Burundi

 

 

Burundi: prove generali per un nuovo genocidio?

 

 

   unimondo.org  di Miriam Rossi  -  6 Maggio 2014

 

3 aprile 2014: telegramma in arrivo al Palazzo di Vetro di New York con oggetto “Report dell’avvenuta distribuzione di armi alla Imbonerakure”. Inviato dall’Ufficio dell’ONU in Burundi, il documento, pur classificato come confidenziale, solo pochi giorni dopo è stato battuto da alcune agenzie di stampa che hanno fiutato la gravità dell’avvisaglia. Secondo le fonti ONU, i giovani burundesi di una milizia chiamata “Imbonerakure” e affiliata al CNDD-FDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia - Forza per la Difesa della Democrazia), il partito del presidente in carica Pierre Nkurunziza, avrebbero ricevuto armi e divise militari in gennaio e febbraio del corrente anno. L’evento avrebbe acuito il clima estremamente teso precedente le elezioni del 2015 in cui lo stesso Nkurunziza vorrebbe presentarsi per il terzo mandato, violando in tal modo la Costituzione del Paese. Prescindendo dall’evidenza che gli Imbonerakure sono organizzati sul modello della tristemente nota milizia ruandese Interahamwe, artefice del genocidio 1994, le allarmanti note dell’ONU sono giustificate anche dai recenti sviluppi politici del Burundi, incluse le continue restrizioni alla stampa, alle libertà di espressione, di associazione e di riunione che hanno colpito partiti, media e organizzazioni della società civile.

In una situazione individuata dunque come una potenziale minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, si sono succedute in rapida sequenza l’appello alla pace (e al contempo il monito) dell’8 aprile del Consiglio di Sicurezza e l’11 aprile la relazione del Consigliere speciale del Segretario Generale dell’ONU per la prevenzione del genocidio, Adama Dieng, che hanno invitato il governo del Burundi a porre fine alla spirale di violenza in cui Paese sembra essere precipitato. “Alla luce del recente passato del Burundi, crediamo che il governo del Paese dovrebbe immediatamente occuparsi dell’escalation di violenza politica e della restrizione alla tutela dei diritti umani”, ha dichiarato il portavoce dell’ONU Stéphane Dujarric. Dall’inizio dell’anno sono ben 27 i casi di violenze politiche contro l’opposizione documentati dall’ONU, che ha segnalato peraltro che “gli Imbonerakure agiscono in collusione con le autorità locali e in totale impunità. All’interno del Paese hanno sostituito le normali forze dell’ordine, creando una milizia che assume i poteri di polizia e magistratura”. Se le recenti informazioni diffuse rivelano una complessa rete di distribuzione di armi e di comando esistenti in tutto il territorio nazionale, altrettanta preoccupazione suscitano le parole del rapporto ONU allorché si denuncia “che i messaggi di odio etnico rivolti alla popolazione e azioni di coordinamento di massacri per i miliziani sono già pronti per essere trasmessi attraverso una radio privata”. Proprio come fece Radio Mille Collines prima e durante il genocidio del Rwanda del 1994 invitando a uccidere gli “scarafaggi” tutsi.

Un altro preoccupante elemento contribuisce ad acuire i timori della comunità internazionale. A pochi giorni dal ventennale di quella furia genocidaria che nel solo Rwanda in appena 100 giorni fece più di 800 mila morti all'arma bianca, ma le cui dinamiche di odio etnico tra hutu e tutsi furono replicate anche in Burundi nella lunga guerra civile che dal 1993 al 2003 insanguinò il Paese, non poteva non creare un certo allarme la scoperta di un network terroristico intenzionato ad assassinare il presidente (tutsi) del Rwanda Paul Kagame e ad avviare un secondo (e risolutivo) genocidio dei tutsi. La cosiddetta “Operazione Umudendezo” (“Operazione Libertà”) sarebbe stata ideata e messa in atto in stretta collaborazione con il Congresso Nazionale Rwandese (partito “Hutu Power” in esilio in Sudafrica) e con il gruppo terroristico rwandese “Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda” (FDLR), operante nell’est della Repubblica Democratica del Congo e formato proprio dagli autori del genocidio del 1994. Le cellule genocidarie che il piano mirava a istituire avrebbero avuto il compito di creare un fronte interno al momento dell’invasione dei miliziani rwandesi hutu delle FDLR, circa 10.000 uomini dal Congo e 2.000 dalla Tanzania. Le cellule dormienti, addestrate e armate, sarebbero entrate “in servizio” con l’assassinio di Kagame, al momento dell’invasione del gruppo terroristico FDLR in vista del genocidio totale dei tutsi.

Lo smantellamento (forse solo parziale) del piano terroristico in Rwanda, secondo alcuni analisti potrebbe indurre a un aumento delle tensioni sociali interne al Paese nonché a una intensificazione del controllo poliziesco sulla popolazione hutu. Di certo il fatto che lo sventato tentativo di complotto sia contestuale ai preparativi di un genocidio della popolazione tutsi in Burundi denunciati dall’ONU potrebbe suggerire uno scenario ben più complesso, in cui l’odio etnico sarebbe una componente di ampie mire geostrategiche che da sempre rendono particolarmente fragile la situazione socio-politica del territorio dei Grandi Laghi. Che il riarmo burundese sia da interpretare come un tentativo di difesa dinanzi alle intenzioni rwandesi di espandersi ben oltre i propri confini verso la regione del Kivu, nella ricca zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, oggetto delle più fervide brame di attori statali tanto africani quanto estranei al continente, come di industriali e multinazionali? Se così fosse, ci si potrebbe immaginare uno sconfinamento dell’“esercito più forte del mondo”, come definito dallo stesso Kagame, dal Rwanda al Burundi con l'appoggio dell'Uganda. Con la scusa di stoppare un genocidio, la comunità internazionale, incapace di reagire in tempi ristretti e tradizionalmente non interventista, non potrà che avallare l'intervento armato.

Si verrà quindi a creare un paradosso. Le milizie Imbonerakure e coloro che vogliono la morte di Paul Kagame saranno funzionali all'espansione dello stesso nella Regione dei Grandi Laghi: a sud verso il Burundi al fine, poi, di avere accesso diretto a Bukavu e al sud del Kivu in Congo e alle sue miniere.

Ipotesi oggi tutte da esplorare dinanzi all’evoluzione degli eventi. Per il momento però sono riapparsi dal passato i fantasmi mai svaniti dell’odio etnico, casualmente in coincidenza con l’inaugurazione in Burundi a metà di aprile del percorso della Commissione verità e riconciliazione.

Due anni fa Unimondo inviò Fabio Pipinato a curare un reportage in Burundi, il cui governo nel solo 2011era stato accusato di più di 61 violazioni dei diritti umani . La questione, quindi, non è di questi mesi ma di questi anni. E in questi giorni non smetteremo di informarvi.