Un reportage sul Libano che dà voce alle tante realtà e pluralità del Paese dei Cedri: “Libano nel baratro della crisi siriana” di Matteo Bressan e Laura Tangherlini (Poiesis Editrice) è un testo che aiuta a inquadrare i problemi e le tensioni che il Paese attraversa, indagate attraverso il punto di vista di differenti personalità politiche, diplomatiche e religiose e attraverso un approfondito lavoro di documentazione, con analisi e interviste sul campo. Ce ne parlano i due autori, entrambi giornalisti esperti di Medioriente.
Che ripercussioni ha avuto la crisi siriana in Libano a livello economico?
Ripercussioni enormi. Nell’ottobre 2014 la Banca Mondiale calcolava che la già provata economia libanese ha subito perdite per 7,5 miliardi di dollari negli ultimi due anni e le previsioni parlano di un aumento della povertà -circa 170.000 poveri in più- e della disoccupazione: nei prossimi mesi potrebbero restare senza lavoro tra 220.000 e i 320.000 libanesi, in maggioranza giovani non qualificati.
Come è cambiata l’opinione pubblica rispetto al tema dei profughi siriani?
Purtroppo è cambiata e nettamente in peggio. Oramai i profughi sono percepiti dalla maggioranza dei libanesi come “rubalavoro”, concorrenti negli alloggi, portatori di malattie, causa di un peggioramento dei servizi e di una minore reperibilità di risorse, criminali comuni o fonte di insicurezza a livello terroristico. Un giudizio altamente negativo dovuto anche al fatto che la maggior parte dei profughi si è stabilita in aree già povere la cui popolazione libanese aveva già non pochi problemi. La pressione dei rifugiati sta mettendo a dura prova i sistemi di distribuzione delle acque, dei servizi igienico-sanitari, della salute e l’ambiente nel suo complesso. In alcune città e villaggi gruppi spontanei di vigilantes hanno imposto il coprifuoco sui nuovi arrivi. Soprattutto, si teme che l’equilibrio religioso e confessionale nel Paese venga alterato, al punto da scatenare anche in Libano una nuova guerra civile. Questo non vuol dire che non permangano tra i libanesi casi numerosi di famiglie e associazioni che continuano la loro opera di accoglienza verso queste persone e di sensibilizzazione per evitare una deriva razzista.
Qual è oggi la situazione dei profughi siriani in Libano?
Il governo libanese dice che il numero effettivo dei profughi nel Paese è di circa 1,6 milioni – pari a più di un terzo della popolazione. Un recente rapporto dell’Unhcr parla invece di circa 1 milione e 200 mila persone, in un paese come il Libano con poco meno di 4 milioni e mezzo di abitanti. Facendo le dovute proporzioni, è come se l’Italia ospitasse circa 16 milioni di profughi stranieri. Per questo, recentemente il governo libanese ha deciso una ulteriore stretta, dopo quella della scorsa estate, sugli ingressi in Libano. Ogni persona che voglia entrare nel Paese dei Cedri avrà da ora in poi, è stato fatto sapere, bisogno di indicare un obiettivo chiaro per la sua “visita” e, se approvato, il visto sarà rilasciato, ma solo per una durata limitata. I siriani che chiedono di entrare per poter lavorare dovranno dimostrare avere come referenti un cittadino o una società libanese, in grado di garantire loro un’occupazione.
Che cosa si sta facendo per gestire l’emergenza profughi?
Il Libano dopo quattro anni sta aprendosi all’idea di aprire campi profughi all’interno dei propri confini, come hanno fatto da subito altri Paesi confinanti con la Siria come la Giordania e la Turchia. Si tratta però al momento ancora di esperimenti pilota, sotto il controllo delle Nazioni UNite, che riguardano una minoranza esigua dei siriani scappati dal loro Paese. Si prosegue inoltre con i programmi di inserimento scolastico e di aiuti umanitari, ma la situazione è sempre più drammatica.
Qual è il ruolo dell’Unifil?
L’Unifil, la forza internazionale d’interposizione dell’Onu, sta svolgendo dal cessate il fuoco del 2006 tra Hezbollah e Israele, un compito molto delicato. Di fatto la presenza del contingente internazionale, al comando del Generale Luciano Portolano, ha determinato il più lungo periodo di stabilità nel Sud del Paese dei Cedri (l’area dove opera il contingente) ed ha consentito all’Esercito Libanese, per la prima volta nella storia, di potersi schierare al confine con Israele. Il monitoraggio costante della Blue Line (il confine tra Libano e Israele) e l’addestramento dell’Esercito Libanese sono dei fattori importanti che concorrono alla stabilità del Libano. Inoltre l’imparzialità del mandato della missione nel monitorare eventuali sconfinamenti lungo la frontiera è stata riconosciuta ed apprezzata dalla popolazione locale che ha peraltro beneficiato dei molti interventi di assistenza e cooperazione civile e militare attuate dai militari dell’Unifil.
Qual è oggi il confine più instabile del Medioriente?
In questo momento il Libano si trova esposto lungo il confine siriano alla minaccia dei gruppi islamisti quali al–Nusra e l’Isis con i quali Hezbollah è ormai in guerra da due anni. L’Esercito Libanese è impegnato a contrastare il concreto rischio che l’Isis possa trovare un terreno fertile nel Nord del Paese. Al tempo stesso, a Sud c’è l’altro fronte caldo, al momento congelato, con Israele. Va detto che negli ultimi anni ci sono stati scontri verbali tra Hezbollah e autorità israeliane ma nell’ultimo anno, anche a seguito dei diversi raid israeliani in territorio siriano contro rifornimenti e installazioni di Hezbollah, la tensione sta aumentando. Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha recentemente affermato che Israele si dovrà aspettare ritorsioni da parte degli alleati di Assad in Siria. Proprio domenica 18 gennaio c’è stata un importante attacco delle Forze Armate israeliane contro alcuni miliziani di Hezbollah e alcuni militari iraniani che stazionavano sul Golan.
Qual è oggi la situazione dei cristiani in Libano?
I cristiani in Libano sono e restano una delle più importanti comunità del Paese, tanto è vero che non esiste nessun Paese nel Medio Oriente in cui la più alta carica dello Stato viene assegnata per Costituzione ad un cristiano, ma le loro divisioni politiche indeboliscono notevolmente la loro capacità di incidere nella società libanese. Di fatto, volendo schematizzare, possiamo dire che due partiti si sono collocati nella sfera di influenza dell’Arabia Saudita (Kataeb e Lebanese Forces) e due invece (Marada e Free Patriotic Movement) nell’orbita dell’Iran e della Siria di Assad.
Perché il Libano è il “paese dei paradossi”?
Dallo scorso maggio il Libano è senza Presidente della Repubblica, a causa delle forti divisioni dei due blocchi politici che impediscono l’elezione della massima autorità dello Stato. Nessuno dei principali leader maroniti che ad oggi sono in corsa per la Presidenza, Samir Geagea per le Forze Libanesi e Michel Aoun del Movimento Patriottico Libero, sono riusciti a ottenere i voti necessari ed è probabile che si dovrà trovare un Presidente di compromesso, come ad esempio un alto esponente dell’Esercito Libanese. È molto probabile che alla fine Francia, Arabia Saudita, Qatar, Siria, ed altri Paesi svolgeranno un ruolo chiave nell’elezione del Presidente. Non è una novità che in Libano siano in gioco molteplici e contrapposti interessi dei grandi attori regionali e internazionali come è altrettanto evidente che questa situazione sia estremamente delicata proprio per le crescenti emergenze, umanitarie e militari, che il Paese deve fronteggiare.