Cipro: ripartono i negoziati

 

Cipro: ripartono i negoziati
 
A circa due anni dall’ultimo impasse nei negoziati per la riunificazione dell’isola, lo scorso 11 febbraio i rappresentanti greco e turco-ciprioti hanno formalmente riavviato le trattative diplomatiche con una dichiarazione congiunta. Ecco i primi segnali emersi

 

L’ultimo incontro fra l’ormai ex-presidente della Repubblica di Cipro, Christofias, l’omologo turco-cipriota, Eroğlu, e il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, risale all’inizio del 2012. L’improduttività di quell’appuntamento e l’impasse dei mesi successivi costrinsero Ban Ki-moon a riconoscere ufficialmente il fallimento dei negoziati.

 

Oltre al peso dell’insuccesso, le difficoltà economiche della Repubblica di Cipro – che a giugno avrebbe richiesto l’intervento della troika – hanno determinato il temporaneo accantonamento della “questione cipriota” dall’agenda politica. Nella primavera dello scorso anno, il nuovo presidente greco-cipriota Nikos Anastasiadis ha inteso chiarire che qualunque nuova fase negoziale non avrebbe preso avvio dal punto in cui era terminata nel 2012. Alexander Downer, Consigliere speciale di Ban Ki-Moon, negli ultimi mesi ha tentato di accompagnare le delegazioni greco e turco-cipriota nella stesura di una Dichiarazione congiunta quale base per i nuovi incontri, ma i suoi tentativi si sono rivelati infruttuosi.

 

Il mese scorso, tuttavia, si è registrata un’improvvisa accelerazione diplomatica, grazie al diretto intervento degli Stati Uniti. Il Vice Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha incontrato i due leader ciprioti e, a seguito di tale incontro, si è diffusa la notizia d’una bozza dichiarazione congiunta, resa pubblica l’11 febbraio.

 

Vi sono state due importanti novità nell’avvio di questa nuova fase negoziale: l’uscita di scena di Alexander Downer e il positivo coinvolgimento delle “madrepatrie” greca e turca. Nel discorso con cui ha accolto la Dichiarazione, Ban Ki-moon ha ringraziato Downer per “il ruolo indispensabile” svolto dal settembre 2008, aggiungendo che l’ormai ex Consigliere, ha deciso di fare un passo indietro e assumere un altro incarico, non meglio specificato. Negli oltre cinque anni in cui Downer ha potuto misurarsi con la questione cipriota non sono mancate le scintille fra il diplomatico australiano e le controparti nell’isola; in particolare, il suo rapporto con il Presidente Anastasiadis aveva subito un evidente deterioramento negli ultimi mesi.

 

Il coinvolgimento greco e turco nell’avvio della nuova fase negoziale si è concretizzato in due visite ufficiali, rispettivamente ad Ankara e Atene, del rappresentante greco e di quello turco-cipriota. Il 27 febbraio Andreas Mavroyannis ha incontrato il Sottosegretario agli Esteri turco, Feridun Siniroğlu, mentre Kudret Özersay ha incontrato il Segretario generale del ministero degli Esteri greco, Anastassis Mitsialis. I due rappresentanti ciprioti hanno dichiarato agli organi di stampa di essere stati accolti cordialmente e che gli incontri si sono svolti in un clima positivo.

 

Si è trattato, inoltre, di eventi che hanno segnato una discontinuità nella storia della diplomazia tripartita greco-turco-cipriota; infatti, protagonisti delle ultime visite ufficiali furono Rauf Denktaş, ad Atene nel 1959, e l’Arcivescovo Makarios, ad Ankara nel 1962. I due appuntamenti di fine febbraio hanno quindi avuto un chiaro valore simbolico.

 

I punti fondamentali della Dichiarazione congiunta

 

Dopo quasi cinque mesi di trattative dietro le quinte, il testo su cui il Presidente Nikos Anastasiadis e l’omologo Derviş Eroğlu hanno trovato un accordo comprende sette punti fondamentali: 1. “lo status quo è inaccettabile” e il suo prolungamento avrebbe negative conseguenze per i greco e turco-ciprioti; 2. I due leader sono determinati a riavviare “negoziati strutturati e finalizzati ad un risultato”; 3. Come previsto dalle precedenti risoluzioni ONU, l’accordo su cui lavorare sarà basato su una “federazione bi-comunale e bi-zonale”, con uguaglianza politica delle due unità componenti; 4. L’eventuale accordo negoziale dovrà essere sottoposto alla ratifica dei cittadini ciprioti mediante due referendum simultanei; 5. I negoziati saranno basati sul principio “niente è concordato prima che tutto sia concordato”; 6. I rappresentati designati potranno discutere qualunque argomento in qualunque fase, ma la decisione ultima rimane prerogativa dei presidenti greco e turco-cipriota. Ogni arbitrato esterno (delle Nazioni Unite, ad esempio) è escluso; 7. Le parti coinvolte cercheranno di creare una “positiva atmosfera”, attraverso iniziative volte ad accrescere la reciproca fiducia, evitando accuse reciproche (blame game) o commenti pubblici controproducenti sull’andamento dei negoziati.

 

Gli ultimi due punti derivano dal timore greco-cipriota che possa ricrearsi lo scenario del 2004 – quando l’ultima versione del cosiddetto Piano Annan fu definita non per via negoziale, ma con l’arbitrato delle Nazioni Unite – e dalla lunga esperienza di delegittimazioni incrociate, che per decenni hanno indebolito ogni attività diplomatica.

 

Lo scenario turco-cipriota: un messaggio indiretto di Ankara a Eroğlu e ai nazionalisti

 

Opinionisti e addetti ai lavori hanno colto nella nuova fase negoziale due segnali importanti e interconnessi: il ritorno di Kudret Özersay nel ruolo di rappresentante turco-cipriota; l’atteggiamento di apertura della diplomazia turca e la sensazione che Özersay sia stato scelto più da Ankara che dal presidente turco-cipriota.

 

Derviş Eroğlu, noto per la sua scarsa propensione al compromesso, ha confermato la propria fama definendo “supposizioni irrealistiche” l’aspettativa greco-cipriota che le forze armate turche e i cittadini turchi con cittadinanza turco-cipriota siano indotti a lasciare l’isola nell’eventualità di un accordo finale. Giungendo solo nove giorni dopo l’ufficializzazione della Dichiarazione congiunta, un simile commento non ha certamente promosso un’“atmosfera positiva” per lo svolgimento dei negoziati.

 

Due anni fa evidenti divergenze politiche con Eroğlu avevano indotto Özersay ad interrompere la collaborazione col presidente, per dedicarsi alla guida del movimento politico Toparlanıyoruz (“Ci stiamo organizzando”), critico verso la conduzione dei negoziati negli ultimi anni. La riassunzione dell’incarico da parte di Özersay, all’inizio di febbraio, quindi è verosimilmente derivata più dalla volontà di Ankara che del presidente Eroğlu. Si tratterebbe di un segnale di apertura del governo turco verso la Repubblica di Cipro e, allo stesso tempo, di un messaggio non troppo velato al presidente turco-cipriota.

 

Le reazioni greco-cipriote: crisi di governo e nuove opportunità

 

Come di consueto, voci allarmistiche che individuano potenziali rischi e secondi fini in ogni dettaglio negoziale e accuse di tradimento dell’interesse “nazionale” – da intendere come frutto del riconoscimento nella madrepatria greca – si sono levate da alcune forze politiche e sezioni dell’opinione pubblica greco-cipriota.

 

Il Presidente Anastasiadis ha dovuto fare i conti con l’opposizione del Partito Democratico (DIKO). Il suo leader – Nicos Papadopoulos, figlio del defunto presidente Tassos Papadopoulos – ha infatti accusato Anastasiadis di aver tradito l’accordo raggiunto con il DIKO prima della sua elezione. Secondo l’interpretazione di Papadopoulos, la Dichiarazione concordata dai due presidenti dissolverebbe la Repubblica di Cipro, creerebbe i presupposti per l’“immacolata concezione” di un nuovo stato, dotato di sovranità e cittadinanza distinte (greco e turco-cipriota) e ripristinerebbe la filosofia di fondo del Piano Annan. Avendo il presidente smentito le promesse su cui si è basato il sostegno del DIKO alla nuovo gabinetto, Papadopoulos ha giudicato inevitabile l’uscita del partito dalla coalizione di governo – formata da DISY (“Adunanza democratica”, di cui è esponente Anastasiadis), DIKO ed EVROKO (“Partito Europeo”).

 

Una spaccatura è emersa però nel partito; alla linea intransigente si è contrapposta quella del vice di Papadopoulos ed ex ministro degli Esteri, Markos Kyprianou, convinto che l’uscita dalla maggioranza avrebbe indebolito, in una fase così delicata per l’economia greco-cipriota, l’immagine di partito “responsabile” che il DIKO vuole mantenere. Il 26 febbraio, comunque, la mozione Papadopolulos si è confermata predominante, ottenendo la maggioranza anche nella Commissione centrale. Divenuta ufficiale la crisi di governo, tutti i ministri hanno rassegnato le proprie dimissioni; in tal modo il presidente potrà realizzare un ampio rimpasto di governo, previsto nella seconda metà di marzo.

 

In un comunicato ufficiale il DIKO ha ribadito che “quando si tratta di temi come la gestione della questione cipriota, la protezione della Repubblica di Cipro, la difesa degli interessi dell’ellenismo cipriota e l’ottenimento della soluzione che vogliamo, non possono e non devono esserci compromessi”. Alcuni opinionisti hanno colto in tali espressioni il richiamo a una retorica che fino ad oggi ha precluso ogni possibile accordo con la comunità turco-cipriota.

Come osservato da alcuni opinionisti, tuttavia, la crisi di governo potrebbe non essere dannosa per l’andamento dei negoziati e addirittura dischiudere nuove possibilità.

 

In relazione al piano di salvataggio e alle condizioni definite dalla troika, infatti, la rottura fra il partito di Papadopoulos e il presidente non dovrebbe modificare significativamente gli equilibri esistenti. In nome della ricordata immagine di partito responsabile, la settimana scorsa il DIKO ha deciso di contribuire all’approvazione del disegno di legge per la privatizzazione di alcune organizzazioni semigovernative, come l’Agenzia delle Telecomunicazioni, dell’Energia, dell’Elettricità e l’Autorità Portuale.

 

A questa misura, fortemente criticata dall’opposizione (AKEL, EDEK, Verdi, “Alleanza dei cittadini”) e da ampi settori dell’opinione pubblica, era tuttavia legato l’ottenimento della prossima tranche (236 milioni di euro) del bailout. Se nell’applicazione del piano di salvataggio non vi saranno cambiamenti di rilievo, nella gestione dei negoziati i margini di manovra del presidente Anastasiadis potrebbero persino aumentare. Il passo indietro del DIKO è stato accompagnato dal consenso dell’AKEL (“Partito Progressista dei Lavoratori”, seconda forza politica e tradizionalmente pro-riconciliazione) e dell’Arcivescovo Chrisostomos II – una rara convergenza politica.

 

Un ulteriore possibile segnale incoraggiante è giunto sempre la settimana scorsa nel corso di un seminario a Bruxelles promosso dalla sede cipriota del PRIO (Peace Research Institute). Oggetto del confronto - cui sono stati invitati i principali imprenditori greco e turco-ciprioti e i rappresentanti delle due comunità nei negoziati - è stato un report sul “dividendo della pace” a Cipro, realizzato da Alexander Apostolides (European University Cyprus), Mustafa Besim (Eastern Mediterranean University) e Fiona Mullen (Sapienta Economics). Gli imprenditori presenti non solo hanno condiviso l’idea che il superamento della divisione potrà recare benefici economici a tutti gli abitanti dell’isola, ma hanno persino giudicato caute le previsioni dei tre economisti sui vantaggi derivanti dalla soluzione della questione cipriota.

 

Apostolides, Besim e Mullen ritengono che, nonostante l’attuale crisi economica su entrambi i lati della Linea Verde, le prospettive legate all’estrazione di petrolio e idrocarburi a largo dell’isola, e altri fattori sopraggiunti, potranno determinare per ciascuna delle parti coinvolte un “dividendo della pace” più grande di quanto finora previsto. Secondo gli imprenditori ciprioti riuniti a Bruxelles la scorsa settimana, comunque, i tre esperti avrebbero sottostimato le effettive potenzialità connesse alla creazione di una nuova e unita repubblica federale cipriota. Mercoledì scorso, alla vigilia del seminario, le due Camere di Commercio presenti nell’isola hanno dichiarato che la soluzione della questione cipriota offrirà “considerevoli benefici a tutti i settori dell’economia e conseguentemente rafforzerà il benessere e la prosperità di tutti i ciprioti”. Sebbene tali dichiarazioni non siano sufficienti per valutare l’influenza che le figure chiave dell’economia greco e turco-cipriota potranno esercitare nei negoziati, si tratta per lo meno di segnali incoraggianti.

 

 La crisi in Siria vista da Cipro

 

Dopo che l'intervento armato statunitense in Siria era apparso imminente, la risoluzione Onu del 27 settembre ha abbassato la tensione nell'area. Nel quadro della crisi mediorientale però, Cipro, “portaerei inaffondabile”, ha dimostrato d’avere ancora un ruolo strategico nella regione

 

balcanicaucaso.org - 7 ottobre 2013

 

La guerra civile siriana alimenta una catastrofe umanitaria dal 2011, ma il 21 agosto l’accertato uso di armi chimiche contro civili, nella periferia di Damasco, ha attirato l’attenzione internazionale sulla tragedia siriana. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sembravano orientati all’intervento armato, avendo fatto seguire alle parole i preparativi militari. La Turchia, i cui attriti con la Siria nelle zone di confine sono aumentati negli ultimi anni, si è dichiarata pronta a partecipare a un’eventuale coalizione.

 

La Repubblica di Cipro, a sua volta, in virtù della propria posizione geografica e della presenza di due basi militari britanniche, è stata integrata nello scenario di crisi. Il movimento di mezzi militari all’interno e intorno all’isola ha prodotto tensioni, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, nell’opinione pubblica greco-cipriota. Il portavoce del governo, Christos Stylianides, il ministro della Difesa, Fotis Fotiou, e il ministro degli Esteri, Ioannis Kasoulides, hanno cercato di contenere il senso d’allarme ribadendo che l’isola rappresenta un “centro di stabilità, pace e sicurezza” nella regione.

 

La crescita della tensione e la strategia di contenimento

 

Tali dichiarazioni sono state una replica alle preoccupazioni suscitate dall’arrivo di sei jet Typhoon britannici, all’inizio di settembre, e dalla missione di controllo, decisa con inconsueta rapidità, effettuata da due di essi nello spazio internazionale tra la Siria e Cipro, lo scorso 8 settembre. Come confermato dal ministro della Difesa britannico, due aerei da combattimento hanno attraversato lo spazio tra i due paesi, non rispondendo alle richieste d’identificazione provenienti da Cipro.

 

Gli esperti hanno interpretato l’accaduto come una risposta del governo siriano agli avvertimenti ricevuti dagli Stati Uniti e da altri paesi Nato. Gli aerei non identificati erano probabilmente due Sukhoi Su-24s di fabbricazione russa, dotati di armamento pesante.

 

Il 16 settembre un altro episodio è accaduto non lontano dall’isola, alimentando le tensioni nella regione. Un elicottero siriano, dopo essere entrato nello spazio aereo turco ed aver ricevuto un avvertimento da due jet F-16, è stato abbattuto all’altezza del confine tra la Siria e la provincia turca dell’Hatay.

Il senso d’allarme a Cipro è stato rafforzato dall’arrivo di una fregata francese nei dintorni di Larnaca, nella parte meridionale dell’isola, e di alcuni aerei francesi e statunitensi presso la base britannica di Akrotiri, nei pressi di Limassol.

 

Tutto ciò è parso difficilmente conciliabile con le parole di rassicurazione pronunciate dai rappresentanti della Repubblica di Cipro. Il portavoce del governo ha infatti dichiarato che in nessun caso l’isola sarebbe diventata una “base di operazioni militari”, e quindi un possibile bersaglio degli attacchi siriani. Alle sue parole ha fatto eco il ministro della Difesa, Fotiou, ribadendo che il ruolo della Repubblica di Cipro sarebbe stato limitato all’eventuale assistenza umanitaria, accogliendo i possibili profughi provenienti dalla Siria, dal Libano o da altri paesi limitrofi.

 

Fotiou ha aggiunto che proprio il riconoscimento di Cipro come territorio sicuro ha indotto i paesi coinvolti nello scenario di crisi a pensare all’isola come destinazione verso cui dirigere i propri cittadini in caso di necessità. Sarebbe contraddittorio, ha osservato il ministro, utilizzare come piattaforma d’attacco un paese d’accoglienza per le vittime del conflitto.

 

Tuttavia, alcuni analisti hanno osservato come sia difficile trascurare due dati di fatto: la vicinanza di Cipro alla costa siriana, a poco più di cento chilometri, e la presenza nell’isola, oltre alle basi britanniche di Akrotiri e Dhekelia, di sofisticate apparecchiature di spionaggio. Cipro ospita infatti la Joint Service Signals Unit, una delle maggiori postazioni di sorveglianza al mondo.

 

La presenza britannica e il valore dell’“inaffondabile portaerei”

 

La presenza militare britannica nell’isola risale al periodo coloniale (1878-1960) ed è stata consolidata con moderni sistemi di spionaggio durante gli anni della Guerra Fredda.

Oltre ad essere un fondamentale punto di passaggio per le navi dirette verso l’India attraverso il Canale di Suez, Cipro ha rappresentato per la Gran Bretagna e il blocco occidentale un’ “inaffondabile portaerei” (unsinkable aircraft carrier), il cui valore strategico nella regione è stato accresciuto da sofisticate apparecchiature di ascolto e sorveglianza.

 

Gli accordi che hanno sancito il passaggio dell’isola all’indipendenza, nel 1960, hanno permesso alla Gran Bretagna di mantenere due grandi basi militari lungo la costa meridionale, e il controllo su installazioni e siti sparsi sul territorio dell’isola. Per l’intelligence britannica in Medio Oriente, Cipro ha acquisito primaria importanza dopo la fine del mandato in Palestina (1948) e la crisi di Suez (1956). In generale, comunque, nella seconda metà del secolo scorso l’isola è stata base d’attività di spionaggio volta al confronto con il blocco sovietico e al rafforzamento dell’influenza militare del blocco occidentale in Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale.

 

I piani per l’eventuale emergenza umanitaria

 

A seguito dell’attacco del 21 agosto e del possibile aggravarsi dell’emergenza umanitaria in Siria, le autorità della Repubblica di Cipro hanno delineato un piano di emergenza insieme ai rappresentanti diplomatici britannici, statunitensi e francesi.

 

Gli incontri tra il ministro degli Esteri, della Difesa, degli Interni, della Giustizia e delle Comunicazioni hanno definito una strategia da adottare in caso di fughe di massa di cittadini stranieri dalla Siria. Il ministro degli Esteri, in particolare, ha in più occasioni ripetuto che, pur non essendovi “una minaccia immediata” verso Cipro alla luce degli sviluppi di fine agosto, tutte le unità organizzative statali coinvolte nella gestione di un’eventuale emergenza si sarebbero preparate ad affrontare “qualunque evenienza”.

 

Il piano “Estίa” (focolare) include l’uso di porti e aeroporti della Repubblica di Cipro per l’evacuazione di civili, cittadini europei, o di altra nazionalità provenienti dai paesi limitrofi. Contando sull’esperienza maturata nel corso del conflitto tra Israele e Libano del 2006, il Piano prevede la trasformazione di grandi edifici in centri di accoglienza. Alla fine di agosto il ministro degli Esteri, Kasoulides, ha chiarito che la Repubblica di Cipro è in grado di accogliere diecimila profughi al giorno, a condizione che una cifra analoga lasci l’isola nelle 48 ore seguenti. Cipro avrebbe quindi il ruolo di rifugio temporaneo per le persone in fuga dalla guerra civile siriana.

 

Gli sviluppi diplomatici e la possibilità di una soluzione pacifica della crisi

 

Dopo il minacciato intervento statunitense, un’intensa attività diplomatica tra Russia e Stati Uniti, attraverso le figure del ministro degli Esteri Lavrov e del Segretario di Stato Kerry, ha prodotto un’inaspettata distensione. L’accordo raggiunto a Ginevra il 14 settembre, in base al quale il governo siriano ha accettato di disfarsi delle proprie armi chimiche, è stato seguito da un altro importante traguardo alla fine del mese scorso.

 

Il 27 settembre, infatti, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato la Risoluzione 2118, che implementa un programma per l’eliminazione delle armi chimiche e sostiene il processo di pace avviato a Ginevra. Se, da un lato, tale risoluzione rappresenta l’azione più significativa del Consiglio di Sicurezza dall’inizio della guerra civile siriana, dall’altro, trattandosi di un compromesso fra i membri permanenti dell’ONU essa, accogliendo le richieste di Mosca, potente alleato di Damasco, non prevede la possibilità di un intervento armato in caso di mancata collaborazione da parte del regime di Assad. Per ogni eventuale iniziativa militare sarà quindi necessaria una nuova risoluzione.

 

Pur con i loro limiti, tali sviluppi sarebbero apparsi impossibili solo due settimane prima, alla fine di agosto. L’ottimismo generato dal superamento della prospettiva di un’imminente azione militare contro il regime di Assad ha dischiuso la possibilità di credere in una soluzione diplomatica del conflitto. Facendosi interprete della nuova atmosfera, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha espresso l’auspicio di convocare intorno alla metà di novembre una “Ginevra 2”, conferenza di pace che potrebbe risolvere la crisi siriana. Nicosia continuerà a seguire con attenzione l’evoluzione dello scenario.