Turchia: sbloccato Twitter
balcanicaucaso.org 4 aprile 2014
Il governo turco ha deciso di sbloccare l'accesso a Twitter a seguito di una sentenza della Corte costituzionale turca che ha dichiarato illegittimo il blocco scattato il 20 aprile scorso a ridosso delle elezioni amministrative. Abbiamo seguito le reazioni su Twitter
Nel tardo pomeriggio del 3 aprile, appena si diffonde la notizia, la nostra corrispondente da Istanbul Fazıla Mat twitta in merito allo sblocco ma ricorda che Youtube è ancora impossibile da raggiungere in Turchia
Pochi minuti dopo, anche il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, posta sul suo profilo Twitter la notizia. Non nasconde il sollievo e nemmeno la sua incredulità per quello che il governo di Recep Tayyip Erdoğan è riuscito a fare e aggiunge l'hashtag #freedom
L'genzia di stampa turca Bianet, nostro partner nel progetto Safety Net for European Journalists, riprende la notizia e puntualizza il persistere del blocco del servizio di condivisione video Youtube
Infine TunnelBear, il servizio che consente di utilizzare un server VPN (Virtual Private Network) al fine di proteggere l’indirizzo IP e bypassare i siti bloccati, dedica una vignetta al "ritorno" di Twitter in Turchia.
Il partito di Erdoğan
vince le elezioni amministrative
internazionale.it - 31 marzo 2014
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Il premier turco Tayyip Erdogan festeggia i risultati delle elezioni ad Ankara, il 31 marzo 2014. (Reuters/Contrasto)
Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato la vittoria del suo partito alle elezioni amministrative del 30 marzo, considerate una prova generale delle presidenziali in programma ad agosto. Le elezioni rappresentavano anche un banco di prova per la popolarità di Erdoğan dopo gli scandali degli ultimi mesi.
Il Partito giustizia e sviluppo (Akp), la formazione islamica conservatrice guidata da Erdoğan, ha preso il 47 per cento dei voti in tutto il paese, scrive al Jazeera. Il principale partito di opposizione, il Partito popolare repubblicano (Chp), si è fermato al 28 per cento, e il Partito del movimento nazionalista (Mhp) al 13 per cento.
A Istanbul il sindaco uscente Kadir Topbas è stato riconfermato con il 47,8 per cento dei voti, secondo risultati ancora non definitivi, mentre il suo avversario Mustafa Sarigül, del Partito popolare repubblicano, si è fermato al 40 per cento.
Ad Ankara il candidato di Erdoğan, Melih Gökçek, ha raccolto il 44,7 per cento dei voti contro il 43,8 per cento del suo rivale del Chp, Mansur Yavas, scrive Libération.
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Una protesta del Partito popolare repubblicano (Chp) di fronte a un seggio di Ankara, il 31 marzo 2014. (Umit Bektas, Reuters/Contrasto)
Pugno di ferro. A dicembre l’esecutivo di Erdoğan è stato coinvolto in un’inchiesta su un caso di corruzione che ha portato in carcere i figli di alcuni ministri, che sono stati costretti alle dimissioni. Erdoğan ha accusato il predicatore islamico Fehtullah Gülen di aver organizzato l’inchiesta per estrometterlo dal potere.
Negli ultimi mesi Erdoğan ha lanciato un’offensiva contro internet. Il 6 febbraio il parlamento turco ha approvato una legge che intensifica il controllo su internet permettendo a un’agenzia governativa per le telecomunicazioni, la Tib, di bloccare l’accesso a siti che violano la privacy oppure ospitano contenuti considerati “offensivi”.
Il 20 marzo il governo ha bloccato l’accesso a Twitter, dopo che sul social network erano apparsi diversi documenti su possibili casi di corruzione nel governo. Ma il 26 marzo un tribunale amministrativo di Ankara ha revocato il blocco.
Il 27 marzo le autorità delle telecomunicazioni hanno bloccato l’accesso a YouTube, in seguito alla diffusione di alcune registrazioni che riguardavano i piani militari della Turchia in Siria.
Nel maggio del 2013 il violento sgombero di un sit in contro la ristrutturazione del parco Gezi a Istanbul aveva dato inizio alle manifestazioni di piazza Taksim, le prime proteste di massa contro il governo di Erdoğan, che accusavano l’Akp di autoritarismo e di violazione della laicità ed erano andate avanti per settimane, attirando le critiche della comunità internazionale per la brutale risposta delle forze di polizia.
Turchia: le elezioni,
tra le strade di Istanbul
balcanicaucaso.org di Fazıla Mat - 28 marzo 2014
![Turchia: le elezioni, tra le strade di Istanbul Turchia: le elezioni, tra le strade di Istanbul](https://www.balcanicaucaso.org/var/obc/storage/images/aree/turchia/turchia-le-elezioni-tra-le-strade-di-istanbul-149982/921135-6-ita-IT/Turchia-le-elezioni-tra-le-strade-di-Istanbul_large.jpg)
Domenica in Turchia si vota per le amministrative. Un appuntamento il cui significato politico va ben oltre l'elezione di amministratori locali. Cosa pensa la gente di Istanbul? Un reportage
Domenica 30 marzo in Turchia si terranno le elezioni amministrative. Nella percezione di numerosi elettori si tratta però di una consultazione che va ben oltre la semplice scelta dell’amministrazione del proprio comune di residenza. Sono le prove generali delle prossime elezioni politiche previste nel 2015, un test fondamentale per l’esecutivo conservatore e di ispirazione islamica del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP), alla guida del paese da oltre 11 anni.
La formazione politica al governo dal 2002 sta affrontando il momento più difficile della sua storia: la sua parabola ascendente è stata messa a dura prova dalle proteste di Gezi dell’estate scorsa, dalle operazioni anticorruzione di dicembre e dagli scandali delle registrazioni audio diffuse su internet negli ultimi mesi da fonti anonime (che sarebbero vicine al movimento dell’imam Fehullah Gülen) e che rivolgono al premier e al suo entourage gravi accuse tra cui quelle di corruzione, di interfererenze nel potere giudiziario e nelle decisioni di alcuni media. Per impedire la circolazione dei file audio all’origine delle accuse, il governo è arrivato a chiudere Twitter e, giovedì scorso, anche Youtube.
Ümit della pescheria
“Chi vince a Istanbul ha assicurato un futuro da leader in politica”. Parola di Ümit, giovane proprietario di una pescheria di Kasımpaşa, quartiere di Istanbul in cui è nato e cresciuto il premier Tayyip Erdoğan, che dal 1994 al 1998 ne divenne anche sindaco. In effetti, secondo una regola d’oro della politica turca, se si conquista la città più importante della Turchia significa che si è ottenuto la maggioranza in tutto il paese.
A Kasımpaşa, uno dei quartieri più popolari e vivaci del distretto di Beyoğlu, Ümit e la madre gestiscono la loro attività da otto anni. Originari di Rize, città sul Mar Nero, sono conterranei del premier. Qui, come pure in altre zone della stessa municipalità, c’è una forte presenza di immigrati provenienti da quella regione e la conterraneità gioca un ruolo importante nella scelta dei candidati politici. “Noi non appoggiamo nessuno in maniera incondizionata”, assicurano però i due, “siamo sempre pronti ad accettare le idee migliori. Ciò che di sicuro non vogliamo è un governo di coalizione, alla guida del paese ci deve essere un solo partito”.
“Dicono che Erdoğan è un dittatore” aggiunge la madre, “ma secondo me è una persona che non si piega ai ricatti. Un leader deve stare dritto, la Turchia non deve piegarsi a nessuno. A me piacciono i leader che hanno un carattere forte. Se ha ragione deve mantenere la sua posizione fino alla fine, se invece ha torto deve anche saper chiedere perdono. Prima di decidere per chi votare ho considerato anche il rivale di Erdoğan, il partito repubblicano del popolo (CHP) fondato da Atatürk. Lui ha fatto tante cose importanti, ma è già morto da ottant’anni. Il leader attuale del CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, è debole, non ha alcun progetto da proporre. Ha fondato la propria campagna elettorale sullo scandalo di corruzione attribuita al governo. Dice che ci darà i soldi che quelli hanno rubato. Ma nemmeno i bambini crecederebbero alle sue parole!”
Commentando gli scandali di corruzione e le intercettazioni attribuite al premier e ai suoi uomini, Ümit afferma che “in parte saranno anche vere ma secondo me sono prevalentemente dei montaggi”. Poi aggiunge, “queste elezioni rappresentavano una grande opportunità per il CHP, ma l’hanno sprecata”.
Più punti positivi che negativi
Poco oltre la piazza centrale dello stesso quartiere, due donne con il velo fanno acquisti in un calzolaio. Una di loro, una robusta trentenne, inizia a parlare della sua ammirazione incondizionata per il premier citandone una frase: “Non ci fermeremo, avanti tutta!”. “Lui fa tutto di testa sua e nel modo migliore. Seguo da vicino la politica e tutti i progetti presentati per Istanbul dal primo ministro mi sembrano eccezionali. Sa parlare a nome dei cittadini. Se l’opposizione venisse al governo oggi dovrebbe fare le stesse cose. La questione è che nessuno è in grado di rivaleggiare con il premier”.
Lo scandalo delle intercettazioni? Le accuse di corruzione? “Non ci credo”, ribatte pronta. “È ovvio che ruba, che intasca dei soldi. Non dico che fanno tutto in modo perfetto. Ma pur rubando continua a costruire autostrade, nuovi aeroporti, infrastrutture. E questo non può essere considerato peccato. Perché fa talmente tante opere buone che i punti positivi superano di gran lunga quelli negativi”.
Il rivale principale è Mustafa Sarıgül, popolare sindaco del distretto di Şişli, prima membro del DSP, ora candidato CHP. Accusato in passato di corruzione dallo stesso partito che ora lo vuole portare alla guida della città, negli ultimi sondaggi risulta in svantaggio rispetto a Topbaş. La campagna mira ad attirare i giovani sottolinenado la necessità di salvaguardare l’ambiente (un malcelato tentativo di raccogliere i voti dei manifestanti di Gezi Park) e aprendo loro nuovi sbocchi lavorativi e sociali. Il suo slogan elettorale è “Ci siamo. È giunto il momento”.
La questione assume un altro tono quando si tratta di esprimersi del rapporto incrinato con Fethullah Gülen. “A me lui non piace” risponde, mentre una donna più anziana che si unisce alla conversazione ammette che lei, che fa parte della confraternita di Gülen, è molto dispiaciuta della situazione. “Il premier Erdoğan mi piace molto anche se qualche volta non approvo alcune sue uscite”, afferma. “Ma vedere due musulmani che litigano mi addolora profondamente. Io penso che qualcuno dall’esterno abbia voluto creare un conflitto tra i due” dice, e mentre le altre due donne si allontanano aggiunge, “noto sempre con dispiacere che diverse persone afferenti alla confraternita sono molto arrabbiati con il premier. Se lo vedono parlare in televisione si alzano e la spengono”.
Il cuore di Istanbul
La municipalità di Beyoğlu, cuore della città, è tra i luoghi più importanti per lo scontro tra gli avversari politici della prossima tornata elettorale. I suoi oltre quaranta quartieri popolati da circa 250mila anime, sono qualche volta molto simili tra loro dal punto di vista della composizione sociale e del reddito degli abitanti. Altre volte invece basta attraversare un viale per passare dai locali alla moda del centro e ritrovarsi tra abitazioni in stato di abbandono con inquilini che vivono in estrema povertà.
Intorno al viale Istiklal, l’arteria più importante di Beyoğlu gremita di gente a tutte le ore, sono sparsi locali di ogni genere e negozi grandi e piccoli. La signora Aliye possiede una lostracı , un negozio di lustrascarpe, un’attività tramandatale dalla famiglia. “Te lo dico io, vincerà l’AKP” dice. “Noi siamo presenti in questa zona dal 1951. Ho visto diverse amministrazioni comunali ma nessuno ci ha fornito dei servizi così buoni. Ricordo i tempi in cui l’entrata del mio negozio era sommerso dalla spazzatura. Ora non abbiamo più problemi del genere, le strade sono tenute bene, anche le vie più marginali sono diventate sicure per le donne. E questo è possibile perché c’è coordinamento tra il governo centrale e quello locale”.
Quale vecchia abitante di Istanbul confessa però che la preoccupano i progetti di trasformazione urbana in atto in città. “Non voglio che ne venga rovinato l’aspetto originario”, dice. “Non mi piace vedere spuntare un centro commerciale ad ogni angolo” aggiunge, affermando di avere appoggiato il movimento di Gezi durante i primi giorni, “poi però le intenzioni sono cambiate e le scene cui ho assistito non mi sono piaciute per niente” .
Viva Gezi
“Ho sostenuto il movimento di Gezi e continuo a farlo anche adesso” racconta invece il proprietario di una Tekel , negozi dove si vende di tutto, ma la cui fonte di reddito principale è costituito dalle bevande alcoliche . “In quei giorni abbiamo respirato una quantità esagerata di fumo dei lacrimogeni, ma ho resistito e non ho mai chiuso il negozio”. Da quando è stata approvata la legge che limita la vendita al dettaglio dell’alcool dopo le 22, le Tekel si trovano in seria difficoltà. E anche se molti infrangono il divieto, rischiano di andare incontro a multe salatissime. “Quella legge ci sta rovinando”, spiega l’uomo, “pago 5mila lire (circa 1.700 euro) di affitto al mese. Il negozio resta aperto 24 ore su 24 e per questo motivo non riesco a vedere quasi mai la mia bambina di 2 anni, ma non posso dire di essere benestante. Dieci anni fa, quando ho iniziato l’attività stavo molto meglio. Per me queste elezioni sono come quelle generali. Spero tanto che quest’anno l’amministrazione cambi”.
Quando si tratta di alcool e locali di divertimento, le lamentele sull’amministrazione di Beyoğlu non si contano. Aydın Kara, co-proprietario di una Türkü Evi (un esercizio in cui strumenti classici della musica turca accompagnano melodie composte su testi della poesia popolare) dal 1995, ne sa qualcosa. “L’amministrazione dell’AKP è nemica delle attività in cui si servono bevande alcoliche”, spiega, “subiamo pressioni continue. Il divieto di sistemare tavoli fuori dai locali, l’innalzamento della tassa sul divertimento che ora va da un minimo di 650 lire mensili (210 euro c.ca) a 2.250 (700 euro c.ca) ci ha obbligato a lasciare a casa tre persone del nostro staff”.
Kara, che fa anche parte del consiglio di amministrazione dell’associazione degli esercizi di divertimento di Beyoğlu (BEY DER), racconta che molte volte non è facile nemmeno ottenere le licenze per i nuovi locali, “a meno che non si faccia una ‘donazione’ alle sedi indicate dalla stessa municipalità”. L’esercente, che confessa di aver considerato persino di abbandonare tutto e trasferirsi all’estero, afferma che “in Turchia vige una oligarchia parlamentare. Pensare di poter chiudere twitter in quest’era per impedire la diffusione di registrazioni scottanti mi sembra assurdo. Credono davvero di potere impedire l’uso dei social media in questo modo?”, chiede. “Ciò che mi interessa è che non vengano rubati soldi al popolo e non ci vengano limitati i diritti”. “Per queste elezioni”, aggiunge Kara, “circa 2.500 operatori del settore hanno trasferito la residenza a Beyoğlu, per potere avere un peso sul futuro di Beyoğlu”.
Un referendum
Erdal è un elettore del Partito democratico del popolo (HDP), formazione politica costituita recentemente su iniziativa del partito filo-curdo della Pace e della democrazia (BDP) per unire sotto un unico tetto nelle zone occidentali del paese il movimento curdo e la sinistra. “Per questa volta però” spiega a Osservatorio, “ho deciso di votare il candidato sindaco del CHP, pur di non dividere i voti dell’opposizione. Basta che l’AKP se ne vada, non importa chi verrà al suo posto” dice. Erdal racconta di risiedere a Tarlabaşı da 14 anni, uno dei quartieri di Beyoğlu in cui i progetti di trasformazione urbana si sono abbattuti con maggiore violenza. Nella stessa zona, in una bottega decorata con i colori della bandiera del Kurdistan e che vende tabacco (ma sembra più un piccolo circolo dove fumando e bevendo del tè si filosofeggia), in un gruppo di persone che si autodefiniscono “anarchici “ e “anormali” solo due dichiarano di volere andare a votare.
“È già chiaro che vincerà l’AKP. Queste elezioni sono più che altro un referendum” dice il primo, che dichiara di votare per l’HDP. “Il movimento curdo, che si presenta alle elezioni per la prima volta con un nuovo partito, vuole vedere il potenziale dei suoi voti. Non penso che il cosidetto ‘spirito di Gezi’ potrà influirà sull’esito delle elezioni”, spiega. Anche l’unica donna presente nel negozio pensa di votare per l’HDP. “Non è certo mio dovere cercare di non sottrarre voti all’altra opposizione. Inoltre una recente indagine ha messo in chiaro che l’HDP è vista da molti come alternativa all’AKP e non al CHP, che oltre tutto ha rifiutato l’alleanza precedentemente offertagli dall’HDP”.
Gli altri del gruppo, che dichiarano di non credere “nei sistemi parlamentari” e in “nessuna struttura organizzata”, ritengono di non avere bisogno di persone che li guidino. “Il popolo è piu intelligente dei leader dei partiti. Ma devono rendersi conto da soli che quelli non fanno altro che sfruttarli , altrimenti non cambierà mai niente”.
Tensione fra Turchia e Siria dopo
l’abbattimento del jet. Possibile risposta
a quello turco colpito nel 2012
notiziegeopolitiche.net di Guido Keller - 24 marzo 2014
![siria aereo abbattuto](https://www.notiziegeopolitiche.net/wp-content/uploads/2014/03/siria-aereo-abbattuto.jpg)
Sale la tensione fra la Turchia e la Siria dopo l’abbattimento ieri da parte dell’aviazione di Ankara di un jet di Damasco impegnato in un’azione contro i ribelli nel nord della Siria: secondo il governo turco il velivolo aveva sconfinato, ma la dinamica dell’incidente non è del tutto chiara, anche perché l’Osservatorio siriano dei diritti umani, vicino agli insorti e con sede a Londra, ha comunicato che il velivolo “Ha preso fuoco ed è caduto in territorio siriano”.
Secondo la Turchia il superamento del limite dello spazio aereo da parte di due Mig-23 siriani sarebbe avvenuto almeno “quattro volte” e solo dopo l’aviazione turca avrebbe fatto decollare i propri F-16 abbattendo uno dei due caccia.
Le autorità siriane non ci stanno ed insistono nel sostenere che il velivolo abbattuto non aveva sforato lo spazio aereo, al punto che il governo di Damasco ha parlato di “flagrante atto di aggressione che dimostra il sostegno di Erdogan ai gruppi terroristici, nel quale la difesa antiaerea turca ha abbattuto un aereo militare siriano che stava combattendo i terroristi a Kasab, in territorio siriano”.
Anche il pilota, che è riuscito a gettarsi ed a salvarsi, ha riferito in un’intervista dal letto dell’ospedale siriano dove si trova per accertamenti di essere stato colpito nel territorio siriano, in quanto la sua missione prevedeva un’azione con un margine di 7 km. dal confine.
Intervenendo ad un comizio elettorale il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha gettato benzina sul fuoco sostenendo che “Un aereo siriano ha violato il nostro spazio aereo. I nostri F-16 si sono levati in volo e lo hanno abbattuto. Perché? Perché se voi violate il mio spazio aereo, la nostra risposta sarà pesante”.
Quanto accaduto non rappresenta tuttavia una novità nel quadro degli scontri che sono in corso nel nord della Siria, anche perché la Turchia sostiene e finanzia gli insorti e addirittura chiude un occhio sui molti jihadisti legati ad al-Qaeda che entrano in Siria dal confine settentrionale, i quali ricevono così un vero e proprio supporto da parte di Ankara: il 17 settembre dello scorso anno la contraerea turca ha abbattuto un elicottero siriano MI-17 di fabbricazione russa che si trovava per due chilometri nel suo spazio aereo e nel luglio 2012 gli F-16 turchi si sono alzati in volo in risposta ad elicotteri siriani in avvicinamento al confine, per quanto in quel caso non c’era stata violazione dello spazio aereo.
Tuttavia è del giugno 2012 l’incidente più rilevante: in quel caso era stata la contraerea siriana ad abbattere un F4 turco che si era avvicinato troppo allo spazio aereo di Damasco, anche se il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu aveva spiegato alla televisione TRT Haber che i velivolo ”non era coinvolto in alcuna operazione contro la Siria ed era disarmato”, che si trovava a una distanza di 13 miglia dalla costa siriana” e che i militari di Damasco ”sapevano a che paese apparteneva l’aereo dalla sua sagoma, dai colori e dalla traccia di volo”.
Nonostante le pronte scuse dalla parte siriana, la Turchia aveva cercato di trasformare l’incidente in un “casus belli”, arrivando a chiedere ed a ottenere la riunione del Consiglio Atlantico della Nato, di cui il paese fa parte dal 1952.
Il caso venne archiviato, anche per non innescare una pericolosa escalation e per non dare alla Russia, presente nella città siriana Tartus con una base fornitissima di aerei, navi, lanciamissili, mezzi blindati e sottomarini, l’occasione di intervenire.
Appare però evidente che quanto accaduto ieri sia in qualche modo la risposta all’abbattimento dell’aereo turco nel 2012, in un contesto che vede l’opinione pubblica mondiale non disposta, com’era allora, ad appoggiare ad occhi chiusi un’opposizione siriana alleata fino a poco fa di gruppi jihadisti come Jabar al-Nusra e l’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante): è un controsenso che al cittadino medio si chieda di combattere idealmente e culturalmente al-Qaeda in Afghanistan, ma di appoggiarla in Siria.
Erdogan "estirpa" Twitter.
Storia della repressione digitale in Turchia
frontierenews.it di Alessandro Iacopini e Joshua Evangelista- 21 marzo 2014
![twitter censura](https://frontierenews.it/wp-content/uploads/2014/03/twitter-censura.jpg)
È bastata mezza giornata. Ieri, durante un comizio elettorale a Bursa, Erdogan aveva annunciato l’”estirpazione” di Twitter perché “contro la sicurezza nazionale”. Così già prima di mezzanotte molti account risultavano irraggiungibili e in tutti i modi si è cercato di far girare informazioni per continuare a cinguettare tramite sms. “Stiamo tornando al terzo mondo”, “Abbiamo bisogno di supporto internazionale, ciò va contro la Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, sono solo alcuni dei messaggi allarmati che in queste prime ore abbiamo raccolto in redazione.
Guerra ai social. A pochi giorni dalle elezioni amministrative e con lo scandalo di corruzione che lo vede coinvolto da inizio febbraio, Erdogan dichiara così guerra ai social. “Siamo decisi a impedire che il popolo turco diventi schiavo di YouTube e Facebook, come governo prenderemo le misure necessarie, qualunque esse siano, compresa la chiusura dei due siti”, aveva detto circa due settimane fa sul canale televisivo Atv. La guerra di Erdogan contro internet era cominciata nel maggio dello scorso anno, quando durante le proteste di Gezi Park il Premier turco si era scagliato contro i social media definendoli “la peggiore minaccia alla società”. Anche in quel caso, l’obiettivo principale degli attacchi era stato soprattutto Twitter che, grazie ai 20 milioni di post associati agli hashtag #occupygezi e #geziparkieylemi, aveva contribuito in maniera decisiva alla diffusione della protesta contro il governo. Nelle ultime settimane, ancora una volta, il popolo turco ha dimostrato di avere un feeling particolare con i cinguettii : l’hashtag #BerkinElvanOlumsuzdur (BerkinElvanImmortale), creato per solidarizzare con Berkin Elvan, il 15 enne morto dopo 9 mesi di coma perché colpito durante gli scontri del maggio scorso, ha registrato in due giorni più di 12 milioni di tweet.
Intercettazioni ed elezioni. Del resto l’incessante condivisione delle intercettazioni telefoniche che riguardano proprio Erdogan e il suo partito, l’Akp, che rischia così di vedere compromessa la vittoria, già data per scontata, alle prossime elezioni amministrative fissate per il 30 marzo.“Fai sparire tutti i soldi che sono in casa, la magistratura sta facendo perquisizioni a 18 persone” direbbe Erdogan al figlio Bilal in una delle quattro intercettazioni pubblicate su YouTube e ascoltata in un solo giorno da più di due milioni di persone. Dalle altre telefonate, inoltre, emergerebbe un quadro non troppo edificante del premier e del suo partito, fatto di tangenti, pressioni sui magistrati e flussi di denaro sospetti. E da qui l’accesa difesa del Premier, che da un lato minaccia il bavaglio per la rete – secondo fonti turche una legge che blocca i due siti potrebbe divenire operativa dopo le elezioni del 30 marzo – e dall’altro bolla le intercettazioni come “falsi montaggi”organizzati ad arte dal suo storico rivale Fethullah Gülen, l’influente studioso turco fondatore del movimento Hizmet.
Presidenziali incerte. Ma ciò che più preoccupa Erdogan è soprattutto il possibile calo di popolarità derivato dalle intercettazioni, che rischia di compromettere, oltre alla tornata elettorale incombente, anche le elezioni presidenziali di agosto, le prime con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e per la quale l’attuale premier è dato per sicuro candidato. Pur non avendo ancora ufficializzato la sua nomina alle presidenziali, Ergodan ha però già annunciato che non si candiderà – per via dello statuto dell’Akp che non prevede la candidatura per il quarto mandato consecutivo – alle elezioni politiche del prossimo anno. Difficile pensare che l’uomo che guida la Turchia dal 2002 possa abbandonare la politica per un semplice cavillo burocratico, più probabile, invece, un avvicendamento tra lo stesso Erdogan e l’attuale Presidente, Abdullah Gul, sempre dell’Akp, cui spetterebbe poi la carica di primo ministro alle politiche dell’anno prossimo. Secondo gli opinionisti turchi, inoltre, una volta divenuto Presidente della Repubblica, Erdogan porterebbe a termine la riforma costituzionale in senso presidenziale della Turchia. Un cavallo di battaglia elettorale molto caro all’Akp, che permetterebbe all’attuale premier di mantenere il potere nelle sue mani anche in veste di Presidente della Repubblica.
Libertà di espressione. Dal suo insediamento nel 2002, la Turchia è scivolata dal 99esimo al 138esimo posto per quanto riguarda il rispetto della libertà di stampa, mentre, secondo le stime di agenzie indipendenti come Reporters Sans Frontières, sarebbero 76 i giornalisti turchi in prigione per reati d’opinione e addirittura più di 10mila i processi instituiti contro i cronisti. Un numero elevatissimo, che non ha pari in nessun Stato dell’Unione Europea: proprio dove Erdogan vorrebbe portare la Turchia.
Turchia: incidenti vicino Piazza Taksim
Polizia usa lacrimogeni per impedire accesso piazza
Ansa - 13 marzo 2014
![](https://www.ansa.it/webimages/large/2014/3/12/e24ff248895b2f64da297fb93f756bfe.jpg)
La polizia turca ha usato cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per impedire l'accesso a Piazza Taksim, nel cuore di Istanbul, a migliaia di persone che accompagnavano il corteo funebre di Berkim Elvan. Le forze anti-sommossa sono intervenute per fermare la folla all'altezza di Halaskargazi e Erdgenekon, riferisce Hurriyet online.
Quattro blidati Toma della polizia turca appoggiati da decine di agenti antisommossa affrontano in un viale di accesso verso Taksim nel quartiere di Osmanbay diverse centinaia di manifestanti. La polizia usa gas lacrimogeni, spray urticanti e idranti per disperdere la folla. Decine di migliaia di persone hanno accompagnato nel pomeriggio il corteo funebre di Berkim Elvan attraverso la zona europea di Istanbul. Buona parte e' tornata verso l'area di Taksim dopo che il ragazzo e' stato seppellito nel cimitero di Ferikoy. Secondo Hurriyet online circa 50mila persone si trovano su Viale Halaskargazi, a Osmanbey, da dove si accede a Taksim. Un dispositivo di polizia imponente circonda la piazza simbolo della rivolta dei giovani nella primavera scorsa contro il governo del premier Recep Tayyip Erdogan. La polizia ha fatto allontanare dalla piazza i passanti e ha disposto un cordone di agenti in tenuta antisommossa attorno a Taksim. La zona di Osmanbay e' avvolta in un nuvola di gas lacrimogeni.
Governo turco rimuove
altri 500 poliziotti ad Ankara
Ieri allontanati due pm titolari di tangentopoli sul Bosforo
ilmondo.it - 30 Gennaio 2014
Il governo turco ha licenziato o trasferito circa 500 agenti di polizia nella capitale Ankara proseguendo la purga tra le forze dell'ordine a le magistratura
in risposta alle indagini per corruzione che hanno sfiorato l'esecutivo. Lo riferisce la stampa turca, sottolineando che le rimozioni riguardano anche molti investigatori di alto livello.
Ieri a Istanbul sono stati trasferiti circa cento magistrati, tra cui i due pubblici ministeri incaricati dell'inchiesta anticorruzione Celal Kara e Mehmet Yuzgeclus, sollevati dall'indagine dopo aver chiesto un mandato di comparizione per due uomini d'affari, secondo fonti giudiziarie. Erano gli ultimi due pm rimasti alla procura di Istanbul tra quelli che aveano lanciato l'inchiesta venuta a alla luce a metà dicembre.
I media turchi stimano che il governo islamico conservatore di Recep Tayyip Erdogan a oggi abbia sanzionato seimila poliziotti in tutto il paese, compresi dirigenti, in reazione all'inchiesta che ha colpito il cuore dell'élite politica del paese. Centinaia i magistrati trasferiti d'ufficio. Erdogan accusa i sostenitori
dell'imam in autoesilio Fethullah Gulen, suo ex alleato che ha una considerevole influenza su polizia e magistratura, di aver ordito l'inchiesta nell'ambito di un tentativo di golpe contro il suo governo in un cruciale anno elettorale. Le purghe di Erdogan, unite al rafforzamento dei controlli sulla magistratura e su
internet, hanno sollevato timori sullo stato di diritto nel Paese.
(fonte Afp)
Crisi turca, il fattore economico
balcanicaucaso.org di Matteo Tacconi - 30 gennaio 2014
Mentre prosegue la crisi legata alle vicende di corruzione, in Turchia si profila un altro fattore che potrebbe condizionare lo scacchiere politico: secondo molti analisti la crescita tumultuosa dell'economia turca starebbe volgendo al termine
Lo scontro tra il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan e Fethullah Gülen, capo di Hizmet, potente movimento culturale e religioso, con forti ramificazioni nell’educazione e nei media, continua a tenere la Turchia su una corda, tesissima, di violino.
La storia ormai è nota. Tutto è cominciato a dicembre, quando è scattata un’inchiesta giudiziaria, su corruzione e dintorni, che ha portato all’arresto di diverse persone. Tra queste i figli di tre ministri. Che si sono dimessi. Erdoğan, oltre a loro, ha cambiato altri sette membri della sua squadra, cercando di allontanare dall’esecutivo l’ombra insidiosa della maxi-inchiesta.
Erdoğan vs Gülen
Questo è stato solo l’inizio. Nei giorni e nelle settimane seguenti il capo del governo ha dato il via a due purghe. L’una tra i quadri della polizia, con centinaia di ufficiali, tra Istanbul e la capitale Ankara, spostati da funzioni inquirenti a mansioni inferiori. L’altra nella magistratura, dove una raffica di nuove nomine ai vertici delle procure ha ridisegnato gli equilibri del potere giudiziario, in senso favorevole all’esecutivo.
Ma perché tutto questo? Qui sta il punto. Secondo Erdoğan l’inchiesta sulla corruzione, che ha lambito anche uno dei suoi figli, Bilal, è un attacco inaudito al suo governo, costruito artificiosamente da Fethullah Gülen grazie alle sponde importanti che può vantare nei ranghi di polizia e magistratura. Ne è scaturito il contrattacco, durissimo. Gülen respinge le accuse.
In ogni caso è innegabile che i rapporti tra i due si sono incrinati. Prima erano molto buoni. L’ascesa al potere di Erdoğan, avvenuta ormai più di dieci anni fa, è legata tra le altre cose alla mobilitazione elettorale dei seguaci di Hizmet e all’assorbimento di alcune delle idee del gülenismo – molti lo dipingono come la versione islamica del calvinismo – nella piattaforma dell’Akp, il partito del primo ministro.
Molte cose sono cambiate negli ultimi tempi. A Gülen non è piaciuta la sterzata di Erdoğan sui rapporti con Israele, piombati verso il basso, né la gestione dei fatti di Gezi Park. Il suo timore è che il cosiddetto modello turco, sintesi tra democrazia e islam, evolva in qualcosa di più autoritario. In questa cornice si iscrive la “tangentopoli”, legata a doppio filo alle imminenti scadenze elettorali. A marzo ci sono le amministrative, in agosto le presidenziali, le prime con voto diretto. Non è escluso che Erdoğan voglia salire sul gradino più alto delle istituzioni, facendone il perno del sistema. Si dice che a Gülen questa ipotesi non piaccia affatto.
Arriva lo “sboom”
C’è comunque un altro fattore che potrebbe ripercuotersi sulla scacchiera politica condizionando le mosse dei giocatori, specialmente quelle di Erdoğan. È l’economia. Molti analisti sono dell’avviso che la stagione d’oro della Turchia, esplosa proprio nel momento in cui l’Akp prese il potere, nel 2002, sta volgendo al termine. In questo arco di tempo il paese ha compiuto un balzo in avanti eccezionale, che tra il 2002 e il 2012 ha visto i redditi individuali passare da 3.676 a 10.666 dollari l’anno. La crescita è stata accompagnata dalla riduzione vistosa del debito pubblico (da circa il 70% a circa il 40%) e dalla contrazione di inflazione e deficit.
Adesso la curva potrebbe flettersi. Uno dei motivi è l’effetto che, sui paesi emergenti, Turchia inclusa, potrebbe avere il tapering in America, ossia la fine della politica di acquisto di titoli pubblici, che ha viaggiato in parallelo con una strategia di forte riduzione dei tassi. Questo ha spinto gli investitori a muoversi sui mercati emergenti, dove tassi più alti hanno garantito ritorni maggiori. Turchia, Brasile, India, Cina e altri paesi ne hanno beneficiato fortemente. Tuttavia gli stimoli della Federal Reserve vanno verso l’esaurimento e la tendenza dei capitali, già visibile, è quella di uscire da questi mercati, dove i rischi sono maggiori, riconcentrandosi su quelli occidentali, più sicuri e sulla strada della ripresa.
Le conseguenze, in Turchia, sono già tangibili. La Lira turca s’è deprezzata rapidamente, arrivando ai minimi sul Dollaro e schizzando giù notevolmente proprio a ridosso dei fatti di Gezi Park e delle recenti vicissitudini tra Erdoğan e Gülen. Segno che tra quadro economico e scenario politico potrebbe innescarsi o già si è innescato un intreccio pericoloso.
Ai problemi della Lira, che la Banca centrale turca ha cercato di risollevare con una manovra pesante sui tassi, appena portati dal 7,75 al 12%, anche allo scopo di contenere l’inflazione, va aggiunto il fatto che in Turchia il deficit delle partite correnti, ovvero lo scarto tra quanto si esporta e quanto si importa, è molto alto, come spesso capita in economie in espansione: si hanno risorse, dunque si compra. Attualmente il valore di questo parametro s’aggira sul 7-8% del Pil. Ankara lo copre appoggiandosi sui capitali stranieri in entrata. Il rischio di una loro fuoriuscita, stimolato dall’effetto tapering, può avere conseguenze rilevanti. Senza contare che l’economia, in generale, sta rallentando. Da qui al 2018 la crescita media dovrebbe attestarsi sul 4% (stime Fmi), ma in virtù dei tassi “cinesi” degli anni passati (9,2% nel 2010; 8,8% nel 2011), questo stesso rallentamento potrebbe essere avvertito addirittura come una recessione, sostiene qualche analista.
Insomma, Erdoğan, che ha sempre usato crescita e progresso come leve elettorali, potrebbe ritrovarsi con le armi un po’ spuntate. Lo scontro aperto con Gülen e l’esibizione dei muscoli sembrano rientrare in un gioco di polarizzazione dell’elettorato che depotenzi, facendola scivolare in secondo piano, la questione economica.
Turchia: rimosso capo polizia Istanbul
In ambito blitz anticorruzione che ha portato 52 in carcere
Ansa - 19 dicembre 2013
![](https://www.ansa.it/webimages/section_210/2013/12/18/09fd7a472c643d5bc4ef39a411fabdc2.jpg)
Il capo della polizia di Istanbul Huseyin Capkin e' stato rimosso dall'incarico. Lo riferisce Hurriyet online. La rimozione di Capkin arriva a due giorni dal blitz anticorruzione lanciato dalla polizia della megalopoli del Bosforo, che ha portato all'arresto di 52 persone, fra cui noti imprenditori, alti funzionari e i figli di tre ministri del governo del premier Recep Tayyip Erdogan.
TURCHIA. Terremoto politico:
giudice anti-corruzione
fa arrestare 37 “uomini forti”
notiziegeopolitiche.net - 18 dicembre 2013
![erdogan](https://www.notiziegeopolitiche.net/wp-content/uploads/2013/12/image50.jpg)
Terremoto politico in Turchia: 37 persone sono state arrestate all’alba con l’accusa di corruzione e turbativa d’asta. Tra loro Baris Guler, figlio del ministro degli Interni Muammer Guler, Salih Kaan Caglayan, figlio del titolare dell’Economia Zafer Çaglayan e Abdullah Oguz Bayraktardek, figlio del ministro dell’Ambiente Erdogan Bayraktar; inoltre sono finiti dietro alle sbarre l’uomo forte della banca di Stato, Suleyman Aslan, e imprenditori di alto livello.
Oltre al messaggio di pugno duro della magistratura contro la corruzione, qualcuno ha visto dietro la clamorosa retata l’esito della faida interna scoppiata tra il movimento religioso di Fetullah Gulen e il premier Recep Tayyip Erdogan. Tuttavia il Primo ministro ha dichiarato in serata che l’operazione anti-corruzione dei magistrati è “un’operazione turpe” contro il governo e che “non permetteremo trame politiche”.