La Corte Costituzionale spagnola ha ammesso all’unanimità il ricorso presentato dal governo presieduto dal premier conservatore Mariano Rajoy, sospendendo così la consultazione sull’autodeterminazione della Catalogna che era stata convocata per il prossimo 9 novembre. Lunedì pomeriggio il governo spagnolo si era riunito e aveva approvato il ricorso alla Corte, che si era riunita poco dopo decidendone l’ammissione e sospendendo, di fatto, sia la legge che il decreto catalano sul voto. La sospensione diventerà effettiva quando il governo ne riceverà la notifica dal tribunale: il giudice può fornire alle parti anche 20 giorni per presentare delle osservazioni. La Corte ha anche stabilito che la sospensione durerà al massimo cinque mesi: entro quel limite, il tribunale dovrà decidere se farla diventare definitiva o revocarla, motivando la decisione.
Lo scorso 19 settembre, il giorno in cui erano arrivati i risultati del referendum fallito sull’indipendenza della Scozia, il parlamento della Catalogna in una sessione straordinaria aveva approvato a grande maggioranza una legge «sulle consultazioni popolari non referendarie e sulla partecipazione dei cittadini». Le legge inseriva in un quadro giuridico la convocazione di un referendum indipendentista in Catalogna, utilizzando la parola “consultazione” e tentando di aggirare la Costituzione spagnola che all’articolo 22 non permette che si tengano referendum se non includono tutti i cittadini del paese: attribuisce cioè allo stato la competenza esclusiva di indire un referendum e impedisce che una sola comunità possa convocarne uno sull’autodeterminazione. Tre giorni fa Artur Mas, il presidente della Catalogna, aveva firmato il decreto che convocava la consultazione per il 9 novembre annunciando anche l’avvio della campagna elettorale per il 2 novembre.
Dopo la decisione della Corte, Artur Mas ha criticato la «velocità supersonica» con cui è stata presa. Il premier spagnolo Rajoy ha invece dichiarato che «la consultazione attenta ai diritti di tutti gli spagnoli» e che «né per oggetto né per procedimento è compatibile con la Costituzione». Una delle possibilità più estreme è che il governo della Catalogna decida di proseguire nonostante la sospensione, venendo a quel punto però dichiarato inadempiente. Il governo di Rajoy potrebbe anche decidere di inviare una lettera a tutti i dipendenti pubblici della Catalogna per ricordare loro le conseguenze di una ipotetica disubbidienza alla decisione della Corte. Il segretario generale del Partito Socialista spagnolo, Pedro Sanchez, ha invitato il governo centrale e quello catalano a non intraprendere una «crociata» dicendo che la questione «non si risolve né con trincee né con monologhi».
La Catalogna è una regione nordorientale della Spagna di quasi otto milioni di abitanti (circa il 19 per cento della popolazione del paese, che produce il 19 per cento del suo PIL): ha come capitale Barcellona e possiede una propria fortissima identità culturale e storica, a cominciare dalla lingua, il catalano. Dispone già di un proprio parlamento nell’ambito di un complesso sistema di autonomie, che da tempo lavora allo svolgimento di un referendum consultivo sull’indipendenza. Fin dall’inizio, il percorso verso il referendum era stato piuttosto complicato: il parlamento catalano aveva annunciato il referendum alla fine del 2013 basandolo su una dichiarazione di sovranità approvata un anno prima, che però la Corte Costituzionale aveva in seguito dichiarato illegittima.