TUNISIA. Il premier degli Eau afferma
il suo sostegno al popolo tunisino
notiziegeopolitiche.net di Esmehen Hassen - 16 marzo 2014
Ha avuto inizio nella mattinata di ieri, sabato 15 Marzo 2014, il tour di cinque giorni nelle nazioni del Golfo arabo (Emirati Arabi Uniti (UAE), Arabia Saudita , Qatar , Kuwait e Bahrain) da parte del capo del governo ad interim tunisino, Mehdi Jomaa.
Lasciando l’aeroporto di Tunisi-Cartagine, in una dichiarazione rilasciata alla stampa tunisina Jomaa ha descritto questa sua visita come “un impegno politico ed economico per rafforzare le relazioni della Tunisia con il Golfo arabo, rafforzare la cooperazione economica e commerciale e attrarre investimenti stranieri”.
Accompagnato dai ministri degli Affari esteri, Mongi Hamdi, dell’economia e finanza, Hakim Ben Hammouda, e dal presidente di UTICA, Wided Bouchamaoui, il premier tunisino ha incontrato in serata il vicepresidente dello Stato degli Emirati Arabi Uniti ( UAE ), presidente del Consiglio dei ministri e governatore di Dubai, lo sceicco Mohammed Bin Rashid al-Maktoum.
Secondo quanto riportato dall’Emirates News Agency (WAM), proprio lo sceicco Mohamed Bin Rashid Al Maktoum, in occasione di questo incontro, avrebbe ribadito il sostegno dello Stato degli Emirati Arabi Uniti al popolo tunisino e la fornitura di aiuto per “uscire dalla crisi attraverso l’attuazione di piani di sicurezza sociale per il ripristino della stabilità in Tunisia”.
Da parte sua, Mehdi Jomaa avrebbe detto, secondo la stessa fonte, di tenere in grandissima considerazione il sostegno degli Emirati Arabi Uniti al popolo tunisino sul piano economico e politico, e avrebbe sottolineato la necessità di concentrarsi sul sostegno di cui il Paese ha bisogno per superare la crisi economica e per realizzare l’organizzazione delle prossime elezioni presidenziali e parlamentari.
Dopo la notte, il giorno:
la Tunisia del “patto” si scopre ottimista
unimondo.org di Omar Bellicini - 18 febbraio 2014
È fatta: il 10 Febbraio 2014 si candida ad essere una data significativa nella storia del mondo arabo. Del mondo tout court, a detta di qualche analista col vezzo della solennità. La nuova Costituzione tunisina è entrata in vigore, nella parte relativa ai diritti politici e alle libertà individuali. Si tratta di un testo evoluto e dinamico, che accoglie la tradizione islamica, senza ripudiare le conquiste e le garanzie della modernità giuridica. Si tratta, in definitiva, dell’esito di un patto fra le due grandi anime del Paese: quella confessionale e quella laica. Un patto sofferto ma compiuto, con un obiettivo comune: un rapido rilancio, economico e di immagine. Una prospettiva plausibile?
Potere di una costituzione. Difficile da credere, ma la Legge fondamentale tunisina sembra possedere una facoltà che va ben al di là del giuridico, e perfino del politico: restituire il buon umore. In televisione, nelle assemblee, nei mercati, ovunque, il pessimismo ed il sospetto, che accompagnavano ogni allusione al futuro, sono scomparsi. All’improvviso. C’è solo spazio per un’ostentata fiducia nell’avvenire, per l’orgoglio. C’è la consapevolezza di aver portato a termine un progetto innovativo, che appare difficile, se non marcatamente utopistico, in tutti gli altri Paesi dell’area: trovare un compromesso virtuoso fra riconoscimento dell’identità e apertura al mondo. Fra Islam e progresso. Qui, quell’obbiettivo, germogliato da confronti serrati, da accelerazioni ed attese, da svolte politiche e sacrifici individuali, è stato realizzato. Almeno sulla carta.
Non è cosa da poco. Infatti, i traguardi sanciti dallo nuovo Statuto possono dirsi all’avanguardia, anche rispetto a realtà generalmente considerate più avanzate, come quelle delle nazioni occidentali. Si consideri, ad esempio, il testo dell’articolo 11, che impone alle più alte cariche dello Stato, ai parlamentari ed ai funzionari pubblici di grado elevato di “dichiarare l’entità dei propri beni, conformemente alle disposizioni di legge”. Oppure, all’articolo 44, che rispondendo ad un’esigenza sempre più avvertita, a livello globale, istituisce un vero e proprio diritto d’accesso all’acqua, imponendo alla società e allo Stato di “preservarla e razionalizzarne lo sfruttamento”. Il tutto, in un contesto giuridico che si fa promotore delle libertà di manifestazione del pensiero e financo di culto. Poiché (ed è questo un punto fondamentale), pur essendo proclamata la matrice islamica dello Stato, si dispone che quest’ultimo debba “garantire la libertà di coscienza e di credo”, favorendo “i valori della moderazione e della tolleranza”, ai sensi dell’artico 6 della Carta. Un’autentica svolta, rispetto alle aspettative di qualche mese fa.
Una svolta che cerca di essere assecondata anche sul piano della sicurezza interna. Il nuovo Governo guidato dall’indipendente Mehdi Jooma, infatti, ha recentemente assestato alcuni colpi significativi all’integralismo armato: il 4 Febbraio, una vasta operazione di polizia ha smantellato un covo di terroristi presente a Raoued, piccolo centro posto fra Tunisi e la zona costiera (ricca di alberghi turistici); il 16 dello stesso mese, un’altra azione, svoltasi a L’Ariana (poco lontano da Raoued), ha portato all’arresto di un gruppo legato alla costola magrebina di Al-Qaida. Almeno a detta del Ministero dell’Interno. Interventi importanti, che tuttavia hanno sollevato qualche diffidenza, dal momento che il primo ha determinato la morte di Kamel Gadhgadhi, presunto assassino dell’avvocato Chokri Belaid (compianto leder dell’opposizione laica), mentre il secondo ha condotto all’arresto di Hmed el-Melki, detto “il somalo”, implicato nell’omicidio di Mohamed Brahimi (altra figura politica di spicco): il fatto che tutto sia avvenuto a ridosso del 6 Febbraio, data dell’agguato allo stesso Belaid ed occasione di una partecipata commemorazione pubblica, pare una coincidenza quantomeno sospetta. Una coincidenza che viene posta in relazione alla volontà di mutare la percezione estera del Paese, in un momento in cui gli investimenti d’oltre confine rappresentano una drammatica necessità. Qualunque sia la verità, si tratta di segnali importanti e indubbiamente positivi.
Segnali che rischiano, però, di essere oscurati dall’imperizia del Presidente della Repubblica: quel Moncef Marzouki accolto dapprima con entusiasmo, in virtù della sua immagine di equilibrato uomo di diritto, ed ora ampiamente screditato. Si susseguono, infatti, gaffes ed interventi maldestri, che rasentano, sovente, l’incidente diplomatico. Il primo episodio risale al 2013, in un momento in cui la Tunisia necessitava del massimo sostegno internazionale, con un discorso all’Onu, quasi unanimemente considerato confusionario ed inconcludente. Più di recente, una cattiva programmazione degli interventi, in onore della nuova Costituzione, svoltisi il 7 Febbraio, alla presenza di numerosi rappresentanti stranieri, ha provocato imbarazzanti attriti fra la delegazione iraniana e quella statunitense, a danno delle celebrazioni. Proprio di questi giorni, poi, l’affaire libico: un’espressione di solidarietà, posta in essere da Marzouki, a seguito di un presunto tentativo di colpo di stato militare, ha indotto il governo di Tripoli a smentire, non senza un certo fastidio, l’ipotesi del golpe. È evidente che il rilancio del Paese dei gelsomini dovrà passare anche da un ricambio della sua classe dirigente. Stando all’ottimismo della gente, non v’è dubbio che questo rappresenti solo un piccolo ed insignificante ostacolo.
La Tunisia di oggi e la minoranza sciita:
intervista a Abdelhafid Bannani:
‘Libertà, ma non per tutti’
notiziegeopolitiche.net - di Enrico Oliari, con la collaborazione di Saber Yakoubi – 29 gennaio 2014
La nuova Costituzione della Tunisia afferma fin dall’articolo 1 che slam è la religione dello Stato, mentre all’articolo 6 dà allo Stato il compito di custodire la religione e di preservare le libertà di credo, coscienza e di pratica dei culti. Lo Stato deve proteggere ciò che è sacro, garantire la neutralità delle moschee e gli altri luoghi di culto dallo sfruttamento partigiano. Infine, lo Stato deve diffondere i valori della moderazione e della tolleranza e proibire le accuse di miscredenza e l’incitazione all’odio e alla violenza.
Si tratta di un passaggio estremamente importante, che garantisce la libertà di culto, ma anche di interpretare la religione, sia pure quella dello Stato, secondo le proprie convinzioni ed in base alla propria confessione, senza per questo essere accusati di apostasia.
La popolazione tunisina, circa 10 milioni di persone, è per il 98% di fede islamica; vi sono quindi una minoranza cristiana, erede dei colonizzatori francesi e dei vicini italiani, ed una ebraica. Coesistono nel pensiero sunnita diverse interpretazioni più o meno radicali, a dire il vero le prime colpite dal richiamo alla “moderazione” presente nell’articolo, ma anche è possibile riscontrare la presenza di una piccolissima realtà sciita, la quale, per quanto esigua, si presenta organizzata e dinamica, con tanto di una propria testata giornalistica e di una libreria.
Notizie Geopolitiche ha incontrato Abdelhafid Bannani, direttore del settimanale Essawa (‘Il risveglio’, tiratura 10mila copie) ed autore del libro “Introduzione alla storia dello sciismo in Tunisia”, il quale è esponente della confessione sciita del paese nordafricano:
- dott. Bannani, è curioso trovare una piccolissima comunità sciita nella Tunisia sunnita…
“Io articolerei la declinazione del pensiero sciita in tre aspetti: uno spirituale, uno politico ed uno basato su quanto afferma la scuola giurista. Se prendiamo in considerazione il primo aspetto, quello spirituale, va detto che essere sciiti significa “amare il Profeta”, e quindi in Tunisia siamo tutti sciiti; per il secondo punto, quello politico, è necessario prendere in considerazione la questione palestinese e quindi la lotta degli Hezbollah, per cui anche in questo caso in Tunisia siamo tutti sciiti; infine vi è la differenza della scuola giurista, dove ammetto che in questo paese noi sciiti rappresentiamo una piccola minoranza.
La storia dello sciismo in Tunisia risale al 27mo anno dell’egira, quando è arrivato da queste parti Abdullah Ebenjafar. Poi vi sono stati conflitti contro i berberi e gli amazigh, fino all’arrivo, nel 285 (anno dell’egira) di Abou Abdullah, il quale si è presentato solo, come predicatore, e con la sua saggezza ha riunito le popolazioni tunisine e delle tribù limitrofe, fondando lo stato fatimida, che era quindi sciita. Non è tuttavia corretto affermare che gli sciiti di oggi discendono dai fatimidi di allora. Poi, con i vari conflitti, la Tunisia è gradualmente diventata sunnita“.
- Come vivevate la fede durante le dittature di Bourghiba e di Ben Alì?
“Eravamo trattati come gli altri islamici, ma la cosa interessante è che fra i musulmani esisteva la solidarietà, al di là delle interpretazioni confessionali. Sono stati anni di repressione, come per tutti… festeggiavamo le ricorrenze in modo clandestino, nelle case private, nei boschi o sulle montagne. Io sono stato addirittura in prigione“.
- Dire sciiti è come dire Iran: vi è mai capitato di essere accusati di legami con la Repubblica islamica?
“Più che altro vi era una forte censura: nel 2006 abbiamo aperto la nostra libreria, Dar al-Zahra, ma i libri erano controllati dallo Stato. Quando ci arrivavano testi non graditi, come i libri dell’ayatollah Khomeini, questi venivano fatto tornare indietro; i libri che potevano essere esposti erano solo quelli acquistati alla mostra del libro, ovvero dove i testi erano controllati dalle autorità. Ricordo che nel 1989 era arrivata una nave con un carico di libri, dal Libano, ma proprio perché proveniente da quel paese era stata fatta tornare indietro.
Su altri tipi di legami devo dire che a Ben Alì non interessava cosa uno credeva… ma siamo comunque stati indagati dai servizi segreti, perché il governo temeva il progetto politico iraniano, ovvero le implicazioni che derivavano dalla presa di posizione avversa adottata da paesi come l’Arabia Saudita e l’Egitto di Mubarak“.
- Lei accennava ad un legame con gli altri musulmani… con la fine della dittatura e l’arrivo della democrazia tale vicinanza è venuta meno?
“Dopo le lezioni il partito di governo, Ennahda, ci ha considerati come i salafiti, ovvero dei miscredenti, per cui oggi ognuno sta sulla sua strada. Con Ennahda non abbiamo dissapori dal punto di vista religioso, bensì politico, per questioni come quella siriana: Ennahda è un partito vicino al Qatar, ed ha disposto che la Tunisia fosse il primo paese ad espellere l’ambasciatore di Damasco. Ed anche il nostro giornale, che ha idee opposte proprio in materia di Siria, è visto male dalla dirigenza di quel partito“.
- Certo che essere filo al-Assad in una realtà come quella tunisina, dove vi sono, tra l’altro, i salafiti di Ansar al-Sharia…
“E’ stata la troika al governo ad avere un atteggiamento ostile con noi. Oltre ad espellere l’ambasciatore siriano, hanno, ad esempio, organizzato la Conferenza degli Amici della Siria proprio qui a Tunisi, prendendo una posizione chiara sul tema. Quando invece noi abbiamo voluto invitare per un evento al quale avrebbero partecipato partiti ed associazioni, i nostri invitati Hezbollah sono addirittura stati respinti all’aeroporto, nonostante avessero il visto in regola. Diritti per tutti, insomma, tranne per quelli che non vogliono loro.
Inoltre, e qui noi non siamo una minoranza, non è stata inserita nella Costituzione la criminalizzazione dello Stato di Israele, nonostante la causa della Palestina sia una questione sentita, di umanità“.
- Stampate una settimanale, con idee spesso controcorrente… ricevete finanziamenti dall’Iran?
“Se fossimo in Libano o in Palestina, l’Iran forse ci finanzierebbe le armi, ma non vi sono investimenti nella cultura. Magari Teheran investisse nell’informazione e non solo nelle armi, ne avremmo bisogno!“.
Tunisia, approvata la nuova Costituzione.
Apertura a diritti civili e parità di genere
Il testo passa con una maggioranza di 200 voti a favore,
12 contrari e 4 astenuti, dopo un mese di confronto articolo per articolo.
Il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon:
"Possibile modello per gli altri popoli che aspirano a riforme"
L’ assemblea nazionale Costituente tunisina ha varato definitivamente il testo della nuova Costituzione con una maggioranza di 200 voti a favore, 12 contrari e 4 astenuti. La data è quella di domenica 26 gennaio – pochi giorni dopo il terzo anniversario della rivoluzione dl 14 gennaio che cacciò il dittatore Ben Ali. Nel mese di gennaio c’erano state le contrastate votazioni articolo per articolo: quasi sempre la controversia opponeva settori islamisti e laici. La votazione è stata celebrata con scene inedite nella conflittuale assemblea nazionale. I deputati hanno celebrato l’avvenimento cantando l’inno nazionale, sventolando bandiere tunisine con le “dita a V” in segno di vittoria. Hanno gridato “fedeli fedeli al sangue dei martiri della rivoluzione ” e “sacrifichiamo la nostra anima e il nostro sangue per te Tunisia”.
I fotografi hanno immortalato l’abbraccio tra un “falco” della destra islamista e un deputato filocomunista del Fronte Popolare. Il testo è di compromesso, ma tutti gli osservatori lo giudicano di buona qualità. Ne esce un regime semi-presidenziale, una affermazione puntuale dei diritti civili (si parla anche della tortura) una difesa della religione ma anche della separazione tra Stato, Chiese e libertà di coscienza, l’indipendenza della magistratura. E un impegno inedito nel mondo arabo alla parità effettiva tra uomo e donna. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha salutato l’adozione di questa Costituzione come una tappa storica e ha presentato la Tunisia come un “possibile modello per gli altri popoli che aspirano a riforme”.
In contemporanea con il voto della Costituzione il nuovo presidente del consiglio incaricato Mehdi Jooma è riuscito finalmente a presentare la lista dei ministri del suo governo di tecnici e di indipendenti. Governo di transizione fino alle elezioni, che prende il posto di quello a guida Ennahda, gli islamisti che avevano vinto le elezioni dell’ottobre 2011. L’accordo che lentamente, tra continui stop and go, ha portato a questo cambio pacifico (l’opposto del colpo di stato egiziano) è stato un po’ imposto e un po’ costruito pazientemente dalla Ugtt, il potente sindacato tunisino. L’ ultimo ostacolo era stato la conferma del ministro degli Interni uscente Ben jeddou, che le opposizioni non volevano. Jooma invece lo ha tenuto, affiancato però da un nuovo “segretario di stato alla sicurezza nazionale”. L’impegno alla parità però, nel governo degli indipendenti, non è stato rispettato con solo 2 ministre su 21. In compenso, per la prima volta c’è un ambientalista, Mounir Majdoub. La fiducia al governo è prevista entro tre giorni, e non sarà così larga come il voto per la Costituzione.
unimondo.org di Omar Bellicini - 14 Gennaio 2014
Tempi stretti e visioni del mondo radicalmente diverse: riuscirà, lo Stato che diede il via alle rivoluzioni arabe, ad approvare una costituzione prima della scadenza prevista? Dubbi e difficoltà non mancano, ma cominciano ad affacciarsi segnali positivi e solide speranze di successo. A Tunisi, diversamente da alcuni mesi fa, qualcosa sembra muoversi.
Dibattiti, concitazione, inquietudine: le miti temperature di un inverno tunisino, invero, fuori dal comune, non trovano un corrispettivo nella pace degli animi. Il 14 Gennaio, terzo anniversario della Rivoluzione, giorno fissato per la simbolica approvazione della nuova Costituzione, è alle porte. L’ennesima proroga avrebbe il sapore di una sconfitta. Sono giorni di lavori serrati e, al contempo, di festa: il Mouled, celebrazione della nascita del Profeta (Muhammad), cade proprio alla vigilia di questo importante appuntamento: il 13 Gennaio. Pare quasi che il destino abbia voluto contrapporre, con sottile ironia, la ricorrenza che rappresenta, per eccellenza, il senso di appartenenza alla Fede, l’ostentazione di un’identità precisa e priva di incertezze, a quella Rivoluzione che ha testimoniano, attraverso il contributo (e il sacrificio) delle diverse anime della società tunisina, la necessità di un riconoscimento più ampio e più sfumato: la dichiarazione di una comune cittadinanza, nella varietà delle posizioni individuali, nel pluralismo. Sono le due voci, talvolta in conflitto, talvolta in accordo, che hanno fatto da motivo conduttore al non semplice operato di questa inedita Costituente araba.
Qualche passo decisivo è già stato compiuto: l’approvazione, a larghissima maggioranza (159 favorevoli su 169 votanti) dell’articolo 20 della bozza costituzionale, ne è un esempio: esso sancisce la parità di tutti i cittadini davanti alla legge, “senza discriminazione” fra uomini e donne, riconoscendo ai primi e alle seconde medesimi diritti e doveri. Benché l’articolo 45, relativo alle pari opportunità e agli specifici diritti femminili tutelati dallo Stato, sia ancora oggetto di accesa discussione, si può parlare, senza dubbio, di una vittoria storica per quanti mirano ad un impianto giuridico il più possibile aperto e moderno. Tanto più, se si considera che, solo pochi mesi fa, v’era la concreta possibilità che il ruolo della donna, nella società tunisina, venisse definito meramente complementare. Non meno importante, sulla via di una definitiva conciliazione delle forze che agitano il confronto politico, un passaggio che, all’articolo 1, indica la Tunisia come Stato civile e non precisamente islamico, aprendo ad un’interpretazione laica dei rapporti sociali, pur in un contesto che eleverà senz’altro l’Islam ad una posizione di preminenza.
A complicare il quadro è il braccio di ferro sul Governo: non v’è dubbio, infatti, che le lunghe trattative sulla formazione di un nuovo Esecutivo, avviate mesi addietro, a seguito del crollo di credibilità dovuto agli omicidi dei leader dell’opposizione Chokri Belaid e Mohamed Brahimi, intersechino e rallentino i lavori assembleari. Tre giorni fa (il 10 Gennaio), dopo tormentate consultazioni, tenute dai principali esponenti istituzionali, dai partiti e dalle forze sociali, si è finalmente giunti ad un compromesso, che promette di influenzare positivamente i lavori d’aula: il primo ministro Larayedh, già responsabile degli interni e membro di spicco del partito filoislamico Ennahda, ha accettato di fare un passo indietro, in favore di Mehdi Jomaa, apprezzato ministro dell’industria, fattosi promotore e garante di una nuova squadra di tecnici e figure indipendenti. La situazione, tuttavia, è ancora in divenire e non è possibile azzardare previsioni affidabili sulle capacità operative e sulla tenuta del nuovo gabinetto. Quel che è certo, è che una cattiva selezione dei nuovi vertici ministeriali ed una insoddisfacente definizione degli obiettivi da conseguire avrebbero contraccolpi negativi sull’approvazione di un testo che necessita di largo consenso e di un’assoluta serenità di giudizio. Se non altro, l’apertura di una nuova fase politica sembra prossima: a maggior ragione ora, che il cambio alla guida del Governo pare coincidere con l’imminente varo della nuova Costituzione. Se quest’ultima si tradurrà in un’uscita dalla stasi e in un’occasione di rilancio per il Paese, molto dipenderà dai talenti e dall’impegno che sapranno profondere le nuove classi dirigenti tunisine: giacché istituzioni e tempi nuovi richiedono strategie e uomini (altrettanto) nuovi; se non nei percorsi di vita, quantomeno nello spirito. In questi giorni di festa, il miglior augurio che si possa fare alla patria dei gelsomini è che ne emergano molti.
Tunisia. Mehdi Jomaa
nuovo capo del governo
notiziegeopolitiche.net di Esmehen Hassen – 15 dicembre 2013
Mehdi Jomaa, Ministro dell’Industria e candidato di Ennahda, ha finalmente ottenuto il consenso dei membri rimasti all’interno del Dialogo Nazionale dopo il ritiro di Nidaa Tounes e del Fronte Popolare.
Nelle concertazioni in seno alle parti politiche nazionali e al Quartetto, su un totale di 19 partiti presenti, di cui 8 astenuti dal voto, Mehdi Jomaa avrebbe ottenuto un totale di 9 voti su 11.
Mehdi Jomaa, classe 1962, dopo aver conseguito la laurea in ingegneria presso la Scuola di Ingegneria Nazionale di Tunisi nel 1988 e dopo aver ottenuto una specializzazione post-laurea in Meccanica, calcolo e modellazione di strutture, ha trascorso tutta la sua carriera in seno all’Aerospace, una filiale del gruppo francese Total. Nel 2009, è stato direttore generale della divisione aerospaziale e della difesa, membro del Comitato Esecutivo, e sovrintendere di sei filiali in Francia, Stati Uniti, India e Tunisia. Nel 2013, infine, è stato nominato Ministro dell’Industria nel Governo Ali Larayedh.
Il futuro premier formerà il suo governo entro la prossima settimana, mentre il dialogo nazionale si promette di continuare ad attuare i punti tracciati dalla tabella di marcia, secondo quanto ha annunciato Mahmoud Baroudi, membro dell’Alleanza democratica per l’Assemblea Nazionale Costituente.
Rapper tunisino Weld El 15
condannato a 4 mesi carcere
Il cantante è stato immediatamente condotto in carcere
ilmondo.it - 05 Dicembre 2013
Hammamet, 5 dic. Il rapper tunisino Weld El 15, che aveva fatto appello contro la sua condanna in contumacia a 21 mesi, è stato condannato a 4 mesi di carcere per oltraggio al pubblico pudore e offesa a pubblici ufficiali. Il cantante è stato immediatamente arrestato, poiché la sentenza prevedeva "l'esecuzione immediata" della condanna. "Mi aspetto di tutto - aveva detto il cantante poco prima dell'inizio dell'udienza - spero che in Tunisia esista la giustizia, non l'ingiustizia. La rivoluzione è nata proprio in nome della libertà di espressione", ha detto Weld El 15, il cui vero nome è Alaa Yacoubi. Il processo si è svolto nel tribunale di Hammamet, che aveva già condannato un altro cantante Klay BBJ, che dopo due processi è stato poi rilasciato. AFP
Serie di attentati kamikaze in Tunisia,
si teme il fondamentalismo,
contrario al Dialogo nazionale
notiziegeopolitiche.net - Di Saber Yakoubi - 30 ottobre 2013
Serie di attentati o di tentativi ieri in Tunisia, nei pressi delle città costiere e turistiche di Monastir e di Susa: verso le 9.00 la polizia ha notato tre persone dall’aria sospetta che stavano entrando in un hotel. Avvicinati dagli agenti, i tre uomini si sono dati alla fuga, due verso il centro città ed uno verso la spiaggia dove, sentendosi braccato, si è introdotto in un albergo vicino e si è fatto esplodere. Al momento le notizie parlano, a parte della morte dell’attentatore, di danni materiali. La zona è stata circondata dalle Forze di sicurezza e dei terroristi in fuga si sa solo che uno è scuro di pelle.
Circa un’ora dopo un altro attentatore si è portato nella parte centrale di Monastir e si è diretto nei pressi della tomba dell’ex presidente Habib Bourghiba. Lì è stato bloccato dagli agenti e non è riuscito ad innescare il congegno della cintura esplosiva.
Poco dopo vi è stata una forte esplosione a Monastir, in quello che una volta era il palazzo presidenziale e che oggi è stato trasformato in una zona residenziale per l’alta borghesia: anche da distanza si vedono intense colonne di fumo ed è un continuo viavai dei mezzi di soccorso.
Il portavoce del portavoce del Ministero dell’Interno, Mohamed Alerwi, ha poi comunicato che gli individui coinvolti negli attentati sono tutti tunisini e che l’attentatore fermato a Monastir appena in tempo prima che si facesse esplodere è un giovane di 18 anni, condannato più volte per vari reati penali.
Si è poi avuta notizia di una bomba non esplosa con comando a distanza rinvenuta nei pressi di una caffetteria nel quartiere di al-Marsa, a Tunisi: anche in questo caso la zona è stata circondata da un cordone di Forze dell’ordine.
L’opinione pubblica è sotto shock ed in più parti del territorio tunisino stanno prendendo piede manifestazioni autonome contro la violenza verso un popolo diviso nelle idee politiche, ma unito quando si tratta di opporsi a chi minaccia la sicurezza nazionale.
Al momento non è dato da sapere chi vi sia dietro agli attacchi, anche se il tutto farebbe pensare alla matrice di Ansar al-Sharia, il braccio armato dei salafiti, o dei gruppi più estremisti, fortemente contrari alla strategia politica delle dimissioni del primo ministro Alì Larayedh e dell’apertura del Dialogo nazionale per uscire dallo stallo in cui si è trovato il paese. I cinque esponenti della politica individuati per arrivare alla formazione di un nuovo governo e per rimettere in funzione la Cosa pubblica sarebbero infatti esponenti dell’area laica se non dell’ancien regime, espressione di un accordo che ha visto coinvolti i partiti e le parti sociali.
Notizie Geopolitiche ha contattato Marwen Jeddah, responsabile comunicazioni del gruppo dei salafiti, per conoscerne la posizione in proposito: egli ha affermato che quanto sta accadendo è uno spettacolo dalla pessima regia ed ha ricordato che Abou Iyadh (vero nome Seifallah Ben Hassine), prima di sparire nel nulla, aveva avvertito che ci sarebbero stati attentati che sarebbero serviti per far cadere la colpa sui salafiti.
Sempre Marwen Jeddah ha detto di ritenere che quanto accaduto oggi sarebbe opera dei Servizi segreti tunisini perché, come richiesto dal Banco monetario internazionale, i salafiti venissero considerati come terroristi ed ha fatto sapere che presto verranno portate le prove di quanto dichiarato, poiché “i partiti al governo hanno le mani sporche e non sono degni di guidare il nostro popolo”.
unimondo.org - 09 Ottobre 2013
Una Costituzione che non c’è. Una ripresa che non c’è. Un Governo che c’è, ma è come se non ci fosse. A non mancare è solo la speranza che, ad un certo punto, prevalga il senso di responsabilità. Ma la speranza è soggetta a precisi termini di scadenza, oltre i quali si trasforma in fantasticheria, rendendo la realtà ancora più dolorosa, indigeribile. È questo, in sintesi, il contesto della Tunisi post-rivoluzionaria, dall’omicidio Belaid in poi. Dell’ormai celebre Primavera non restano che le attese. L’estate, tarda ad arrivare. Non tutti sono pronti a scommettere che arrivi. Di fatto, anche qui, si è saltati ad un autunno, che è ben più di una stagione: di quell’entusiasmo libertario, di quel richiamo all’avvenire, che aveva scosso le stanze tetre del regime di Ben Alì, sopravvive l’eco sorda e inconcludente della protesta di maniera. Un’eco che si fa chiacchiericcio diffuso, ostentazione delle proprie singolarità. Un’eco che proroga ciò che ormai è improrogabile: la doverosa convergenza verso un minimo comune denominatore.
L’alba democratica tunisina non si riduce, ovviamente, a questo: la migliore intellighenzia del Paese preme per un definitivo superamento dell’impasse. Tuttavia, nessuno è scevro da responsabilità. Non il Governo semiconfessionale di Ennahda, impossibilitato ad operare dal ritiro (aventiniano) dei deputati d’opposizione, all’indomani del caso Brahimi, e ciononostante indisponibile ad un accordo che comporti una effettiva cessione di potere. Non il presidente Marzouki, incapace di mediare, per via di un’eccessiva esposizione che, a detta di molti, riflette un personale interesse alla rielezione. Non le forze laiche: così frammentate e fatue da richiedere la supplenza, in fase di trattative, dell’U.G.T.T., l’apprezzato e potente sindacato, retto da Houcine Abbasi. Neppure quella borghesia intellettuale tunisina, che non riesce a rendersi protagonista efficace del cambiamento. Un mix esplosivo.
Una situazione tanto più preoccupante, se si considera il contesto entro cui viene ad operare: un ambiente sociale caratterizzato da un radicato disamore per le regole, aggravato da un malinteso senso di libertà, dai contorni quasi anarchici. Una tangibile incuria, che mina il funzionamento macchina civile: dalle piccole opere di manutenzione, alle grandi strategie di programmazione amministrativa. Un approccio nei confronti delle opinioni altrui, che manca di prospettiva laica, negando legittimità alle posizioni diverse, a danno di una serena e pacifica convivenza. Mancano, in definitiva, i pilastri sui quali si fonda l’edificio democratico: rispetto delle norme e accettazione del diverso da sé. Occorre cominciare da qui.
Naturalmente, è bene accostarsi alla suddetta fase politica, privi di complessi di superiorità: gli accidenti della società tunisina non sono che la manifestazione macroscopica di problemi a noi ben noti. Se può essere tracciata una differenza, col percorso italiano, essa va identificata in un eccesso di irresponsabilità, che si dimostra speculare a quell’abuso del compromesso politico divenuto, negli anni, il male oscuro della politica nostrana. Un compromesso (resosi, qui, imprescindibile), che non necessariamente deve condurre a soluzioni giuridiche d’impronta europea. Al contrario, la via maestra per un’uscita dalla crisi politica sembra legata alla apertura di una via originale, che sappia abbinare l’obiettivo della libera determinazione dell’individuo alle specificità della tradizione magrebina.
La sfida non è semplice: anche a fronte delle molteplici tensioni, che attraversano il Paese e insidiano una coesione sociale quanto mai fragile. Oggetto di particolari controversie resta la posizione riservata alla libertà d’informazione: posta sotto scacco, secondo numerosissimi osservatori, dall’attivismo di una magistratura che pare non essersi del tutto affrancata da interpretazioni autoritarie del diritto. Si inserisce in questo schema la campagna di stampa condotta dal quotidiano La Presse, in favore di Zied El Héni, giornalista colpito da un discusso mandato di cattura, successivamente ritirato, sull’onda di un’indignazione pubblica che si nutre anche dell’esasperazione derivante dalla drammatica situazione economica.
Il clima d’incertezza non manca di riverberarsi sul piano dei rapporti con l’estero. In questo campo, Tunisi appare vittima di un delicato gioco internazionale: da un lato, Arabia Saudita e Qatar, impegnati in un’opera di finanziamento dei gruppi radicali, che si dimostra strumentale ad una mutamento degli scopi originali della Primavera araba, a vantaggio di equilibri interni, altrimenti a rischio; dall’altro, l’Algeria, dedita a scongiurare un’involuzione islamista del confinante, potenzialmente esplosiva per i suoi interessi strategici. Una reazione della classe politica tunisina si rileva, a questo punto, indispensabile. L’urgenza, tuttavia, non sembra essere particolarmente avvertita. Regna, al contrario, un clima di indolente attesa. Un azzardo ed un peccato, poiché Godot potrebbe non arrivare, trasformando il pregevole esperimento tunisino in un saggio, fuori tempo massimo, di teatro dell’assurdo.
Tunisia, il governo islamista lascia: a mediare è stato il sindacato Ugtt
La decisione arriva da Gannouchi, leader di Ennahda, a seguito degli scontri in Egitto
e della mobilitazione dell'opposizione.
Il risultato raggiunto grazie all'associazione per i lavoratori,
che dalla lotta per la indipendenza dalla Francia
è da sempre un soggetto politico nazionale
A un mese esatto dall’assassinio di Mohamed Brahmi e dalla conseguente reazione della opposizione, la Tunisia è giunta a un passo dalla svolta: Ennahda – il partito islamista che aveva vinto le elezioni di ottobre 2011 – accetta di lasciare il governo e di sostenerne uno provvisorio di indipendenti e tecnici che prepari le elezioni. L’annuncio è arrivato in un’intervista al suo leader Gannouchi a Nesma Tv, la tv di Ben Ammar, fino a poco tempo fa considerata nemica degli islamisti.
Gannouchi ha annunciato che il suo partito concorda sulla necessità che il governo sia formato da personalità al di fuori dei partiti e che non si presenteranno alle elezioni. E invita anche il presidente della Repubblica e alleato Marzouki, a dimettersi o a decidere che non si presenterà alle elezioni. E’ da settimane che Ennahda si dichiarava disponibile a un esecutivo di unità nazionale ma voleva che a guidarlo ci fosse ancora un suo esponente. Ora l’ostacolo è stato rimosso e la strada per un accordo si è finalmente aperta, mentre era appena cominciata la settimana di mobilitazione indetta dall’opposizione, riunita nel Fronte di Salvezza Nazionale. A questo risultato si è arrivati grazie alle grandi manifestazioni del 6 e del 13 agosto e ai costanti sit-in in piazza del Bardo, davanti al Parlamento. E per effetto degli scontri in Egitto che hanno fatto molta impressione in Tunisia.
Ma c’è una sola persona in Tunisia che in queste settimane ha negoziato con tutte le parti politiche, incontrando più volte i dirigenti di Ennahda e quelli dell’opposizione e cercando il dialogo col Presidente dell’Assemblea Nazionale – Ben Jaffar, alleato con Ennahda ma socialdemocratico – per staccarlo dalla difesa degli equilibri ormai obsoleti usciti dalle elezioni dell’ottobre 2011. E’ il segretario generale del sindacato Ugtt, Hocine Abassi, che ha intuito la fondatezza della rivendicazione del governo indipendente di transizione e, al contrario, la scarsa praticabilità di quella proveniente dai banchi dell’opposizione, ovvero lo scioglimento dell’Assemblea Costituente.
65 anni, ex funzionario sindacale di Kairouan, una intera vita nella burocrazia sindacale, senza particolare carisma né ambizioni politiche. Abassi ha solo interpretato fino in fondo, primus inter pares, verificando quale fosse la posizione degli organismi dirigenti di Ugtt, unica vera organizzazione di massa della Tunisia. Dalla lotta per la indipendenza dalla Francia la Ugtt è da sempre un’istituzione e un soggetto politico nazionale. Nel gennaio 2011 fu sua la decisione di proclamare lo sciopero generale a dare il colpo decisivo a Ben Ali. In questa crisi dell’estate 2013 in Tunisia la Ugtt ha da un lato preso tempestiva posizione proponendo il governo tecnico di transizione, dall’altra si è prestata – e in particolare ha prestato Abassi – a un ruolo di mediazione e di negoziato in una fase in cui non c’erano contatti diretti tra islamisti e opposizione.
Ora ad Abassi dovrà trattare su chi saranno le personalità del governo di salvezza nazionale. “Non sarò il generale Sissi (il nuovo capo dell’esercito egiziano, ndr) che depone il governo in Tunisia – aveva detto qualche giorno fa – ma non sarò neanche mediatore all’infinito”. Con il consenso anche di Utica, la associazione degli imprenditori tunisini, la Ugtt sta riuscendo a fare da levatrice a una svolta politica radicale ma pacifica. Un governo a guida islamista, uscito dalle urne, che va a casa prima delle prossime elezioni.
La giustizia tunisina ordina
la scarcerazione della Femen Amina
AFP 1 agosto 2013 16:55
Il tribunale tunisino ha ordinato la liberazione di Amina Sboui, attivista femminista del gruppo FEMEN, in attesa del processo per la profanazione delle tombe, ha dichiarato a AFP il suo avvocato, Halim Meddeb.
"Sarà libera in poche ore, non me lo aspettavo", ha detto l'avvocato, aggiungendo che la giovane donna, detenuta dal maggio è stata accusata di aver dipinto la parola "FEMEN" sul muro di un cimitero per denunciare una manifestazione salafita. La profanazione è punibile con due anni di carcere in Tunisia.
La giustizia aveva già nelle settimane precedenti accusato le guardie carcerarie di disprezzo e molestie. "E un sollievo, questo dimostra che quantomeno una parte magistratura tunisina è indipendente” ha detto un altro giovane avvocato attivista, Ghazi Mrabet.
Questa studentessa di 18 anni, che ha causato uno scandalo nel marzo scorso, era stata minacciata per aver pubblicato su internet le foto di se stessa in topless alla maniera di FEMEN. E’stata arrestata il 19 maggio in seguito alla sua protesta. La madre di Amina, che era stata accusata di aver rapito la ragazza, dopo la pubblicazione delle foto di nudo, ha anche espresso la sua soddisfazione all'AFP. "Sono contenta, finalmente sto tenendo mia figlia tra le braccia, la giustizia ha dimostrato di essere indipendente", ha detto.
La detenzione di Amina aveva scatenato un'ondata di solidarietà in Tunisia e all'estero, ONG, attivisti dei diritti umani nel suo arresto avevano visto la prova del puritanesimo che l’islamista Ennahda, ha portato dentro il governo, per imporla alla Tunisia.
Tre attivisti Femen europei sono stati arrestati in Tunisia per diverse settimane dopo essersi mostrate in topless a Tunisi per sostenere la giovane donna.
Tunisia, prosciolta la Femen Amina
“Nessun oltraggio”. Ma rimane in cella
La corte tunisina si è pronunciata a favore dell'attivista
arrestata lo scorso maggio
con l’accusa di profanazione di tombe e possesso di gas urticante.
La ragazza, comunque, resta in carcere in attesa del rinvio a giudizio
per “profanazione di tombe” e "offesa al buon costume"
Tunisia, braccio di ferro in attesa del negoziato
di Paolo Hutter ilfattoquotidiano.it 28 luglio 2013
Tunisia, braccio di ferro in attesa del negoziato
di Paolo Hutter ilfattoquotidiano.it 28 luglio 2013
Tunisia, migliaia di persone ai funerali di Brahmi.
Tensioni nel Paese
La salma del deputato del Fronte Popolare è stata seppellita nel grande cimitero di El Jellaz di Tunisi,
proprio a fianco di quella di Chokri Belaid,
il primo assassinato politico nella nuova Tunisia,
ucciso il 6 febbraio scorso
di Paolo Hutter ilfattoquotidiano.it 27 luglio 2013
Un dirigente dell’opposizione
in Tunisia è stato ucciso
Mohamed Brahmi, 58 anni, fondatore di uno dei partiti laici del paese:
è il secondo assassinio politico dall'inizio dell'anno
Ilpost.it 25 luglio 2013
Mohamed Brahmi, politico dirigente dell’opposizione tunisina, è stato ucciso la mattina di giovedì 25 luglio, giorno del 56esimo anniversario dell’indipendenza della Tunisia dalla Francia, fuori dalla sua casa a Tunisi, la capitale del paese. Secondo le prime ricostruzioni fornite dalla televisione di stato e dall’agenzia di stampa ufficiale TAP, due uomini su una motocicletta hanno sparato a Brahmi di fronte alla moglie e alla figlia (secondo la televisione di stato avrebbero sparato 11 volte).
Brahmi aveva 58 anni: è stato fondatore e segretario generale del Movimento del Popolo (Echaâb), partito di opposizione laico e nazionalista, nato dopo la fine della ultraventennale presidenza di Ben Ali nel 2011. È stato anche membro dell’Assemblea Nazionale Costituente che era incaricata di scrivere la nuova Costituzione del paese.
L’assassinio di Brahmi è il secondo attentato mortale contro un esponente dell’opposizione in Tunisia dall’inizio dell’anno. A febbraio il politico laico Chokri Belaid fu ucciso fuori da casa sua, sempre a Tunisi: l’attacco aveva provocato grandi proteste in tutto il paese e aveva costretto il primo ministro, Hamadi Jebali, a dimettersi dal suo incarico nel marzo 2013. Belaid era il coordinatore della coalizione Fronte Popolare, cioè il gruppo di opposizione più grande in Tunisia che raggruppa diversi partiti, tra cui proprio quello di Brahmi.
In Tunisia Brahmi non era un personaggio politico così rilevante come Belaid, ma anche lui era un convinto oppositore di Ennahda, partito islamico moderato al governo, di cui fa parte anche l’ex primo ministro Jebali. Dopo l’assassinio di Belaid, molti tunisini hanno accusato Enhada di non fare abbastanza per fermare l’aumento della violenza islamista nel paese, che alcuni sostengono sia stata fomentata dal partito al governo. Dopo la diffusione della notizia dell’uccisione di Brahmi, migliaia di tunisini, scrive Al Jazeera, hanno protestato di fronte all’edificio del ministero degli Interni a Tunisi.
Femen in Tunisia: processo ad Amina, lei si toglie il velo in tribunale
La donna è accusata di detenzione di gas paralizzante:
per i suoi avvocati, tuttavia,
il dossier contro di lei è stato costruito ad arte.
fanpage.it 09 luglio 2013
Si è svolto ieri il processo in appello in cui è imputata la femminista tunisina – prima attivista del gruppo Femen nel mondo arabo – Amina Tyler, che si è resa protagonista di un gesto coraggiosissimo. Davanti alla corte, infatti, la donna si è sfilata il sefseri, il velo che viene fornito dal carcere a tutte le detenute e che da decenni viene indossato per “proteggere”, durante le udienze in tribunale, dagli sguardi del pubblico. Si tratta comunque di un velo non obbligatorio, sicché la femminista non ha esitato un istante a sfilarselo poi sorridere e mostrare il pugno chiuso. Il processo di ieri discuteva della presunta detenzione di gas paralizzante da parte della diciottenne Amina: per questa accusa è stata già condannata a 300 dinari di ammenda. La sentenza arriverà l'11 luglio. Intanto, però, la donna ha ricevuto la solidarietà di Amnesty International e dell'Associazione delle donne Democratiche tunisine.
“Sono molto fiero – dice il padre di Amina, al termine del processo – i giovani hanno iniziato a sostenere Amina, hanno capito che ha subito un processo politico, che non ha fatto niente, non si è svestita, non ha profanato alcun cimitero, è andata Kairouan per dire che la ‘Tunisia è uno Stato civile dove le donne sono libere'”.
I difensori di Amina hanno chiesto la non applicazione del testo di legge sulla detenzione di esplosivi e ribadito l'innocenza della Femen: “La detenzione di Amina è arbitraria – spiega Radhia Nasraoui, una delle più conosciute avvocatesse tunisine, militante contro la tortura e per la difesa dei diritti dell'uomo – non doveva essere arrestata non ha commesso alcun crimine e alcuna infrazione alla legge. Il dossier che è attualmente dal giudice Istruttore, al Tribunale di prima istanza di Kairouan, è vuoto. Ma, nonostante questo, vede tre capi di imputazione: attentato al pudore, che non è vero perché Amina non si è svestita; profanazione di cimitero, anche questo non è vero; ma la cosa più rivoltante è l'accusa di appartenenza ad un'associazione di ‘malfattori' che ha come obiettivi di portare a termine delitti contro cose o persone. Trovo che questa ultima accusa sia scandalosa. Amina è sola in questo dossier, non appartiene ad alcun gruppo, nemmeno a Femen, ha detto che non appartiene a quel movimento. Tuttavia anche se appartenesse al movimento Femen, non è un movimento che ha l'obiettivo di danneggiare persone o cose. E' un dossier che mi ricorda il periodo Ben Ali, quando venivano creati dei processi e delle cause ad hoc solo per gli oppositori politici” .
https://www.fanpage.it/femen-in-tunisia-processo-ad-amina-lei-si-toglie-il-velo-in-tribunale/#ixzz2YX6yU0SG