TUNISIA

Tunisia.

Vittoria di Nidaa Tounes, regressione di Ennahda

e scomparsa del CPR

 

 

  notiziegeopolitiche.net  di Esmehen Hassen  –  29 ottobre 2014

Essebsi

Dopo la pubblicazione dei dati preliminari relativi alle operazioni di voto che si sono tenute in Tunisia la scorsa domenica, Nidaa Tounes, partito laico formatosi dopo la Rivoluzione dei gelsomini, è stato dichiarato quasi a tutti gli effetti il vincitore delle prime elezioni legislative del post-Ben Alì.


Essendo riuscito a conquistate ben 84 seggi (su 217 totali) in Parlamento, Nidaa Tounes è stato poi in immediatamente seguito da Ennahda, il partito islamista moderato, che di seggi ne ha guadagnati 68.


Nell’inevitabile conta dei posti a sedere conquistati all’interno dell’Assemblea legislativa tunisina dei prossimi cinque anni, subito dopo questi due grandi partiti nazionali si sono poi piazzati l’Unione Patriottica libera e il Fronte Popolare, rispettivamente con 17 e 12 seggi; Afek Tounes con 9, la Corrente Democratica con 5; e infine al-Moubadara e il Congresso per la Repubblica, entrambi con 4 posti.


Nonostante la maggior parte dei voti nel Paese siano ormai stati conteggiati, ad esclusione dei governatorati meridionali di Touzeur, Kebili e Tataouine (ancora in fase di scrutinio), e sebbene i risultati ufficiali saranno resi noti nel corso della giornata di domani, le indicazioni preliminari hanno mostrato chiaramente il contraccolpo vissuto da Ennahda, che aveva goduto di enorme sostegno all’indomani della rivoluzione che nel 2011 spodestò Zine el-Abidine Ben Ali.
Le motivazioni alla base di questa inversione di tendenza da parte dei tunisini nei confronti di Ennahda, tutt’altro che astratte, possono essere rintracciate nel fatto che dopo quasi tre anni passati dalla Rivoluzione, i cittadini della Tunisia continuino a lamentare la mancanza di progressi compiuti nel Paese, in particolar modo per quanto riguarda l’economia, la sicurezza, e la sempre più crescente disoccupazione.


È in questo contesto che il partito Nidaa Tounes, attraverso la figura del suo leader Beji Caid Essebsi, uomo politico noto ai tunisini per essere stato ministro dell’Interno sotto il regime di Bourguiba e Ministro dei Trasporti sotto Ben Ali, è stato in grado di sfruttare l’insoddisfazione molto estesa nei confronti di Ennahda. Fin dalla sua recentissima fondazione infatti, Nidaa Tounes, dichiarandosi un partito “modernista”, aspirante all’attuazione di politiche economiche liberali e di una dimensione socio-politica laica (pur senza rinnegare mai l’Islam), è stato così in grado di proporsi come un’alternativa più che credibile al partito di Rachid Ghannouchi e alla sua mancanza di concretezza nel realizzare quanto promesso all’indomani della sua vittoria alle elezioni dell’ottobre 2011. Sebbene il riferimento a tale shift di gran parte dei tunisini dalla preferenza per Ennahda a quella per Nidaa Tounes non possa essere messo da parte, è altrettanto importante sottolineare come i gruppi di osservatori internazionali indipendenti abbiano rilevato numerose irregolarità durante il processo di elezione dello scorso fine settimana.


Analizzando i risultati scaturiti da queste elezioni, è stato poi impossibile non fare riferimento a quella che è stata la composizione della famosa “Troika” di governo (Ennahda, Ettakatol e CPR) scaturita dalle elezioni tunisine del 2011. A questo proposito, Riadh Sidaoui, analista politico tunisino e direttore del Centro arabo per l’analisi politica e sociale con sede a Ginevra, ha spiegato le ragioni che avrebbero condotto alla vittoria di Nidaa Tounes, alla regressione del movimento Ennahda e alla scomparsa del Congresso per la Repubblica.


Secondo l’esperto tunisino, l’adozione di un capitalismo selvaggio e l’attuazione delle raccomandazioni imposte dall’Fmi (come la liberalizzazione dei prezzi), sarebbero state alla base del deterioramento della Troika, accusata di aver gettato in ginocchio i ceti più deboli della popolazione.
Oltre a tali motivazioni, Riadh Sidaoui ha poi identificato nella proliferazione del terrorismo e nell’indottrinamento dei giovani al jihad in Siria, le altre importanti motivazioni che hanno fatto precipitare il governo della Troika e la credibilità dei partiti che lo componevano.


In questo senso, se Ennahda si è comunque piazzata al secondo posto nelle recenti votazioni, ciò è stato dovuto alla sua reputazione di partito di opposizione storica al regime di Ben Alì, nonché alla sua manifesta identità islamica. Lo stesso non si è potuto però dire degli altri due ex componenti della Troika, Ettakatol e del CPR, totalmente (o quasi) scomparsi dalle preferenze di voto.

 

 Tunisia:

exit poll, in testa il partito laico di Nidaa Tounes

 

Affluenza record sfiora il 60%

 

   Ansa  -  27 ottobre 2014

 

Gli exit poll confermano l'avanzata dei laici di Nidaa Tounes nei confronti degli islamici di Ennhadha. Secondo il sondaggio realizzato da Mourakiboun con il metodo PVT (Parallel voting tabulation) in 27 circoscrizioni, Nidaa Tounes sarebbe in testa alle preferenze con il 37,1% seguito da Ennahdha con il 27,9%. Terzo partito l'Union patriotique libre (UPL) di Slim Rihai, il 'Berlusconi tunisino', con il 4,4%. A seguire il Front populaire con il 3,7%, CPR e Attayar, con il 2% entrambi. Al-Joumhouri e Tayar El Mahaba settimi ed ottavi con l'1,6% e l'1,1% delle preferenze. Si votava con il metodo proporzionale per circoscrizioni e la legge elettorale non prevede alcuna soglia di sbarramento. I risultati ufficiali saranno resi noti entro 72 ore dall'inizio dello spoglio.

 

L'Isie (Istanza superiore indipendente per le elezioni) ha reso noto il tasso di partecipazione alle elezioni: 59,99%, in aumento rispetto al poco più del 50 per cento della tornata elettorale precedente.

 

Ennahdha evoca possibili frodi


E' bastata la pubblicazione di alcuni exit poll che concordano nel dare in testa il partito laico Nidaa Tounes nelle elezioni legislative in Tunisia per scatenare la reazione di Ennahdha (d'ispirazione islamica) e del suo alleato Congresso per la repubblica, con sospetti di frodi e abusi nello scrutinio. Il segretario generale di Ennahdha, Samir Dilou ha detto di temere che si voglia preparare un ritorno sulla scena politica tunisina dell'Rcd (il disciolto partito dell'ex dittatore Ben Ali) "con il suo volto più laido".

 

Elezioni in Tunisia, paure e speranze

 

 

oltremedianews.com  di Elda Goci  -  25 ottobre 2014

 
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Domenica 26 si va alle urne. I tunisini sono chiamati a scegliere tra il partito che attualemente è al gverno, Ennahda, e gli oppositori laici del Nida Tounes. A condizionare il voto, però, sarà sopratutto la paura del terrorismo.
Cresce la tensione in Tunisia alla vigilia delle elezioni. Il tentativo di unificare le forze laiche di sinistra in una coalizione che si opponga agli islamisti di Ennahda è fallito. Le autorità denunciano diversi attacchi terroristici e, mentre due soldati sarebbero stati feriti dall’esplosione di una mina al confine con l’Algeria, aumentano gli arresti con l’accusa di terrorismo. Insomma, la paura dell’ISIS rischia di condizionare il voto a Tunisi.

Si ripete lo scenario del 2011, quando le forze laiche si presentarono frantumate e spianarono la strada alla vittoria degli islamisti. Tre anni non sono bastati per raccogliere le idee e trovare un punto di incontro tra le varie forze politiche di sinistra. Il risultato è tutt’altro che scontato date le accuse che vengono rivolte a Ennahda sulla condizione economica del paese, al momento disastrosa con un tasso di disoccupazione attorno al 20% e l’inflazione sopra il 6%, e di non aver contrastato come dovuto la minaccia terroristica.

Nonostante ciò Ennahda può contare su un vasto consenso, dovuto soprattutto all’appoggio delle televisioni e della stampa, che al momento lo danno in testa rispetto a Nida Tounes, il partito laico formatosi dopo le elezioni del 2011, che viene, però accusato di avere al proprio interno esponenti di primo piano del passato regime. Sebbene questo possa apparire uno scontro bipartitico, in realtà il risultato sarà influenzato fortemente dai mini partiti e soprattutto dalla frammetazione della sinistra. Domenica alle urne si presenteranno 1.327 liste con 15.652 candidati, mentre al primo turno delle presidenziali, il 23 novembre, i candidati saranno 27.

Questa frammentazione potrebbe incentivare  il voto degli elettori di sinistra a favore di Nida Tounes, che al momento sembra l’unico in grado di contrastare la vittoria di Ennahda. Sono sopratutto le donne a fomentare il dibattito sul “voto utile”. Nonostante sia previsto che tutte le liste debbano essere formate per il 50% da donne, nella pratica le figure di spicco che contano sulla vittoria sono quasi tutti uomini. E’ preoccupante, inoltre,  l’affluenza al voto. Solo 5 milioni di elettori si sono iscritti alle liste elettorali su 8 milioni di aventi diritto. Nel 2011 votò solamente il 51% degli aventi diritto e, pensare che allora si votava sulla scia dell’entusiasmo della “Primavera araba”, desta molti punti interrogativi. 

                                                                                                                                      

 

Tunisi: i diritti, lo sviluppo e il gioco della torre

 

 

unimondo.org di Omar Bellicini - 30 giugno 2014

 

Una democrazia vive di equilibri. Una giovane democrazia, non di rado, di equilibrismi. Ciò che sta accadendo al piccolo Stato arabo, stretto fra ansie di progresso e minacce terroristiche, si inserisce in questo solco, per certi versi fatale: trovare la quadratura del cerchio fra libertà dei cittadini e sicurezza. Un bilanciamento dagli esiti imprevedibili, che richiede una raffinata elaborazione politica, e che chiama in causa l’Italia, il suo ruolo di interlocutore regionale, e parimenti la sua storia: fatta di salvaguardia delle tutele democratiche e guerra (vincente) al terrorismo. Riuscirà la Tunisia post-rivoluzionaria a vincere la sfida di una complessa armonizzazione, fra interessi contrastanti? Riuscirà Roma a giocare un ruolo in questa difficile partita, forte di una posizione che appare di rilievo, non solo in termini geografici, e di un’esperienza non comune, su un terreno tanto scivoloso? Ecco il quadro.

 

Un dramma che ci divide. Titolava così, non molti giorni addietro, La Presse: il principale organo di stampa tunisino. Oggetto dell’analisi: la minaccia fondamentalista, che getta un’ombra cupa sulla percezione, interna ed estera, delle pur molte conquiste, che hanno avuto origine dalla primavera democratica

Stando ai numeri, non v’è dubbio che di dramma si tratti: i dati resi noti dai ministeri dell’Interno e della Giustizia suscitano, infatti, una fondata preoccupazione. Soprattutto per il rapporto, stridente e terribile, che intercorre fra numero dei fatti criminosi ed esiguità di una popolazione che non arriva agli undici milioni di unità: in soli tre anni, oltre mille arresti, seicento procedimenti penali aperti, circa millesettecento persone alla macchia. Sono voci che spaventano, poiché evocano un bollettino di guerra. Di guerra civile.

 

Tuttavia, non occorre esagerare. Benché gli scontri, che oppongono gli oltranzisti alle forze governative, siano tutt’altro che sporadici, particolarmente nel sud, a ridosso delle frontiere con la Libia e l’Algeria, la situazione è lontana dall’apparire fuori controllo. Ciò che inquieta, è piuttosto il tentativo (malcelato) di alzare l’asticella degli obiettivi: ha destato scalpore, nel Maggio scorso, l’attacco portato a termine da un gruppo armato (non ancora identificato) al domicilio del Ministro dell’Interno Lofti Ben Jeddou, nel governatorato di Kasserine: Tunisia centro-occidentale. L’azione ha portato alla morte di quattro agenti della Guardia Nazionale: la polizia militare, impegnata in prima linea nel contrasto del terrorismo di matrice religiosa. Quattro giovani martiri, appena ventenni, che si uniscono all’ormai ampio numero di caduti, sulla via di una sofferta (e inedita) convivenza democratica. Un colpo durissimo, che però rappresenta più un sintomo di debolezza, che di vitalità del terrorismo, giacché gli obiettivi degli eversori appaiono estemporanei: incapaci di ottenere i risultati prefissati e di favorire più ampie strategie, come nei tragici precedenti degli omicidi Belaid e Brahimi.  

 

Il problema è un altro: il lento stillicidio rischia di spingere il Governo di Mehdi Jomaa e l’Assemblea nazionale costituente (che funge ancora da organo legislativo) verso posizioni più intransigenti, proprio in un momento in cui si discute la riforma della vecchia legge antiterrorismo, emanata nel lontano 2003: ben prima della Rivoluzione dei gelsomini. Il timore è che il bisogno di sicurezza, divenuto pressante anche in virtù delle difficoltà del settore turistico, conduca, nell’ambito della repressione e dell’azione penale, a soluzioni scarsamente garantiste, a discapito (e a dispetto) di quei diritti faticosamente fissati nella Costituzione di Febbraio.

 

Non deve meravigliare: la sfida lanciata dal terrorismo alle istituzioni dello Stato, durante gli anni di piombo, comportò anche da noi un dibattito sulla necessità di misure “speciali”, che derogassero alle normali procedure. In quel caso, le forze democratiche seppero infliggere un colpo decisivo al terrorismo, senza snaturare l’impianto liberale dell’azione pubblica, con un’opera paziente e (talvolta) dolorosa, sia sul piano culturale che giuridico. Un esempio positivo, che prova la possibilità di contemperare diritti inalienabili della persona e contrasto efficace delle insidie criminali. L’auspicio è che la cooperazione sul terreno della sicurezza, testimoniata dalla recente visita in Tunisia del Ministro della Difesa Roberta Pinotti (il 12 Giugno scorso), non si limiti allo scambio di mezzi e informazioni, ma si faccia veicolo virtuoso di esperienze. Poiché, per garantire un sereno sviluppo di entrambe le sponde del mediterraneo, sarà bene che sulla torre dei nostri vicini d’oltremare rimangano sia l’ordine, che una democrazia compiuta. Senza macchie.

 

Tunisia. Riprende il dialogo nazionale:

elezioni e terrorismo i temi

 

notiziegeopolitiche.net  di Esmehen Hassen - 1 giugno 2014

tunisia dialogo nazionale 2

Sono riprese venerdì 30 maggio le sessioni di dialogo nazionale in Tunisia presso il ministero della Giustizia e dei Diritti umani.
In un comunicato stampa il presidente dell’ufficio politico di Ennahda, Ameur Larayedh, ha riferito che l’incontro di venerdì si è concentrato su due tematiche importanti: il futuro svolgimento delle elezioni presidenziali e legislative e la lotta al terrorismo all’interno del Paese.


Per ciò che riguarda la prima questione, una delle priorità presentate dall’esponente di Ennahda è stata quella di raggiungere un accordo tra le parti, per fornire all’Assemblea Nazionale Costituente (Anc) la possibilità di stabilire una data per le elezioni in conformità con quanto previsto dalla nuova Costituzione nazionale. La posizione di Ennahda, vis- à- vis il problema, è parsa inoltre abbastanza orientata verso la possibilità che la coincidenza dei due tipi di elezioni, potrebbe servire all’interesse nazionale, pur non specificando in quali modalità.


Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto da Ennahda, i partiti politici che partecipano alla Conferenza di dialogo nazionale sono apparsi più propensi alla volontà di separare le elezioni presidenziali e legislative, come espresso dal Segretario Generale dell’UGTT, Houcine Abbassi.
I vari partiti politici hanno così tutti presentato le loro proposte e difeso le loro posizioni sulla possibilità di spostare le elezioni presidenziali rispetto alle elezioni legislative e viceversa.


Nulla di certo però è ancora emerso per ciò che riguarda il reale ordine di svolgimento delle elezioni. In questo scenario, il presidente della Lega Tunisina per i Diritti umani (LTDH), Abdessatar Ben Moussa, ha sottolineato l’importanza di rispondere il più velocemente la questione delle elezioni, per consentire l’Alta Autorità Indipendente per le Elezioni (ISIE) di fissare il suo programma di lavoro.


In seguito alle sollecitazioni dell’LTDH, Mustapha Ben Jaafar, presidente dell’Anv, ha così sottolineato anch’esso la necessità di fissare una data per le elezioni prima del 23 Giugno 2014, data della registrazione degli elettori alle urne.


Da quanto riportato dai comunicati ufficiali del “Quartetto” di dialogo, le parti sembrano quindi aver quasi determinato che le elezioni parlamentari e presidenziali saranno separate, nonostante resti ancora da vedere quale delle due si terrà prima.


Risolta così la questione elettorale, la discussione si è poi focalizzata sul secondo punto all’ordine del giorno: l’allarme terrorismo.
Secondo quanto riferito dal Segretario generale della UGTT, la situazione della sicurezza nel Paese sarebbe messa in discussione soprattutto dopo il recente attacco terroristico a Kasserine.


Condividendo questa posizione, tutti i partiti politici presenti in seduta hanno concordato sulla necessità della convocazione di un Congresso Nazionale sulla lotta al terrorismo, per discutere di tutte le questioni in sospeso e combattere efficacemente questa piaga.


In una dichiarazione rilasciata subito dopo la seduta, il vice-segretario generale dell’UGTT, Bouali Mbarki, ha affermato che i partiti rappresentati nel Dialogo nazionale sono stati tutti più o meno raggiunti da minacce terroristiche volte a destabilizzare il Paese.


Per questo motivo, in riferimento all’attacco avvenuto contro l’abitazione del ministro degli Interni Lotfi Ben Jeddou, essi hanno espresso la loro solidarietà con gli addetti alla sicurezza, vittime degli attentati, e con le loro famiglie, chiedendo che lo svolgimento della Conferenza nazionale sul terrorismo venga inserito nel progetto di unità nazionale.


Houcine Abassi ha così invitato ad organizzare tale Congresso Nnzionale contro la violenza e il terrorismo per discutere delle possibili soluzioni messe in atto per affrontare questi due flagelli che minacciano la transizione democratico.


A questo proposito è bene ricordare che questa conferenza contro la violenza, era già stata precedentemente proposta da Chokri Belaid, poco prima del suo assassinio il 6 febbraio 2013. Proprio in seguito alla sua proposta infatti, una prima conferenza contro la violenza e il terrorismo ha infatti già avuto luogo il 18 giugno 2013 a Tunisi. A questa conferenza parteciparono in massa ben 300 organizzazioni civili e 74 partiti, tra cui però non figurarono due dei tre elementi della Troika di governo: Ennahda e il Congresso per la Repubblica (CPR). In particolar modo Ennahda boicottò la manifestazione, poiché gli appartenenti al partito si ritennero offesi dagli slogan scanditi dai giovani sostenitori del Fronte Popolare, che accusavano Rachid Ghannouchi di essere responsabile dell’assassinio di Chokri Belaid.


Sia per ciò che riguarda la questione elettorale quindi, che per ciò che concerne l’organizzazione della seconda edizione di tale Congresso Nazionale contro la violenza e il terrorismo, la situazione tunisina è quella di attesa di una risposta definitiva e decisa, da parte dei partecipanti al dialogo nazionale, risposta che probabilmente arriverà dalla prossima seduta.

 

 

TUNISIA. Il premier degli Eau afferma

il suo sostegno al popolo tunisino

 

notiziegeopolitiche.net  di Esmehen Hassen - 16 marzo 2014

jomaa con bin Rashid Al Maktoum

Ha avuto inizio nella mattinata di ieri, sabato 15 Marzo 2014, il tour di cinque giorni nelle nazioni del Golfo arabo (Emirati Arabi Uniti (UAE), Arabia Saudita , Qatar , Kuwait e Bahrain) da parte del capo del governo ad interim tunisino, Mehdi Jomaa.


Lasciando l’aeroporto di Tunisi-Cartagine, in una dichiarazione rilasciata alla stampa tunisina Jomaa ha descritto questa sua visita come “un impegno politico ed economico per rafforzare le relazioni della Tunisia con il Golfo arabo, rafforzare la cooperazione economica e commerciale e attrarre investimenti stranieri”.
Accompagnato dai ministri degli Affari esteri, Mongi Hamdi, dell’economia e finanza, Hakim Ben Hammouda, e dal presidente di UTICA, Wided Bouchamaoui, il premier tunisino ha incontrato in serata il vicepresidente dello Stato degli Emirati Arabi Uniti ( UAE ), presidente del Consiglio dei ministri e governatore di Dubai, lo sceicco Mohammed Bin Rashid al-Maktoum.


Secondo quanto riportato dall’Emirates News Agency (WAM), proprio lo sceicco Mohamed Bin Rashid Al Maktoum, in occasione di questo incontro, avrebbe ribadito il sostegno dello Stato degli Emirati Arabi Uniti al popolo tunisino e la fornitura di aiuto per “uscire dalla crisi attraverso l’attuazione di piani di sicurezza sociale per il ripristino della stabilità in Tunisia”.


Da parte sua, Mehdi Jomaa avrebbe detto, secondo la stessa fonte, di tenere in grandissima considerazione il sostegno degli Emirati Arabi Uniti al popolo tunisino sul piano economico e politico, e avrebbe sottolineato la necessità di concentrarsi sul sostegno di cui il Paese ha bisogno per superare la crisi economica e per realizzare l’organizzazione delle prossime elezioni presidenziali e parlamentari.

 

 

Dopo la notte, il giorno:

la Tunisia del “patto” si scopre ottimista

 

 unimondo.org  di Omar Bellicini  -  18 febbraio 2014

 

È fatta: il 10 Febbraio 2014 si candida ad essere una data significativa nella storia del mondo arabo. Del mondo tout court, a detta di qualche analista col vezzo della solennità. La nuova Costituzione tunisina è entrata in vigore, nella parte relativa ai diritti politici e alle libertà individuali. Si tratta di un testo evoluto e dinamico, che accoglie la tradizione islamica, senza ripudiare le conquiste e le garanzie della modernità giuridica. Si tratta, in definitiva, dell’esito di un patto fra le due grandi anime del Paese: quella confessionale e quella laica. Un patto sofferto ma compiuto, con un obiettivo comune: un rapido rilancio, economico e di immagine. Una prospettiva plausibile?

 

Potere di una costituzione. Difficile da credere, ma la Legge fondamentale tunisina sembra possedere una facoltà che va ben al di là del giuridico, e perfino del politico: restituire il buon umore. In televisione, nelle assemblee, nei mercati, ovunque, il pessimismo ed il sospetto, che accompagnavano ogni allusione al futuro, sono scomparsi. All’improvviso. C’è solo spazio per un’ostentata fiducia nell’avvenire, per l’orgoglio. C’è la consapevolezza di aver portato a termine un progetto innovativo, che appare difficile, se non marcatamente utopistico, in tutti gli altri Paesi dell’area: trovare un compromesso virtuoso fra riconoscimento dell’identità e apertura al mondo. Fra Islam e progresso. Qui, quell’obbiettivo, germogliato da confronti serrati, da accelerazioni ed attese, da svolte politiche e sacrifici individuali, è stato realizzato. Almeno sulla carta.

 

Non è cosa da poco. Infatti, i traguardi sanciti dallo nuovo Statuto possono dirsi all’avanguardia, anche rispetto a realtà generalmente considerate più avanzate, come quelle delle nazioni occidentali. Si consideri, ad esempio, il testo dell’articolo 11, che impone alle più alte cariche dello Stato, ai parlamentari ed ai funzionari pubblici di grado elevato di “dichiarare l’entità dei propri beni, conformemente alle disposizioni di legge”. Oppure, all’articolo 44, che rispondendo ad un’esigenza sempre più avvertita, a livello globale, istituisce un vero e proprio diritto d’accesso all’acqua, imponendo alla società e allo Stato di “preservarla e razionalizzarne lo sfruttamento”. Il tutto, in un contesto giuridico che si fa promotore delle libertà di manifestazione del pensiero e financo di culto. Poiché (ed è questo un punto fondamentale), pur essendo proclamata la matrice islamica dello Stato, si dispone che quest’ultimo debba “garantire la libertà di coscienza e di credo”, favorendo “i valori della moderazione e della tolleranza”, ai sensi dell’artico 6 della Carta. Un’autentica svolta, rispetto alle aspettative di qualche mese fa.

 

Una svolta che cerca di essere assecondata anche sul piano della sicurezza interna. Il nuovo Governo guidato dall’indipendente Mehdi Jooma, infatti, ha recentemente assestato alcuni colpi significativi all’integralismo armato: il 4 Febbraio, una vasta operazione di polizia ha smantellato un covo di terroristi presente a Raoued, piccolo centro posto fra Tunisi e la zona costiera (ricca di alberghi turistici); il 16 dello stesso mese, un’altra azione, svoltasi a L’Ariana (poco lontano da Raoued), ha portato all’arresto di un gruppo legato alla costola magrebina di Al-Qaida. Almeno a detta del Ministero dell’Interno. Interventi importanti, che tuttavia hanno sollevato qualche diffidenza, dal momento che il primo ha determinato la morte di Kamel Gadhgadhi, presunto assassino dell’avvocato Chokri Belaid (compianto leder dell’opposizione laica), mentre il secondo ha condotto all’arresto di Hmed el-Melki, detto “il somalo”, implicato nell’omicidio di Mohamed Brahimi (altra figura politica di spicco): il fatto che tutto sia avvenuto a ridosso del 6 Febbraio, data dell’agguato allo stesso Belaid ed occasione di una partecipata commemorazione pubblica, pare una coincidenza quantomeno sospetta. Una coincidenza che viene posta in relazione alla volontà di mutare la percezione estera del Paese, in un momento in cui gli investimenti d’oltre confine rappresentano una drammatica necessità. Qualunque sia la verità, si tratta di segnali importanti e indubbiamente positivi.

 

Segnali che rischiano, però, di essere oscurati dall’imperizia del Presidente della Repubblica: quel Moncef Marzouki accolto dapprima con entusiasmo, in virtù della sua immagine di equilibrato uomo di diritto, ed ora ampiamente screditato. Si susseguono, infatti, gaffes ed interventi maldestri, che rasentano, sovente, l’incidente diplomatico. Il primo episodio risale al 2013, in un momento in cui la Tunisia necessitava del massimo sostegno internazionale, con un discorso all’Onu, quasi unanimemente considerato confusionario ed inconcludente. Più di recente, una cattiva programmazione degli interventi, in onore della nuova Costituzione, svoltisi il 7 Febbraio, alla presenza di numerosi rappresentanti stranieri, ha provocato imbarazzanti attriti fra la delegazione iraniana e quella statunitense, a danno delle celebrazioni. Proprio di questi giorni, poi, l’affaire libico: un’espressione di solidarietà, posta in essere da Marzouki, a seguito di un presunto tentativo di colpo di stato militare, ha indotto il governo di Tripoli a smentire, non senza un certo fastidio, l’ipotesi del golpe. È evidente che il rilancio del Paese dei gelsomini dovrà passare anche da un ricambio della sua classe dirigente. Stando all’ottimismo della gente, non v’è dubbio che questo rappresenti solo un piccolo ed insignificante ostacolo.

 

 

La Tunisia di oggi e la minoranza sciita:

intervista a Abdelhafid Bannani:

‘Libertà, ma non per tutti’

 

   notiziegeopolitiche.net -  di Enrico Oliari, con la collaborazione di Saber Yakoubi – 29 gennaio 2014

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La nuova Costituzione della Tunisia afferma fin dall’articolo 1 che slam è la religione dello Stato, mentre all’articolo 6 dà allo Stato il compito di custodire la religione e di preservare le libertà di credo, coscienza e di pratica dei culti. Lo Stato deve proteggere ciò che è sacro, garantire la neutralità delle moschee e gli altri luoghi di culto dallo sfruttamento partigiano. Infine, lo Stato deve diffondere i valori della moderazione e della tolleranza e proibire le accuse di miscredenza e l’incitazione all’odio e alla violenza.


Si tratta di un passaggio estremamente importante, che garantisce la libertà di culto, ma anche di interpretare la religione, sia pure quella dello Stato, secondo le proprie convinzioni ed in base alla propria confessione, senza per questo essere accusati di apostasia.


La popolazione tunisina, circa 10 milioni di persone, è per il 98% di fede islamica; vi sono quindi una minoranza cristiana, erede dei colonizzatori francesi e dei vicini italiani, ed una ebraica. Coesistono nel pensiero sunnita diverse interpretazioni più o meno radicali, a dire il vero le prime colpite dal richiamo alla “moderazione” presente nell’articolo, ma anche è possibile riscontrare la presenza di una piccolissima realtà sciita, la quale, per quanto esigua, si presenta organizzata e dinamica, con tanto di una propria testata giornalistica e di una libreria.


Notizie Geopolitiche ha incontrato Abdelhafid Bannani, direttore del settimanale Essawa (‘Il risveglio’, tiratura 10mila copie) ed autore del libro “Introduzione alla storia dello sciismo in Tunisia”, il quale è esponente della confessione sciita del paese nordafricano:
- dott. Bannani, è curioso trovare una piccolissima comunità sciita nella Tunisia sunnita…


Io articolerei la declinazione del pensiero sciita in tre aspetti: uno spirituale, uno politico ed uno basato su quanto afferma la scuola giurista. Se prendiamo in considerazione il primo aspetto, quello spirituale, va detto che essere sciiti significa “amare il Profeta”, e quindi in Tunisia siamo tutti sciiti; per il secondo punto, quello politico, è necessario prendere in considerazione la questione palestinese e quindi la lotta degli Hezbollah, per cui anche in questo caso in Tunisia siamo tutti sciiti; infine vi è la differenza della scuola giurista, dove ammetto che in questo paese noi sciiti rappresentiamo una piccola minoranza.
La storia dello sciismo in Tunisia risale al 27mo anno dell’egira, quando è arrivato da queste parti Abdullah Ebenjafar. Poi vi sono stati conflitti contro i berberi e gli amazigh, fino all’arrivo, nel 285 (anno dell’egira) di Abou Abdullah, il quale si è presentato solo, come predicatore, e con la sua saggezza ha riunito le popolazioni tunisine e delle tribù limitrofe, fondando lo stato fatimida, che era quindi sciita. Non è tuttavia corretto affermare che gli sciiti di oggi discendono dai fatimidi di allora. Poi, con i vari conflitti, la Tunisia è gradualmente diventata sunnita
“.


- Come vivevate la fede durante le dittature di Bourghiba e di Ben Alì?


Eravamo trattati come gli altri islamici, ma la cosa interessante è che fra i musulmani esisteva la solidarietà, al di là delle interpretazioni confessionali. Sono stati anni di repressione, come per tutti… festeggiavamo le ricorrenze in modo clandestino, nelle case private, nei boschi o sulle montagne. Io sono stato addirittura in prigione“.


- Dire sciiti è come dire Iran: vi è mai capitato di essere accusati di legami con la Repubblica islamica?


Più che altro vi era una forte censura: nel 2006 abbiamo aperto la nostra libreria, Dar al-Zahra, ma i libri erano controllati dallo Stato. Quando ci arrivavano testi non graditi, come i libri dell’ayatollah Khomeini, questi venivano fatto tornare indietro; i libri che potevano essere esposti erano solo quelli acquistati alla mostra del libro, ovvero dove i testi erano controllati dalle autorità. Ricordo che nel 1989 era arrivata una nave con un carico di libri, dal Libano, ma proprio perché proveniente da quel paese era stata fatta tornare indietro.
Su altri tipi di legami devo dire che a Ben Alì non interessava cosa uno credeva… ma siamo comunque stati indagati dai servizi segreti, perché il governo temeva il progetto politico iraniano, ovvero le implicazioni che derivavano dalla presa di posizione avversa adottata da paesi come l’Arabia Saudita e l’Egitto di Mubarak
“.


- Lei accennava ad un legame con gli altri musulmani… con la fine della dittatura e l’arrivo della democrazia tale vicinanza è venuta meno?


Dopo le lezioni il partito di governo, Ennahda, ci ha considerati come i salafiti, ovvero dei miscredenti, per cui oggi ognuno sta sulla sua strada. Con Ennahda non abbiamo dissapori dal punto di vista religioso, bensì politico, per questioni come quella siriana: Ennahda è un partito vicino al Qatar, ed ha disposto che la Tunisia fosse il primo paese ad espellere l’ambasciatore di Damasco. Ed anche il nostro giornale, che ha idee opposte proprio in materia di Siria, è visto male dalla dirigenza di quel partito“.


- Certo che essere filo al-Assad in una realtà come quella tunisina, dove vi sono, tra l’altro, i salafiti di Ansar al-Sharia…


E’ stata la troika al governo ad avere un atteggiamento ostile con noi. Oltre ad espellere l’ambasciatore siriano, hanno, ad esempio, organizzato la Conferenza degli Amici della Siria proprio qui a Tunisi, prendendo una posizione chiara sul tema. Quando invece noi abbiamo voluto invitare per un evento al quale avrebbero partecipato partiti ed associazioni, i nostri invitati Hezbollah sono addirittura stati respinti all’aeroporto, nonostante avessero il visto in regola. Diritti per tutti, insomma, tranne per quelli che non vogliono loro.
Inoltre, e qui noi non siamo una minoranza, non è stata inserita nella Costituzione la criminalizzazione dello Stato di Israele, nonostante la causa della Palestina sia una questione sentita, di umanità
“.


- Stampate una settimanale, con idee spesso controcorrente… ricevete finanziamenti dall’Iran?


Se fossimo in Libano o in Palestina, l’Iran forse ci finanzierebbe le armi, ma non vi sono investimenti nella cultura. Magari Teheran investisse nell’informazione e non solo nelle armi, ne avremmo bisogno!“.

 

Tunisia, approvata la nuova Costituzione.

Apertura a diritti civili e parità di genere

 

 

Il testo passa con una maggioranza di 200 voti a favore,

12 contrari e 4 astenuti, dopo un mese di confronto articolo per articolo.

Il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon:

"Possibile modello per gli altri popoli che aspirano a riforme"

 

 

 
   ilfattoquotidiano.it  di Paolo Hutter - 27 gennaio 2014
Costituzione Tunisia

 

L’ assemblea nazionale Costituente tunisina ha varato definitivamente il testo della nuova Costituzione con una maggioranza di 200 voti a favore, 12 contrari e 4 astenuti. La data è quella di domenica 26 gennaio – pochi giorni dopo il terzo anniversario della rivoluzione dl 14 gennaio che cacciò il dittatore Ben Ali. Nel mese di gennaio c’erano state le contrastate votazioni articolo per articolo: quasi sempre la controversia opponeva settori islamisti e laici. La votazione è stata celebrata con scene inedite nella conflittuale assemblea nazionale. I deputati hanno celebrato l’avvenimento cantando l’inno nazionale, sventolando bandiere tunisine con le “dita a V” in segno di vittoria. Hanno gridato “fedeli fedeli al sangue dei martiri della rivoluzione ” e “sacrifichiamo la nostra anima e il nostro sangue per te Tunisia”.

 

I fotografi hanno immortalato l’abbraccio tra un “falco” della destra islamista e un deputato filocomunista del Fronte Popolare. Il testo è di compromesso, ma tutti gli osservatori lo giudicano di buona qualità. Ne esce un regime semi-presidenziale, una affermazione puntuale dei diritti civili (si parla anche della tortura) una difesa della religione ma anche della separazione tra Stato, Chiese e libertà di coscienza, l’indipendenza della magistratura. E un impegno inedito nel mondo arabo alla parità effettiva tra uomo e donna. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha salutato l’adozione di questa Costituzione come una tappa storica e ha presentato la Tunisia come un “possibile modello per gli altri popoli che aspirano a riforme”.

 

In contemporanea con il voto della Costituzione il nuovo presidente del consiglio incaricato Mehdi Jooma è riuscito finalmente a presentare la lista dei ministri del suo governo di tecnici e di indipendenti. Governo di transizione fino alle elezioni, che prende il posto di quello a guida Ennahda, gli islamisti che avevano vinto le elezioni dell’ottobre 2011. L’accordo che lentamente, tra continui stop and go, ha portato a questo cambio pacifico (l’opposto del colpo di stato egiziano) è stato un po’ imposto e un po’ costruito pazientemente dalla Ugtt, il potente sindacato tunisino. L’ ultimo ostacolo era stato la conferma del ministro degli Interni uscente Ben jeddou, che le opposizioni non volevano. Jooma invece lo ha tenuto, affiancato però da un nuovo “segretario di stato alla sicurezza nazionale”. L’impegno alla parità però, nel governo degli indipendenti, non è stato rispettato con solo 2 ministre su 21. In compenso, per la prima volta c’è un ambientalista, Mounir Majdoub. La fiducia al governo è prevista entro tre giorni, e non sarà così larga come il voto per la Costituzione.

 

 

Verso il futuro:

Tunisi, tra riforma dello Stato e uomini nuovi

 

 

Tempi stretti e visioni del mondo radicalmente diverse: riuscirà, lo Stato che diede il via alle rivoluzioni arabe, ad approvare una costituzione prima della scadenza prevista? Dubbi e difficoltà non mancano, ma cominciano ad affacciarsi segnali positivi e solide speranze di successo. A Tunisi, diversamente da alcuni mesi fa, qualcosa sembra muoversi.

Dibattiti, concitazione, inquietudine: le miti temperature di un inverno tunisino, invero, fuori dal comune, non trovano un corrispettivo nella pace degli animi. Il 14 Gennaio, terzo anniversario della Rivoluzione, giorno fissato per la simbolica approvazione della nuova Costituzione, è alle porte. L’ennesima proroga avrebbe il sapore di una sconfitta. Sono giorni di lavori serrati e, al contempo, di festa: il Mouled, celebrazione della nascita del Profeta (Muhammad), cade proprio alla vigilia di questo importante appuntamento: il 13 Gennaio. Pare quasi che il destino abbia voluto contrapporre, con sottile ironia, la ricorrenza che rappresenta, per eccellenza, il senso di appartenenza alla Fede, l’ostentazione di un’identità precisa e priva di incertezze, a quella Rivoluzione che ha testimoniano, attraverso il contributo (e il sacrificio) delle diverse anime della società tunisina, la necessità di un riconoscimento più ampio e più sfumato: la dichiarazione di una comune cittadinanza, nella varietà delle posizioni individuali, nel pluralismo. Sono le due voci, talvolta in conflitto, talvolta in accordo, che hanno fatto da motivo conduttore al non semplice operato di questa inedita Costituente araba.

Qualche passo decisivo è già stato compiuto: l’approvazione, a larghissima maggioranza (159 favorevoli su 169 votanti) dell’articolo 20 della bozza costituzionale, ne è un esempio: esso sancisce la parità di tutti i cittadini davanti alla legge, “senza discriminazione” fra uomini e donne, riconoscendo ai primi e alle seconde medesimi diritti e doveri. Benché l’articolo 45, relativo alle pari opportunità e agli specifici diritti femminili tutelati dallo Stato, sia ancora oggetto di accesa discussione, si può parlare, senza dubbio, di una vittoria storica per quanti mirano ad un impianto giuridico il più possibile aperto e moderno. Tanto più, se si considera che, solo pochi mesi fa, v’era la concreta possibilità che il ruolo della donna, nella società tunisina, venisse definito meramente complementare. Non meno importante, sulla via di una definitiva conciliazione delle forze che agitano il confronto politico, un passaggio che, all’articolo 1, indica la Tunisia come Stato civile e non precisamente islamico, aprendo ad un’interpretazione laica dei rapporti sociali, pur in un contesto che eleverà senz’altro l’Islam ad una posizione di preminenza.

A complicare il quadro è il braccio di ferro sul Governo: non v’è dubbio, infatti, che le lunghe trattative sulla formazione di un nuovo Esecutivo, avviate mesi addietro, a seguito del crollo di credibilità dovuto agli omicidi dei leader dell’opposizione Chokri Belaid e Mohamed Brahimi, intersechino e rallentino i lavori assembleari. Tre giorni fa (il 10 Gennaio), dopo tormentate consultazioni, tenute dai principali esponenti istituzionali, dai partiti e dalle forze sociali, si è finalmente giunti ad un compromesso, che promette di influenzare positivamente i lavori d’aula: il primo ministro Larayedh, già responsabile degli interni e membro di spicco del partito filoislamico Ennahda, ha accettato di fare un passo indietro, in favore di Mehdi Jomaa, apprezzato ministro dell’industria, fattosi promotore e garante di una nuova squadra di tecnici e figure indipendenti. La situazione, tuttavia, è ancora in divenire e non è possibile azzardare previsioni affidabili sulle capacità operative e sulla tenuta del nuovo gabinetto. Quel che è certo, è che una cattiva selezione dei nuovi vertici ministeriali ed una insoddisfacente definizione degli obiettivi da conseguire avrebbero contraccolpi negativi sull’approvazione di un testo che necessita di largo consenso e di un’assoluta serenità di giudizio.  Se non altro, l’apertura di una nuova fase politica sembra prossima: a maggior ragione ora, che il cambio alla guida del Governo pare coincidere con l’imminente varo della nuova Costituzione. Se quest’ultima si tradurrà in un’uscita dalla stasi e in un’occasione di rilancio per il Paese, molto dipenderà dai talenti e dall’impegno che sapranno profondere le nuove classi dirigenti tunisine: giacché istituzioni e tempi nuovi richiedono strategie e uomini (altrettanto) nuovi; se non nei percorsi di vita, quantomeno nello spirito. In questi giorni di festa, il miglior augurio che si possa fare alla patria dei gelsomini è che ne emergano molti.

 

Tunisia. Mehdi Jomaa

nuovo capo del governo

 

notiziegeopolitiche.net di Esmehen Hassen – 15 dicembre 2013

jooma mehdi

 

Mehdi Jomaa, Ministro dell’Industria e candidato di Ennahda, ha finalmente ottenuto il consenso dei membri rimasti all’interno del Dialogo Nazionale dopo il ritiro di Nidaa Tounes e del Fronte Popolare.


Nelle concertazioni in seno alle parti politiche nazionali e al Quartetto, su un totale di 19 partiti presenti, di cui 8 astenuti dal voto, Mehdi Jomaa avrebbe ottenuto un totale di 9 voti su 11.


Mehdi Jomaa, classe 1962, dopo aver conseguito la laurea in ingegneria presso la Scuola di Ingegneria Nazionale di Tunisi nel 1988 e dopo aver ottenuto una specializzazione post-laurea in Meccanica, calcolo e modellazione di strutture, ha trascorso tutta la sua carriera in seno all’Aerospace, una filiale del gruppo francese Total. Nel 2009, è stato direttore generale della divisione aerospaziale e della difesa, membro del Comitato Esecutivo, e sovrintendere di sei filiali in Francia, Stati Uniti, India e Tunisia. Nel 2013, infine, è stato nominato Ministro dell’Industria nel Governo Ali Larayedh.


Il futuro premier formerà il suo governo entro la prossima settimana, mentre il dialogo nazionale si promette di continuare ad attuare i punti tracciati dalla tabella di marcia, secondo quanto ha annunciato Mahmoud Baroudi, membro dell’Alleanza democratica per l’Assemblea Nazionale Costituente.

 

 

Rapper tunisino Weld El 15

condannato a 4 mesi carcere

 

Il cantante è stato immediatamente condotto in carcere

 

   ilmondo.it -  05 Dicembre 2013

Rapper tunisino Weld El 15 condannato a 4 mesi carcere

 

Hammamet, 5 dic. Il rapper tunisino Weld El 15, che aveva fatto appello contro la sua condanna in contumacia a 21 mesi, è stato condannato a 4 mesi di carcere per oltraggio al pubblico pudore e offesa a pubblici ufficiali. Il cantante è stato immediatamente arrestato, poiché la sentenza prevedeva "l'esecuzione immediata" della condanna. "Mi aspetto di tutto - aveva detto il cantante poco prima dell'inizio dell'udienza - spero che in Tunisia esista la giustizia, non l'ingiustizia. La rivoluzione è nata proprio in nome della libertà di espressione", ha detto Weld El 15, il cui vero nome è Alaa Yacoubi. Il processo si è svolto nel tribunale di Hammamet, che aveva già condannato un altro cantante Klay BBJ, che dopo due processi è stato poi rilasciato. AFP

 

Serie di attentati kamikaze in Tunisia,

si teme il fondamentalismo,

contrario al Dialogo nazionale

 

notiziegeopolitiche.net - Di Saber Yakoubi - 30 ottobre 2013

tunisia attentati grande

 

Serie di attentati o di tentativi ieri in Tunisia, nei pressi delle città costiere e turistiche di Monastir e di Susa: verso le 9.00 la polizia ha notato tre persone dall’aria sospetta che stavano entrando in un hotel. Avvicinati dagli agenti, i tre uomini si sono dati alla fuga, due verso il centro città ed uno verso la spiaggia dove, sentendosi braccato, si è introdotto in un albergo vicino e si è fatto esplodere. Al momento le notizie parlano, a parte della morte dell’attentatore, di danni materiali. La zona è stata circondata dalle Forze di sicurezza e dei terroristi in fuga si sa solo che uno è scuro di pelle.
Circa un’ora dopo un altro attentatore si è portato nella parte centrale di Monastir e si è diretto nei pressi della tomba dell’ex presidente Habib Bourghiba. Lì è stato bloccato dagli agenti e non è riuscito ad innescare il congegno della cintura esplosiva.
Poco dopo vi è stata una forte esplosione a Monastir, in quello che una volta era il palazzo presidenziale e che oggi è stato trasformato in una zona residenziale per l’alta borghesia: anche da distanza si vedono intense colonne di fumo ed è un continuo viavai dei mezzi di soccorso.
Il portavoce del portavoce del Ministero dell’Interno, Mohamed Alerwi, ha poi comunicato che gli individui coinvolti negli attentati sono tutti tunisini e che l’attentatore fermato a Monastir appena in tempo prima che si facesse esplodere è un giovane di 18 anni, condannato più volte per vari reati penali.
Si è poi avuta notizia di una bomba non esplosa con comando a distanza rinvenuta nei pressi di una caffetteria nel quartiere di al-Marsa, a Tunisi: anche in questo caso la zona è stata circondata da un cordone di Forze dell’ordine.
L’opinione pubblica è sotto shock ed in più parti del territorio tunisino stanno prendendo piede manifestazioni autonome contro la violenza verso un popolo diviso nelle idee politiche, ma unito quando si tratta di opporsi a chi minaccia la sicurezza nazionale.
Al momento non è dato da sapere chi vi sia dietro agli attacchi, anche se il tutto farebbe pensare alla matrice di Ansar al-Sharia, il braccio armato dei salafiti, o dei gruppi più estremisti, fortemente contrari alla strategia politica delle dimissioni del primo ministro Alì Larayedh e dell’apertura del Dialogo nazionale per uscire dallo stallo in cui si è trovato il paese. I cinque esponenti della politica individuati per arrivare alla formazione di un nuovo governo e per rimettere in funzione la Cosa pubblica sarebbero infatti esponenti dell’area laica se non dell’ancien regime, espressione di un accordo che ha visto coinvolti i partiti e le parti sociali.
Notizie Geopolitiche ha contattato Marwen Jeddah, responsabile comunicazioni del gruppo dei salafiti, per conoscerne la posizione in proposito: egli ha affermato che quanto sta accadendo è uno spettacolo dalla pessima regia ed ha ricordato che Abou Iyadh (vero nome Seifallah Ben Hassine), prima di sparire nel nulla, aveva avvertito che ci sarebbero stati attentati che sarebbero serviti per far cadere la colpa sui salafiti.
Sempre Marwen Jeddah ha detto di ritenere che quanto accaduto oggi sarebbe opera dei Servizi segreti tunisini perché, come richiesto dal Banco monetario internazionale, i salafiti venissero considerati come terroristi ed ha fatto sapere che presto verranno portate le prove di quanto dichiarato, poiché “i partiti al governo hanno le mani sporche e non sono degni di guidare il nostro popolo”.

Aspettando Godot:

vita e politica di una Tunisi immobile

 

 

Una Costituzione che non c’è. Una ripresa che non c’è. Un Governo che c’è, ma è come se non ci fosse. A non mancare è solo la speranza che, ad un certo punto, prevalga il senso di responsabilità. Ma la speranza è soggetta a precisi termini di scadenza, oltre i quali si trasforma in fantasticheria, rendendo la realtà ancora più dolorosa, indigeribile. È questo, in sintesi, il contesto della Tunisi post-rivoluzionaria, dall’omicidio Belaid in poi. Dell’ormai celebre Primavera non restano che le attese. L’estate, tarda ad arrivare. Non tutti sono pronti a scommettere che arrivi. Di fatto, anche qui, si è saltati ad un autunno, che è ben più di una stagione: di quell’entusiasmo libertario, di quel richiamo all’avvenire, che aveva scosso le stanze tetre del regime di Ben Alì, sopravvive l’eco sorda e inconcludente della protesta di maniera. Un’eco che si fa chiacchiericcio diffuso, ostentazione delle proprie singolarità. Un’eco che proroga ciò che ormai è improrogabile: la doverosa convergenza verso un minimo comune denominatore.

 

L’alba democratica tunisina non si riduce, ovviamente, a questo: la migliore intellighenzia del Paese preme per un definitivo superamento dell’impasse. Tuttavia, nessuno è scevro da responsabilità. Non il Governo semiconfessionale di Ennahda, impossibilitato ad operare dal ritiro (aventiniano) dei deputati d’opposizione, all’indomani del caso Brahimi, e ciononostante indisponibile ad un accordo che comporti una effettiva cessione di potere. Non il presidente Marzouki, incapace di mediare, per via di un’eccessiva esposizione che, a detta di molti, riflette un personale interesse alla rielezione. Non le forze laiche: così frammentate e fatue da richiedere la supplenza, in fase di trattative, dell’U.G.T.T., l’apprezzato e potente sindacato, retto da Houcine Abbasi. Neppure quella borghesia intellettuale tunisina, che non riesce a rendersi protagonista efficace del cambiamento. Un mix esplosivo.

 

Una situazione tanto più preoccupante, se si considera il contesto entro cui viene ad operare: un ambiente sociale caratterizzato da un radicato disamore per le regole, aggravato da un malinteso senso di libertà, dai contorni quasi anarchici. Una tangibile incuria, che mina il funzionamento macchina civile: dalle piccole opere di manutenzione, alle grandi strategie di programmazione amministrativa. Un approccio nei confronti delle opinioni altrui, che manca di prospettiva laica, negando legittimità alle posizioni diverse, a danno di una serena e pacifica convivenza. Mancano, in definitiva, i pilastri sui quali si fonda l’edificio democratico: rispetto delle norme e accettazione del diverso da sé. Occorre cominciare da qui.

 

Naturalmente, è bene accostarsi alla suddetta fase politica, privi di complessi di superiorità: gli accidenti della società tunisina non sono che la manifestazione macroscopica di problemi a noi ben noti. Se può essere tracciata una differenza, col percorso italiano, essa va identificata in un eccesso di irresponsabilità, che si dimostra speculare a quell’abuso del compromesso politico divenuto, negli anni, il male oscuro della politica nostrana. Un compromesso (resosi, qui, imprescindibile), che non necessariamente deve condurre a soluzioni giuridiche d’impronta europea. Al contrario, la via maestra per un’uscita dalla crisi politica sembra legata alla apertura di una via originale, che sappia abbinare l’obiettivo della libera determinazione dell’individuo alle specificità della tradizione magrebina.

 

La sfida non è semplice: anche a fronte delle molteplici tensioni, che attraversano il Paese e insidiano una coesione sociale quanto mai fragile. Oggetto di particolari controversie resta la posizione riservata alla libertà d’informazione: posta sotto scacco, secondo numerosissimi osservatori, dall’attivismo di una magistratura che pare non essersi del tutto affrancata da interpretazioni autoritarie del diritto. Si inserisce in questo schema la campagna di stampa condotta dal quotidiano La Presse, in favore di Zied El Héni, giornalista colpito da un discusso mandato di cattura, successivamente ritirato, sull’onda di un’indignazione pubblica che si nutre anche dell’esasperazione derivante dalla drammatica situazione economica.

 

Il clima d’incertezza non manca di riverberarsi sul piano dei rapporti con l’estero. In questo campo, Tunisi appare vittima di un delicato gioco internazionale: da un lato, Arabia Saudita e Qatar, impegnati in un’opera di finanziamento dei gruppi radicali, che si dimostra strumentale ad una mutamento degli scopi originali della Primavera araba, a vantaggio di equilibri interni, altrimenti a rischio; dall’altro, l’Algeria, dedita a scongiurare un’involuzione islamista del confinante, potenzialmente esplosiva per i suoi interessi strategici. Una reazione della classe politica tunisina si rileva, a questo punto, indispensabile. L’urgenza, tuttavia, non sembra essere particolarmente avvertita. Regna, al contrario, un clima di indolente attesa. Un azzardo ed un peccato, poiché Godot potrebbe non arrivare, trasformando il pregevole esperimento tunisino in un saggio, fuori tempo massimo, di teatro dell’assurdo.

 

 

 

Tunisia, il governo islamista lascia: a mediare è stato il sindacato Ugtt

 

La decisione arriva da Gannouchi, leader di Ennahda, a seguito degli scontri in Egitto

e della mobilitazione dell'opposizione.

Il risultato raggiunto grazie all'associazione per i lavoratori,

che dalla lotta per la indipendenza dalla Francia

è da sempre un soggetto politico nazionale

 

ilfattoquotidiano.it - di Paolo Hutter  26 agosto 2013
 
Tunisia
 
 

 

 

 

 

 

 

A un mese esatto dall’assassinio di Mohamed Brahmi e dalla conseguente reazione della opposizione, la Tunisia è giunta a un passo dalla svolta: Ennahda – il partito islamista che aveva vinto le elezioni di ottobre 2011 – accetta di lasciare il governo e di sostenerne uno provvisorio di indipendenti e tecnici che prepari le elezioni. L’annuncio è arrivato in un’intervista al suo leader Gannouchi a Nesma Tv, la tv di Ben Ammar, fino a poco tempo fa considerata nemica degli islamisti. 

 

Gannouchi ha annunciato che il suo partito concorda sulla necessità che il governo sia formato da personalità al di fuori dei partiti e che non si presenteranno alle elezioni. E invita anche il presidente della Repubblica e alleato Marzouki, a dimettersi o a decidere che non si presenterà alle elezioni. E’ da settimane che Ennahda si dichiarava disponibile a un esecutivo di unità nazionale ma voleva che a guidarlo ci fosse ancora un suo esponente. Ora l’ostacolo è stato rimosso e la strada per un accordo si è finalmente aperta, mentre era appena cominciata la settimana di mobilitazione indetta dall’opposizione, riunita nel Fronte di Salvezza Nazionale. A questo risultato si è arrivati grazie alle grandi manifestazioni del 6 e del 13 agosto e ai costanti sit-in in piazza del Bardo, davanti al Parlamento. E per effetto degli scontri in Egitto che hanno fatto molta impressione in Tunisia.

 

Ma c’è una sola persona in Tunisia che in queste settimane ha negoziato con tutte le parti politiche, incontrando più volte i dirigenti di Ennahda e quelli dell’opposizione e cercando il dialogo col Presidente dell’Assemblea NazionaleBen Jaffar, alleato con Ennahda ma socialdemocratico – per staccarlo dalla difesa degli equilibri ormai obsoleti usciti dalle elezioni dell’ottobre 2011. E’ il segretario generale del sindacato Ugtt, Hocine Abassi, che ha intuito la fondatezza della rivendicazione del governo indipendente di transizione e, al contrario, la scarsa praticabilità di quella proveniente dai banchi dell’opposizione, ovvero lo scioglimento dell’Assemblea Costituente

 

65 anni, ex funzionario sindacale di Kairouan, una intera vita nella burocrazia sindacale, senza particolare carisma né ambizioni politiche. Abassi ha solo interpretato fino in fondo, primus inter pares, verificando quale fosse la posizione degli organismi dirigenti di Ugtt, unica vera organizzazione di massa della Tunisia. Dalla lotta per la indipendenza dalla Francia la Ugtt è da sempre un’istituzione e un soggetto politico nazionale. Nel gennaio 2011 fu sua la decisione di proclamare lo sciopero generale a dare il colpo decisivo a Ben Ali. In questa crisi dell’estate 2013 in Tunisia la Ugtt ha da un lato preso tempestiva posizione proponendo il governo tecnico di transizione, dall’altra si è prestata – e in particolare ha prestato Abassi – a un ruolo di mediazione e di negoziato in una fase in cui non c’erano contatti diretti tra islamisti e opposizione.

 

Ora ad Abassi dovrà trattare su chi saranno le personalità del governo di salvezza nazionale. “Non sarò il generale Sissi (il nuovo capo dell’esercito egiziano, ndr) che depone il governo in Tunisia – aveva detto qualche giorno fa – ma non sarò neanche mediatore all’infinito”. Con il consenso anche di Utica, la associazione degli imprenditori tunisini, la Ugtt sta riuscendo a fare da levatrice a una svolta politica radicale ma pacifica. Un governo a guida islamista, uscito dalle urne, che va a casa prima delle prossime elezioni.

 

La giustizia tunisina ordina

la scarcerazione della Femen Amina

 

AFP 1 agosto 2013 16:55

Amina Sboui lors d'une précédente comparution, le 4 juillet à Sousse.

 

Il tribunale tunisino ha ordinato la liberazione di Amina Sboui, attivista femminista del gruppo FEMEN, in attesa del processo per la profanazione delle tombe, ha dichiarato a AFP il suo avvocato, Halim Meddeb.


"Sarà libera in poche ore, non me lo aspettavo", ha detto l'avvocato, aggiungendo che la giovane donna, detenuta dal maggio è stata accusata di aver dipinto la parola "FEMEN" sul muro di un cimitero per denunciare una manifestazione salafita. La profanazione è punibile con due anni di carcere in Tunisia.


La giustizia aveva già nelle settimane precedenti accusato le guardie carcerarie di disprezzo e molestie. "E un sollievo, questo dimostra che quantomeno una parte magistratura tunisina è indipendente” ha detto un altro giovane avvocato attivista, Ghazi Mrabet.


Questa studentessa di 18 anni, che ha causato uno scandalo nel marzo  scorso, era stata minacciata per aver pubblicato su internet le foto di se stessa in topless alla maniera di FEMEN. E’stata arrestata il 19 maggio in seguito alla sua protesta. La madre di Amina, che era stata accusata di aver rapito la ragazza, dopo la pubblicazione delle foto di nudo, ha anche espresso la sua soddisfazione all'AFP. "Sono contenta, finalmente sto tenendo mia figlia tra le braccia, la giustizia ha dimostrato di essere indipendente", ha detto.


La detenzione di Amina aveva scatenato un'ondata di solidarietà in Tunisia e all'estero, ONG, attivisti dei diritti umani nel suo arresto avevano visto la prova del puritanesimo che l’islamista  Ennahda, ha portato dentro il governo, per imporla alla Tunisia.


Tre attivisti Femen europei sono stati arrestati in Tunisia per diverse settimane dopo essersi mostrate in topless a Tunisi per sostenere la giovane donna.

 

 

 

Tunisia, prosciolta la Femen Amina

 

“Nessun oltraggio”. Ma rimane in cella

 

La corte tunisina si è pronunciata a favore dell'attivista

arrestata lo scorso maggio

con l’accusa di profanazione di tombe e possesso di gas urticante.

La ragazza, comunque, resta in carcere in attesa del rinvio a giudizio

per “profanazione di tombe” e "offesa al buon costume"

 

ilfattoquotidiano.it 29 luglio 2013
 
Tunisia, prosciolta la Femen Amina. “Nessun oltraggio”. Ma rimane in cella
 
La magistratura tunisina ha decretato il non luogo a procedere nei confronti di Amina Sboui, la giovane attivista delle Femen accusata di oltraggio e diffamazione dopo aver denunciato maltrattamenti da parte di alcune guardie carcerarie. La giovane rimane però in carcere in attesa del rinvio a giudizio per “profanazione di tombe”. Amina, infatti, è stata arrestata lo scorso 19 maggio per aver scritto la parola “Femen” sul muro di un cimitero in Tunisia.
“E’ una vittoria, si è iniziato a capire chi è ingiustamente perseguitato”, ha detto l’avvocato di Amina, Ghazi Mrabet. “Sono contenta per questa decisione che mi rassicura per il futuro, ho ripreso fiducia nella giustizia”, ha detto la madre di Amina.
 
La giovane, che lo scorso marzo fece scandalo per aver postato su Facebook le sue foto in topless, alla maniera di protesta delle attiviste Femen, è stata incriminata il 22 luglio da un tribunale di M’saken (150km da Tunisi) dopo la denuncia di alcune guardie carcerarie contro la ragazza e un’altra detenuta.
 
La Difesa aveva chiesto l’assoluzione e l’annullamento delle incriminazioni per “gravi vizi di procedura”, affermando che si tratta di una “vicenda montata” dopo le rivelazioni fatte dalla stessa Amina su maltrattamenti e torture subite dai detenuti. L’attivista era stata arrestata due mesi fa a Kairouan (ritenuta la capitale dell’Islam della Tunisia) dove si era recata per manifestare contro i salafiti di Ansar al Sharia che dovevano tenere il loro raduno nazionale. Le manette sono scattate dopo che la giovane ha scritto la parola ‘Femen’ sul muro di un cimitero.
 
Condannata al pagamento di una multa di 300 dinari (circa 150 euro) per il possesso di una bomboletta di gas lacrimogeno, la giovane attivista rimane in carcere in attesa che la magistratura decida di una eventuale condanna per “profanazione di tombe” e “offesa al buon costume”.

 

 

Tunisia, braccio di ferro in attesa del negoziato

 

di Paolo Hutter ilfattoquotidiano.it 28 luglio 2013

 

Pioggia di lacrimogeni, fuga, poi ritorno. Dal primo pomeriggio di sabato si va avanti così sotto la sede dell’Assemblea Costituente. Al centro dell’attenzione e della tensione in Tunisia dopo i funerali di Mohamed Brahmi c’è l’iniziativa dell’opposizione per lo scioglimento del governo e dell’assemblea costituente tramite un presidio permanente davanti al palazzo del Bardo che la ospita.
 
Si cerca con questo sit-in di ripetere il successo che ebbe nel marzo 2011 l’analoga iniziativa denominata Kasbah quando migliaia di persone si accamparono giorno e notte nella piazza sotto la sede del Governo e riuscirono a determinare le dimissioni del primo governo provvisorio dopo la cacciata di Ben Ali. Allora l’attacco della polizia al presidio provocò una risposta solidale di massa che lo rafforzò. Questa volta la sfida è più complessa perchè riguarda un parlamento che è sì scaduto – come dice l’opposizione, ricordando che doveva durare un anno dall’ottobre 2011 – ma che comunque è stato eletto da milioni di tunisini e nel quale è rappresentata in particolare una forza, Ennahda, tutt’ altro che alle corde, anche se non più favorita dai sondaggi.
 
Di più: come ha ricordato in un discorso televisivo “alla nazione” il presidente della Assemblea Costituente Ben Jaffar, si è quasi a un passo dall’approvazione della Costituzione – confrontata anche con gli esperti dell’Unione Europea – e se si accellera anche sulla legge elettorale si potrebbe tornare alle urne entro l’anno. L’opposizione non si fida e soprattutto vuole rappresentare subito la voglia di alternativa. Anche se deve tener conto che l’opinione pubblica tunisina, in questo momento, vuole sì un cambio di governo ma innanzitutto non vuole trovarsi in uno scontro all’egiziana, e che l’esercito tunisino non prende iniziative politiche.
 
Tra i deputati contrari alla attuale maggioranza di governo detta della Troika (perchè comprende anche due partiti minori non islamisti, che esprimono il Presidente della Repubblica e quello dell’Assemblea Costituente) sta prendendo piede il “ritiro” dalla Assemblea. Per ora sarebbero 64 su 217 i deputati che intendono ritirarsi. Se si arrivasse a quota 73, cioè un terzo, si potrebbero inceppare i lavori.
 
Un gruppo oscillante tra maggioranza e opposizione, chiamato Alleanza Democratica, ha ipotizzato un compromesso: far terminare i lavori alla Costituente ma formando un governo nuovo di unità nazionale concordato con l’opposizione. Per ora però non sono previsti incontri o negoziati. Nelle città del centro sud, dopo il tramonto, continuano presìdi e manifestazioni.
 
Davanti all’Assemblea nazionale di Tunisi gli scontri vengono provocati dagli ultrà della cosiddetta Lega per la Protezione della Rivoluzione che milita attivamente contro l’opposizione laica. Tirano sassi contro le tende deglli oppositori spingendo la polizia a evacuarli col pretesto di evitare scontri diretti tra le parti. La Ugtt ha espresso solidarietà ai manifestanti ma solo domani lunedi deciderà se mobilitarsi di nuovo per appoggiarli o se promuovere un tentativo di negoziato, chiamando tutti i partiti attorno a un tavolo come già altre volte ha fatto.

 

Tunisia, braccio di ferro in attesa del negoziato

 

di Paolo Hutter ilfattoquotidiano.it 28 luglio 2013

 

Pioggia di lacrimogeni, fuga, poi ritorno. Dal primo pomeriggio di sabato si va avanti così sotto la sede dell’Assemblea Costituente. Al centro dell’attenzione e della tensione in Tunisia dopo i funerali di Mohamed Brahmi c’è l’iniziativa dell’opposizione per lo scioglimento del governo e dell’assemblea costituente tramite un presidio permanente davanti al palazzo del Bardo che la ospita.
 
Si cerca con questo sit-in di ripetere il successo che ebbe nel marzo 2011 l’analoga iniziativa denominata Kasbah quando migliaia di persone si accamparono giorno e notte nella piazza sotto la sede del Governo e riuscirono a determinare le dimissioni del primo governo provvisorio dopo la cacciata di Ben Ali. Allora l’attacco della polizia al presidio provocò una risposta solidale di massa che lo rafforzò. Questa volta la sfida è più complessa perchè riguarda un parlamento che è sì scaduto – come dice l’opposizione, ricordando che doveva durare un anno dall’ottobre 2011 – ma che comunque è stato eletto da milioni di tunisini e nel quale è rappresentata in particolare una forza, Ennahda, tutt’ altro che alle corde, anche se non più favorita dai sondaggi.
 
Di più: come ha ricordato in un discorso televisivo “alla nazione” il presidente della Assemblea Costituente Ben Jaffar, si è quasi a un passo dall’approvazione della Costituzione – confrontata anche con gli esperti dell’Unione Europea – e se si accellera anche sulla legge elettorale si potrebbe tornare alle urne entro l’anno. L’opposizione non si fida e soprattutto vuole rappresentare subito la voglia di alternativa. Anche se deve tener conto che l’opinione pubblica tunisina, in questo momento, vuole sì un cambio di governo ma innanzitutto non vuole trovarsi in uno scontro all’egiziana, e che l’esercito tunisino non prende iniziative politiche.
 
Tra i deputati contrari alla attuale maggioranza di governo detta della Troika (perchè comprende anche due partiti minori non islamisti, che esprimono il Presidente della Repubblica e quello dell’Assemblea Costituente) sta prendendo piede il “ritiro” dalla Assemblea. Per ora sarebbero 64 su 217 i deputati che intendono ritirarsi. Se si arrivasse a quota 73, cioè un terzo, si potrebbero inceppare i lavori.
 
Un gruppo oscillante tra maggioranza e opposizione, chiamato Alleanza Democratica, ha ipotizzato un compromesso: far terminare i lavori alla Costituente ma formando un governo nuovo di unità nazionale concordato con l’opposizione. Per ora però non sono previsti incontri o negoziati. Nelle città del centro sud, dopo il tramonto, continuano presìdi e manifestazioni.
 
Davanti all’Assemblea nazionale di Tunisi gli scontri vengono provocati dagli ultrà della cosiddetta Lega per la Protezione della Rivoluzione che milita attivamente contro l’opposizione laica. Tirano sassi contro le tende deglli oppositori spingendo la polizia a evacuarli col pretesto di evitare scontri diretti tra le parti. La Ugtt ha espresso solidarietà ai manifestanti ma solo domani lunedi deciderà se mobilitarsi di nuovo per appoggiarli o se promuovere un tentativo di negoziato, chiamando tutti i partiti attorno a un tavolo come già altre volte ha fatto.

 

Tunisia, migliaia di persone ai funerali di Brahmi.

Tensioni nel Paese

 

La salma del deputato del Fronte Popolare è stata seppellita nel grande cimitero di El Jellaz di Tunisi,

proprio a fianco di quella di Chokri Belaid,

il primo assassinato politico nella nuova Tunisia,

ucciso il 6 febbraio scorso

 

di Paolo Hutter ilfattoquotidiano.it 27 luglio 2013

 

Tunisia, migliaia di persone ai funerali di Brahmi. Tensioni nel Paese
 
La bara con la salma del deputato del Fronte Popolare Mohamed Brahmi è stata interrata a metà giornata nel grande cimitero di El Jellaz di Tunisi, proprio a fianco di quella di Chokri Belaid, il primo assassinato politico nella nuova Tunisia, ucciso il 6 febbraio scorso. E’ stato un funerale teso, rabbioso e molto politicizzato: scendendo dal camioncino militare che portava la bara i familiari hanno detto che bisogna farla finita con il governo degli islamisti di Ennahda. Al tempo stesso è stato un momento collettivo quasi ufficiale, trasmesso in diretta da molte televisioni, con la presenza collaborativa di soldati e dello stesso numero uno delle Forze Armate.
 
Nonostante il forte caldo, e i ritmi di vita rallentati del Ramadan, migliaia di persone hanno partecipato al corteo dalla residenza di Mohamed Brahmi, altre migliaia sono partite dall’Avenue Borguiba, altri sono confluiti direttamente nel cimitero. Come richiesto dai familiari, non si sono visto esponenti del governo e del partito Ennahda. Complessivamente la partecipazione è stata un po’ inferiore a quella oceanica che c’era stata a febbraio per Belaid ma la radicalità è maggiore, perché i partiti di opposizione hanno lanciato un appello alla mobilitazione permanente fino alla caduta del governo e al superamento dell’Assemblea Costituente basata sui rapporti di forza ormai superati dell’ottobre 2011.
 
Mentre dal cimitero partiva un corteo diretto alla sede dell’Assemblea Nazionale la polizia è intervenuta alle 14 per cacciare dalle adiacenze del palazzo del Bardo il presidio degli oppositori inaugurato nella giornata dello sciopero generale, venerdì. E’ su questo presidio che ora si concentra il braccio di ferro. Mentre 42 deputati che fanno riferimento alla neonata alleanza delle opposizioni hanno annunciato il loro ritiro dall’Assemblea, nella città natale di Mohamed Brahmi, Sidi bu zid, la stessa da cui è partito nel dicembre 2010 il movimento che ha abbattuto la dittatura, si è formato una sorta di governo locale provvisorio che chiede la formazione di un governo di salvezza nazionale. Non è detto che l’esempio venga seguito. Nella vicina città di Gafsa per tenere i manifestanti lontano dal palazzo del governatore, la polizia ha sparato lacrimogeni ad altezza d’uomo e ha ucciso in questo modo un ingegnere 40enne, anche lui militante del Fronte Popolare. Vicino a Tunisi, a La Goulette, l’esplosione di una rudimentale autobomba non ha fatto danni ma è stata ricondotta dal Governo alle trame destabilizzanti che sarebbero nelle intenzioni dei killer di Belaid e Brahmi. Entrambi, ha detto ieri il Ministro degli Interni, uccisi dalla stessa arma e da una cellula salafita. Ma l’attenzione adesso non è sulle indagini, è sul braccio di ferro che si è aperto sui destini del governo e dell’Assemblea Costituente.

 

Un dirigente dell’opposizione

in Tunisia è stato ucciso

 

Mohamed Brahmi, 58 anni, fondatore di uno dei partiti laici del paese:

è il secondo assassinio politico dall'inizio dell'anno

 

Ilpost.it 25 luglio 2013

tunisia

 

Mohamed Brahmi, politico dirigente dell’opposizione tunisina, è stato ucciso la mattina di giovedì 25 luglio, giorno del 56esimo anniversario dell’indipendenza della Tunisia dalla Francia, fuori dalla sua casa a Tunisi, la capitale del paese. Secondo le prime ricostruzioni fornite dalla televisione di stato e dall’agenzia di stampa ufficiale TAP, due uomini su una motocicletta hanno sparato a Brahmi di fronte alla moglie e alla figlia (secondo la televisione di stato avrebbero sparato 11 volte).

 

Brahmi aveva 58 anni: è stato fondatore e segretario generale del Movimento del Popolo (Echaâb), partito di opposizione laico e nazionalista, nato dopo la fine della ultraventennale presidenza di Ben Ali nel 2011. È stato anche membro dell’Assemblea Nazionale Costituente che era incaricata di scrivere la nuova Costituzione del paese.

 

L’assassinio di Brahmi è il secondo attentato mortale contro un esponente dell’opposizione in Tunisia dall’inizio dell’anno. A febbraio il politico laico Chokri Belaid fu ucciso fuori da casa sua, sempre a Tunisi: l’attacco aveva provocato grandi proteste in tutto il paese e aveva costretto il primo ministro, Hamadi Jebali, a dimettersi dal suo incarico nel marzo 2013. Belaid era il coordinatore della coalizione Fronte Popolare, cioè il gruppo di opposizione più grande in Tunisia che raggruppa diversi partiti, tra cui proprio quello di Brahmi.

 

In Tunisia Brahmi non era un personaggio politico così rilevante come Belaid, ma anche lui era un convinto oppositore di Ennahda, partito islamico moderato al governo, di cui fa parte anche l’ex primo ministro Jebali. Dopo l’assassinio di Belaid, molti tunisini hanno accusato Enhada di non fare abbastanza per fermare l’aumento della violenza islamista nel paese, che alcuni sostengono sia stata fomentata dal partito al governo. Dopo la diffusione della notizia dell’uccisione di Brahmi, migliaia di tunisini, scrive Al Jazeera, hanno protestato di fronte all’edificio del ministero degli Interni a Tunisi.

 

 

Femen in Tunisia: processo ad Amina, lei si toglie il velo in tribunale

 

 

La donna è accusata di detenzione di gas paralizzante:

per i suoi avvocati, tuttavia,

il dossier contro di lei è stato costruito ad arte.

 

 fanpage.it 09 luglio 2013

 

 

Si è svolto ieri il processo in appello in cui è imputata la femminista tunisina – prima attivista del gruppo Femen nel mondo arabo – Amina Tyler, che si è resa protagonista di un gesto coraggiosissimo. Davanti alla corte, infatti, la donna si è sfilata il sefseri, il velo che viene fornito dal carcere a tutte le detenute e che da decenni viene indossato per “proteggere”, durante le udienze in tribunale, dagli sguardi del pubblico. Si tratta comunque di un velo non obbligatorio, sicché la femminista non ha esitato un istante a sfilarselo poi sorridere e mostrare il pugno chiuso. Il processo di ieri discuteva della presunta detenzione di gas paralizzante da parte della diciottenne Amina: per questa accusa è stata già condannata a 300 dinari di ammenda. La sentenza arriverà l'11 luglio. Intanto, però, la donna ha ricevuto la solidarietà di Amnesty International e dell'Associazione delle donne Democratiche tunisine.

 

“Sono molto fiero – dice il padre di Amina, al termine del processo – i giovani hanno iniziato a sostenere Amina, hanno capito che ha subito un processo politico, che non ha fatto niente, non si è svestita, non ha profanato alcun cimitero, è andata Kairouan per dire che la ‘Tunisia è uno Stato civile dove le donne sono libere'”.

I difensori di Amina hanno chiesto la non applicazione del testo di legge sulla detenzione di esplosivi e ribadito l'innocenza della Femen: “La detenzione di Amina è arbitraria – spiega Radhia Nasraoui, una delle più conosciute avvocatesse tunisine, militante contro la tortura e per la difesa dei diritti dell'uomo – non doveva essere arrestata non ha commesso alcun crimine e alcuna infrazione alla legge. Il dossier che è attualmente dal giudice Istruttore, al Tribunale di prima istanza di Kairouan, è vuoto. Ma, nonostante questo, vede tre capi di imputazione: attentato al pudore, che non è vero perché Amina non si è svestita; profanazione di cimitero, anche questo non è vero; ma la cosa più rivoltante è l'accusa di appartenenza ad un'associazione di ‘malfattori' che ha come obiettivi di portare a termine delitti contro cose o persone. Trovo che questa ultima accusa sia scandalosa. Amina è sola in questo dossier, non appartiene ad alcun gruppo, nemmeno a Femen, ha detto che non appartiene a quel movimento. Tuttavia anche se appartenesse al movimento Femen, non è un movimento che ha l'obiettivo di danneggiare persone o cose. E' un dossier che mi ricorda il periodo Ben Ali, quando venivano creati dei processi e delle cause ad hoc solo per gli oppositori politici” .

 https://www.fanpage.it/femen-in-tunisia-processo-ad-amina-lei-si-toglie-il-velo-in-tribunale/#ixzz2YX6yU0SG