ITALIA

 Greta e Vanessa libere.

Attenzione all’ipocrisia dei media

 

 

oltremedianews.it  BY DANIELE CARDETTA  -  ON 16 GENNAIO 2015 AT 18:02

 

Le due volontarie italiane rapite in Siria sono state liberate. Tutti felici anche se scoppiano le polemiche riguardo al riscatto che le autorità italiane avrebbero pagato agli estremisti islamici. Ma i media europei, nel mitizzare la rivolta anti-Assad, non hanno avuto una parte in tutto questo?

 

Non è questo il tempo per speculare dal momento che Greta e Vanessa sono ritornate a casa e questa sicuramente è la cosa più importante. Si trattava di due ragazze volontarie che i media ci dicono essere andate in Siria in una missione umanitaria, per poi venire sequestrate ad Aleppo da un gruppo jihadista vicino ad Al-Nusra. Fortunatamente stanno bene anche se sono subito cominciate le polemiche circa un presunto riscatto da 12 milioni di euro che sarebbe stato pagato per la loro liberazione. A differenza di come la possa pensare Salvini, sicuramente l’Italia ha fatto bene a tutelare due suoi cittadini ma crediamo che qualcuno debba farsi un esame di coscienza, sicuramente i nostri media, dal momento che sin dal 2011 hanno raccontato i fatti in Siria in modo assolutamente parziale.

 

I media hanno infatti raccontato la guerra civile siriana come una lotta del bene contro il male dove il “bene” veniva incarnato dai ribelli e il “male” dall’esercito e dai sostenitori del governo di Assad. Peccato che il fronte dei cosiddetti ribelli sia finito in mano ben presto a jihadisti estremisti ben lontani da quei ragazzi assetati di democrazia e libertà che ci raccontavano i quotidiani, ma i nostri media non hanno cambiato il loro approccio, continuando con la visione manichea del conflitto. Questo modo di fare informazione ha per forza di cose veicolato un’idea di quello che accadeva in Siria non propriamente aderente a quello che accadeva sul campo.

 

Non abbiamo sicuramente elementi per parlare di Greta e Vanessa, e non lo faremo, forse sarebbero andate ugualmente in Siria anche se i nostri media fossero stati oggettivi, questo non possiamo saperlo, però quello che possiamo fare è suonare un campanello d’allarme, è ricordare che i media hanno una grande responsabilità e dovrebbero raccontare i fatti piuttosto che interpretarli al posto del pubblico. Il rischio è quello di determinare confusione, di non permettere una corretta comprensione di quanto succede, ponendo le premesse per disastri veri e propri.

 

Bentornate dunque, Greta e Vanessa, ma che la loro liberazione serva a chi per troppo tempo non ha voluto raccontare verità scomode, a farsi un esame di coscienza. Per quanto riguarda invece la polemica del costo del riscatto la lasciamo volentieri a personaggi come Salvini. La vita umana vale più di qualsiasi cosa e quindi non ci sembra il caso di criticare le autorità per questo, semmai la speranza è che in futuro vengano dati ai cittadini gli strumenti adatti a comprendere effettivamente quello che succede nel mondo, almeno in quel caso avranno preso scelte consapevoli.

Amartya Sen: perchè tolleriamo le diseguaglianze?

 

 oltremedianews.com  di Fabrizio Leone   22 giugno 2014

 

ImmagineIn un recente articolo sul magazine britannico Prospect, il premio Nobel Sen parla delle disuguaglianze nella sua India: difficile individuarne le cause, ma ancora più arduo risulta capire come possano essere tollerate. “E’ l’irragionevolezza, non la natura umana, a farci chiudere gli occhi davanti l’imbarazzante questione della povertà”. 

"[…] Sono stato abituato a considerare la povertà come un fatto naturale nella vita di un uomo sin da quando avevo nove anni. Venivo da una famiglia del ceto medio: non troppo povera da poter essere paragonata agli indigenti, ma nemmeno nelle condizioni di offrire più che un semplice piatto di riso a chi bussava alla nostra porta. Mi ricordo di una volta in cui ho offerto una banana ad una ragazza con molti figli smunti ed emaciati attorno. Dopo aver sbucciato il frutto lo addentò istintivamente senza offrirlo ai suoi bambini, ma dopo essersi resa conto di ciò che aveva fatto scoppiò a piangere e guardandomi confusa disse: “non siamo più esseri umani, i nostri istinti sono peggiori di quelli animali” .

“La povertà non è insopportabile non solo perché rende le nostre vite precarie e insicure, ma anche perché l’indigenza estrema ci priva dei normali sentimenti umani. Dunque perché tolleriamo la povertà?” E’ questo il grande interrogativo che si pone l’economista indiano  Amartya Sen in un recente articolo per la rivista inglese Prospect. Attento e acuto come sempre sui fattori umani e sociali della scienza economica, Sen osserva che “l’incidenza della povertà varia a seconda dei Paesi, ma nessuno Stato è avulso da questa piaga. Come è possibile che le persone più o meno benestanti riescano a scendere a patti con la orripilante sofferenza di chi si trova sotto di loro?”.

Amartya Sen considera tre spiegazioni possibili:

  • La disinformazione delle persone;
  • Il realismo pessimista di chi pensa che le disuguaglianze non possano essere rimosse;
  • L’egoismo di chi vede l’uomo come un animale egocentrico attento solo al proprio benessere.

La decadenza economica indiana, dice l’economista, è iniziata attorno agli anni ’50 del secolo scorso a causa del dominio britannico sulla penisola, che avrebbe riportato alcune zone del Paese indietro di molti secoli in termini di reddito pro capite. Tuttavia accanto a tali situazioni povertà estrema convive una classe medio-borghese probabilmente non benestante come i colleghi d’occidente, ma sicuramente abbastanza da potersi garantire uno standard di vita dignitoso.

 

Tuttavia concentrandosi solo sulla distribuzione dei redditi privati non si coglie appieno il dramma dei poveri: l’India è infatti tra i paesi che spende meno per i servizi sociali e questo acuisce e rinforza le disuguaglianze tra i ceti. Tale fattore sembra pesare sull’incidenza della povertà persino più delle tanto odiate classi. Lo stato del Kerala (noto alla cronaca italiana per la vicenda dei marò) è una delle zone più integraliste dal punto di vista della divisione classista, ma il tenore medio della povertà è tra i più bassi dell’India grazie a servizi sociali e spesa pubblica di buon livello. “Appare dunque sufficientemente chiaro che il sistema delle caste incide in modo molto diverso sulla distribuzione dei redditi in base al quadro politico della zona”, arguisce il premio Nobel. Sarebbe interessante sapere quanto le caste pesino invece sul  benessere in termini di fattori non sintetizzabili tramite qualche indicatore economico (felicità, aspettative, prospettive di miglioramento sociale), ma Sen rimanda il problema ad altre sedi.

La considerazione centrale che emerge dalle sue parole è la stretta relazione tra crescita economica e social capabilities, che in italiano può essere reso come “attitudine storica e culturale di una società”: una maggiore spesa statale sarebbe in grado di favorire lo sviluppo del capitale umano, migliorare le condizioni di vita tramite un’adeguata redistribuzione dei redditi e aumentare la produttività di lavoratori che, altrimenti, stentano a mantenersi in piedi sul posto di lavoro a causa della denutrizione. A dire il vero questa visione era stata abbracciata dai pionieri dello sviluppo industriale indiano degli anni ’50, ma le politiche governative hanno disincentivato e osteggiato questa strada.

In qualche modo ciò toglie legittimità alla seconda spiegazione avanzata, cioè quella dell’ineluttabilità della disuguaglianza, e allo stesso tempo liquida severamente l’idea della natura intrinsecamente egoista dell’uomo. “Chi crede nell’egoismo come motore delle nostre società si è limitato a leggere solo poche frasi degli scritti di Adam Smith, ignorando il resto della trattazione e la complessità teorica suggerita dal filosofo scozzese”.  

La conclusione secca e lapidaria del filosofo lascia poco spazio agli indugi: “se la tolleranza dell’intollerabile deriva in ultima istanza dalla disinformazione piuttosto che dall’egoismo umano, allora possiamo permetterci di tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia capiamo bene che c’è ancora molto da lavorare”.

Se risulta difficile fare previsioni per l’India, non possiamo ignorare che solo pochi giorni fa il Censis ha stimato che i 10 italiani più ricchi guadagnano come 500.000 famiglie operaie. Ora che abbiamo la consapevolezza, speriamo si abbia l’onestà di mettersi al lavoro. 

 India: branco stupra due ragazzine e le impicca

 

Erano cugine di 14 e 15 anni,

fra gli imputati anche due agenti

 

  Ansa - 29 maggio 2014

 

Due cugine adolescenti indiane 'dalit' (senza casta) di 14 e 15 anni sono state violentate nelle ultime ore da una banda di balordi in un villaggio dell'Uttar Pradesh (India nord-orientale) e poi impiccate ad un albero di mango. Lo riferiscono i media indiani sottolineando che 7 persone, fra cui due agenti, sono state arrestate.

 

In particolare l'agenzia di stampa Pti scrive che l'attacco e' avvenuto nel villaggio di Katra e che le due ragazzine vivevano nella stessa casa da cui sono misteriosamente scomparse ieri sera. Gli abitanti del villaggio hanno allora avviato una caccia all'uomo per trovare le tracce delle due ragazze ma purtroppo, indica l'agenzia, sono arrivati solo in tempo per scoprire i cadaveri che pendevano da un mango nell'area di Ushait. All'inizio la polizia e' sembrata restia a registrare la denuncia della scomparsa, ma poi per la pressione popolare e' stata costretta a farlo. Una rapida indagine ha permesso di ricostruire la storia, confermando il rapimento, lo stupro collettivo e la denuncia di sette persone, fra cui due agenti di polizia, Sarvesh Yadav e Rakshapal Yadav. Uno degli accusati e' stato arrestato, ma molti altri sono latitanti. La popolazione ha bloccato per qualche ora la strada Ushait-Lilawan attraverso cui i due cadaveri dovevano transitare verso l'obitorio, poi la situazione si e' calmata e il traffico e' stato ripristinato.

 

L’India si tinge di arancione, il potere a NaMo

 

 

   unimondo.org  di Francesca Rosso  -  21 maggio 2014

I quattro principali partiti indiani Foto: malayaleevision.com

TsuNaMo” è il titolo dello speciale elezioni indiane dell’Hindustan Times. Ed è proprio così: un’onda di successo travolgente per NaMo, Narendra Modi, il leader nazionalista del Bharatiya Janata Party (BJP) che ha conquistato la maggioranza assoluta con 282 seggi, più dei 272 seggi necessari su 543.

Non succedeva da 30 anni che un partito riuscisse a conquistare da solo la maggioranza parlamentare: da quando il Partito del Congresso della dinastia Gandhi, oggi spazzato via con meno di 50 poltrone in Parlamento, ottenne 400 seggi sull’onda emotiva dell’assassinio di Indira. Sono state le più lunghe elezioni nella storia del Paese, dal 7 aprile al 12 maggio. E, quelle con la partecipazione record di 551 milioni di votanti, pari al 66,38% dell’elettorato.

Una voce stentorea, una campagna martellante sostenuta dai gruppi industriali finanziari che vogliono un governo forte e stabile: NaMo ha conquistato le folle in una campagna costosissima, 457 comizi e 300 mila chilometri percorsi soprattutto in elicottero. Il fior di loto e il color zafferano, simbolo del nazionalismo hindu militante. 

 

Ex commerciante di tè, 63 anni, NaMo è una figura che divide, soprattutto dopo le stragi di musulmani in Gujarat del 2002, quando era governatore di quello Stato, che gli costarono gli attacchi del Congresso e il rifiuto del visto negli Stati Uniti.

Mentre Modi trionfa, il Partito del Congresso, guidato da 4 generazioni dalla famiglia Gandhi, accetta la sconfitta. Il figlio di Sonia Ghandi (moglie di Rajiv, nuora di Indira che poi era la figlia di Nehru, il primo premier dell’India indipendente), Rahul, non è certo un leader carismatico, sembra chiedersi “che ci faccio io qui?” persino sui manifesti elettorali. Infatti la base sembra preferire Priyanka, la sorella minore, dotata di iniziativa e ottima oratoria. Ha dichiarato il portavoce del Congresso: “Modi ha promesso la luna e le stelle al popolo. E il popolo ha comprato un sogno”.

 

Ed ecco i dettagli del sogno che Modi vuole condividere con un miliardo e duecento milioni di indiani: città moderne ed efficienti, treni superveloci, agevolazioni fiscali per gli imprenditori, snellimento della burocrazia, edilizia, fabbriche, miniere che preoccupano gli ambientalisti.

Questi gli obiettivi del “Modi rally” per i prossimi 5 anni: crescita del PIL dell’8-9% come prima del 2008 (negli ultimi anni è stato del 5%), freno all’inflazione e creare occupazione per i giovani (l’età media degli indiani è di 27 anni) sono i suoi obiettivi. Tra il 2010 e il 2012 l’occupazione è cresciuta solo di due milioni, mentre nei primi 5 anni del millennio di 8 milioni. Insomma priorità all’economia.

 

L’India è al 134esimo posto nella classifica dei Paesi in cui è facile aprire un business secondo la Banca Mondiale. Bisogna snellire la burocrazia e ricapitalizzare il sistema bancario attraverso il risparmio per attirare investimenti. Anche l’agricoltura merita attenzione: sono troppi gli sprechi di cibo dalla fattoria al piatto.

 

“Ci vorranno 10 anni, non troppo - ha detto il leader del BJP – per strappare a Cina e USA la palma di potenza mondiale”.

 

Oggi, 21 maggio, è il giorno del giuramento. Modi è già andato a Varanasi, la città santa degli induisti, per una preghiera e la benedizione sulle rive del Gange.

Il prossimo Lok Sabha (Camera bassa) del Parlamento indiano stabilirà un record perché avrà fra i suoi membri 61 donne, il numero più alto da quando si è cominciato a votare nel 1952. La presenza di deputati musulmani sarà, invece, la più bassa della storia: solo 24 contro i 30 presenti nella legislatura precedente, il 4,4% della forza della Camera. Fra voglia di futuro e spettri di intolleranza, riuscirà NaMo a conciliare le contraddizioni del Paese?

 

Mumbai, ogni giorno un’odissea

 

 

 

Una gigantesca nuvola di smog, rumore assordante, ingorghi eterni, auto e moto in ogni direzione e rikshaw che sembra ti prendano di mira per poi svoltare all'ultimo minuto. Oltre a salti e sobbalzi su un manto stradale patchwork e aria assolutamente irrespirabile, satura di CO2 e particelle sottili che tanto sottili non sono. Muoversi per le strade di Mumbai è un'esperienza scioccante.

I suoi 17 milioni di abitanti si spostano ogni giorno per andare e lavorare o a scuola o per altre necessità. Al mattino il traffico scivola verso sud e la sera torna a nord in un intricato e confuso sistema stradale in cui tutti hanno fretta, tutti suonano il clacson continuamente e tutti rimangono ore intrappolati in strade a 3 corsie, con i semafori spesso poco rispettati e i pedoni che si buttano fra un'auto e l'altra.

I numeri sono impressionanti. Di tutti i mezzi il preferito dai mumbaikar è il treno: sono almeno 7 milioni a sceglierlo ogni giorno. Economico (con 10 rupie, poco più di un centesimo di euro), permette di attraversare la città evitando il traffico. Le carrozze sono strapiene, si viaggia con la porta aperta e le donne hanno le vagoni riservati a loro, prima e seconda, per non essere molestate o pigiate fra i maschi.

Spostandoci sulla strada si trovano i bus della rete BEST (Brihanmumbai Electric Supply and Transport) con ben 300 linee. Il biglietto costa a seconda della tratta (dalle 10 rupie in su). Sono molto frequenti, ma nonostante tutto, sempre strapieni. Per salire e scendere bisogna essere piuttosto atletici. Lo scalino è altissimo: 65 mm. ma “non possiamo abbassarlo per via delle pessime condizioni delle strade” fanno sapere dall'ufficio stampa. In più la pausa alle fermate è ridotta all'osso e a volte non c'è proprio, bisogna salire o scendere in corsa.

Poi ci sono 42.000 taxi gialli e neri, a volte auto scassatissime, spesso con volanti e interni rivestiti con ogni sorta di tessuto colorato, moquette, plastica, velluto. Il costo minimo è di 19 rupie per pochi minuti. Fuori dagli alberghi i tassisti provano a trattare mentre bisogna sempre chiedere che attivino il tassametro. E ancora ci sono gli autorickshaw (minimo 15 rupie), spesso chiamati solo rick, specie di apecar a tre ruote con tre posti dietro (ma spesso ci viaggiano il doppio delle persone), veloci e scattosi, si intrufolano fra un auto e l'altra solo nelle zone nord, nella parte a sud non sono ammessi. Sono circa 100.000 ma stanno velocemente aumentando.

Spesso gli autisti non hanno idea di quale sia la meta e accompagnano il turista o il mumbaita in gite per la città chiedendo indicazioni a negozianti e passanti.

A tutto questo si aggiungono i camion che trasportano merci, furgoni e furgoncini, auto private, moto e bici. Tutti nervosetti e pronti a farsi sentire con clacson. Su quasi ogni auto c'è scritto “Please, horn” (per favore suona). Le signore e le ragazze spesso indossano la dupatta, la stola, come mascherina e anche gli uomini usano spesso fazzoletti per proteggere le vie respiratorie. Poi tutti, di tanto in tanto fanno un gesto che nelle nostre culture è reputato non elegante, ma qui è perfettamente normale: scatarrano. Gli autisti di rickshaw si sporgono di lato, quelli di taxi e auto, aprono la portiera.

Quasi tutti hanno un Ganesh, la divinità con testa a forma di elefante che rimuove gli ostacoli, o un crocefisso o un qualche altro simbolo religioso sul cruscotto.

Il traffico continua anche di notte, senza sosta, solo con qualche cambio di velocità. Mumbai non si ferma mai: le fabbriche, l'industria del cinema, la vita brulica anche di notte e al mattino alle 5 c'è già gente che prega, pulisce, corre, si sposta cercando di crearsi un futuro migliore.

Difficile trovare soluzioni: il movimento della più grande megalopoli del mondo non finisce mai.