Il Califfato Islamico
e la nuova Guerra del Golfo
oltremedianews.com di Daniele Cardetta - 30 giugno 2014
Oggi l'Isis ha dichiarato al mondo la nascita del Califfato Islamico nelle aree sotto il suo controllo. L'esercito iracheno intanto va riorganizzandosi ed è già partita la controffensiva in quella che può essere definita già una guerra regionale. Turchia, Arabia, Iran e Siria sono alla finestra, mentre Usa e Russia risultano ancora divisi su tutto.
L'Isis comincia a fare sul serio. Nei giorni scorsi abbiamo approfondito le origini dell'organizzazione e le basi sociali ed economiche che hanno permesso al movimento islamista sunnita di avanzare la propria sfera d'influenza sino al cuore dell'Iraq. Di oggi è però un'ulteriore notizia destinata a segnare una tappa essenziale nell'evoluzione dello scacchiere mediorientale: è stata dichiarata la formazione del Califfato Islamico nei territori occupati dall’Isis a cavallo tra Iraq e Siria. Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’Isis, è il Califfo dello Stato Islamico così costituito, la cui formazione, peraltro, è stata comunicata mediante la diffusione di un filmato su internet, proprio il giorno dell’inizio del Ramadan.
Nasce così il Califfato delle aree occupate dall'Isis: una zona estesa che va dai confini con l'Iran alle aree siriane ancora sotto l'influenza dei miliziani jihadisti anti-Assad, passando per ricchi giacimenti di gas e di petrolio nel cuore del territorio iracheno. Una consolidazione territoriale, questa, che non può che rafforzare economicamente e agli occhi del mondo il ruolo di questo nuovo soggetto politico-militare e al tempo stesso che rende ancor più delineate le linee di demarcazione del conflitto radicale in corso nel mondo islamico tra sciiti e sunniti. La situazione non è facile per le popolazioni locali, ma non lo è nemmeno per le diplomazie occidentali.
Da anni infatti l'avanzata dell'Isis e dei suoi adepti in terra siriana sta mettendo a ferro e fuoco l'area a maggioranza sciita, e tutto sotto gli occhi del mondo, impegnato più a fare i conti con i propri interessi geopolitici che con le effettive emergenze umanitarie. Così mentre gli Stati Uniti la scorsa estate erano in procinto di bombardare Damasco (dove le donne possono girare in minigonna e studiare), ora non sembrano così smaniosi di intervenire a difesa della popolazione irachena, lasciata così alla mercè di bande di fanatici che crocifiggono e giustiziano tutti quelli che non la pensano come loro. Dall'altra parte si assiste ad un rinnovato attivismo siriano, iraniano e soprattutto russo nella lotta ai fondamentalisti iracheni: Teheran starebbe continuando ad inviare consiglieri militari e droni a Baghdad, la Russia ha messo alcuni propri caccia a disposizione del governo di Al-Maliki, mentre è notizia dei giorni scorsi che Bashar al-Assad, ormai quasi vittorioso sul fronte interno, abbia cominciato a bombardare posizioni dell'Isis in territorio iracheno. Che l'evoluzione delle cose non stia affatto bene a Turchia e paesi del Golfo, nemmeno troppo velatamente legati alla causa sunnita portata avanti dai jihadisti siriani ed iracheni, era cosa prevedibile; ciò che sorprende, invece, è che agli americani faccia più paura l'asse Damasco-Baghdad-Teheran degli estremisti musulmani alleati con al-qaeda.
Ad esprimere la preoccupazione americana ci ha pensato Kerry che proprio nel week-end è arrivato come un condor nella capitale irachena a dare disposizioni al premier Al-Maliki. Prima una critica all'interventismo esterno di Siria ed Iran che, secondo il segretario di stato USA, potrebbe esacerbare il conflitto, poi il ricatto al governo iracheno con la richiesta di un nuovo esecutivo di coalizione con esponenti Isis. Inutile dire che Al-Maliki, forte dell’appoggio di Siria e Iran, ha rifiutato, ben sapendo che anche Mosca sarebbe molto interessata ad aiutarlo a contenere l’invasione jihadista. Il dubbio allora sorge spontaneo: possibile che gli USA non sapessero nulla sino a pochi mesi fa dell'avanzata dell'Isis e delle sue rivendicazioni jihadiste? Francamente è più facile credere che l’invasione dell’Iraq da parte dell’Isis faccia in qualche modo gli interessi americani, creando destabilizzazione nell'area e rendendo nuovamente significativo il loro ruolo di mediatori. Si perché il sodalizio politico ed economico del mondo sciita che stava andando delineandosi negli ultimi anni avrebbe potuto creare un asse tra Damasco, Baghdad e Teheran con buoni rapporti persino con Mosca. Un'alleanza che l’Occidente e i paesi del Golfo vorrebbero invece spazzare via per fare affari d’oro. I paesi sciiti infatti hanno il “vizio” di tenere alla propria sovranità, un vizio imperdonabile per gli Stati Uniti che hanno bisogno di fare affari dove e come vogliono. Del resto migliaia di miliziani sciiti iracheni hanno combattuto in Siria contro i sunniti jihadisti, e oggi Damasco vuole semplicemente fare altrettanto ora che ha quasi vinto la guerra civile. Sarà un caso che proprio Al-Maliki nei mesi scorsi aveva parlato di stringere legami con la Russia acquistando velivoli e mezzi militari?
Ad ogni modo, mentre nelle stanze segrete dei governi si intessono relazioni diplomatiche e si gioca una guerra di nervi destinata a produrre solo il perdurare dell'immobilismo occidentale, nelle strade la guerra civile si fa sempre più cruenta e la gente continua a morire. I miliziani del Califfato, inspiegabilmente lasciati prosperare dall’Occidente nei mesi scorsi, nelle scorse settimane hanno continuato la loro avanzata verso Baghdad e si sono attestati a Mansuriya, nella regione orientale di Diyala nel nord-est del Paese, conquistando anche Tikrit, vecchio feudo di Saddam Hussein e luogo che aveva dato i natali all'ex dittatore. Si troverebbero ora a meno di un’ora da Baghdad e hanno lasciato dietro di sé una lunga scia di cadaveri. Testimonianze parlano di combattimenti casa per casa migliaia di sfollati. Civili in fuga anche a Mosul nella provincia di Ninive dove, secondo l’Agenzia Onu per i Rifugiati sarebbero scappate oltre 10.000 persone, quasi tutte cristiane, per cercare la salvezza nel Kurdistan iracheno, a Erbil, dove i miliziani curdi difendono la popolazione dai jihadisti, che sparano con i mortai sulle abitazioni e hanno già giustiziato centinaia di innocenti.
Dopo un iniziale sbandamento l’esercito iracheno, rinforzato da paramilitari sciiti e dagli aiuti di Iran e Russia, ha lanciato una grande controffensiva di terra proprio sulla direttrice di Tikrit la cui periferia è stata riconquistata da colonne di blindati dell’esercito regolare. Secondo un comunicato del Ministero della Difesa iracheno le forze armate avrebbero liberato dalle forze ribelli la strada che da Samarra porta a Tikrit e i villaggi circostanti. Tutto questo mentre da Mosca sono in arrivo diversi caccia Sukhoi per permettere a Baghdad di bombardare le postazioni dell’Isis.
Insomma, a guardare il numero di morti che cresce ogni giorno e le convergenze delle alleanze, il conflitto è lontano da una soluzione. Non è esagerato dire, infatti, che la guerra è in propagazione in tutto il Medio Oriente, tanto che in molti iniziano a parlare di conflitto regionale. Molto dipenderà dal ruolo giocato dalle forze esterne all'Iraq: Siria ed Iran da una parte, Turchia e paesi del Golfo dall'altra. Sullo sfondo ancora divisi su tutto Russia e Stati Uniti.