critica del Kosovo

 

I risultati ufficiali del voto dello scorso 8 giugno non vi sono ancora ma in Kosovo emergono spiragli di una maggiore dinamica democratica. La porta potrebbe però essere presto richiusa, anche con il contributo delle diplomazie occidentali. Un'analisi

 

Il parlamento del Kosovo è composto da 120 seggi, di cui almeno 20 sono riservati alle minoranze. In seguito alle elezioni politiche dell’8 giugno scorso, i partiti che rappresentano le élite politico-economiche del paese hanno ottenuto – secondo risultati non definitivi ma considerati affidabili – 77 seggi. I partiti di minoranza, per lo più alleati con le stesse élite, hanno ottenuto 28 seggi. I restanti 15 sono andati all’unico partito di sinistra in Kosovo, Vetëvendosje, che si oppone fermamente sia alle élite che alle politiche di governance da esse costruite negli ultimi anni.

 

I partiti nati dalle élite sono il prodotto politico delle organizzazioni di potere (economico, militare, ma anche criminale) sorte nel paese per lo più dalle formazioni guerrigliere del 1998-1999. Nonostante si alternino frequentemente al potere, nel loro insieme hanno contribuito a dar forma all’attuale struttura politico-economica che ora soffoca le opportunità di sviluppo e da cui tutte, pur in diversa misura, traggono profitto.

 

Il partito Pdk del primo ministro Hashim Thaçi ha dominato questa struttura negli ultimi 7 anni, aumentandone l’inefficienza e intrecciando il suo stesso destino con quello delle istituzioni.

Equilibri di potere

Gli equilibri di potere tra le élite si possono così tratteggiare. Il Pdk ha ottenuto 33 seggi. Il suo alleato, Akr, non è riuscito a superare la soglia del 5% necessaria per entrare in parlamento. Un nuovo partito sorto da due fuoriusciti dal Pdk ha ottenuto 6 seggi. L’Ldk e l’Aak di Ramush Haradinaj, all’opposizione durante la legislatura precedente, hanno conquistato rispettivamente 28 e 10 seggi. Così stando le cose, Thaçi può contare su non più di 55-57 parlamentari: i 33 del Pdk e 20-22 delle minoranze. Per consolidare il proprio potere, Thaçi intendeva stringere alleanza con uno degli altri partiti, quello appena sorto, con l'Ldk oppure l'Aak. Tuttavia, quest’ultimi hanno anticipato le sue mosse formando una coalizione d’opposizione al Pdk. Questa decisione ha alterato significativamente gli equilibri e potrebbe portare il Kosovo verso una fase di criticità.

 

Se l’alleanza dovesse reggere, Thaçi potrebbe non riuscire a formare una squadra di governo. Tuttavia, anche se la coalizione sembra in grado di attrarre alcuni voti dagli schieramenti dalle minoranze, non ha i numeri necessari a formare un proprio governo senza l’appoggio della sinistra. Perciò al momento sono in corso colloqui per delineare le condizioni grazie alle quali Vetëvendosje fornirebbe sostegno esterno alla coalizione anti-Pdk.

 

Queste condizioni includono la lotta alla corruzione, la sospensione dei piani di privatizzazione in corso e la sospensione dei colloqui con la Serbia sul Kosovo del nord (sostenuti dall’Unione europea tramite un accordo di mediazione dell’aprile 2013), perché Vetëvendosje ritiene che la questione non vada toccata finché il Kosovo non godrà di una maggiore credibilità politica.

Prospettive migliori?

Questa alleanza è ben lungi dall’essere la guida ideale per il Kosovo. Ma un ricambio al governo, l’emergere di una frattura politica interna all’élite, la formazione di una coalizione bilanciata e non dominata da un solo componente e la sua dipendenza dall’appoggio esterno di Vetëvendosje, tutto questo contribuirà ad un panorama politico più aperto e pluralistico.

 

Questa dinamica potrebbe essere impercettibile in principio, ma può svilupparsi in futuro, specialmente se la comunità internazionale non dovesse opporsi ad essa nell’interesse di priorità a breve periodo, che riguardano principalmente l’implementazione dell’accordo sul Kosovo del nord.

Macchina predatoria

Tutto ciò potrebbe però rimanere solo una congettura: la porta che pare essersi aperta potrebbe venir in qualsiasi momento richiusa.

Se giudicato nei meriti, lo scopo di governo del Pdk non è consistito tanto nello sviluppo del Kosovo, quanto nell’accaparrarsi le sue risorse. A partire dal 2008 questo partito ha capeggiato un’orgia predatoria probabilmente con pochi precedenti nella storia recente. Ha potuto farlo perché ha mantenuto il parlamento debole, controllato le istituzioni che si supponevano indipendenti e anche una buona parte dei media: ad oggi il Kosovo non gode di un efficace sistema di bilanciamento dei poteri.

 

Questo implica anche che, una volta al governo, l’alleanza tenterà di mettere le mani sulla macchina predatoria del Pdk. La dipendenza da Vetëvendosje farà da contraltare a questo. Allo stesso tempo, i fedelissimi del Pdk saranno rimpiazzati da uomini dell’alleanza, che cercherà anche di sottrarre al Pdk influenza nel settore privato. La logica interna al sistema è tale che questo sovvertimento incontrerà scarsa resistenza. Coloro che si opporranno saranno combattuti con gli stessi strumenti di cui il Pdk si è dotato, ad esempio attraverso i pubblici ministeri, che il Pdk ha usato in passato per intimidire o colpire i propri nemici.

 

In altre parole, il sistema kosovaro è tale che chi perde le elezioni rischia di perdere davvero tutto. E il Pdk non cederà il potere senza combattere: dovrà essere sconfitto e la battaglia comincia ora.

Resistenza Pdk

Legittimamente, il Pdk ha già iniziato a muoversi per spezzare l’alleanza. Dovesse fallire, come sembra probabile, tenterà di arrivare ad elezioni anticipate, impedendo così all’alleanza di formare un governo e causando così uno stallo istituzionale. Con le nuove consultazioni, il Pdk cercherà di accaparrarsi più voti attraverso la manipolazione: è plausibile che il partito si stia tutt’ora mordendo le mani per aver accettato le richieste europee e americane e aver tenuto a freno la sua fraudolenta macchina elettorale durante la consultazione dell’8 giugno scorso.

 

L’ipotesi non è inverosimile. Per quanto rischiosa, risulta realistica in quanto il Pdk controlla tuttora le istituzioni. Ha la possibilità di influenzare gli arbitri del gioco – il presidente e la corte costituzionale – e ottenere così le elezioni anticipate. Può manipolare queste ultime perché controlla la commissione elettorale, il ministero degli Interni, la polizia, la magistratura e la maggior parte dei media. Ovviamente il Pdk potrebbe non influire a sufficienza sul risultato elettorale, o potrebbe agire in modo talmente grossolano da scatenare proteste, forse anche una sollevazione. Nonostante questo, tentare questa via sarebbe una soluzione razionale per il Pdk, di fronte all’idea di perdere completamente il potere.

Ipotesi elezioni anticipate

Concentriamoci ora sul primo passo di questo piano – ottenere elezioni anticipate – per poter verificare, nel corso delle prossime due o tre settimane, se il Pdk abbia davvero scelto la strada che ho fin qui delineato. Così fosse, i cittadini kosovari sanno cosa attendersi.

La costituzione permette soltanto due tentativi di formare un governo in seguito alle elezioni, dopo i quali il parlamento è sciolto e sono indette nuove elezioni: questo è il meccanismo che il Pdk intende sfruttare.

 

La questione ruota attorno a due disposizioni costituzionali, entrambe fortemente dibattute. La prima è che, dopo le elezioni, il presidente incarichi un primo ministro “con l’appoggio del partito o della coalizione che abbia ottenuto la maggioranza in parlamento” (articolo 95.1). La seconda indica che, se il primo candidato fallisce nel costruire una maggioranza, il presidente “incarica un altro candidato” (articolo 95.4). Se anche quest’altro fallisce, si va a nuove elezioni.

Il Pdk sostiene che il 95.1 fa riferimento solamente a coalizione pre-elettorali. L’alleanza sostiene il contrario. Ritengo che il Pdk sia nel giusto, sia per considerazioni testuali – la parola “ottenuto” sembra riferirsi a coalizioni pre-elettorali, non ad alleanze postume - sia per ragioni di sistema: questa disposizione sembra mirare al rispetto della volontà espressa dall’elettorato. Perciò il Pdk dovrebbe essere il primo ad essere incaricato di formare un governo. Per come stanno oggi le cose però, pare destinato al fallimento. Cosa succede dopo?

 

Il Pdk argomenta che il 95.4 indica che il presidente debba scegliere anche il secondo candidato nelle fila del partito o della coalizione che ha ottenuto il consenso elettorale più ampio. Questa argomentazione non ha alcun senso, sia per ragioni logiche – se ha fallito il candidato Pdk principale, perché un sostituto della stessa parte politica dovrebbe aver successo? – sia per ragioni sistematiche: poiché il presidente ha il dovere di assicurare la sopravvivenza del parlamento per l’interezza del mandato quadriennale, egli deve incaricare la persona che ritiene abbia più possibilità di ottenere una maggioranza, non una plausibilmente destinata al fallimento.

 

Sicuramente l’aggettivo utilizzato nel 95.4 – “incaricare un altro candidato” – indica che il secondo candidato non deve essere semplicemente un’altra persona, cosa di per sé ovvia, ma che possa rappresentare anche un’altra parte politica. Ne segue che il presidente nella situazione attuale non può incaricare una persona delle fila del Pdk come secondo candidato: così facendo violerebbe la costituzione. In teoria è libero di scegliere chiunque abbia possibilità di ottenere una maggioranza, ma l’esistenza della coalizione anti-Pdk lo priva nei fatti di questa discrezionalità perché, se l’alleanza regge, nessun altro che non sia l’alleanza sarà in grado di formare un governo. Al secondo tentativo, quindi, il presidente deve incaricare un loro candidato.

Un’altra disposizione è oggetto di dibattito in Kosovo. È l’articolo 84.14 della costituzione che, senza distinguere tra primo e secondo tentativo, stabilisce che il presidente debba incaricare un candidato al ruolo di primo ministro “dietro proposta del partito o della coalizione che detiene la maggioranza dell’Assemblea”.

 

Qualunque sia la minima differenza tra questo testo e il 95.1, tuttavia, rifarsi a questa disposizione per risolvere la questione sarebbe completamente errato in quanto l’articolo 84 non è nulla più che una lista dei poteri presidenziali, ciascuno dei quali fa riferimento ad altre disposizioni della costituzione in cui questi poteri sono regolati e limitati in dettaglio. L’articolo 84.14, quindi, non è altro che un riferimento ai poteri presidenziali definiti nell’articolo 95 e dovrebbe essere letto come “il presidente incarica il primo ministro come previsto dall’articolo 95”. Il testo dell’articolo 84.14 non è quindi vincolante e non rappresenta un'autentica disposizione: è più simile ad un elemento di un indice e non dice nulla su chi, oggi, debba essere indicato come primo ministro.

Ahi, la corte

In un recente saggio sui provvedimenti adottati dalla corte costituzionale del Kosovo, ho illustrato come i giudici membri e un precedente presidente abbiano mal interpretato un altro elemento dell’articolo 84 – il comma 9 della lista, attraverso il quale il presidente “può porre quesiti costituzionali alla corte costituzionale” – e come, in una successiva sentenza, la corte abbia chiaramente contraddetto se stessa su questo punto.

 

Nelle mani delle istituzioni kosovare però, l’articolo 95 potrebbe finire col significare ben altre cose rispetto a quanto realmente dice. Se il Pdk dovesse richiederlo, sia il presidente che la corte costituzionale – che è palesemente sottoposta alle élite, come sostengo nel saggio – sosterrebbero che anche il secondo mandato debba essere assegnato al Pdk. Se questo dovesse accadere, i cittadini del Kosovo sapranno che il Pdk ha avviato il piano prima delineato. Altro non sarebbe che una forma tenue di colpo di stato, contro la quale sarebbe legittimo attendersi un’adeguata risposta da coloro che hanno a cuore la democrazia di questo paese.

Segni

Un primo segno del fatto che il Pdk e il presidente si stiano preparando a questa mossa è emerso nei giorni scorsi, quando il presidente ha nuovamente abusato della stessa disposizione – articolo 84.9 - per richiedere l’interpretazione della corte costituzionale su a chi vada assegnato il mandato per la formazione del governo: questo offre alla corte l’opportunità di emettere una sentenza che, pur in contraddizione con la costituzione, possa andare incontro alle richieste del Pdk.

 

Anche se il Kosovo ha accettato in silenzio la frode elettorale del 2010, indizi recenti suggeriscono che l’opinione pubblica potrebbe reagire duramente a questo tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale.

 

Perciò il Pdk rischia la sconfitta sia che decida di rispettar le regole, sia che tenti di aggirarle: in ogni caso, le parole “credibilità politica” cominceranno ad avere un significato più chiaro in Kosovo. Diplomatici occidentali a Pristina potrebbero essere tentati di assecondare il piano Pdk, per poter ottenere progressi sul Kosovo del nord e nel dialogo con la Serbia. Io confido che i loro diretti superiori non consentano che questa disgrazia e grave errore accada: piuttosto lascino che la vita politica del paese acquisti una nuova dimensione democratica, invece, e questo porterà gradualmente a soluzione anche la questione del Kosovo del nord.

 

Kosovo: 8 giugno, elezioni anticipate

 

Con una maggioranza governativa sempre più fragile, non ha sorpreso nessuno la decisione dei leader politici di Pristina di portare il Kosovo ad elezioni anticipate, fissate per il prossimo 8 giugno. Una tornata elettorale piena di sfide sia organizzative che politiche

 

Il Kosovo va alle urne il prossimo 8 giugno, dopo lo scioglimento del parlamento arrivato nelle scorse settimana. I leader dei principali movimenti politici hanno trovato un accordo sulle elezioni anticipate, dopo che lo stallo dei lavori parlamentari sulla trasformazione delle forze di sicurezza kosovare in un vero e proprio esercito kosovaro aveva irrimediabilmente indebolito la maggioranza di governo.

 

Secondo la costituzione del Kosovo, per la creazione delle forze armate kosovare è necessario il sostegno di due terzi dei parlamentari, oltre al voto favorevole di due terzi dei rappresentanti delle minoranze etniche. Tuttavia, la minoranza parlamentare serba ha boicottato il voto e impedito il raggiungimento del quorum qualificato. I rappresentanti serbi hanno nell’occasione tentato di ottenere la garanzia di seggi riservati per un altro mandato elettorale come condizione per il proprio voto favorevole, una prassi non prevista dalle norme costituzionali.

 

A Pristina, lo scioglimento dell’assemblea non ha stupito nessuno. Dopo una serie di fallimenti politici, tra cui il controverso dibattito sulla creazione del Tribunale Speciale per i Crimini di Guerra, la mancata privatizzazione di una delle più redditizie aziende pubbliche (PTK - Poste e Telecomunicazioni del Kosovo) e la debacle sulla creazione di un esercito nazionale, la fine prematura di questo parlamento era ampiamente attesa.

Il premier Hashim Thaçi ha pubblicamente dichiarato che un parlamento “incapace di votare la creazione dell’esercito del suo stesso paese non ha alcun senso d’esistere”. La proposta governativa prevedeva di trasformare gli attuali 2.500 uomini delle Forze di Sicurezza del Kosovo in un esercito di 5mila soldati professionisti e tremila riservisti, con il compito di collaborare con le truppe NATO sul territorio.

 

Lumir Abdixhiku, direttore esecutivo dell’Istituto di Ricerca e Sviluppo (Riinvest), ha affermato che mai i deputati hanno votato con maggior saggezza che ora nell’approvare lo scioglimento del parlamento. A suo giudizio infatti, l’attuale assemblea parlamentare era la più debole della storia del paese: “Da diversi mesi il parlamento non operava più con efficacia. Alla coalizione di governo è mancata la maggioranza dei voti in gran parte delle recenti consultazioni, mentre l’opposizione non aveva la forza per far passare una mozione di sfiducia al governo. Lo scioglimento concordato era l’unica, logica soluzione per sbloccare l’impasse politico”.

 

Le elezioni anticipate erano state ventilate alcune settimane prima anche da Isa Mustafa, leader della prima forza di opposizione, la Lega democratica del Kosovo (LDK): “Il Parlamento non funziona più. La miglior strategia d’uscita è andare alle urne ad inizio giugno, dopo aver sciolto l’assemblea”.

 

Le molte sfide di nuove elezioni politiche

 

C’è ottimismo tra i politici a Pristina, nella convinzione che il voto anticipato porterà ad una maggiore stabilità nella più giovane nazione d’Europa, la cui indipendenza è stata riconosciuta fino ad oggi da oltre cento paesi nel mondo.

 

Le elezioni parlamentari dovevano inizialmente tenersi a novembre. Fino ad allora, la leadership del paese era chiamata a completare la riforma elettorale così come richiesto dall’Unione Europea, che aveva fatto pressione per una maggiore semplicità e trasparenza del sistema di voto e soprattutto preteso che venisse affrontata la questione dei brogli riscontrati alle elezioni nazionali del 2010. L’anticipo della scadenza elettorale significa lo stop alla riforma e il Kosovo voterà quindi a giugno secondo la vecchia normativa.

 

Organizzare elezioni davvero libere e democratiche sarà una sfida per la Commissione Elettorale, che ha affermato che la regolarità dipenderà molto dai principali partiti politici, che dovranno dimostrare buona volontà e astenersi dal tentare colpi di mano.

 

L’OSCE ha nel frattempo espresso la propria disponibilità ad aiutare le autorità locali ad organizzare la consultazione, in particolare nella regione settentrionale del paese, a maggioranza serba e che per questo particolarmente sensibile all’influenza della Serbia.

 

Per la prima volta dopo la guerra infatti, i serbi del Kosovo settentrionale sembrano intenzionati a partecipare alle elezioni parlamentari. I media serbi hanno dato notizia di un accordo per correre in coalizione alle elezioni tra i due maggiori partiti serbi in Kosovo, il Partito liberale serbo, alleato del governo di Pristina, e la Lista serba, appoggiata da Belgrado, con l’obiettivo di ottenere voti sufficienti per essere politicamente determinanti nella futura assemblea.

 

Il leader del Partito liberale serbo Slobodan Petrović ha dichiarato che se l’affluenza alle elezioni da parte dei serbi sarà elevata, la coalizione potrà ottenere almeno 20 seggi su 120 disponibili.

 

Campagna elettorale già in moto

 

La macchina della campagna elettorale si è intanto messa in moto ben prima dello scioglimento del parlamento e i maggiori partiti politici si sfidano nell’includere nelle proprie liste quanti più esponenti della società civile e del mondo degli affari.

 

I protagonisti delle prossime consultazioni saranno il partito di governo Partito democratico del Kosovo (PDK) e il principale partito d’opposizione, la Lega democratica del Kosovo (LDK), seguiti dall’Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK), il Movimento “Autodeterminazione” (Levizja Vetevendosje) e l’Alleanza per un nuovo Kosovo (AKR).

 

Adriatik Kelmendi, analista politico di Pristina, ha sottolineato il pesante ricorso alla retorica politica alla vigilia delle elezioni: “Il Kosovo è attualmente ultimo nella classifica dei paesi europei proprio a causa del fallimento della politica. Dedizione, pianificazione, progettualità e persone di buona volontà possono fare la differenza e invertire questo trend negativo. Coloro che ora chiedono i nostri voti ci mostrino i loro progetti, le loro prospettive e le persone che dovranno dar risposta alle nostre aspettative e speranze. Si tengano per loro le vuote chiacchiere che ci stanno rifilando”.

 

Promesse, promesse...

 

Dall’indipendenza del Kosovo dalla Serbia nel 2008, le campagne elettorali hanno concentrato l’attenzione sulla lotta alla recessione economica e alla disoccupazione, al momento oltre il 40%. Tuttavia, le promesse elettorali sono ben lontane dell’essere realistiche, come afferma Lumir Abdixhiku: ”La maggior parte non ha alcun fondamento, fanno più che altro parte della sconsiderata lista dei desideri che i partiti sventolano davanti al naso degli elettori kosovari. Alcune sono ben oltre ogni reale capacità del paese nei prossimi quattro anni. Sebbene il dibattito economico in tempo di elezioni sia auspicabile e vada incoraggiato, sfortunatamente non vedo alcun approccio concreto alla questione”.

 

Kosovo, vacilla la strategia di Belgrado

 

 
   balcanicaucaso.org  di Dragan Janjić   20 novembre 2013
 
 

Mitrovica (foto © Livio Senigalliesi)

 

Alle recenti elezioni amministrative a Mitrovica nord,

la strategia di Belgrado per i comuni serbi del Kosovo

settentrionale mostra tutta la sua debolezza.

Praticamente scontata la graduale integrazione

dei serbi nel sistema istituzionale kosovaro

 

Il governo serbo ha investito grandi sforzi e risorse per motivare il maggior numero di serbi ad andare a votare alla ripetizione delle elezioni nella parte nord di Mitrovica, ma all’invito di Belgrado ha risposto meno di un quarto degli elettori. La lista “Srpska”, controllata da Belgrado, dovrà condividere il potere locale della città con l’Iniziativa civica SDP guidata da Oliver Ivanović, mentre sul sindaco si deciderà al ballottaggio tra Ivanović e Krstimir Pantić, candidato sostenuto da Belgrado.

La lista Sprska si era posizionata meglio negli altri comuni del Kosovo settentrionale, così come nei comuni del Kosovo centrale, dove l’affluenza ha superato il 40%. Tuttavia non è ancora chiaro dove riuscirà a governare da sola, e dove invece dovrà formare una coalizione coi partiti serbi che già collaborano con Pristina, e che li sostiene. Risposte definitive si potranno dare solo dopo il ballottaggio per i sindaci.

Le liste guidate da Pantić e Ivanović hanno ottenuto alla ripetizione delle elezioni a Mitrovica nord più del 50% dei voti, fugando così i timori di Belgrado che, a causa del boicottaggio di massa dei serbi radicali di Mitrovica, il sindaco potesse essere il rappresentante di uno dei partiti albanesi. La lista di Pantić ha preso il 36.8% di voti mentre quella di Ivanović il 28.35.

Al terzo posto c’è il candidato del Partito democratico del Kosovo Agim Deva col 20.2 percento, al quarto il candidato indipendente Adrijana Hodžić col 12.3% di voti (già capo dell’ufficio di Pristina a Mitrovica nord), e al quinto posto il candidato del Partito autonomo liberale (partito serbo che gode di buone relazioni con Pristina) Dimitrije Janjićijević con il 2.2% di voti.

Pantić al secondo turno può contare sull’aumento di voti solo se l’affluenza sarà superiore di quella di domenica scorsa nei tre collegi elettorali dove si sono ripetute le elezioni. Ivanović, invece, può ottenere anche i voti degli elettori degli altri candidati, compreso il Partito democratico del Kosovo. Per questo motivo Ivanović ritiene che il vantaggio di Pantić non sia così irraggiungibile.

 

La cornice di riferimento

 

Il relativo insuccesso alle elezioni nella parte nord di Mitrovica ha svelato tutta la debolezza della strategia di Belgrado nelle relazioni col Kosovo. Mitrovica, infatti, è stata pensata come una sorta di centro amministrativo dell’Associazione dei comuni serbi, parte integrante dell’Accordo di Bruxelles.  Questa comunità dovrebbe essere la cornice entro la quale i serbi del Kosovo realizzano i propri diritti e attraverso la quale mantengono le relazioni con Belgrado. Ciò comprende pure le pensioni, i benefit sociali e altri benefici forniti da Belgrado ai serbi del Kosovo.

Il potere di Belgrado continua a presentare questa strategia all’opinione pubblica del Kosovo e a quella della Serbia come un grande successo e come “vittoria dello stato serbo” in Kosovo, ma ora è evidente che la cornice di riferimento non è poi così solida. Perché era sufficiente il rischio che un candidato di un partito albanese diventasse sindaco di Mitrovica nord per far traballare l’intero impianto concettuale. Ma anche l’eventuale vittoria di Ivanović renderebbe a Belgrado più difficile mantenere il controllo sui serbi del Kosovo, Ivanović infatti non appartiene a nessuno dei partiti al governo in Serbia.

L’idea del Kosovo concepita dal governo serbo oltre un anno fa è il tentativo di controllare il danno politico creatosi indirettamente con l’accettazione di una sorta di ingerenza di Pristina su tutto il territorio del Kosovo. Belgrado da tempo non ha più il potere di impedire il consolidarsi dell’indipendenza kosovara, mentre l’Associazione dei comuni serbi prevista dall’accordo di Bruxelles viene trattata come una sorta di presenza dello stato serbo in Kosovo..

Questo sorta di quadro istituzionale è tale che la sua debolezza si manifesterebbe comunque nei prossimi anni, a prescindere dai risultati elettorali non confacenti alla parte serba. La Serbia non riconosce il Kosovo come stato indipendente, lo ritiene suo territorio e su questo territorio cerca di creare delle enclave che stiano sotto il suo potere decisionale. La maggior parte dei membri dell’UE e gli USA riconoscono il Kosovo e avranno comprensione per gli sforzi  di Pristina volti ad ottenere influenza sull’Associazione dei comuni serbi.

La Serbia non può nemmeno pensare di introdurre delle relazioni speciali con l’Associazione dei comuni serbi, come ha fatto con la Bosnia Erzegovina, creando un rapporto particolare con la Republika Srpska (RS). Il motivo, ovviamente, è che Belgrado riconosce la Bosnia Erzegovina, ma non il Kosovo, pertanto non può avere accordi interstatali.

 

Pristina

 

Il governo di Pristina, mediante i partiti serbi che lo appoggiano, influisce già sul lavoro dei comuni del Kosovo centrale, e dopo le elezioni al nord si è aperto un discreto spazio anche per rafforzare la sua influenza in questa area. Pristina è ben consapevole che il tempo gioca a suo favore e non ha interesse di battersi per abolire l’Associazione dei comuni serbi e rischiare così di essere accusata di violare l’Accordo di Bruxelles. Il governo del Kosovo, a quanto pare, è intenzionato ad aumentare la sua influenza all’interno di tale comunità, cercando di vincolare il più possibile a sé i serbi.

Pristina certamente saprà sfruttare il fatto che in futuro tutte le donazioni provenienti da Belgrado per i serbi del Kosovo dovranno passare dai conti di Pristina. Questo, naturalmente, non potrà impedire alla Serbia di pagare le pensioni e i benefici sociali alla popolazione serba, ma l’intera procedura diventerà più trasparente e soggetta ai controlli di entrambe le parti. Il governo del Kosovo cercherà di assicurare denaro e progetti per i comuni serbi, per poter così rafforzare le strutture in quei comuni che già lo sostengono.

Si potrebbe, dunque, dire che l’insuccesso di Belgrado nel cercare di garantire una vittoria convincente della sua lista e dei suoi candidati nei comuni serbi in Kosovo ha soltanto accelerato gli eventi. Prima del previsto, si sono aperte diverse opzioni che sottintendono anche l’appoggio dei comuni serbi al governo di Pristina. Considerando il reale rapporto di forze, ci si può aspettare che il grado d’integrazione dei serbi nel sistema istituzionale kosovaro aumenti gradualmente.