Le elezioni in Honduras:

la prima donna presidente?

 

 

Il paese centroamericano, che ha vissuto

il suo ultimo colpo di stato nel vicino 2009, torna al voto

 

iljournal.it -  23 novembre 2013

 

Dopo il Cile, stavolta è il turno dell’Honduras.
Il paese centroamericano torna alle urne domenica 24 novembre per determinare chi lo governerà durante i prossimi quattro anni.

Su chiunque cadrà la scelta, i problemi cui dovrà far fronte il nuovo presidente sono tanti, radicati e complessi.
In primo luogo gestire una crisi economica senza precedenti, con un debito pubblico superiore ai 7000 milioni di dollari (corrispondente al 42% del prodotto interno lordo), che il presidente uscente, Porfirio Lobo, sostiene di aver ereditato in gran parte dall’amministrazione Zelaya.

A questo si aggiunge l’aumento della povertà, che riguarda il 60% degli 8,5 milioni di abitanti, l’alto tasso di disoccupazione e sottoccupazione (2 milioni di persone), la corruzione, l’ineguaglianza sociale, il narcotraffico e la violenza criminale, che uccide venti persone al giorno, portando il paese al primo posto nel mondo per numero di omicidi volontari.
Secondo i dati diffusi dall’OMS (Organizzazione Mondiale di Salute), questi superano di nove volte la media globale e nell’ottanta per cento dei casi rimangono nell’assoluta impunità.

Per la prima volta l’Honduras esce dal suo storico bipartitismo che ha visto alternarsi per anni partito Nazionale e Liberale.
A queste elezioni politiche parteciperanno ben nove partiti, quattro dei quali nati a seguito del golpe che nel 2009 ha destituito Manuel Zelaya. Solo due concorreranno però per la presidenza: Libertad y Refundación (LIBRE) e Partido Nacional.
Il testa a testa riguarderà dunque Xiomara Castro -moglie di Zelaya e decisa a seguire le orme del marito- e Juan Orlando Hernández, attualmente alla guida del parlamento honduregno, erede naturale di Lobo e della sua politica di crescente militarizzazione del paese.
Amnesty International ha inviato una lettera ai candidati, chiedendo di mettere i diritti umani al primo posto nella lista delle priorità del nuovo governo, ma l’unica interessata alla loro promozione sembrerebbe la first lady dell’Honduras.

Per capire l’importanza di questo voto, bisogna fare qualche passo indietro.

Manuel Zelaya, che nel 2005 aveva sconfitto il conservatore Porfirio Lobo, è stato allontanato con un provvedimento della Corte Costituzionale quattro mesi prima di terminare il suo mandato, per aver tentato una modifica alla costituzione, ai fini di riequilibrare i poteri dello stato. Deportato in Costa Rica dai militari è stato provvisoriamente sostituito da Roberto Micheletti. Alle elezioni dell’anno successivo, l’opposizione fu impossibilitata a presentarsi a causa del colpo di stato. L’affluenza alle urne fu bassissima. Lobo vinse, questa volta, senza troppe difficoltà, ma non fu riconosciuto dalla quasi totalità della comunità internazionale.
Zelaya, che non può candidarsi nuovamente poiché la Costituzione honduregna vieta la rielezione ed è tornato nel suo paese nel 2011, ha avuto giusto il tempo di fondare LIBRE e mettere sua moglie al timone del partito. Xiomara Castro, favorita, potrebbe essere la prima donna a governare il paese.


 

 

Perché si dice “repubblica delle banane”?

 

ilpost.it -  23 novembre 2013

 

L'Economist spiega l'origine dell'espressione

resa famosa da Woody Allen

mentre si vota in Honduras

(il primo paese ad essere chiamato così)

 

Domenica 24 novembre si voterà in Honduras per le elezioni presidenziali, quattro anni dopo il colpo di stato militare in cui il presidente venne arrestato, caricato su un aereo militare mentre era ancora in pigiama e spedito in Costa Rica. L’Honduras è il paese con il più alto tasso di omicidi al mondo, ha una storia di continue guerre e colpi di stato, un’ammnistrazione corrotta e inefficiente e si trova sulla principale rotta che porta la cocaina dal Sudamerica agli Stati Uniti. In altre parole corrisponde molto bene all’espressione “repubblica delle banane”, che ha avuto molta fortuna anche in Italia. Questa settimana, l’Economist ha raccontato l’origine dell’espressione e cosa significa.

 

La prima repubblica delle banane


La prima volta che venne utilizzata l’espressione “repubblica delle banane” fu in un racconto dell’americano O. Henry (il nome d’arte di Williams Sydney Porter), uno scrittore nato nel 1862 che ebbe una vita molto avventurosa. Nel 1904 pubblicò una raccolta di racconti brevi dal titolo Kings and Cabbages (“Re e cavoli”).

 

Uno dei racconti, “L’ammiraglio”, era ambientato in una stato di fantasia, la repubblica di Anchuria. Porter aveva inventato l’Anchuria sulla base della sua esperienza in Honduras tra il 1896 e il 1897: ci si trovava per sfuggire a una condanna per appropriazione indebita che lo aveva colpito negli Stati Uniti.

 

Porter descriveva Anchuria come un piccolo stato indipendente la cui economia era completamente basata sulle esportazioni di banane. Nel racconto questa situazione attira sul piccolo paese l’interesse di alcune grandi società americane interessate a coltivare le banane e a venderle negli Stati Uniti. Nel racconto queste società ottengono un monopolio delle banane, corrompono la classe politica, finanziano colpi di stato e, in poche parole, fanno il bello e il cattivo tempo.

La situazione di Anchuria descriveva in maniera piuttosto precisa la situazione di paesi come l’Honduras e il Guatemala alla fine dell’Ottocento. Questi paesi, come molti altri dell’America Latina, avevano visto le proprie economie cambiare improvvisamente quando nel 1870 la banana era stata introdotta per la prima volta negli Stati Uniti. Il frutto ebbe immediatamente un grosso successo tra la borghesia americana in espansione, che poteva permettersi di acquistare il frutto esotico e lo trovava di suo gusto.

 

Per motivi climatici, però, coltivare banane negli Stati Uniti era molto meno conveniente che importarle dai piccoli staterelli tropicali dell’America Latina. Alla fine del secolo e nei primi anni del Novecento alcune multinazionali americane come United Fruit Company (un’antenata della moderna Chiquita), Standard Fruit Company e Cuyamel Fruit Company controllavano di fatto Honduras e Guatemala.

 

Queste società possedevano i porti e le ferrovie, che aveva costruito in cambio di concessioni sulla terra, controllavano immense piantagioni e, di fatto, gestivano l’economia del paese che a quel punto era tutta basata sulla monocultura della banana. Interferirono più volte nel governo di quei paesi, favorendo quelle fazioni e quei gruppi che si dimostravano più pronti ad assecondare i loro interessi. Ad esempio, nel 1911 la Cuyamel Fruit Company arrivò ad ingaggiare un generale mercenario americano, Christmas Lee, e ad allearsi con l’ex presidente del paese per mettere in atto un colpo di stato contro il governo.

 

Il successo delle repubbliche delle banane


Il termine “repubbliche delle banane” in origine descriveva molto bene un fenomeno diffuso in particolare nel Centro e Sudamerica, una delle poche aree del mondo che alla fine dell’Ottocento non erano controllate direttamente dalle potenze coloniali europee. Questo però non significava che i paesi, in particolare quelli più piccoli nel nord del continente sudamericano e nel Centro America, non fossero controllati in altri modi. Erano spesso stati fantoccio, dove gli interessi del paese erano subordinati a quelli delle multinazionali che esportavano la monocultura locale (banane, caffé, canna da zucchero) e alle élite locali che guadagnavano da questa situazione.

 

Con il passare degli anni e l’inizio della decolonizzazione in Africa, il termine si è ampliato ed è iniziato ad apparire anche nei manuali di dottrine politiche e di storia. La definizione di repubblica delle banane oggi è quella di un paese largamente dipendente dall’esportazione di un unico prodotto o materia prima (banane o caffè, ma anche risorse naturali come petrolio, oro o diamanti). L’estrazione o produzione di queste materie prima è nelle mani di una ristretta élite, che affiancata dai militari gode dei profitti, mentre la gran parte della popolazione rimane in condizioni di povertà.

Molti “stati falliti” dell’Africa rispondono abbastanza bene a questa definizione. In Sudamerica, e in Honduras in particolare, le cose sono abbastanza cambiate. Le monoculture di banane sono quasi sparite e gli affaristi che appoggiano o fanno cadere i governi oggi commerciano in un’altra materia prima “agricola”: la cocaina. L’Honduras si trova sulla rotta prinicipale del traffico di coca e si calcola che più del 50 per cento della droga che arriva dagli Stati Uniti passi attraverso i suoi confini.

 

La fortuna di un termine


Il termine “repubblica delle banane” nell’ultimo secolo ha avuto una grande fortuna, tanto da essere adottato in ambito scientifico, e ha avuto anche la sua diffusione letteraria. Nel 1950 venne utilizzato nel poema Canto General di Pablo Neruda. Nel romanzo Cent’anni di solitudine, la città immaginaria di Macondo diventa ad un certo punto dominata dai grandi coltivatori di banane.

Il termine è diventato probabilmente di uso comune grazie una commedia. Nel 1971 uscì al cinema Il dittatore dello stato libero di Bananas di Woody Allen. Nel film si racconta la storia di un immaginario paese dell’America Latina che attraversa tutte le varie fasi tipiche delle “repubbliche delle banane”: assassini politici, colpo di stato militare sponsorizzato da gruppi economici e dalla CIA e una rivolta armata di ispirazione socialista.

 

Honduras, il futuro dipende dalle prossime elezioni

 

termometropolitico.it di Giacomo Morabito - 14 novembre 2013

 

24 novembre, in Honduras, si svolgeranno le elezioni presidenziali, parlamentari e locali, e i candidati alla presidenza sono i seguenti otto: Andrés Pavón (Partido Unificación Democrática e Frente Amplio Político Electoral en Resistencia), Mauricio Villeda (Partido Liberal), Salvador Nasralla (Partido Anti Corrupción), Xiomara Castro de Zelaya (Libertad y Refundación), Juan Orlando Hernández (Partido Nacional), Romeo Vásquez Velásquez (Partido Alianza Patriótica), Orle Anibal Solis Meras (Partido Demócrata Cristiano), Jorge Rafael Aguilar (Partido Innovación y Unidad).

 

I recenti sondaggi danno come favoriti la progressista Castro de Zelaya e il filogovernativo Hernández, il quale ha recentemente presentato un progetto di decreto per elevare a rango costituzionale la Policía Militar de Orden Público (PMOP), ovvero la nuova forza di polizia istituita lo scorso agosto per combattere la criminalità. Infatti, secondo gli organismi dei diritti umani e internazionali, in Honduras si è registrata di recente un’elevata ondata di criminalità.

Le bande armate, il narcotraffico e il crimine organizzato stanno alimentando una forte insicurezza nei riguardi delle istituzioni statali, le quali devono far fronte a una forte una crisi economica e finanziaria, dovuta a un enorme debito interno ed estero.

 

Nonostante ciò, i preparativi per celebrare i comizi generali continuano. I candidati sono immersi nelle loro campagne elettorali, segnate dal confronto ideologico, ma privi di proposte concrete per risolvere i problemi del Paese, come l’alta percentuale di povertà (circa il 70%) e la criminalità. Dopo il colpo di Stato che nel 2009 destituì il presidente José Manuel Zelaya Rosales, l’Honduras è stato segnalato fra i Paesi più violenti al mondo.

Pertanto, l’istituzione della PMOP è avvenuta a seguito della decisione di aumentare il livello di militarizzazione nel Paese ma, allo stesso tempo, è stata molto criticata dalle organizzazioni dei diritti umani, nazionali e internazionali. In particolare, il Committee of Relatives of the Disappeared in Honduras, e altre organizzazioni nazionali e internazionali, hanno presentato alla Comisión Interamericana de Derechos Humanos una denuncia sulla grave situazione dei diritti umani nel Paese e sui suoi stretti legami con la militarizzazione della società honduregna.

Nel frattempo, la candidata Castro de Zelaya ha assicurato che, in caso di vittoria alle prossime elezioni, sospenderà immediatamente l’iter legislativo per l’approvazione della costituzionalità della PMOP e promuoverà la creazione di una polizia comunitaria.