Libano, il paese dei cedri cerca di resistere al caos

 


vociglobali.it  -  06 February 2015 di Elena Paparelli

 

Un reportage sul Libano che dà voce alle tante realtà e pluralità del Paese dei Cedri: “Libano nel baratro della crisi siriana” di Matteo Bressan e Laura Tangherlini (Poiesis Editrice) è un testo che aiuta a inquadrare i problemi e le tensioni che il Paese attraversa, indagate attraverso il punto di vista di differenti personalità politiche, diplomatiche e religiose e attraverso un approfondito lavoro di documentazione, con  analisi e interviste sul campo. Ce ne parlano i due autori, entrambi giornalisti esperti di Medioriente.

 

Che ripercussioni ha avuto la crisi siriana in Libano a livello economico?

 

Ripercussioni enormi. Nell’ottobre 2014 la Banca Mondiale calcolava che la già provata economia libanese ha subito perdite per 7,5 miliardi di dollari negli ultimi due anni e le previsioni parlano di un aumento della povertà -circa 170.000 poveri in più- e della disoccupazione: nei prossimi mesi potrebbero restare senza lavoro tra 220.000 e i 320.000 libanesi, in maggioranza giovani non qualificati.

 

Come è cambiata l’opinione pubblica rispetto al tema dei profughi siriani?

 

Purtroppo è cambiata e nettamente in peggio. Oramai i profughi sono percepiti dalla maggioranza dei libanesi come “rubalavoro”, concorrenti negli alloggi, portatori di malattie, causa di un peggioramento dei servizi e di una minore reperibilità di risorse, criminali comuni o fonte di insicurezza a livello terroristico. Un giudizio altamente negativo dovuto anche al fatto che la maggior parte dei profughi si è stabilita in aree già povere la cui popolazione libanese aveva già non pochi problemi. La pressione dei rifugiati sta mettendo a dura prova i sistemi di distribuzione delle acque, dei servizi igienico-sanitari, della salute e l’ambiente nel suo complesso. In alcune città e villaggi gruppi spontanei di vigilantes hanno imposto il coprifuoco sui nuovi arrivi. Soprattutto, si teme che l’equilibrio religioso e confessionale nel Paese venga alterato, al punto da scatenare anche in Libano una nuova guerra civile. Questo non vuol dire che non permangano tra i libanesi casi numerosi di famiglie e associazioni che continuano la loro opera di accoglienza verso queste persone e di sensibilizzazione per evitare una deriva razzista.

 

Qual è oggi la situazione dei profughi siriani in Libano?

 

Il governo libanese dice che il numero effettivo dei profughi nel Paese è di circa 1,6 milioni – pari a più di un terzo della popolazione. Un recente rapporto dell’Unhcr parla invece di circa 1 milione e 200 mila persone, in un paese come il Libano con poco meno di 4 milioni e mezzo di abitanti. Facendo le dovute proporzioni, è come se l’Italia ospitasse circa 16 milioni di profughi stranieri. Per questo, recentemente il governo libanese ha deciso una ulteriore stretta, dopo quella della scorsa estate, sugli ingressi in Libano. Ogni persona che voglia entrare nel Paese dei Cedri avrà da ora in poi, è stato fatto sapere, bisogno di indicare un obiettivo chiaro per la sua “visita” e, se approvato, il visto sarà rilasciato, ma solo per una durata limitata. I siriani che chiedono di entrare per poter lavorare dovranno dimostrare avere come referenti un cittadino o una società libanese, in grado di garantire loro un’occupazione.

 

Che cosa si sta facendo per gestire l’emergenza profughi?

 

Il Libano dopo quattro anni sta aprendosi all’idea di aprire campi profughi all’interno dei propri confini, come hanno fatto da subito altri Paesi confinanti con la Siria come la Giordania e la Turchia. Si tratta però al momento ancora di esperimenti pilota, sotto il controllo delle Nazioni UNite, che riguardano una minoranza esigua dei siriani scappati dal loro Paese. Si prosegue inoltre con i programmi di inserimento scolastico e di aiuti umanitari, ma la situazione è sempre più drammatica.

 

Qual è il ruolo dell’Unifil?

 

L’Unifil, la forza internazionale d’interposizione dell’Onu, sta svolgendo dal cessate il fuoco del 2006 tra Hezbollah e Israele, un compito molto delicato. Di fatto la presenza del contingente internazionale, al comando del Generale Luciano Portolano, ha determinato il più lungo periodo di stabilità nel Sud del Paese dei Cedri (l’area dove opera il contingente) ed ha consentito all’Esercito Libanese, per la prima volta nella storia, di potersi schierare al confine con Israele. Il monitoraggio costante della Blue Line (il confine tra Libano e Israele) e l’addestramento dell’Esercito Libanese sono dei fattori importanti che concorrono alla stabilità del Libano. Inoltre l’imparzialità del mandato della missione nel monitorare eventuali sconfinamenti lungo la frontiera è stata riconosciuta ed apprezzata dalla popolazione locale che ha peraltro beneficiato dei molti interventi di assistenza e cooperazione civile e militare attuate dai militari dell’Unifil.

 

Qual è oggi il confine più instabile del Medioriente?

 

In questo momento il Libano si trova esposto lungo il confine siriano alla minaccia dei gruppi islamisti quali al–Nusra e l’Isis con i quali Hezbollah è ormai in guerra da due anni. L’Esercito Libanese è impegnato a contrastare il concreto rischio che l’Isis possa trovare un terreno fertile nel Nord del Paese. Al tempo stesso, a Sud c’è l’altro fronte caldo, al momento congelato, con Israele. Va detto che negli ultimi anni ci sono stati scontri verbali tra Hezbollah e autorità israeliane ma nell’ultimo anno, anche a seguito dei diversi raid israeliani in territorio siriano contro rifornimenti e installazioni di Hezbollah, la tensione sta aumentando. Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha recentemente affermato che Israele si dovrà aspettare ritorsioni da parte degli alleati di Assad in Siria. Proprio domenica 18 gennaio c’è stata un importante attacco delle Forze Armate israeliane contro alcuni miliziani di Hezbollah e alcuni militari iraniani che stazionavano sul Golan.

 

Qual è oggi la situazione dei cristiani in Libano?


I cristiani in Libano sono e restano una delle più importanti comunità del Paese, tanto è vero che non esiste nessun Paese nel Medio Oriente in cui la più alta carica dello Stato viene assegnata per Costituzione ad un cristiano, ma le loro divisioni politiche indeboliscono notevolmente la loro capacità di incidere nella società libanese. Di fatto, volendo schematizzare, possiamo dire che due partiti si sono collocati nella sfera di influenza dell’Arabia Saudita (Kataeb e Lebanese Forces) e due invece (Marada e Free Patriotic Movement) nell’orbita dell’Iran e della Siria di Assad.

 

Perché il Libano è il “paese dei paradossi”?

 

Dallo scorso maggio il Libano è senza Presidente della Repubblica, a causa delle forti divisioni dei due blocchi politici che impediscono l’elezione della massima autorità dello Stato. Nessuno dei principali leader maroniti che ad oggi sono in corsa per la Presidenza, Samir Geagea per le Forze Libanesi e Michel Aoun del Movimento Patriottico Libero, sono riusciti a ottenere i voti necessari ed è probabile che si dovrà trovare un Presidente di compromesso, come ad esempio un alto esponente dell’Esercito Libanese. È molto probabile che alla fine Francia, Arabia Saudita, Qatar, Siria, ed altri Paesi svolgeranno un ruolo chiave nell’elezione del Presidente. Non è una novità che in Libano siano in gioco molteplici e contrapposti interessi dei grandi attori regionali e internazionali come è altrettanto evidente che questa situazione sia estremamente delicata proprio per le crescenti emergenze, umanitarie e militari, che il Paese deve fronteggiare.

 

 

 

Benvenuti a Beirut, la città delle autobombe

 

unimondo.org  di Hicham Idar  - 28 febbraio 2014

 

Le notizie provenienti dal Libano ci parlano di uno stato di terrore, instabilità e detorieramento del quadro generale di sicurezza. Questo clima si respira in particolare in molte aree della capitale: ciò è causato dalla crescente frequenza e gravità di attentati, esplosioni e autobombe che scuotono soprattutto la periferia sud di Beirut “addahya al janubya”, considerata la roccaforte del Partito di Hezbollah, e i suoi dintorni dove c’è una densità di popolazione sciita.

 

Ancora una volta le Brigate di Abdullah Azzam hanno colpito qualche giorno fa. Due espolosioni sincronizzati , uno nel quartiere di “Biir Hassan” vicino al centro culturale iraniano e l’altro che ha mirato l’ambasciata iraniana situata nei dintorni. Le brigate di Al Qaeda si sono affrettate a dichiarare la loro responsabilità per le due attentati come hanno già fatto per altri precedenti sempre nella stessa zona. L’arresto, e la successiva morte, del loro leader Majid Majid sembra non abbia assolutamente influito sulle loro attività .

 

La guerra siriana si estende ora fortemente sul territorio libanese, e il confronto tra Hezbollah e i militanti jihadisti - che adottano  l'ideologia di al-Qaeda  nella zona di Kalamoon a nord-ovest della Siria - si sta spostando nel cuore della periferia sud di Beirut. Il messaggio è ben chiaro: “ci combattete in Siria, noi vi combattiamo a casa vostra”. Il fatto di colpire obbiettivi iraniani è anche un messaggio per l’Iran che ha sostenuto il regime di Bashar Al Asad sin dall’inizio e continua a finanziare i fabisogni dell’esercito siriano con armi e rifornimenti.

 

I discorsi del leader di Hezbollah Hassan Nassrallah in cui ha chiesto ai suoi oppositori libanesi di lasciare il Libano lontano dai problemi siriani non ha trovato alcun riscontro, e quindi il Paese si è ben trovato nel cuore della guerra. Le prime scintille sono scoppiate a Tripoli a nord del Paese: poiché la città è a maggioranza sunnita, essa è stata e continua ad essere la destinazione preferita di tanti siriani fuggiti dalla guerra, e lì i primi scontri sono cominciati, prima che il fenomeno arrivasse a Beirut.

 

In Libano sono arrivati, dall’inizio della guerra, più di un milione di rifugiati siriani. Gestire un tale numero di persone è un impegno notevole soprattutto per un paese come il Libano, che ha poco più di 4 milioni di abitanti. Per non parlare dei “profughi non profughi” palestinesi che stanno da più di 60 anni nei campi, ormai senza patria e senza futuro. La maggior parte dei rifugiati siriani sono giovani disoccupati e disperati, una condizione che i gruppi militanti utilizzano per assoldarli a basso prezzo. Non è un buon segnale per un Paese già sfiancato da una sequenza di conflitti.

 

Non c’è alcun dubbio che c’è una preoccupazione crescente  negli ambiti conservatori sciiti dopo il coinvolgimento di Hezbollah nella guerra in Siria, e soprattutto dopo la catena di autobombe provenienti dal territorio limitrofo. Da un’altra parte c’è un appello alla vendetta dalla parte estremista sciita che vuole replicare nello stesso modo, cioè facendo scoppiare autobombe nelle aree sunnite. Tuttavia ci sono pressioni da parti molto influenti che impediscono un’ulteriore escalation non solo per paura delle conseguenze sulla popolazione sciita che è una minoranza, ma sul Libano in generale.

 

É difficile se non impossibile arginare il fenomeno di questi attentati, a prescindere dalle misure di sicurezza adottate a questo proposito: cosa si può fare contro una persona che vuole farsi esplodere e contro l’autobomba che guida verso il target a lui affidato? É vero che i controlli di sicurezza si sono intensificati negli ultimi mesi, però i terroristi hanno altre tattiche per spostare queste macchine cariche di esplosivo, ora usando giovani belle ragazze vestite alla moda, ora utilizzando macchine di lusso.

 

Il Libano sta sprofondando nel pantano di una sanguinaria guerra settaria, che può durare  finchè la crisi in Siria non si risolve; purtroppo una soluzione  in breve termine non pare possibile visto l’esito negativo sia del primo che del secondo congresso di Ginevra.

 

Ora, pochi giorni fa, dopo 10 mesi di gestazione, è nato il nuovo governo di unità nazionale guidato dal sunnita Tammam Salam: l’esecutivo è rappresentato da varie forze politiche, i più influenti sono gli avversari di sempre, il Partito del 14 marzo cappeggiato da Saad Alhariri e l’Alleanza dell’ 8 marzo guidata dal gruppo sciita di Hezbollah. Due blocchi, pro e anti siriano, che dimostrano chiaramente come il Libano sia ormai dipendente dalla situazione in Siria. Il Paese sta attraversando uno dei periodi più delicati della sua storia, e per farlo uscire da questa spirale di instabilità ci vorrebbe un impegno serio dalle forze politiche e dalla società civile che è la vera ricchezza di questo bel Paese. Altrimenti l’insicurezza, l’instabilità e le autobombe saranno il titolo del periodo a venire.

 

 

Attentato a Beirut, autobomba esplode in un parcheggio: “Almeno 37 feriti”

 

L'attentato si è verificato nei quartieri meridionali della città, roccaforte di Hezbollah; tra le vittime anche alcuni bambini. Gravi disordine in città dopo l'esplosione: folla aggredisce il ministro dell'Interno Charbel, un ferito

 

 
Autobomba Damasco