Scozia

 In Scozia cresce il fronte indipendentista

 

 

  Internazionale - 2 settembre 2014


Sostenitori dell’indipendenza scozzese prima di un discorso del premier britannico David Cameron a Glasgow, in Scozia, il 28 agosto 2014. (Jeff J Mitchell, Getty Images)

 

Il 18 settembre 2014 quattro milioni di scozzesi andranno alle urne per rispondere alla domanda: “La Scozia deve diventare un paese indipendente?”.

Indetto dal governo di Edimburgo in seguito a un accordo tra il primo ministro scozzese Alex Salmond e il premier britannico David Cameron, e partito un po’ in sordina, il referendum sembra aver conquistato i cuori degli highlander: se all’inizio il campo del no dominava con il 61 per cento delle preferenze contro il 39 per cento degli indipendentisti, secondo gli ultimi sondaggi il sì ha guadagnato terreno, arrivando al 47 per cento.

 

Dopo 307 anni sotto la corona britannica gli scozzesi potrebbero abbandonare il Regno Unito. Ma secondo YouGov, anche se il divario tra gli elettori si sta rapidamente accorciando, è improbabile che possa vincere il sì.

 

All’inizio di agosto, durante un dibattito tv, il premier scozzese Alex Salmond si è trovato in difficoltà a convincere gli elettori che una vittoria del sì non porterebbe un problema di valuta. Londra, infatti, potrebbe rifiutare di condividere la sterlina. In questo caso la Scozia dovrebbe proporre al Regno Unito un’unione monetaria, oppure inventarsi una valuta ex novo. E non è chiaro, al momento, quale sia l’opzione che Salmond intenderebbe percorrere.

 

Un altro tema delicato è rappresentato dallo stato sociale, in particolare il servizio sanitario. In caso di vittoria del sì, i separatisti propongono una sanità pubblica, garantita dalla costituzione e salvata dalla privatizzazione prevista da Westminster. Ma secondo l’opposizione questo sistema non sarebbe sostenibile e ogni promessa in questo senso non potrebbe essere mantenuta.