CROAZIA

La Croazia ha eletto la sua prima presidente

 

 

 

balcanicaucaso.org  Drago Hedl | Osijek   -   12 gennaio 2015

La Croazia ha eletto la sua prima presidente

Kolinda Grabar Kitarović - Wikipedia


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo il primo turno di due settimane fa non è più una sorpresa. La Croazia guarda a centro-destra ed elegge Kolinda Grabar Kitarović, esponente dell'Hdz. Sconfitto Ivo Josipović, vittima dei fallimenti del governo Milanović e del fuoco amico.

 

Kolinda Grabar Kitarović è la nuova presidente della Croazia, vincitrice di una tornata elettorale unica in molti suoi aspetti. Per la prima volta a capo della Croazia vi sarà una donna; per la prima volta il presidente in carica non ha ottenuto un secondo mandato; per la prima volta dalle urne è uscito un risultato equilibrato e molto ravvicinato, che ha diviso il paese nettamente in destra e sinistra; infine per la prima volta a stabilire chi guiderà il paese per i prossimi cinque anni sono stati i voti all'estero, quelli della diaspora croata.

 

Nella notte del trionfo, Kolinda Grabar Kitarović, candidata dell'Unione democratica croata (HDZ) ha annunciato che la Croazia, sotto la sua guida, apparterrà ai paesi più sviluppati dell'Unione europea e del mondo e che loro, l'HDZ, saranno quelli che faranno uscire il paese dalla crisi.

Ivo Josipović ha riconosciuto la sconfitta, si è congratulato con la vincitrice ed ha dichiarato che la differenza è certo minima, ma che è “l’essenza della democrazia che chi prende più voti vince”.

 

La differenza a dire il vero è più che risicata: Kolinda Grabar Kitarović ha ottenuto il 50,74% di voti, Ivo Josipović il 49,26%. Misurato in schede elettorali, il vantaggio della vincitrice è poco superiore ai 32.000 voti. Massiccia l’affluenza: 59.06%, ciò significa che alle elezioni si sono recati più di 2.2 milioni di cittadini.

 

Poche settimane prima del primo turno elettorale, tenutosi il 28 dicembre 2014, sembrava che per Ivo Josipović sarebbe stata una passeggiata. I sondaggi gli assegnavano un grande vantaggio, e per tutto il periodo del suo mandato quinquennale è sempre stato il politico più popolare della Croazia. Dopo il primo turno elettorale, dove si è imposto sulla Grabar Kitarović solo di misura per poco di più di quanto ha perso adesso (38,46 contro il 37,22, mentre gli altri due candidati Sinčić e Kujundžić hanno ottenuto il 16,42% e il 6,30%) era apparso chiaro che il secondo turno sarebbe stato del tutto incerto.

 

Kolinda Grabar Kitarović, anche se poteva contare sul suo charme, la relativa moderazione nelle uscite in pubblico e nelle dichiarazioni che la maggior parte dei cittadini, stanchi dall’annosa crisi, desiderava sentire, in effetti, a differenza di Josipović, ha avuto dietro di sé la forte, diremmo semi-militare, organizzazione del partito HDZ, senza la quale difficilmente avrebbe vinto le elezioni.

 

Ma più di tutto è stata aiutata dall'incapacità del governo di Zoran Milanović, leader del Partito socialdemocratico (SDP), che ha appoggiato la candidatura di Josipović. Senza esagerare si potrebbe dire che Josipović è una vittima collaterale di Milanović.

 

Grabar Kitarović dal canto suo, ha dimostrato una maggiore motivazione e desiderio di vincere. Nonostante avesse perso il primo turno, si è poi comportata da vincitrice. Ha saggiamente sfruttato lo slancio del primo turno quando in pochi si aspettavano un esito così risicato e sulle ali di quel risultato, al secondo turno, ha spiccato il volo verso la vittoria. Josipović, era evidente, dopo il primo turno ha agito in modo incerto e preoccupato, mentre il suo programma elettorale – modifiche della Costituzione come presupposto per uscire dalla crisi – per la maggior parte dei cittadini non era sufficientemente attraente, e per molti persino incomprensibile.

 

Autogol Sdp

 

E mentre dietro Kolinda Grabar Kitarović c'era saldamente l'HDZ, organizzato in modo tale che nessuna mossa falsa sarebbe potuta accadere, a Josipović i suoi hanno rifilato numerosi autogol. Dopo il primo turno e le elezioni presidenziali che si prospettavano come le più incerte della storia del paese era chiaro a tutti che il 16% dei voti che aveva ottenuto il fino ad allora sconosciuto Ivan Sinčić, sarebbero potuti essere un ottimo bottino per Josipović al secondo turno. Ma una ministra dell'SDP ha messo in difficoltà il presidente: se l'è presa duramente con Sinčić, causando la rivolta dei suoi 300mila elettori.

 

Ma una rivolta ancora maggiore, di quegli elettori perlopiù giovani che hanno votato per Sinčić, comunque più vicini a Josipović che non alla Grabar Kitarović, l'ha causata il suo arresto, a soli tre giorni dal secondo turno elettorale. Sinčić infatti, insieme alla sua associazione Živi zid, ha cercato di impedire lo sfratto da un appartamento di un cittadino (cosa che come attivista ha sempre fatto, stando dalla parte di chi è socialmente minacciato), e la polizia lo ha arrestato. Il minoistro dell'Interno è dell'SDP, partito che ha appoggiato Josipović. Cosa che ha fatto inalberare ulteriormente gli elettori di Sinčić.  Risultato: 60.000 schede nulle alle elezioni. Si presuppone che siano perlopiù degli elettori di Sinčić che li ha invitati a segnare il suo nome sulle schede elettorali così da renderle nulle.

 

Diaspora?

 

Un'altra caratteristica di queste elezioni - insieme con la netta divisione ideologica della Croazia - avrà ripercussioni sulla vita politica croata: si tratta dei voti della diaspora (la più consistente è sicuramente quella della Bosnia Erzegovina), che ha di fatto determinato l'esito della tornata elettorale. Kolinda Grabar Kitarović ha infatti ottenuto circa 32.000 voti in più di Josipović. Ma addirittura 33.000 sono i voti arrivati dalla diaspora.

 

Il dato è comunque relativo ma si presta ad essere interpretato affermando che sono stati i cittadini croati all'estero e non quelli residenti in Croazia, a decidere chi sarà alla guida del paese. Occorre comunque tener conto che allo stesso tempo Josipović, a differenza di cinque anni fa quando fu eletto presidente, nella sola Zagabria ha ottenuto 50.000 voti in meno. Dinamica simile si è verificata anche in altre città del paese e ciò conferma la tesi che l'insuccesso del governo Milanović (coalizione di centro-sinistra guidata dall'SDP) è stata una zavorra troppo pesante legata al collo del presidente uscente.

 

Ora che l'HDZ ha ottenuto la sua presidente e che il partito ha ribadito la sua forza, è molto probabile che sulle ali del trionfo - euforicamente festeggiato durante la notte elettorale - si lanci alla distruzione del governo di Zoran Milanović. Le elezioni parlamentari regolari dovrebbero tenersi alla fine di questo o al massimo all'inizio del prossimo anno. Aspetterà l'HDZ un altro anno? Oppure il trionfo delle elezioni presidenziali, finché il pallone della vittoria è ancora gonfio, sarà motivo per chiedere elezioni anticipate?

 

Tutto è possibile. La vittoria di Grabar Kitarović, benché minima, ha mostrato l'umore dei cittadini e il desiderio di cambiamento. Combineranno questo desiderio con manifestazioni di piazza? Tutto è possibile.

 

Il detonatore di questa insoddisfazione di sicuro non manca: dalle manifestazioni dei veterani che già da tre mesi, accampati sotto una tenda nel centro di Zagabria, chiedono le dimissioni del governo, al fiume di disoccupati, perlopiù giovani che da anni cercano un posto di lavoro, socialmente vulnerabili e che, per poter sopravvivere, frugano nei cassonetti della spazzatura, fino a quelli che lavorano ma non ricevono lo stipendio o il cui stipendio è così basso che non è sufficiente per vivere dignitosamente.

 

La Croazia, dopo le elezioni presidenziali entra in un interessante fase, in cui sono possibili vari scenari.

Zagabria un anno dopo l'ingresso nell'UE

 

 

balcanicaucaso.org di Drago Hedl | Osijek  - 21 luglio 2014

 

Zagabria un anno dopo l’ingresso nell’UE

 

Per usare una metafora calcistica, con la membership europea l’UE ha fatto un passaggio alla Croazia in area di rigore, spetta però a quest’ultima concretizzare l’azione e andare in rete. Gol che però ancora non si è visto. L’analisi della situazione croata un anno dopo l’ingresso nell’Unione

Pochi cittadini croati credevano che svegliandosi il 1° luglio 2013 in Unione europea sarebbero stati in paradiso. Ma, probabilmente erano ancora meno quelli sicuri che, un anno dopo l’ingresso nell’Unione, in Croazia si sarebbe vissuto, seppur di pochissimo, un po’ meglio. Un anno dopo l’ingresso nell’UE, pare che abbiano ragione quelli che ritenevano l’ingresso della Croazia nell’Unione una grossa possibilità, come un bel passaggio nell’area di rigore, ma spetta alla Croazia  saper sfruttare la possibilità del gol.

 

Tutti concordano sul fatto che negli ultimi 365 giorni il gol non c’è stato. Così la pensa anche Marko, 29-enne di Osijek che cinque anni fa ha finito gli studi di sociologia e da allora, senza successo, sta cercando lavoro. Parla due lingue, inglese e tedesco, e oltre ad alcuni lavoretti saltuari (distribuzione di volantini pubblicitari, parcheggiatore, cameriere in pizzeria), non ha mai trovato il lavoro per cui ha studiato. Ha risposto a una cinquantina di concorsi ed è sempre stato respinto.

 

“Mi è chiaro che in Unione non posso aspettarmi il lavoro per cui ho studiato, ma se sono destinato a lavorare come cameriere o taxista, allora è meglio che lo faccia in Germania o in Francia. Lì almeno guadagnerò di più”- ragiona Marko.

 

Il problema, però, è che la maggior parte dei paesi UE ha limitato l’assunzione di cittadini croati, così sempre più giovani  in cerca di lavoro parte per altre e più lontane destinazioni: Canada o Australia. Molti villaggi in Slavonia sono ormai dimezzati, e sono sempre più i giovani di ambienti urbani che abbandonano il paese.

 

La crisi dura ormai da sei anni, periodo in cui la Croazia ha perso circa il 13 percento del PIL, e l’economia ha fatto marcia indietro, mentre negli uffici di collocamento figurano più di 360.000 persone senza lavoro, pari ad un tasso del 17 percento. Quasi la metà sono giovani, fra questi anche il nostro Marko.

 

 

Fondi europei

 

La Croazia ha riposto molta speranza nei fondi europei, credendo che potessero smuovere l’economia e incentivare l’occupazione. Questo denaro, come si vede dopo un anno dall’ingresso nell’UE, non è facilmente raggiungibile, e la Croazia non è riuscita ad intercettarlo. Per i soldi dell’UE bisognava avere buoni e interessanti progetti e bisognava saperli scrivere. Salvo poche eccezioni, non sono stati in grado di farlo. E si tratta di soldi concreti: in sei anni, da qui al 2020, la Croazia potrebbe intercettare 11,7 miliardi di euro.

 

L’accento, naturalmente, va sul quel potrebbe. Gli analisti ritengono che andrà bene se la Croazia riuscirà a prendere la metà di questi fondi, quindi circa sei miliardi di euro. Tuttavia, bisogna sapere che nello stesso periodo, dal 2014 al 2020, la Croazia deve versare a Bruxelles 3,5 miliardi di euro di quota di adesione. Quando si tirano le somme, 12 miliardi di fondi europei in un attimo diventano 2,5 miliardi di euro. Distribuito in sei anni è meno di 400 milioni di euro all’anno.

 

Attraverso i fondi di preadesione dell’UE, che la Croazia ha usato durante le trattative per l’ingresso nell’Unione, a disposizione c’erano 1,12 miliardi di euro. Sono stati usati 820 milioni, poco più del 73 percento.

 

Branko Grčić, ministro dello Sviluppo regionale e dei Fondi dell’Unione europea, si vanta che il governo in due anni di mandato è riuscito ad accordare nuovi progetti per un valore di 390 milioni di euro. Dei grandi progetti  finanziati con fondi UE finora si è investito di più per il rinnovo e la costruzione della ferrovia Dugo Selo-Križevci (sulla tratta Zagabria- Belgrado), per un valore di circa 220 milioni di euro. A buon fine c’è anche il progetto di rifornimento idrico per alcune città, del valore di 225 milioni di euro. La sola città di Osijek, dove si lavora intensamente per i progetti di bonifica,  sono garantiti 72,5 milioni di euro dai fondi UE. Tutti i lavori saranno svolti da aziende croate, aumentando così l’occupazione per alcuni anni. Tuttavia, il numero di questi progetti si può contare sulle dita di due mani.

 

In Croazia la superficialità non riguarda soltanto il successo nell’intercettare i fondi UE. Persino cose bizzarre come l’introduzione delle targhe europee si sono dilungate in eterno. Il ministero degli Interni si è infilato in un inutile dibattito pubblico sull’aspetto delle targhe, come se fosse una questione cruciale nell’ambito della tutela degli interessi nazionali. La procedura si è protratta a dismisura perché nell’intera questione si è immischiata anche l’associazione dei grafici che ha valutato le soluzioni proposte come “catastrofiche, tali che rappresenterebbero la Croazia come un paese in preda ad analfabetismo visuale”.

 

Il dibattito su questa questione è iniziato l’anno scorso, e le nuove targhe si vedranno solo l’anno prossimo. Contemporaneamente, le nuove carte d’identità  e le patenti, secondo gli standard dell’Unione europea, sono state introdotte senza alcuna discussione pubblica e nessuno si è lamentato del loro aspetto.

 

 

Gli aspetti positivi dell’ingresso nell’UE

Anche se la Croazia solo dalla metà del prossimo anno soddisferà i criteri per l’ingresso nell’area Schengen, così che i suoi cittadini senza alcun controllo potranno attraversare le frontiere di qualsiasi paese membro dell’UE, i croati già adesso viaggiano in modo più semplice di prima. Si tratta forse dell’unico risultato tangibile ottenuto dall’ingresso nell’Unione. Alla frontiera coi vicini, paesi membri dell’UE come l’Ungheria e la Slovenia, non si fanno più domande come: avete qualcosa da dichiarare? La merce comprata a Budapest, Berlino, Parigi o Roma, è come se fosse stata acquistata a Varaždin o Zara. Non c’è più la dogana.   

 

Per gli esportatori, le frontiere aperte sono un grosso vantaggio. Zvonko Bede, proprietario di una grossa fabbrica di Osijek, la Drava International, che lavora i rifiuti di plastica e i prodotti della plastica per un volume di circa 30 milioni di euro all’anno, esporta in molti paesi dell’Unione, e dice che l’ingresso della Croazia nell’UE, dal punto di vista lavorativo, lo ha resuscitato.

 

“I camion merci posso caricare quando voglio, perché non devo più passare la dogana. Quando eravamo fuori dall’Unione, quello che non riuscivamo a sdoganare entro la fine dell’orario di lavoro il venerdì, doveva aspettare fino al lunedì. Adesso carico la merce quando voglio e quando il carico parte per Colonia o Francoforte, è come se portassi la merce da Osijek a Spalato o Zagabria. E non solo: sulla merce importata dall’Unione europea non devo più pagare l’IVA alla dogana, come non lo devono più fare gli acquirenti nei rispettivi paesi”, dice Beda.

 

Germania - Croazia

Nell’anno trascorso dall’ingresso nell’UE, la Croazia ha migliorato i rapporti politici con i più importanti paesi della famiglia europea? Se si giudica dai rapporti con la Germania, la risposta è no. La Germania che era uno dei più forti sostenitori dell’ingresso della Croazia in UE ha freddamente boicottato la cerimonia di adesione, deludendo pesantemente la Zagabria ufficiale, quando la cancelliera Angela Merkel ha annullato la visita già programmata. Era successo nel periodo dello scandalo Perković, l’agente jugoslavo e croato, di cui la Germania ha chiesto l’estradizione per il sospetto dell’omicidio dell’emigrante Stjepan Đureković, liquidato nel 1983 a Wolfrathause, vicino a Monaco.

 

La Croazia, cercando di eludere il mandato di arresto tedesco, soltanto alcuni giorni prima dell’ingresso nell’UE, aveva modificato la legge impedendone l’estradizione. Questo era il motivo per cui la Merkel non è venuta a Zagabria. Dopo, naturalmente, la legge è stata modificata e Perković consegnato, ma il danno non è ancora stato riparato. Angela Merkel sarà a Dubrovnik il prossimo 15 agosto, al summit dei capi di stato della regione, ma si fermerà soltanto alcune ore e, a quanto pare, non si incontrerà con il premier Milanović. Tutto ciò rende la cifra dei rapporti fra Berlino e Zagabria.

 

Rimaniamo infine sulla metafora calcistica usata all’inizio del testo. Se siamo d’accordo che l’Europa ha offerto alla Croazia una possibilità ma è quest’ultima che deve da sola fare gol, il primo anno della Croazia nell’Unione europea potrebbe essere paragonato al risultato della squadra nazionale ai Mondiali del Brasile. Ci sono stati sì vari gol, ma - come nell’UE – senza grandi risultati.

 

ELEZIONI EUROPEE NELL'AREA BALCANICA

 

 

   balcanicaucaso.org  -  26 maggio 2014

elezioni europee

Elezioni europee: i verdi, terzo partito in Croazia

 

 

   Giovanni Vale | Zagabria 

Mirela Holy (foto N. Corritore)

Mirela Holy (foto N. Corritore)

 

Il partito ecologista ORaH, nato solo sei mesi fa, è riuscito a classificarsi terzo alle elezioni europee in Croazia con il 9,4% dei voti. I festeggiamenti al quartier generale e i preparativi per le prossime politiche croate del 2015

 

Al quartier generale di ORaH, nel centro di Zagabria, si stappa spumante fino alle due del mattino. Il partito ecologista ha raccolto quasi il 10% dei voti, riuscendo così ad eleggere il suo primo candidato al Parlamento europeo. "Quando abbiamo cominciato la campagna, appena cinque mesi fa, i sondaggi ci davano al settimo posto. Sembrava difficile soltanto superare la soglia di sbarramento del 5%", ricorda Andrea Feldman, prima tra i candidati non eletti del partito.

Održivi Razvoj Hrvatske (ORaH) significa letteralmente "Sviluppo sostenibile per la Croazia", ma nella sua forma abbreviata e più utilizzata "Orah" vuol dire anche "noce", il simbolo del partito. "Abbiamo creato questo movimento alla fine di ottobre 2013" prosegue Andrea Feldman, "e siamo stati iscritti nelle liste ufficiali del ministero dell'Interno soltanto nel dicembre scorso".

Il motivo per festeggiare quindi c'è: in soli cinque mesi di campagna, i verdi sono riusciti a ritagliarsi uno spazio non indifferente nella scena politica croata. Gran parte del merito va senz'altro a Mirela Holy, la leader di ORaH. Ex-ministro dell'Ambiente nell'attuale governo socialdemocratico, Holy ha lasciato l'esecutivo di cui, dice, non condivideva la linea politica.

Lo strappo col Primo ministro Zoran Milanović vale al neo-partito ORaH la prima simpatia degli elettori. Nei mesi successivi, i verdi riescono a mettere in campo una campagna elettorale moderna e positiva. A Zagabria allestiscono banchetti colorati, organizzano street actions in bicicletta, distribuiscono sacchetti di noci agli elettori… "Abbiamo fatto una campagna informativa. C'è un grande bisogno di spiegare alla gente che cos'è lo sviluppo sostenibile", racconta Andrea Feldman.

La campagna ha dunque pagato, anche se gli ultimi sondaggi davano ORaH addirittura oltre il 10% e alcuni membri del partito accarezzavano l'idea di avere non uno, ma due rappresentanti nel prossimo Parlamento europeo.

Davor Škrlec, neo eletto deputato al Parlamento europeo

La notte dello spoglio, comunque, tutti si dicono soddisfatti, in primis Davor Škrlec, il neoeletto eurodeputato ORaH. Numero due nella lista elettorale del partito, questo professore universitario ha avuto soltanto il 2% delle preferenze, di poco sopra a Andrea Feldman (1% circa). A far la parte del leone, è stata senza sorpresa Mirela Holy (60% delle preferenze), che però aveva già annunciato di non voler andare a Strasburgo, se eletta.

"Il fatto è che Mirela è stata eletta al Sabor con il partito socialdemocratico", spiega Davor Škrlec. "Se desse le dimissioni, sarebbe un membro del SDP che prenderebbe il suo posto qui a Zagabria. Per cui non ci conviene".

Il rappresentante di ORaH al Parlamento europeo sarà dunque il meno noto Davor Škrlec, che già si prepara a partire per Strasburgo. "Ho visto che la prima plenaria è in luglio", spiega, "credo sia l'ultima prima della pausa estiva, poi si ricomincia a settembre".

Alcuni dettagli restano ancora da chiarire: "Non ho ancora pensato a chi scegliermi come assistente", scherza con i giornalisti. Sulle sue priorità al Parlamento europeo, tuttavia, si esprime senza esitazioni: "La decarbonizzazione innanzitutto. Può sembrare un termine tecnico ma è un'urgenza oggi: ci vuole un cambio radicale nella produzione dell'energia in Europa".

Inutile parlargli di petrolio nell'Adriatico, il suo è un "no" senz'appello. "Il secondo punto sarà lo sviluppo sostenibile dell'agricoltura", prosegue il neoeletto, "dalla coltivazione al trasporto, molti aspetti vanno rivisti, migliorati".

Infine, la terza priorità si discosta dal programma classico dei movimenti ecologisti: "La tutela dei diritti umani e il buon funzionamento della democrazia non sono assicurati ovunque in Europa, soprattutto nei paesi di più recente adesione, come la Croazia". 

Preparativi per le politiche del 2015

Dal punto di vista interno, il buon risultato dei verdi non dovrebbe comunque alterare gli equilibri politici. "Non ci sono i margini per chiedere la sfiducia del governo", analizza Andrea Feldman, "abbiamo un solo deputato al Sabor e gli altri partiti della coalizione non sono interessati ad un voto anticipato, l'HNS ad esempio non passerebbe nemmeno la soglia di sbarramento".

Alle presidenziali di fine anno il partito ecologista non sarà presente, dato che la sua unica possibile candidata, Mirela Holy, assicura di non essere interessata. Per ORaH, l'orizzonte si sposta adesso al 2015: "Dobbiamo cominciare a lavorare in vista delle prossime politiche", dice Felman. "Bisogna informare i cittadini sulle questioni energetiche, ambientali, bisogna convincere la gente della necessità di un New Deal verde".