ROMANIA

Romania: le presidenziali

e i seggi mancanti in Italia

 

 

Il primo turno delle presedenziali in Romania è stato segnato dalle polemiche sul voto all'estero, che hanno portato alle dimissioni

del ministro degli Esteri. Un approfondimento sulla situazione in Italia

 

Il ballottaggio per le presidenziali romene si gioca anche all’estero. Di certo potrebbero non essere le centinaia di migliaia di voti dei romeni della diaspora a modificare i risultati delle elezioni per il nuovo inquilino di Palazzo Cotroceni, ma il peso e lo scontro politico che lo scandalo dei seggi all’estero ha causato nel primo turno sono tutt’altro che sopiti. La vecchia volpe Traian Băsescu, che aveva già chiesto le dimissioni del ministro degli Esteri Titus Corlățean, all’indomani delle proteste del 2 novembre è alla fine riuscito nel suo intento. Il ministro ha rimesso il mandato e il premier Victor Ponta, candidato favorito al ballottaggio si è trovato a fare i conti con le proteste per il diritto di voto della diaspora “leso” al primo turno, ma ha chiarito che si tratterebbe di una pesante macchinazione da parte di Iohannis e Băsescu per dichiarare nullo il voto.

 

La protesta per il voto negato si è estesa a macchia d’olio, facendo un viaggio a ritroso: gli echi delle manifestazioni e degli scontri a Londra, Parigi e Stoccarda, hanno raggiunto amplificati anche l’Italia, dove vive più di un milione di romeni, fino a raggiungere la natìa Romania dove migliaia di persone si sono riunite in piazza a Cluj Napoca, a Bucarest, Timisoara, Oradea, Iasi e Costanza per esprimere solidarietà ai romeni all’estero che non sono riusciti a votare per il primo turno.

 

I tagli di sezioni in Italia

 

E se a Londra e Parigi hanno fatto molto rumore le proteste del momento della chiusura dei seggi, quando migliaia di cittadini sono rimasti fuori dalle sezioni senza aver votato, in Italia a fare notizia sono i numeri del diritto negato: nel Paese con la più grande comunità di romeni all’estero il ministero degli Esteri di Romania invece di incrementare i seggi per le presidenziali ha bocciato le richieste di ulteriori sezioni, tagliando anche alcune autorizzate per le votazioni del 2009. Il calcolo è facile e salta subito agli occhi il motivo della protesta della diaspora: dei 66 seggi chiesti ne sono stati autorizzati soltanto 51 (5 in meno del 2009) e la situazione più drammatica è quella del Lazio.

 

Il ministro Corlățean nonostante le pressanti richieste della comunità romena e il nulla osta dell’Ufficio elettorale centrale (Bec) per la creazione di nuovi seggi ha deciso di mantenere la sua posizione e piuttosto di rimettere il mandato: "Abbiamo avviato come ministero un processo di valutazione sull'apertura di nuovi seggi all'estero. La conclusione di questo esame è che non esiste alcuna base giuridica per istituire nuove sezioni. Come ministro ho l'obbligo di difendere la legge - ha aggiunto Corlățean - e mi auguro che anche lo stesso ministero non infranga la legge per questioni politiche, pertanto mi dimetto".

 

Tornando ai numeri dello scandalo in Italia, per la regione Lazio erano stati chiesti 22 seggi e il ministero degli Esteri ne ha autorizzati soltanto 13, sei in meno anche della passata tornata elettorale di cinque anni fa. E' stata bocciata un'ulteriore sezione a Roma e quelle di Albano, Guidonia, Sezze, Viterbo, tra le altre. Sezioni che avrebbero accolto una grande fetta di cittadini romeni se si considera che a Latina (senza seggio) vivono 6.000 romeni e a Viterbo (seggio non autorizzato) insiste una comunità di 16.000 cittadini. Altra situazione di disagio in Piemonte dove su 15 seggi richiesti il Mae ha autorizzato soltanto 10 sezioni, due in meno del 2009.

 

Cosa avverrà?

Il governo romeno nel frattempo sta cercando di correre ai ripari: Ponta ha sottolineato che i cittadini romeni all’estero non hanno potuto votare perché sono necessari “adempimenti molto lunghi” per esprimere la propria preferenza e che le procedure adottate dal ministero e dal Bec per ridurre i tempi di attesa, il modulo “anti-frode” da precompilare, saranno sostenute dall’esecutivo per “evitare che la situazione si ripeta al ballottaggio”.

 

Il ministero degli Esteri ha informato l’Ufficio elettorale centrale di aver messo a disposizione “800 persone per le missioni diplomatiche e consolari per completare il personale dei seggi all’estero”. Ma nessun cenno alla possibilità di aprire nuove sezioni.

 

Romania: alla vigilia del 2 novembre

 

 

Victor Ponta e Klaus Iohannis, fotomontaggio

 

Domenica si vota in Romania per le presidenziali. Il ballottaggio sembra ormai scontato tra il premier

Victor Ponta e il sindaco di Sibiu Klaus Iohannis

 

Diciotto milioni di romeni sono attesi domenica 2 novembre alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali, dopo una campagna elettorale dominata da attacchi personali piuttosto che da dibatti su qualsivoglia programma.

 

Due le questioni che hanno fatto più discutere e hanno “rubato “ lo spazio dedicato ai temi e problemi del paese. La prima riguarda i servizi segreti e la loro presenza sotto-copertura in mass-media e in politica. La seconda questione - fortemente d'attualità in queste settimane – sono i clamorosi casi di corruzione e gli arresti di politici, avvenuti a cascata nel corso della campagna elettorale.

 

Il partito più colpito dai provvedimenti anticorruzione è anche quello maggioritario nel paese, cioè il Partito Socialdemocratico, guidato da Victor Ponta, primo ministro e favorito secondo i sondaggi nella corsa elettorale presidenziale. Ma la magistratura colpisce anche altrove: mentre – e non è nulla di nuovo - il presidente uscente Traian Băsescu si mostra ben poco equidistante e sostiene a braccia aperte (anche dal tavolo di un ristorante) la sua ex consigliera Elena Udrea, l’ex marito di quest'ultima, Dorin Cocoș, è stato coinvolto in un caso di tangenti per forniture Microsoft a istituzioni statali, accusato di riciclaggio e abuso di potere. Nel dossier delle licenze Microsoft (con danno di decine di migliaia di euro per lo stato) risultano indagati anche nove ex ministri dei governi presieduti da Emil Boc e Adrian Nastase.

 

007

Nel frattempo il presidente Băsescu ha accusato il premier Victor Ponta di essere stato agente del Servizio di informazioni estere (SIE) nel periodo 1997-2001 mentre era magistrato e quindi avrebbe violato la Costituzione per incompatibilità di incarichi. Per Ponta, le accuse di Băsescu sono tutte bugie e comunque “è già qualcosa” che il capo dello stato che prima lo chiamava “un gattino” ora lo consideri “una spia”. E il misterioso fascino di 007 non sembra aver inciso in modo negativo sulle potenzialità elettorali di Ponta, ma al contrario, secondo alcuni analisti, gli avrebbe portato ulteriori voti.

 

Comunque vada, Ponta si prepara già al futuro ed avrebbe già pensato a qualche nome per sostituirlo nel ruolo di primo ministro se diverrà presidente: tra questi vi sarebbe anche George Maior, attuale direttore dei Servizi romeni d’informazione (SRI).

 

Sondaggi

 

Ponta (42 anni) viene accusato dai rivali di avere un ”linguaggio comunista” oppure di essere molto vicino alla Russia e alla Cina, ma resta comunque primo nei sondaggi. Questi ultimi però differiscono notevolmente tra loro: in alcuni l'attuale primo ministro sarebbe al 36% di voti al primo turno, per altri al 43%. Il suo principale opponente, Klaus Iohannis, sindaco di Sibiu della minoranza tedesca, nonché candidato dell’Alleanza Cristiana Liberale (ACL), sarebbe dietro a Ponta di minimo sei, massimo dieci punti percentuali.

 

La classifica dei sondaggi prosegue con Elena Udrea (PMP), Calin Popescu Tăriceanu (IRL) e Monica Macovei, indipendente. Macovei da indipendente e stata costretta a farsi la sua campagna elettorale su facebook piuttosto che in tv dove si è lamentata di non essere stata invitata. Macovei gode del sostegno di alcuni intellettuali e ha svolto la sua campagna con l’aiuto di volontari. E' una ex alleata di Băsescu, ex ministro della Giustizia, e ha dato un notevole contributo alla lotta contro la corruzione.

 

Il ballottaggio

 

Mai come in questa campagna elettorale si sono fatti tanti appelli alla partecipazione al voto. Giornali ed associazioni varie invitano i cittadini a votare, anche tramite spot video che fanno ricorso alla storia nazionale oppure con l'aiuto di personaggi pubblici che spiegano l’importanza di questo momento per la salute democratica del paese.

 

Benché siano 14 i candidati in lizza, per ora il ballottaggio del prossimo 16 novembre sembra scontato: dovrebbe essere tra Ponta e Iohannis. Quest'ultimo ha retto ad accuse di essere un "commerciante di bambini", ma in realtà Iohannis avrebbe solo aiutato all'inizio degli anni '90 una famiglia canadese ad adottare tre bambini a seguito di regolare sentenza del tribunale; ed è stato preso di mira anche per essere proprietario di sei appartamenti che lui ha dichiarato di essere riuscito a comperarsi con lezioni private come insegnante di fisica, meravigliando a dire il vero molti ex colleghi insegnanti.

 

L'eventuale ballottaggio potrebbe veder coalizzati i tre candidati che i sondaggi danno alla spalle di Ponta e che rappresentano la destra. Ma è tutt'altro che scontato date le croniche divisioni del centro-destra romeno.

 

A favore di Ponta è scesa in campo anche la chiesa ortodossa. Un segnale forte in un paese dove oltre l'80% della popolazione è di fede cristiano ortodossa. E da non sottovalutare visto che Iohannis è di confessione luterana, Monica Macovei greco-cattolica, Tăriceanu cattolico.

 

Intanto Traian Băsescu è arrivato alla fine del suo mandato e tramite il suo sostegno a Elena Udrea ha tentato la scalata alla guida della destra del paese. Ma tutto è ancora incerto e allora Băsescu ha annunciato che dopo aver concluso il proprio mandato chiederà la cittadinanza moldava per perseguire il grande progetto dell'unità politica tra i due paesi.

 

 

La Romania dei diritti mancati

 

 

Dopo la sua visita in Romania nell'aprile scorso, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Nils Muižnieks ha ora pubblicato un rapporto sullo stato dei diritti nel paese. Una rassegna

 

Circa 17mila disabili in istituti di cura, una soluzione che non è temporanea ma può durare tutta la vita; la metà dei minori a rischio povertà; 170mila minori fuori dal sistema scolastico, la maggior parte di etnia rom; quasi 1.500 neonati e bambini abbandonati negli ospedali; più di 7.000 bambini tra Bucarest e altre zone catalogati come bambini di strada.

 

Sono questi alcuni dei drammatici numeri che emergono dal rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks in seguito alla sua visita in Romania dello scorso aprile . Dati che confermano e “esplodono” in tutta la loro durezza le preoccupazioni già lanciate dal Commissario nel giorno di chiusura della visita. Timori e allarmi per la situazione dei disabili, dei bambini e dei rom in Romania, esclusione sociale, strutture carenti, maltrattamenti, difficile accesso all'istruzione, al sistema giudiziario e al mondo del lavoro. Un rapporto che elenca le zone critiche e nello stesso tempo dà consigli e suggerimenti a Bucarest ammettendo alcuni passi positivi già fatti sui temi più caldi.

 

Disabili

Secondo i dati riportati nel rapporto, reso pubblico oggi, al 31 dicembre 2013 risultavano più di 648mila adulti e circa 70mila bambini disabili in Romania, cioè il 3,52% della popolazione. Statistiche che però non includono un numero abbastanza ampio di disabili che vivono e vengono curati in casa e sono rappresentati sotto il nome di “persone affette da invalidità”, sottolinea il rapporto di Muižnieks.

 

 

Leggi il report sulla Romania di Nils Muižnieks, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa

 

Il Commissario in particolare ha voluto portare all’attenzione delle autorità alcune carenze strutturali e legislative che affliggono il sistema: ritardi nell’allineamento con le Convenzioni Onu sui diritti dei disabili, difficoltà nell’implementazione della legislazione esistente, problemi strutturali nel sistema sanitario nazionale, limitatissimo accesso all’istruzione e al mondo del lavoro.

 

In particolare, nonostante l’obiettivo di ridurre l’ingresso in istituti stabilito nella Strategia nazionale per la protezione e l’inclusione sociale dei disabili 2006-2013, il numero di centri di cura è più che raddoppiato in otto anni da 141 a 335, anche causa dello smembramento di entità più grandi a favore di più piccole.

 

Inoltre, nonostante in sei anni la Romania abbia investito 27,6 milioni di fondi Ue per la ristrutturazione delle case di cura, l’attuale situazione non corrisponde ancora agli standard internazionali con numerosi abusi e maltrattamenti registrati dalle Organizzazioni non governative che monitorano la situazione. Alla fine del 2013 il 97,6% della popolazione diversamente abile viveva in casa o in strutture private, mentre il 2,4%, 17.123 unità, la maggior parte con problemi psicologici, in strutture pubbliche. Una soluzione che da provvisoria spesso diventa una condizione di vita permanente (per il 67% del totale).

 

I motivi sono diversi e tutti allarmanti, come segnala Muižnieks: la difficoltà di accesso al sistema giudiziario limita la possibilità di aprire autonomamente una richiesta di revisione del proprio status; vi è la mancanza di automatismo per periodiche revisioni; l’accesso al mondo del lavoro e all'autonomia che ne conseguirebbe è quasi una chimera perché enti e aziende preferiscono pagare una tassa piuttosto che assumere un diversamente abile. Oltre a questi problemi di sistema, permangono distorsioni e abusi gravissimi per gli istituzionalizzati: carenze igieniche, strutture fatiscenti, malnutrizione, isolamento, confinamento fino alla costrizione a letto forzata.

 

Minori

Doloroso anche il capitolo che riguarda i minori: disabili, di strada, abbandonati, senza genitori, rom e sotto la soglia di povertà. Tutte categorie con diritti negati.

 

Per quanto riguarda i minori disabili solo il 50% conclude l’iter di studi della scuola primaria e, fatto ancora più preoccupante, i dati ufficiali non tengono conto della segregazione in cui vivono molti dei minori che studiano. Il tasso di abbandono scolastico è doppio rispetto ai normodotati e esiste una mancanza strutturale di personale qualificato tra gli insegnanti. I genitori, sottolinea il rapporto, spesso sono costretti a pagare di tasca propria insegnanti di sostegno per i figli.

 

In generale il Commissario per i diritti umani ha sottolineato che la popolazione romena sotto i 18 anni si è ridotta da 6,6 milioni dei primi anni ‘90 a 3,65 milioni del gennaio del 2013: fenomeno dovuto alla riduzione della natalità e all’emigrazione di gran parte della popolazione. Nel 2012 si segnalava che la metà della popolazione minore (52,2%) era a rischio povertà o esclusione sociale. Inoltre più di 170mila bambini in età scolare non frequenta le scuole. Questo dato è ancora più stringente per i minori di etnia rom. Il 40% di questi ultimi non ha un adeguato accesso all’alimentazione, il 28% della fascia tra i 15 e i 19 anni è già sposato e il livello di istruzione è del 50% più basso dei coetanei non rom.

 

Il commissario ha rimarcato anche la sua preoccupazione per il fenomeno dei minori lontani dai genitori o abbandonati. Nel 2008, all'indomani dell'ingresso della Romania nell'Ue, 350mila minori - l’8% della popolazione minore - viveva senza uno dei genitori, a causa della diaspora. Di questi 126mila con entrambi i genitori all’estero. Del totale, nella fascia sotto i 10 anni il 16% non aveva visto i genitori per almeno un anno, il 3% per quattro anni. Attualmente più di 80.000 bambini vivono in Romania senza uno dei genitori . Le principali conseguenze, non principalmente economiche, sono emotive e l’aumento del rischio di abbandono scolastico.

 

Preoccupante rimane inoltre il numero di neonati abbandonati negli ospedali. Secondo i dati tra il 2010 e il 2012 il tasso è aumentato del 12%. Nel 2013 un totale di 1.449 bambini è stato lasciato dai genitori in ospedale di questi 915 nei reparti maternità.

 

Al 31 dicembre i minori nel Sistema di protezione erano 61.749 di questi il 35,9% ospitati in orfanotrofi pubblici e il 61,3% presso famiglie affidatarie. Mentre il numero di bambini in orfanotrofio è drasticamente diminuito dai 100mila casi degli anni Novanta, dal 2007 si è rallentato il processo di uscita dagli istituti.

 

Ultimo tasto dolente quello dei cosiddetti bambini di strada su cui non ci sono statistiche ufficiali, ma che per le ONG sarebbero 2000 nella sola Bucarest a cui andrebbero sommati altri 5000 in altre città rumene. Un dramma nel dramma è rappresentato dalle due nuove categorie di bambini di strada che si aggiungono rispetto al passato: quelli di seconda generazione e quelli che arrivano per l’impoverimento delle famiglie legato alla recente crisi.

 

Romania, lo scudiero della Nato

 

Romania, lo scudiero della Nato

La crisi in Ucraina sta aumentando le attenzioni di Nato e Stati uniti sulla Romania che le accoglie benvolentieri. In campo anche una possibile strategia comune di difesa romeno-polacca dal Baltico al Mar Nero

 

In seguito all'annessione della Crimea da parte della Russia, gli Stati uniti guardano con ancora più attenzione ed interesse verso paesi dell’est come la Romania o la Polonia. Per la Romania, da dieci anni membro della Nato, la Russia (non certo un paese amico, ma solo un ex alleato nel Patto di Varsavia ) oggi come oggi non è una minaccia diretta alla propria integrità territoriale. Ma l’ambizione di Putin fa temere ai romeni che il prossimo bersaglio potrebbe essere la Repubblica di Moldova, iniziando dalla Repubblica separatista della Transnistria, diventata ultimamente un luogo di “villeggiatura “ per politici russi di alto livello.

L’ex premier della Repubblica di Moldova, Vlad Filat, ha recentemente dichiarato di aver notato un’attività in crescendo dei servizi di informazioni della Federazione Russa, sottolineando inoltre che lo scopo russo sembra essere ”la destabilizzazione in vista alle elezioni di autunno”.

Segnali di incoraggiamento alla Moldavia sono arrivati invece da Bruxelles: il paese firmerà a breve un accordo di libero scambio con l’Ue, mentre i cittadini moldavi possono ora viaggiare nei paesi Ue senza richiedere il visto. Dall’Unione europea arriverà quest’anno anche un aiuto di 40 milioni di euro.

Sostegno anche da Bucarest dove il premier Victor Ponta fa sapere che la Romania proverà ad aumentare la propria produzione di energia sia per il consumo interno sia per la Repubblica di Moldova: “Un obiettivo ancora più cruciale del passato date le attuali condizioni”.

 

Le visite di Obama

In questo contesto di alta tensione al confine esterno della Romania e quindi della Nato e dell'Ue gli Stati Uniti hanno fatto sapere che stanno appoggiando i loro alleati. All’inizio del mese, il presidente americano Barack Obama si è recato a Varsavia, poi a Bruxelles e infine ha partecipato in Normandia alle celebrazioni per i 70 anni dello sbarco alleato. Obama ha rassicurato gli alleati dell’Europa Centrale ed Orientale sulle intenzioni di continuare nella logica della difesa collettiva all'interno della NATO. Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha annunciato l'aumento della presenza aerea e marittima tramite esercitazioni comuni dal Mar Nero e il Mar Baltico fino al Mediterraneo.

Dal suo canto, il presidente americano ha proposto un sostegno di 1 miliardo di dollari per nuove forze americane di terra, mare ed aria nell’Est Europa. Toccherà presto al Congresso americano pronunciarsi sulla richiesta fatta dal presidente. Si tratta di “European Reassurance Initiative”, un aiuto finanziario destinato ad aumentare la presenza americana nella zona e una risposta all’aggressività della Federazione Russa nella crisi in Ucraina. Il piano di difesa che la Casa Bianca ha sottoposto all'approvazione del Congresso riguarda anche un rafforzamento delle capacità di difesa di Ucraina, Moldavia e Georgia. Maggiori sforzi economici con un notevole aumento delle spese militari è stato chiesto anche agli alleati europei . Per quanto riguarda invece la Romania, il paese non è riuscito a destinare il 2% del PIL alla difesa, richiesto dalla Nato, ma il governo spera di poterlo fare entro il 2016.

 

Nato riattivata

Un europarlamentare romeno, nonché ex ministro della Difesa, Ioan Mircea Pascu, citato dalla stampa di Bucarest, ha spiegato che “il prezzo che dovrà pagare Mosca sarà un rinnovamento della Nato. Pascu ha aggiunto che le forze Nato hanno intensificato la loro attività in Romania e di conseguenza “la presenza militare della Nato si è avvicinata alla Russia”.

Da un’analisi “targata” Stratfor – agenzia di consulenza internazionale su temi riguardanti la difesa - emerge inoltre come la Romania potrebbe diventare un alleato chiave della Polonia, in quanto entrambi i paesi nutrono grandi preoccupazioni verso la Russia. Sarebbe quindi possibile l’idea di un'alleanza comune di sicurezza tra la Romania e la Polonia, dal Mar Nero al Mar Baltico. Le visite del presidente e del vicepresidente USA a Varsavia e Bucarest mostrano l’interesse dell’amministrazione americana nell'essere più presente nella regione e nell'incoraggiare un'alleanza strategica tra Bucarest e Varsavia.

Mentre da Bucarest per bocca del presidente rumeno Băsescu arriva appoggio totale alle idee americane - Washington ha sempre trovato nel presidente una persona aperta al dialogo e ai nuovi progetti. Il presidente romeno ha spesso criticato la Russia e ha sostenuto il dispiegamento dello scudo antimissile che a breve sarà pronto a Deveselu - circa 4700 militari e 800 di veicoli di Gran Bretagna, Canada, Stati Uniti, Finlandia e Polonia partecipano in questi giorni ad esercitazioni militari comuni negli stati baltici.

Lituania, Lettonia ed Estonia sono tre ex repubbliche sovietiche che dal 2004 sono membri della NATO. Mentre il ministro lettone della Difesa, Raimonds Vejonis dichiarava che “le esercitazioni sono molto importanti nell’attuale contesto di sicurezza”, la Russia le ha caratterizzate come “una dimostrazione di intenzioni ostili”, secondo quanto affermato dal viceministro russo della difesa Vladimir Titov.

Le esercitazioni militari nei paesi baltici termineranno il prossimo 20 giugno. Tutto questo mentre la Russia ha iniziato manovre militari nell’enclave di Kaliningrad, ”paragonabili per numero di soldati, armi e equipaggiamenti militari alle esercitazioni svolte dai paesi Nato”, annuncia il ministero russo della Difesa, a cui hanno dato ampio spazio anche le agenzie stampa romene.

 

 

Romania: lo stigma sulle madri migranti

 

balcanicaucaso.org  di Cristina Bezzi - 18 febbraio 2014

 

Questo articolo è parte di un progetto di ricerca dell'antropologa Cristina Bezzi dal titolo "Il welfare trasnazionale tra Romania e Italia: nuove forme di diseguaglianza e di cooperazione sociale" realizzato grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.

Richiamate anche da una crescente domanda nel settore del lavoro di cura dovuto ad un progressivo invecchiamento della popolazione in Europa, molte donne romene sono partite per cercare lavoro come assistenti famigliari, lasciando a casa i propri figli e famiglie. Donne provenienti da contesti rurali o in cui le possibilità d'impiego sono rare e scarsamente remunerate, hanno trovato attraverso la migrazione una possibilità di migliorare le proprie condizioni e quelle delle loro famiglie.

 

In Romania esiste un forte flusso migratorio al femminile. Il sacrificio che le madri affrontano per aumentare il benessere delle loro famiglie e dei loro figli viene però spesso tradotto in patria in un discorso morale che le stigmatizza accusandole di abbandonare la prole

 

A partire dagli anni '90, a seguito del collasso del sistema socialista e al rapido impoverimento della popolazione dovuto alla ristrutturazione politica, all'adozione di politiche economiche neoliberiste e allo smantellamento dello stato sociale socialista, si è assistito in Italia ad un crescente flusso migratorio proveniente dai paesi dell'Europa dell'Est ed in particolare dalla Romania.

La comunità romena in Italia, che nel 2011 contava 1.072.342 persone residenti, si sta sempre più stabilizzando, ciò nonostante continua a permanere un flusso migratorio caratterizzato da una certa circolarità che vede rientrare in Romania coloro che sono partiti più tardi o chi, come nel caso delle “badanti”, è partito con un progetto volutamente temporaneo.

 

Rapporti di genere

 

La migrazione delle donne ha determinato anche grossi cambiamenti nei rapporti di genere all'interno delle coppie mettendo in discussione la struttura della famiglia patriarcale e la tradizionale divisione dei ruoli al suo interno. Molte donne hanno infatti abbandonato il loro abituale ruolo di cura assumendo quello di principale sostento al reddito familiare, prerogativa riservata precedentemente ai loro mariti.

 

Questo cambiamento di ruoli ha determinato anche l'insorgere di una forte stigmatizzazione sociale e un discorso di condanna nei loro confronti. La loro partenza viene spesso percepita come causa di una possibile rottura della famiglia e il loro comportamento come spregiudicato nei confronti dei figli che, secondo questa visione, verrebbero “abbandonati”.

 

La studiosa romena Foamete Ducu, che si è occupata di analizzare le modalità con cui viene praticata la maternità transnazionale, ossia attraverso i confini degli stati, ha notato come in Romania la discriminazione delle donne avviene sia a livello micro, all'interno delle comunità di appartenenza, sia a livello macro, attraverso la costruzione di una percezione sociale negativa nei loro confronti alimentata in particolare dal discorso mediatico.

 

La studiosa continua mostrando come nei numerosi casi da lei analizzati in diversi paesi rurali della Romania non si possa parlare di abbandono. Le madri infatti, nonostante la distanza, continuano a mantenere una relazione educativa ed affettiva con i figli, la cui cura viene però affidata ad altri membri familiari, come nonni, sorelle, cugine che in questo modo contribuiscono a sostenere la migrazione delle donne. Questa stessa pratica era peraltro molto diffusa nei contesti rurali anche prima del processo migratorio, quando a causa degli insufficienti servizi destinati alla prima infanzia i figli venivano affidati alle donne inattive all'interno della famiglia.

 

La rapida crescita della disoccupazione, seguita al collasso delle industrie di stato, ha avuto effetti pesanti sull'identità maschile, costruita in gran parte attorno alla realizzazione lavorativa, ed ha condotto spesso ad un incremento dell'alcoolismo e della violenza familiare.

 

Nonostante ciò a seguito della femminizzazione del flusso migratorio anche la figura paterna è stata chiamata ad assumersi un ruolo più attivo nei confronti dell'educazione dei figli, sebbene spesso con il sostegno di altre figure. In questo modo, come nota Foamete Ducu, l'uomo riesce a mantenere all'interno della coppia un certo potere anche se non rappresenta più il principale sostenitore finanziario della famiglia.

 

La stigmatizzazione sociale delle madri migranti

 

Negli ultimi anni, in Romania, il tema dei bambini left behind, è diventato un tema mediatico scottante che ha destato scalpore in particolare a causa di casi di suicidio di minorenni i cui genitori erano all'estero per lavoro. Se da una parte il suicidio di un minorenne rappresenta in se stesso un importante allarme sociale, dall'altra ricondurre le cause di questo gesto unicamente alla lontananza della madre risulta azzardato.

 

I toni enfatici utilizzati dai media romeni, ma anche internazionali, spesso hanno contribuito a creare una percezione negativa dei genitori migranti, in particolare delle madri e a rappresentare i bambini left behind unicamente come vittime.

 

Un articolo del New York Times relativo ad uno di questi suicidi, ha suscitato l'interesse di una studiosa sociale che da anni si occupa di analizzare il caso delle donne migranti filippine e dei loro figli left behind, Rhacel Salazar Parreñas, professoressa presso la University of Southern California.

 

La sociologa ha criticato l'articolo che descrive la migrazione delle donne romene come una “tragedia nazionale”, causa del collasso della famiglia e dello stato di abbandono di numerosi bambini left behind, rappresentati come bambini con difficoltà psicologiche che in diversi casi sono arrivati a compiere l'atto estremo del suicidio.

 

Parreñas osserva come le madri migranti, anche nel caso romeno, vengano ingiustamente accusate di abbandono dei figli, fenomeno che si ripete allo stesso modo nei confronti delle donne filippine e, come osservano altri studiosi, in altri paesi dove è presente una forte migrazione femminile quali Moldavia, Polonia e Ucraina.

 

Secondo le interpretazioni dell'autrice, mentre queste donne, all'interno del processo di trasformazione sociale degli ultimi decenni, cercano di ricostruire la loro maternità attraverso la migrazione lavorativa, le loro società di origine resistono a questa trasformazione sociale continuando a forzare il ruolo della donna all'interno di una ideologia che le relega nella sfera domestica.

 

Bambini left behind, quale approccio?

 

Il fenomeno dei bambini left behind in Romania, così come in altri paesi dell'est Europa e del mondo rappresenta una questione a cui è necessario accordare urgente attenzione. Risulta però fondamentale evitare toni paternalistici e ricordare che alle spalle di questi bambini ci sono numerose famiglie che hanno scelto la migrazione come strategia per far fronte alla trasformazione politica, sociale ed economica che ha coinvolto il loro paese.

 

Il distacco tra madri e figli, soprattutto in società dove la madre riveste il ruolo principale nell'accudimento, ha dei costi sociali ed emotivi enormi. Questo fattore deve però essere letto all'interno del più ampio contesto di trasformazione, a più livelli, che sta avvenendo all'interno di queste società.

 

Le condizioni di vita dei bambini left behind, inoltre, variano molto a seconda del background familiare di partenza e non necessariamente queste peggiorano a seguito della migrazione del genitore. I bambini che possono contare sulla solidarietà dei legami della famiglia allargata risentono in misura minore il distacco dal genitore la cui migrazione risulta funzionale ad un miglioramento delle loro condizioni di vita. I casi di forte disagio sociale ed emotivo dei bambini, non sono determinati unicamente dalla partenza del/dei genitore/i, ma da una concomitanza di fattori preesistenti la loro migrazione quali: povertà economica ed emotiva, alcoolismo dei genitori, famiglie disgregate e caratterizzate da legami deboli.

 

E' importante dunque riflettere sul fenomeno dei left behind evitando la stigmatizzazione di quelle madri e genitori che hanno deciso di migrare per sostenere le proprie famiglie ma analizzando in quali forme queste famiglie transazionali possano essere sostenute a livello nazionale ed europeo, favorendo e non ostacolando la loro mobilità così come sostenendo l'unità e il ricongiungimento familiare.