Iran
Iraq. Con l’ayatollah Ali Sistani
e il generale Qasem Suleimani
Teheran fa muro contro
lo “Stato Islamico” di al-Baghdadi
notiziegeopolitiche.net di Farahmand Alipour * – 23 novembre 2014
In qualunque sede si discuta degli attuali sviluppi in Iraq si sente al contempo parlare di Iran. In particolare il nome dell’Iran è legato a doppio filo a due quesiti: che scelte porterà avanti il paese in rapporto agli sviluppi recenti che hanno interessato i vicini stati arabi? In che modo potrà Teheran opporsi alla possibile disfatta dei propri alleati nella capitale Baghdad? Già oggi due personalità eminenti sono attive sul fronte iracheno, ovvero l’ayatollah Ali Sistani, figura religiosa di riferimento per la comunità sciita irachena se non mondiale, e il generale Qasem Suleimani, uomo forte dell’esercito iraniano e dal 1998 capo della “Niruye Qods”, unità d’élite delle Guardie Rivoluzionarie.
L’ayatollah Sistani con i suoi 84 anni è maestro e fonte di imitazione per milioni di correligionari iracheni e, attraverso una sua “fatwa” (decreto religioso), ha fatto confluire centinaia di migliaia di cittadini sciiti nelle strade di svariate città per arruolarsi nella lotta contro l’Isis. Tuttavia la stessa fatwa di Sistani ha avuto anche un altro esito di fondamentale importanza: il governo al-Maliki, nel periodo immediatamente successivo allo scoppio della crisi e con la caduta repentina di numerosi centri nevralgici del paese per mano dello “Stato Islamico”, aveva perso ogni fiducia nel proprio operato. A seguire l’esercito si è sciolto con incredibile rapidità, cedendo terreno all’avanzata islamista, cosa che ha prospettato il collasso imminente; la fatwa di Sistani e l’ondata che ne è scaturita nelle zone di influenza sciita sono state di incoraggiamento e rassicurazione per il governo di Nouri al-Maliki. Anche l’esercito, visibilmente fiaccato e indebolito, si è rinvigorito alla vista di tanti volontari pronti a prendere le armi e a combattere al loro fianco.
La popolazione sciita rappresenta circa il 70% del paese ed occupa in maniera maggioritaria alcune delle regioni strategiche dal punto di vista economico e religioso, come nel caso della capitale Baghdad, la città portuale di Bassora, sul Golfo Persico, e le importanti città santuario situate nella fascia centro-meridionale dell’Iraq, come Najaf, Karbala, Samarra e Kazemein.
Gli sciiti, nonostante formino la maggioranza della popolazione irachena da secoli si ritrovano subordinati ad all’autorità sunnita. Gli ottomani infatti, istituito il loro califfato su territori prevalentemente aderenti alla sunna, si impadronirono della fascia meridionale dell’Iraq (sciita) strappandola ai safavidi in seguito a conquiste militari. Al termine del primo conflitto mondiale, dopo lo sfaldamento dell’impero ottomano, i territori furono spartiti tra le potenze vincitrici (Inghilterra e Francia), che ne decisero le sorti. Di conseguenza furono creati nuovi stati nazione nel Medio Oriente, ma gli sciiti iracheni dovettero attendere ancora fino al 2003, con l’invasione da parte delle forze americane e inglesi, per ottenere un degno ruolo sulla scena politica.
L’ayatollah Sistani, nonostante ricopra un ruolo di primo piano nella comunità sciita irachena e goda di notevole rispetto all’interno della stessa e non solo, non ha rivendicato alcun intervento invasivo nelle scelte politiche del paese.
Egli, contrariamente ai vertici religiosi iraniani, non è impegnato nel mantenimento di uno status quo e nella salvaguardia di un governo di tecnocrati e giurisperiti religiosi. Il suo ruolo è quello di rappresentante di un ramo della Shia, un vicario del dodicesimo Imam, il quale è ritenuto essere in una fase di occultamento dalla metà del IX secolo circa. Secondo gli sciiti duodecimani, che da lui prendono il nome, al suo ritorno seguirà la fine dei tempi, paragonabile circa all’Apocalisse della tradizione cristiana.
La visione politico religiosa di Sistani tuttavia diverge da quella della guida suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, e dei suoi seguaci. Egli, diversamente da Sistani, è sostenitore della teoria della “Velayate Faqih” (Mandato del giurista), secondo cui in attesa della manifestazione del dodicesimo Imam sarebbe necessario istituire dei governi retti da un clero istruito.
Con la rapida caduta di Mosul e di altre città, l’ayatollah Sistani è sceso prontamente in campo presenziando personalmente alla preghiera comunitaria del Venerdì a Najaf. Il suo intento era quello di lanciare un segnale forte agli iracheni, un messaggio breve ma esplicito: “Chiunque ne abbia la possibilità, impugni le armi e combatta contro l’Isis”. L’imperativo di Sistani è stato accolto con calore da tanti giovani sciiti. Tanti però si sono mostrati preoccupati nel porsi il dubbio secondo cui la chiamata alle armi potrebbe comportare la conseguenza di diffondere la guerra settaria già radicata in Iraq: la conversione di massa di civili sciiti in soldati volontari opposti a forze insurrezionali sunnite militanti tra le fila dell’Isis sarà la soluzione corretta per una risoluzione del conflitto, considerata la situazione che ormai si è delineata?
Altri poi, vedendo le immagini di ragazzi poco più che adolescenti che marciano armati per le strade di Baghdad e Najaf, si domandano se questi giovani con poca esperienza saranno in grado di fronteggiare le meglio attrezzate truppe dello “Stato Islamico”. Tutto ciò senza contare che, nonostante i miliardi di dollari impiegati nel training dell’esercito iracheno, non si è riusciti a fermare o a limitarne l’avanzata dei jihadisti.
Per rispondere a tali quesiti è necessario rifarsi ad un secondo uomo forte, Qasem Suleimani, generale dell’esercito Iraniano e capo delle forze Qods (reparto specializzato in missioni all’estero), che da anni ricopre un ruolo attivo in Iraq e dai primi giorni della minaccia dello “Stato Islamico” è stato presente con un ruolo di primo piano sul campo di battaglia.
All’inizio del conflitto il Sunday Times ha riportato che Suleimani, assieme a settanta uomini dell’Intelligence Iraniana, è entrato nella capitale Baghdad per cercare di ricomporre i ranghi del disorganizzato esercito iracheno. Contemporaneamente il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, Hassan Rouhani, ha annunciato pubblicamente che le città sante irachene costituiranno una “red line” per Teheran.
È probabile che egli abbia collaborato all’addestramento delle milizie volontarie sciite promosse dall’ayatollah Sistani. Suleimani ha acquisito notevole esperienza sul fronte siriano, dove in precedenza ha dato vita ha ad un gruppo paramilitare chiamato “Forze di Difesa Nazionale”, con lo scopo di difendere il regime di Bashar al-Assad, alleato vitale dell’Iran nella regione.
La sua presenza nello scenario di guerra iracheno non ha prodotto reazioni negative da parte delle potenze occidentali, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato. Appare doveroso ricordare che, nonostante i numerosi punti di collisione tra il regime iraniano e il blocco occidentale, più volte nella storia recente si sono verificati episodi di mutua (seppure tacita) assistenza. Esempi significativi sono stati la caduta del regime talebano nel 2001 e di Saddam Hussein nel 2003.
Il contrasto alle forze islamiste dell’Isis nel territorio iracheno ha inaugurato un nuovo capitolo di questa insolita collaborazione.
Tra i successi del capo delle forze Qods vi è il ruolo chiave nella riconquista di alcune aree temporaneamente cadute sotto le mani del neo-califfato. Nello specifico ha contribuito alla liberazione di Samarra, centro nevralgico del paese, Amerli, città situata tra Baghdad e Kirkuk popolata in prevalenza da turkmeni sciiti e ha partecipato attivamente alla difesa del capoluogo curdo Erbil.
Riguardo la coalizione contro l’Isis l’Iran si è mostrato estremamente sospettoso, e ha puntato il dito contro alcuni membri della Lega Araba, come Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar ma anche contro la Turchia definendoli “La coalizione del pentimento”. Un allusione che senza dubbio richiama alla responsabilità di quei paesi riguardo la creazione stessa del neo-califfato. I vertici del governo iraniano sono infatti fermamente convinti che l’asse del Golfo e la Turchia a tutt’oggi portino avanti una politica doppiogiochista, da una parte finanziando l’insurrezione islamista e dall’altra accomodando le istanze della Nato e della comunità occidentale nella partecipazione alla “joint venture” militare.
Queste considerazioni hanno condotto l’Iran verso una scelta ben precisa: entrare in campo in prima persona per difendere i propri confini strategici piuttosto che assistere passivamente alla partita in gioco. Una partita dagli esiti imprevedibili il cui termine appare ancora ben lungi dal concretizzarsi.
* Farahmand Alipour è un giornalista Iraniano che viva in Italia. Negli ultimi anni ha lavorato come esperto di Medio Oriente per la Bbc Persian e Voice of America. Alipour negli ultimi mesi trascorsi in Iran ha lavorato come giornalista esclusivo per Mehdi Karubi, uno dei due leader del Movimento verde che a tutt’oggi sconta una pena agli arresti domiciliari.
Iran, guardiani rivoluzione:
garantire "linee rosse" su nucleare
Ripresi ieri i negoziati a Vienna con la comunità internazionale
ilmondo.it - 19 febbraio 2014
Le "linee rosse" dell'Iran devono essere garantite durante i negoziati ripresi ieri a Vienna con la comunità internazionale sul programma nucleare di Teheran. Lo ha dichiarato oggi il generale Mohammad Ali Jafari, comandante dei Guardiani della rivoluzione.
Teheran ha illustrato il 10 febbraio scorso le sue "linee rosse", tra cui il proseguimento delle operazioni di arricchimento dell'uranio, il mantenimento di tutti i siti nucleari e il rifiuto di discutere del proprio programma balistico.
Parlando alla conferenza degli studenti Basij (miliziani volontari), Jafari ha espresso fiducia nel fatto che la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, non permetterà mai a nessuno di ignorare tali condizioni. Poi ha aggiunto: "Non si può essere ottimisti riguardo agli Stati Uniti e sembra che avremo problemi,
ma spero di sbagliarmi". (Fonte Afp)
Iran. Arrestati quattro sabotatori
presso sito nucleare
Si teme la longa manus del Mossad
notiziegeopolitiche.net di Fabrizio Montagner - 06 ottobre 2013
Nonostante siano in corso tentativi di aprire relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e l’Iran in seguito all’elezione del leader moderato Hassan Rohani ed al suo colloquio telefonico con il presidente Obama, e nonostante Teheran, forte dell’appoggio della Russia di Putin, punti ad alleggerire le sanzioni imposte dall’Occidente per inibire il suo programma atomico, oggi si è verificato l’ennesimo tentativo di sabotaggio contro un sito nucleare iraniano.
Quattro uomini stranieri sono stati infatti arrestati dalle forze di sicurezza nei pressi di un sito di ricerca per lo sviluppo della tecnologia atomica mentre si apprestavano a compiere un “tentativo di sabotaggio”. A riferirlo è stato il capo dell’Organizzazione Atomica Iraniana, Ali Akbar Salehi, il quale non ha fornito ulteriori informazioni ne’ su quale sia l’impianto ne’ sulla nazionalità dei fermati.
Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa iraniana Mehr, i Servizi segreti starebbero interrogando i quattro per conoscere la loro provenienza, chi siano i loro mandanti e quali fossero le loro reali intenzioni.
Non è la prima volta che vengono attaccati siti e scienziati iraniani impiegati nel progetto di sviluppo del programma nucleare: diversi tecnici e ricercatori sono infatti già stati uccisi, soprattutto durante il governo dell’ex presidente Ahmadinejad, e per queste morti Teheran ha sempre puntato il dito contro Israele che, anche in passato e non ultimo in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si è opposto allo sviluppo del programma nucleare civile iraniano adducendo la presunta intenzione di arrivare alla bomba atomica.
Dal 2010 al 2012 risultano essere stati uccisi, fra gli altri, Daryoush Rezaei, docente universitario esperto dell’Organizzazione atomica iraniana, ammazzato davanti la sua casa a Teheran da un killer in moto, Majid Shahriari morto Teheran per una bomba “adesiva” attaccata alla sua auto; Massud Ali Mohammadi, uno dei responsabili del programma nucleare, ucciso a Teheran da una moto bomba; Mostafa Ahmadi Roshan, direttore del nuovo centro a Qom per l’arricchimento dell’uranio.
Solo due settimane fa la Russia ha firmato il protocollo di trasferimento della centrale nucleare di Bushehr dalla Rosatom, la ditta che ha portato a termine i lavori, all’Iran.
In realtà la costruzione dell’impianto è partita nel 1975 ad opera di ditte della Germania federale (Ag Siemens, TyssenKrupp ecc.), ma la Rivoluzione del 1979, la guerra con l’Iraq e le accuse della comunità internazionale di utilizzare il materiale nucleare per la fabbricazione della bomba atomica, ne hanno ritardato il completamento con un continuo passaggio di mani e di contratti fra varie aziende, fino alla sovietica Atomstroyexport e poi alla Rosatom.
Si tratta della prima centrale nucleare iraniana, come pure del Medio Oriente, ed è equipaggiata con un solo reattore di tipologia VVER1000 da 915 MW; altri tre reattori non sono ancora stati completati.
La centrale è garantita per due anni e vi rimarranno ingegneri e personale russo per formare gli incaricati iraniani del funzionamento.
La centrale non è soggetta alle restrizioni dell’Aiea in quanto è appurato lo scopo civile dell’impianto e l’Iran ha l’obbligo di consegnare alla Russia il materiale radioattivo di scarto.