Il contenuto del progetto - di cui Vladimir Putin, Angela Merkel e François Hollande hanno discusso il 6 febbraio al Cremlino per più di cinque ore - non è ancora noto del tutto. Ma i media rivelano alcune indiscrezioni.
A partire dal fatto che - secondo una fonte anonima citata dall'Interfax - esperti di politica estera di Parigi e Berlino si troverebbero in questo momento a Mosca per stendere il piano da presentare l'8 nella conference call tra i leader di Francia, Germania, Russia e Ucraina. Un colloquio che serve a tirare le somme dei negoziati svoltisi il 5 a Kiev e il 6 a Mosca.
«Noi», aveva detto Merkel prima di partire per il blitz diplomatico franco-tedesco, «ci impegniamo a mettere fine al bagno di sangue e a far rivivere gli accordi di Minsk». Gli stessi che a inizio settembre hanno portato a un fragile cessate il fuoco troppo spesso violato e che prevedevano - tra le altre cose - anche uno status speciale per il turbolento Donbass.
ARRETRAMENTO DELLE ARMI PESANTI. E proprio una tregua immediata con l'arretramento delle armi pesanti è tra i passaggi chiave del nuovo compromesso che si sta cercando di raggiungere. Mentre Hollande ha proposto esplicitamente il 7 febbraio a Monaco una maggiore autonomia per il Sud-Est, anche se non è ancora ben chiaro di che tipo.
Inoltre, fonti diplomatiche citate dal quotidiano Kommersant sostengono che sarà tracciata una nuova 'linea di contatto' diversa da quella stabilita negli accordi di settembre, e che asseconderà di fatto le recenti conquiste dei ribelli (circa 1.000 chilometri quadrati di territorio).
Le autorità tedesche negano però che saranno fatte concessioni territoriali ai separatisti. Anzi - per venire incontro a Kiev - sembra che sarà messo nero su bianco che «l'integrità territoriale ucraina» non può essere violata.
ZONA CUSCINETTO LARGA 70 KM. Un altro punto cruciale è la creazione di una zona cuscinetto, che secondo Hollande sarà larga 50-70 chilometri (mentre per gli accordi di Minsk doveva essere larga la metà, 30).
Petro Poroshenko ha invece bocciato l'ipotesi di inviare forze di pace (varie fonti ventilavano un intervento dei caschi blu dell'Onu) perché - ha spiegato il presidente ucraino a Monaco - «serve il benestare del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite» e quindi come «minimo sei mesi», mentre basterebbe «un monitoraggio internazionale al confine» per avere «pace e stabilità nel giro di una settimana».
Sarebbe proprio questo il punto più problematico, secondo Vedomosti: «Il controllo efficace della frontiera russo-ucraina» per impedire a Mosca di fornire armi e uomini ai miliziani. Anche gli accordi di Minsk prevedevano il monitoraggio dei confini da parte dell'Osce, ma questo principio rimase di fatto lettera morta.
LA DIVISIONE TRA STATI UNITI ED EUROPA. Kiev - scrive gazeta.ru - potrebbe invece cancellare il blocco economico che in autunno ha decretato la chiusura di tutti i servizi pubblici e il congelamento dei conti bancari nelle zone occupate dai ribelli. Gli occhi del mondo restano puntati sull'Ucraina e - anche se Merkel sottolinea che non è detto che i negoziati abbiano successo - fa ben sperare che questa volta si tratta al livello più alto.
I 12 punti dell'accordo di Minsk furono infatti siglati dai partecipanti al Gruppo di contatto (Kiev-Mosca-Osce-separatisti), ma i rappresentanti non erano degli esponenti di primo piano: per la Russia l'ambasciatore a Kiev Mikhail Zurabov e per l'Ucraina il controverso ex presidente Leonid Kuchma.
Questa volta un'eventuale intesa impegnerebbe in prima persona lo stesso Putin, che a metà gennaio ha inviato segretamente in Europa un progetto di nove pagine che è alla base delle contrattazioni di questi giorni. Contrattazioni che tra l'altro potrebbero dividere Europa e Stati Uniti, con gli Usa esclusi dai colloqui che minacciano di armare le truppe di Kiev.
Come è noto, la prima vittima della guerra è sempre la verità. La propaganda sui vari fronti è un’arma potente, quasi come quella dei cannoni. La disinformazione è studiata a tavolino. Nessuno è innocente. L’attuale guerra in Ucraina non fa eccezione. La cortina fumogena avvolge soprattutto gli episodi che coinvolgono i civili, le stragi di massa, come per esempio quella avvenuta ad Odessa nel maggio scorso, oppure la tragedia dell’abbattimento dell’aereo di linea malese. Questa disinformazione poi non riguarda solamente le parti in causa, ma rimbalza sui media internazionali che, ripetendo gli schieramenti sul campo, sembrano perseguire proprie strategie. Gli esiti finali sono la confusione e l’impossibilità di avere un quadro preciso. È la notte in cui “tutte le vacche sono nere”, in cui non si distinguono le responsabilità.
Questa è la guerra odierna. Le organizzazioni umanitarie cercano di districarsi tra le macerie. La testimonianza di Medici Senza Frontiere, riportata dalle agenzie, non lascia spazio a dubbi: “Da quando i combattimenti si sono intensificati due settimane fa, le equipe di MSF hanno concentrato i propri sforzi nel dare assistenza allo staff medico che lavora nelle aree più colpite, su entrambi i lati del fronte. Oltre a fornire supporto a Gorlovka, Debaltsevo e Artemovsk, hanno distribuito materiali medicali per trattare pazienti feriti alle strutture mediche di Donetsk, Konstantinovka, Krasny, Luch, Kurakhavo, Luhansk, Mariupol, Popasnaya e Yenakijeve. Poiché sono oltre sei mesi che alle strutture sanitarie non arrivano forniture regolari, MSF sta supportando i medici per il trattamento di pazienti con malattie croniche come il diabete, disturbi cardiaci, asma e ipertensione, fornendo medicine agli ospedali, alle strutture sanitarie e ai centri per anziani e disabili. Le equipe di MSF hanno stanno anche supportando diversi reparti di maternità per consentire alle donne di partorire in sicurezza i loro bambini. Alla soglia del decimo mese di conflitto, l'impatto psicologico dei combattimenti prolungati sta diventando sempre più evidente. MSF ha un team di 14 psicologici che organizzano sessioni psicologiche individuali o di gruppo per le persone colpite dal conflitto, inclusi sfollati, pazienti feriti, operatori sanitari, insegnanti, assistenti sociali, bambini e anziani”.
Sul terreno le notizie sono sempre più allarmanti. Movimenti di truppe, sfollati, morti, distruzione. Diplomazia impotente o complice. Schieramenti sempre più delineati. La guerra si estende e rischia di diventare teatro di uno scontro aperto tra Russia e Occidente. Già Putin foraggia i separatisti, forse gli USA forniranno di armi l’esercito regolare ucraino. La risposta politica sono le sanzioni oppure il ventilato ingresso dell’Ucraina nella Nato. Ipotesi che non fa altro che dare acqua a quanti, in Russia, vedono compromesso lo “spazio vitale” dell’Orso ex sovietico. Putin è un nazionalista pericolosissimo, ma sembra che l’Occidente faccia di tutto per stimolare il suo revanscismo.
Mentre la situazione precipita ecco che la Grecia di Tsipras si pone in dialogo con la Russia. L’appoggio della nuova sinistra greca a Putin sfiora il ridicolo, benchè metta in allarme – e non poco – Bruxelles. Un tempo il giovane comunista Tsipras voleva fare uscire il Paese dalla Nato, oggi il suo ministro della difesa (esponente di un partito nazionalista di destra) lo farebbe volentieri, magari per essere liberi nelle rivendicazioni territoriali con la Turchia. Putin, dal canto suo, con un’economia sull’orlo del baratro, offre soldi alla Grecia che dà un calcio all’austerità della Troijka. Incredibile l’utilizzo di questo termine russo per indicare il mostro a tre teste rappresentato da l’Unione Europea, BCE e Fondo monetario internazionale. Si stanno poi riducendo pure i possibili tavoli di incontro, dall’Osce al Consiglio d’Europa, dove la posizione della Russia è in bilico. Ma è proprio su questi organismi che dovremmo fare affidamento per trovare una soluzione.
Benchè ogni protagonista presenti istanze giuste, il problema risiede nell’incapacità di avere uno sguardo lungo e di trovare vie di uscita comuni. Il velleitarismo e la superficialità sono l’emblema di questo tempo. Tutti credono di avere la ricetta giusta, quindi lo scontro è inevitabile. Qualsiasi trattativa per fermare la guerra in Ucraina è per ora destinata al fallimento. Paradossalmente gli interessi di USA e Russia convergono: intanto che dura la crisi gli USA possono allargare la loro sfera di influenza, mentre la Russia scarica all’estero i propri problemi interni. L’Europa, tra due fuochi, balbetta. E la gente comune continua a morire.
L'Ucraina è al bivio tra guerra e pace:
Putin in agguato
Tregua a rotoli. Kiev con l'esercito debole. Separatisti divisi e che mirano a Sud. Mosca spera che lo stallo destabilizzi il Paese. Attori e obiettivi dell'ultima crisi.
L'esercito ucraino ha riconquistato parte dell'aeroporto cittadino,
prima controllato dai ribelli filo-russi:
sono gli scontri più violenti da quando è stata firmata la tregua
A Donetsk, città dell’Ucraina orientale controllata dai separatisti filo-russi, è in corso lo scontro più violento da quando lo scorso settembre i ribelli hanno firmato una tregua con il governo ucraino. L’esercito ucraino ha lanciato nella notte un attacco con cui sostiene di aver riconquistato quasi del tutto l’aeroporto della città, l’area al centro degli scontri nelle ultime settimane. In questi mesi gli scontri non si sono mai fermati del tutto, anche se l’intensità della battaglia a Donetsk era diminuita parecchio. Dall’inizio di gennaio i ribelli filo-russi hanno ricominciato a compiere attacchi sempre più frequenti. Soltanto nella giornata di sabato 17 gennaio tre militari ucraini sono stati uccisi e altri 18 sono rimasti feriti. Nuovi colloqui di pace tra il governo e i ribelli erano previsti per il 16 gennaio a Minsk, in Bielorussia, ma a causa degli scontri sono stati sospesi.
La battaglia per l’aeroporto
La battaglia di Donetsk si combatte soprattutto intorno all’aeroporto “Sergei Prokofiev” di Donetsk. L’aeroporto è chiuso dallo scorso maggio, quando sono cominciati gli scontri tra ribelli ed esercito ucraino: fino a quel momento aveva un traffico di circa un milione di passeggeri l’anno. Oggi è completamente in rovina: alcune riprese dall’alto mostrano gli enormi danni che ha subito negli ultimi mesi, tra cui anche alcuni segni di crateri di bombe. L’aeroporto si trova in un punto strategico, a poca distanza dal centro di Donetsk, città che i ribelli considerano la loro capitale. Quello che resta dell’aeroporto ha assunto anche un valore simbolico per entrambi gli schieramenti.
L’aeroporto di Donetsk visto da un drone
Nelle ultime settimane gli scontri si sono intensificati in tutta l’area intorno alla città di Donetsk. I ribelli hanno compiuto una grande manovra “a tenaglia” per circondare l’aeroporto impiegando moltissima artiglieria. Il 13 gennaio un razzo sparato dall’area controllata dai ribelli ha colpito un autobus uccidendo 12 civili e ferendone altri 17. Due giorni dopo, il 15 gennaio, i ribelli hanno annunciato di aver conquistato l’aeroporto, ma il governo ucraino ha smentito la notizia. A quanto pare i ribelli sono riusciti a prendere il controllo del terminal principale, ma alcune unità dell’esercito ucraino sono riuscite a resistere attorno alla torre meteorologica dell’aeroporto.
Negli ultimi giorni la situazione per i “Cyborg”, il soprannome che si sono dati i difensori ucraini dell’aeroporto, è peggiorata notevolmente e l’unità è rimasta spesso isolata dal resto dell’esercito, senza poter ricevere rifornimenti ed evacuare i feriti. Sabato sono circolati moltivideo che mostrano come l’esercito ucraino stesse accumulando truppe e mezzi per lanciare una grossa controffensiva. Alcuni hanno anche ipotizzato che l’obiettivo fosse riconquistare la stessa Donetsk, ma per ora lo scopo dell’attacco sembra più limitato. Nella notte tra sabato 17 e domenica 18 gennaio l’aeroporto è stato bombardato violentemente, in quello che secondo i testimoni è stato uno degli attacchi più violenti degli ultimi mesi. Alcuni colpi sono caduti nel centro della città, come hanno mostrato alcune fotografie di buchi creati dai proiettili nel ghiaccio che ricopre il fiume Kalmius.
Domenica mattina diversi giornalisti sul posto hanno riferito che l’esercito ucraino era riuscito a rompere l’accerchiamento e a riaprire i collegamenti con i militari che stanno difendendo l’aeroporto. Nel corso della mattinata, poi, l’esercito ucraino ha dichiarato ufficialmente che la sua offensiva notturna è stata un successo e che quasi tutte le posizioni perse intorno all’aeroporto negli ultimi giorni sono state riconquistate. Domenica mattina alcune webcam che si trovano nella città di Donetsk e che riprendono l’area dell’aeroporto hanno mostrato una situazione più tranquilla, anche se è ancora possibile sentire qualche isolata esplosione.
Secondo il governo ucraino, nelle ultime settimane i ribelli hanno aumentato il numero degli attacchi lungo tutto il fronte. Il Consiglio nazionale di sicurezza e difesa ucraino – l’ufficio che coordina tutte le faccende che riguardano la sicurezza e la difesa per conto del governo dell’Ucraina - ha diffuso il 15 gennaio una mappa che mostra le operazioni militari in corso nell’Ucraina orientale.
Dove eravamo rimasti?
Dallo scorso maggio è in corso in Ucraina orientale uno scontro tra l’esercito ucraino e i ribelli appoggiati dalla Russia. Quasi cinquemila persone sono morte e altre centinaia di migliaia hanno dovuto abbandonare le loro case a causa dei combattimenti. Tra le persone uccise ci sono anche i passeggeri del volo MH17, morti dopo che il loro aereo è stato colpito da un missile sparato dai ribelli filo-russi. Lo scopo dei ribelli è creare all’interno dell’Ucraina uno stato indipendente. Le zone che controllano – quelle intorno alle città di Donetsk e Luhansk – hanno una significativa percentuale di popolazione di lingua o di origini russe.
Nel corso degli scontri i ribelli hanno ricevuto un sostegno significativo da parte della Russia, che ha fornito armi leggere, missili e carri armati. Secondo diverse indagini giornalistiche, il governo russoha inviato in Ucraina molti “volontari”, spesso membri dell’esercito che prima di arrivare in Ucraina hanno firmato documenti di dimissione dalle forze armate. Secondo la NATO, in diverse occasioni unità di artiglieria dell’esercito russo hanno sparato contro l’esercito ucraino dall’interno dei confini russi.
Lo scorso agosto, l’esercito ucraino era arrivato vicino a riconquistare le città di Donetsk e Luhansk. In quei giorni i ribelli hanno ricevuto considerevoli aiuti dalla Russia e hanno lanciato una controffensiva che ha aperto un nuovo fronte nel sud dell’Ucraina. L’esercito ucraino è stato costretto a ritirarsi in diversi punti del fronte, ma è riuscito a mantenere una guarnigione nell’aeroporto di Donetsk che ora, secondo molti giornalisti che si trovano sul posto, ha assunto una dimensione simbolica per entrambi i contendenti.
Ucraina: verso la fine del cessate il fuoco
balcanicaucaso.org di Danilo Elia - 7 novembre 2014
Materiale pubblicitario delle elezioni a Donetsk
Le elezioni a Donetsk e Lugansk dello scorso 2 novembre rischiano di segnare un punto di non ritorno verso l’incancrenirsi del conflitto.
Una rassegna
“Le elezioni farsa del 2 novembre mettono a repentaglio l’intero processo di pace e non saranno mai riconosciute dalla comunità internazionale”. L’eco delle parole di Poroshenko non si è ancora spento, che notizie di movimenti di truppe russe al di qua e al di là del confine hanno cominciato a circolare. Anche fonti dirette da Donetsk parlano di un sensibile aumento delle esplosioni, mentre da Kiev si registrano nuove partenze verso la linea del fronte a Lugansk.
L’Ucraina probabilmente non ha mai visto così tante elezioni come in questo anno. Prima il referendum in Crimea, poi quello nelle repubbliche di Donetsk e Lugansk. Dopo ci sono state le presidenziali straordinarie che hanno portato alla guida del paese Petro Poroshenko, e ancora quelle parlamentari anticipate del 26 ottobre. E infine, si è votato anche a Donetsk e Lugansk, il 2 novembre, per eleggere i presidenti delle repubbliche separatiste. Elezioni autonomamente decise dai separatisti senza l’avallo di Kiev.
Per questo Poroshenko, primo motore del processo di pace delineato dagli incontri del gruppo di contatto informale a Minsk, lo ha detto senza mezzi termini. Il suo piano di pace ruota attorno alla legge speciale 1680, votata dalla Rada lo scorso 16 ottobre. Prevedendo uno status speciale e transitorio per le aree sotto il controllo dei separatisti, la legge traccia un percorso di tre anni per la ricostruzione delle strutture amministrative e democratiche del Donbass. E il primo passo sarebbe dovuto essere le elezioni locali, programmate per il 7 dicembre sotto il controllo di Kiev.
Un’occasione sprecata
Ecco perché la scelta dei vertici separatisti di indire elezioni autonome e anticipate è parsa come una sfida. Raccolta. La contromossa di Poroshenko infatti non si è fatta aspettare. In un messaggio televisivo due giorni dopo le votazioni nelle repubbliche popolari di Donetsk (Dnr) e Lugansk (Lnr), ha fatto sapere di aver sottoposto al Consiglio della difesa l’abolizione della legge speciale 1680. “Siamo pronti a riconoscere più ampi poteri alle autorità locali purché legittimamente elette, e non a banditi che si incoronano da soli”, ha detto Poroshenko. Il presidente ha aggiunto che la legge speciale creava un’occasione unica per gettare le basi di una pace duratura in Donbass, “I miliziani, però, hanno voluto sprecarla”.
Nello stesso discorso di lunedì, Poroshenko ha anche lasciato la porta aperta al dialogo. “Siamo pronti a varare una nuova legge se i separatisti torneranno a osservare gli impegni presi a Minsk, ossia il rispetto della tregua, la creazione di una zona cuscinetto e la tutela dei confini, oltre a mostrare chiare intenzioni di annullare le elezioni”. Sembra sempre di più che le votazioni del 2 novembre abbiano segnato un punto di non ritorno verso l’incancrenirsi del conflitto.
Bisognerebbe allora domandarsi che senso ha avuto una legge speciale sullo status del Donbass, emanata da un governo che non ha alcun controllo sul territorio. Ma anche cosa c’è di tanto sbagliato in quelle elezioni.
Gli osservatori dell’Asce
Possiamo dire che finora i movimenti separatisti nati in Ucraina all’indomani di EuroMaidan non hanno mostrato di avere grande dimestichezza con le regole democratiche. Dalla Crimea a Novorossiya, i referendum popolari per l’indipendenza si sono svolti in spregio degli standard internazionali. A voler fare le cose male e in fretta si è finiti per vanificare, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, il risultato della volontà popolare.
Non diversamente, le elezioni in Dnr e Lnr sono state solo una pallida immagine di quelle svoltesi la settimana prima nel resto del Paese. A cominciare proprio dagli osservatori internazionali che – secondo le fonti separatiste – hanno legittimato le operazioni di voto. Non erano infatti incaricati dell’Osce né dell’Onu, ma di due fantomatiche organizzazioni nate la notte prima del voto, l’Eurasian Observatory of Democracy and Elections (Eode) e l’Agency for Security and Cooperation in Europe (Asce), composte perlopiù da rappresentati delle destre europee. L’Eode, per esempio, è presieduto dal nazionalista belga Luc Michel mentre a capo dell’Asce c’è il neofascista polacco Mateusz Piskorski. Per l’Italia hanno preso parte l’europarlamentare Fabrizio Bertot, il senatore Lucio Malan e Alessandro Musolino, tutti e tre di Forza Italia. Nessuna delle due organizzazioni risulta abbia mai partecipato a missioni di monitoraggio prima d’ora. La confusione, anche dei nomi, è stata tale da costringere l’Osce a smentire la presenza di propri osservatori in Donbass.
Ma non si è trattato solo di questo. Proprio come già visto in Crimea, i seggi erano pieni di miliziani armati e incappucciati che controllavano i voti sulle schede, non c’erano liste elettorali e poteva votare chiunque mostrasse un documento, anche in più seggi. La vera novità è che si poteva votare anche per email. Il massimo della democrazia.
Zakharchenko contro Zakharchenko
Qualcuno potrebbe sentirsi tranquillizzato dal fatto che il risultato delle elezioni non ha cambiato nulla. Hanno vinto infatti i due leader già in carica, Aleksander Zacharchenko a Donetsk e Igor Plotnitsky a Lugansk. Del resto era piuttosto difficile che andasse diversamente, data la scarsità di candidati e un campagna elettorale piuttosto noiosa. “I cartelloni in giro per la città suggeriscono un’agguerrita concorrenza tra Zakharchenko e Zakharchenko”, ha scritto il New York Times.
Ma chi sono questi due nuovi presidenti? Zakharchenko e Plotnitsky, entrambi cittadini ucraini, sono succeduti ai precedenti “primi ministri” delle due repubbliche di Donetsk e Lugansk, rispettivamente Aleksander Borodai e Valery Bolotov, entrambi cittadini russi. Nella conferenza stampa di agosto in cui ha comunicato che avrebbe lasciato il suo posto a Zakharchenko, Borodai ha dichiarato che “era ora che il comando della Dnr fosse nelle mani di un uomo di Donetsk”.
Nato a Donetsk, comandante del battaglione Oplot sotto Igor “Strelkov” Girkin e con un passato da elettricista, Zakharchenko deve probabilmente apparire agli occhi della gente di Donetsk come uno di loro, almeno più del moscovita Borodai. I natali di Plotnitsky sono invece meno certi. La sua biografia afferma che è nato a Lugansk, ma secondo diverse fonti sarebbe originario della Bucovina, al confine con la Romania.
Comunque la si voglia vedere, sembra chiaro che entrambi i nuovi presidenti delle due repubbliche, forti della affermata legittimazione popolare, hanno intenzione di alzare la posta. Non si spiegherebbero altrimenti le parole di Zakharchenko durante il suo insediamento. “Sono pronto a incontrare Poroshenko”, ha detto Zakharchenko durante il suo insediamento.
Ucraina voto separatisti
nell'Est scontro Russia-Ue
Mosca, elezioni valide. Mogherini, sono illegali
Ansa - 3 novembre 2014
Trionfo annunciato per i leader separatisti nel sud-est dell'Ucraina. Le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk hanno votato per eleggere i loro presidenti e parlamentari con una chiara sfida al governo di Kiev.Il leader dei ribelli filorussi di Lugansk, Igor Plotnitski, è stato eletto presidente, così come a Donetsk è stato eletto Aleksandr Zakharcenko.
La condanna Usa
Gli hanno condannano le elezioni come "illegittime": "Queste elezioni farsa violano la Costituzione ucraina e la legge sullo 'status-speciale'", accusa il Dipartimento di Stato.
Gentiloni, Italia non riconosce "elezioni" est
L'Italia non riconosce l'esito delle "elezioni" tenutesi nelle autoproclamatesi "Repubbliche popolari", ha dichiarato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni. "L'attuazione delle intese di Minsk del 5 e 19 settembre rimane l'unica base negoziale per garantire all'Ucraina e all'intera area la stabilità necessaria. Non esiste alternativa alla soluzione politica della crisi", ha aggiunto Gentiloni, "come il governo italiano ha sempre ribadito,in particolare in occasione del vertice Asem a Milano".
Germania, Russia rispetti l'unità del paese
Il ministre tedesco degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, ha richiamato stamani le autorità russe ai loro impegni a rispettare "l'unità dell'Ucraina", il giorno dopo le elezioni organizzate dai ribelli filorussi nell'est del paese, voto riconosciuto da Mosca, ma non da Kiev e dall'Ue. "Noi giudicheremo la Russia e il presidente Putin alla luce delle loro dichiarazioni, secondo le quali l'unità dell'Ucraina non sarà rimessa in discussione", ha detto Steinmeier.
Elezioni in Ucraina, un affresco complesso
balcanicaucaso.org di Danilo Elia - 30 ottobre 2014
Si dava per scontata una vittoria del partito dell'attuale presidente ucraino Poroshenko, che è arrivata solo a metà. Il neoparlamento ha le ali estreme tagliate e guarda soprattutto all'ovest del paese. Un ampio quadro sul voto
Le elezioni parlamentari anticipate in Ucraina sono riuscite a confermare e disattendere le previsioni nello stesso tempo. E stupire un po’ tutti. L’attesa affermazione del partito del presidente, il Blocco Poroshenko (Blok Petra Poroshenka), c’è stata ma a metà. Il Fronte popolare (Narodniy Front) del primo ministro Arseniy Yatsenyuk, è risultato infatti il primo partito su base nazionale superando, seppur di tre decimi di punto, Poroshenko. La grande affermazione di Yatsenyuk ha anche contribuito a certificare la quasi totale scomparsa della ex compagna di partito Julia Tymoshenko dalla scena politica. La coalizione che fu di entrambi e che ora è della sola Julia, Batkivshchyna, ha a malapena superato la soglia del 5% per l’accesso in parlamento.
Fortemente limitato anche il Blocco delle opposizioni (Opozytsinyy Blok) che ha raccolto gran parte dei membri del defunto partito delle Regioni di Janukovich. Mentre il temuto pericolo nero delle destre estreme si è sgonfiato sulla strada per l’Europa, lasciandosi dietro Svoboda e Praviy Sektor al di sotto della soglia di sbarramento, rispettivamente al 4,7% e 1,8%. Fuori dalla Verkhovna Rada, per la prima volta nella storia dell’Ucraina, anche i comunisti. “Gli ucraini hanno dato il colpo di grazia alla quinta colonna”, ha twittato Poroshenko.
Se è vero, come hanno notato molti commentatori già alla chiusura dei seggi, che il risultato delle urne ha decretato una vittoria schiacciante dei partiti filoeuropei, l’inattesa affermazione del partito di Yatsenyuk come prima forza politica del paese, l’emergere di nuovi leader, l’analisi del voto su base regionale e la bassa affluenza ai seggi possono aiutare a dipingere un affresco molto più complesso.
Un successo per due
Anche Yatsenyuk ha affidato a Twitter i suoi commenti a caldo. Mentre già dagli exit poll e ancora durante lo spoglio Poroshenko festeggiava il successo del suo Blocco, a scrutinio terminato – e a sorpasso certificato – il primo ministro ha scritto “Spetta al Fronte popolare, primo partito, formare una coalizione di governo”. È difficile dire quanto questo sposti l’ago della politica ucraina rispetto alle affermazioni del presidente. Se fino a poche ore fa il Fronte popolare era per Poroshenko l’alleato naturale, adesso è semmai il contrario. Si potrebbe dire che spostando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, ma la politica ucraina ci ha abituato ai colpi di scena.
Il primo ministro ha più volte criticato, nei mesi passati, le mosse del presidente, soprattutto nelle scelte per il piano di pace in Donbass. Alcuni osservatori hanno parlato di un gioco dei ruoli che, opponendo la colomba Poroshenko al falco Yatsenyuk, servisse solo a posizionare i due partiti rispetto a un elettorato che a malapena era in grado di distinguerli. Per capire se questa strategia si sia esaurita con la campagna elettorale, bisogna aspettare le prossime settimane e vedere in particolare se la strada intrapresa nei colloqui di Minsk subirà delle deviazioni. Per provare a dare la giusta dimensione all’effetto sorpresa che il risultato potrebbe aver causato anche nei due stessi politici, basta andare giusto un po’ indietro. Quando i sondaggi prevedevano che Poroshenko avrebbe preso molti più voti di Yatsenyuk, qualcuno addirittura pensava che quest’ultimo si sarebbe fermato sotto il 5%. Anche nei media, la previsione era talmente scontata che praticamente tutti i titoli dei giornali a urne appena chiuse hanno parlato di una vittoria netta del presidente.
Chi scompare e chi appare
Si potrebbe dire per certi versi che il voto di domenica ha tagliato le ali degli estremismi, da un lato e dall’altro. In questo senso la scomparsa del partito comunista, dal 13,18% del 2012 al 3,86%, e il crollo di Svoboda, dal 10,44% al 4,71%, sembrano aver equilibrato al centro la Rada. In particolare, la débâcle dei nazionalisti di Tyahnybok insieme all’1,81% del famigerato Pravy Sektor, fanno dell’Ucraina uno dei paesi europei con la minore componente ultranazionalista, fugando forse una volta per tutte i timori di una svolta estremista di destra del dopo Euromaidan. Ma anche il 5,68% di Batkivshchyna (senza Yatsenyuk), precipitato dal 25,54% del 2012, è come se volesse riportare Julia Tymoshenko – che si è distinta per una campagna fortemente aggressiva e antirussa – alla dimensione politica che realmente ha in patria, a dispetto della sua popolarità all’estero. In definitiva, cinque dei sei partiti rappresentati in parlamento sono apertamente favorevoli a un’integrazione europea. Sembra che con questo voto gli ucraini abbiano espresso una chiara richiesta di pace e stabilità.
Va letta in questo senso anche l’ottima performance di Samopomich del sindaco di Leopoli, Andriy Sadovy, che ha esordito con il 10,99%, terzo partito più votato. Sadovy è un politico molto stimato a livello locale, alla guida di una città che si distingue da sempre per la sua apertura, tolleranza e – nella misura ucraina – multiculturalismo. Ma anche per il forte nazionalismo e un certo sentimento antirusso. Samopomich è una ventata d’aria fresca nella Rada, il partito che più di tutti ha portato in parlamento facce nuove, giovani attivisti formatisi sul selciato della Maidan invece dei soliti politici professionisti. È questa la vera novità di queste elezioni, aver per la prima volta dimostrato che la Verkhovna Rada non è inaccessibile alla gente comune.
Eppure dalle stesse urne sono emersi dei segnali contrastanti, primo fra tutti il balzo in avanti del populista Lyashko e del suo partito radicale, salito dall’1,8% del 2012 al 7,45%, quinto partito.
Nelle regioni
Il fenomeno Lyashko è trasversale. Sempre sopra le righe, ama farsi ritrarre mentre imbraccia un forcone o interroga dei prigionieri separatisti seminudi e con le mani legate dietro la schiena. Non è uno che invoca la pace sociale. La sua formazione non solo ha ottenuto un eccellente risultato su base nazionale, ma è uno dei partiti con l’elettorato più omogeneo in tutto il paese, essendo riuscito a centrare l’obiettivo del 5% ovunque tranne che nella regione di Donetsk.
L’altro dato interessante che emerge dai risultati per regione è che, nonostante il pessimo risultato a livello nazionale con l’8,25%, l’Opozytsinyy Blok, che ha raccolto l’eredità del partito delle Regioni (al 30% nel 2012) rimane prima forza politica nelle regioni di Dnipropetrovsk, Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kharkiv, ossia in gran parte dell’est. Sono le regioni dove più forte è il peso degli oligarchi che per anni hanno mantenuto in piedi il sistema di potere, ma anche quelle che da domani possono sentirsi meno rappresentate in un parlamento che guarda ormai solo a ovest. L’Opozytsinyy Blok è l’unico partito di opposizione e l’unico nella Rada a non appoggiare la scelta europeista del governo.
C’è poi una sorpresa che arriva dal voto dall’estero, secondo cui non solo Poroshenko non va più su del terzo posto, ma addirittura Praviy Sektor e Svoboda sono, nell’ordine, quarto e quinto partito più votato, totalizzando insieme quasi il 15%. È l’unico distretto in cui Praviy Sektor ha superato la soglia di sbarramento.
Infine, un ultimo dato completa il quadro. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, il calo dell’affluenza alle urne, -5% rispetto al 2012, è sicuramente dovuto alle aree sotto il controllo dei separatisti, ma è anche e soprattutto l’espressione di un elettorato stanco e piegato dalla crisi economica, e da una diffusa sfiducia verso la classe politica.
* I dati su cui si basa l'analisi sono quelli forniti dalla Commissione elettorale centrale al 99,4% dello spoglio.
L’altro volto della guerra in Ucraina
unimondo.org di Ennio Remondino - 28 Ottobre 2014
Human Rights Watch accusa l’esercito di Kiev di aver attaccato le milizie filorusse del Donbass utilizzando munizioni vietate dalla convenzione ONU. Non hanno firmato la convenzione Stati Uniti, Cina, Russia, India, Israele, Pakistan e Brasile. Tra gli Stati minori anche l’Ucraina
L’esercito ucraino ha utilizzato munizioni a grappolo in quartieri popolati da civili a Donetsk, nell’est dell’Ucraina. L’accusa questa volta non arriva dalle milizie filorusse arroccate nell’area del Donbass, ma direttamente da Human Rights Watch. Le indagini effettuate dall’organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, dimostrano che nelle offensive contro i separatisti le forze armate di Kiev hanno fatto un ampio uso di questo tipo di munizioni, che come detto nel sommario, sono vietate dalle convenzioni delle Nazioni Unite.
Si tratta di ordigni che possono essere sganciati dall’alto oppure con artiglieria da terra, ad esempio razzi o missili guidati. In ognuno di essi sono contenute delle submunizioni -le cosiddette bomblets- che vengono disperse a distanza al momento dell’esplosione dell’ordigno principale, il cluster. “Le ‘submunizioni’ vengono scagliate in maniera indiscriminata su una vasta area, in generare grande quanto un campo di calcio -spiega un ispettore di HRW- In questo modo chiunque sia presente nella zona al momento dell’attacco, combattenti o civili, rischia di rimanere ferito o di essere ucciso”.
Con l’entrata in vigore della convenzione ONU sulle bombe a grappolo il primo agosto del 2010 viene proibito a livello internazionale la produzione, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio di queste munizioni. Al momento sono 113 i Paesi che vi aderiscono. L’Italia ha ratificato l’accordo nel marzo del 2012. Tra questi, però, assurdo ma neppure tanto, non compaiono i più grandi produttori di armi del mondo e tra questi Stati Uniti, Cina, Russia, India, Israele, Pakistan e Brasile. Tra gli Stati minori presenti in questa poco nobile lista de spregiudicatezza etica, anche l’Ucraina.
Il 20 ottobre Amnesty International aveva rivelato atrocità e omicidi sommari commessi dalle parti in conflitto, puntando soprattutto il dito contro chi aveva di più fatto disinformazione accentuando il numero dei presunti massacri di civili. I fatti dicono che una parte consistente dell’Ucraina orientale è ormai in rovina. Donetsk, popolata da oltre un milione di persone, centro industriale ed energetico trainante per l’economia nazionale, oggi è una città fantasma. Una trincea: ieri una esplosione in prossimità di uno stabilimento chimico vicino all’aeroporto, dove vengono prodotti ordigni vari.
notiziegeopolitiche.net di Dario Rivolta* – 29 settembre 2014
Su di un quotidiano francese è apparsa qualche giorno fa la riflessione di un giornalista che si domandava quale potesse essere la reazione degli Stati Uniti qualora il Governo messicano, nel pieno della sua sovranità decisionale, optasse per un’alleanza dapprima economica e poi, forse, militare con Russia, Bielorussia e Kazakhstan. Lo stesso articolista lanciava anche un’altra ipotesi di fanta-politica: la Svizzera che all’improvviso decidesse di sottoscrivere un accordo di integrazione commerciale con la Cina lascerebbe l’unione Europea del tutto indifferente?
Davanti a queste due ipotesi, inverosimili ma non totalmente impossibili, quali sarebbero le reazioni di Usa e Ue? La domanda non è peregrina perché quanto sta accadendo in Ucraina, stato alle porte di Mosca, può apparire agli occhi russi esattamente la stessa cosa.
Dal punto di vista macroeconomico le aziende ucraine sono legate all’economia russa per più del cinquanta per cento del loro giro d’affari e tra i due Paesi esiste, di fatto, una molto ampia libera circolazione delle merci. Poiché tra Russia e UE non esiste lo stesso tipo di accordo doganale, un’Ucraina economicamente legata all’Europa obbligherebbe la Russia, se non altro per impedire triangolazioni via Kiev, ad imporre nuove barriere tariffarie e normative a tutti i prodotti provenienti dal suo fronte sud.
Conseguenza naturale: tutte le aziende ucraine che nel passato trovavano sbocco sul mercato russo dovrebbero convertirsi verso il mercato europeo sul quale, tuttavia, se non altro per questioni qualitative non hanno alcuna possibilità di competizione. Il risultato sarebbe o un’enorme disoccupazione (ancora maggiore dell’attuale) o la necessità di un ingente intervento finanziario europeo per riconvertire quelle produzioni e, nel frattempo, per tamponare il dramma sociale che si creerebbe.
Quanti anni sarebbero necessari? E chi spiegherà ai cittadini europei già in crisi che verranno emesse nuove tasse per sostenere i “fratelli” ucraini? E chi lo dirà ai greci, ai portoghesi, agli italiani già disoccupati? Senza contare la prevedibile scarsa felicità delle imprese europee negli stessi settori e che vedrebbero aumentare i propri concorrenti in un mercato già asfittico.
Passiamo ora all’aspetto militare.
Qualcuno pensa davvero che i russi possano accettare senza reagire la possibilità che la Nato, prima o poi, installi dei missili tattico-balistici alle porte di casa sua? Cosa fece il Presidente Usa J.K. Kennedy quando i sovietici stavano per mandare missili a Cuba? Arrivò a minacciare perfino una guerra nucleare per impedirlo, e tutto l’Occidente condivise la sua posizione contro l’inaccettabile “affronto”.
Putin non è arrivato a tanto e si è, per ora, limitato a locali azioni di sostegno ai ribelli nell’est Ucraina e allo schieramento di truppe vicine al confine.
Fino a che punto, noi europei, siamo disponibili ad arrivare? Poiché per la Russia è una comprensibile questione di sicurezza nazionale e mai accetterà che la “vecchia Russia” possa diventare un loro pericolo, siamo pronti ad affrontare noi una guerra? E a quale scopo? Quali sono le ragioni irrinunciabili per le quali l’Ucraina DEVE diventare parte dell’Europa e della Nato? Quale è il vero motivo di ciò che gli americani ci hanno imposto e i nostri pavidi governi hanno supinamente accettato? Se escludiamo gli inglesi, oramai pedissequi seguaci degli americani, e i polacchi ed i baltici vittime di fobie quasi degne di analisi psicanalitiche, cosa ne guadagnerebbero la Francia, la Germania, l’Italia e tutti gli altri membri dell’Unione? O piuttosto cosa perderebbero in questo braccio di ferro con un Paese che è la più grande riserva di materie prime al mondo e che non desidera altro che poter comprare da noi prodotti e know-how per il proprio sviluppo?
La risposta che i benpensanti ci offrono sta nel nostro voler difendere la democratica volontà del popolo ucraino. Eppure questa volontà democratica fu quella che, con regolari elezioni (certificate dall’Ocse), aveva dato vita a un legittimo Governo fatto poi cadere da dimostrazioni di piazza per nulla democratiche e probabilmente finanziate da Paesi stranieri. Forse i suddetti benpensanti considerano piuttosto i “diritti umani” calpestati dalla repressione di quelle manifestazioni e gli svedesi sono in prima fila su questo tema. Peccato che non abbiano avuto le stesse reazioni davanti al pogrom di Odessa contro cittadini ucraini di lingua russa. E peccato che nessun giornale europeo si soffermi sulle civili vittime incolpevoli dei bombardamenti di artiglieria del “democratico” esercito ucraino sulle città dell’est del Paese.
La verità, se mettiamo da parte menzogne e ipocrisie, non è purtroppo il nostro amore per la democrazia ne’ nella difesa di diritti umani di cui ci ricordiamo solo a fasi alterne e secondo convenienza.
Il vero obiettivo di quanto sta succedendo ha ragioni ben più prosaiche e non dichiarabili ufficialmente: qualcuno negli Stati Uniti crede ancora che la guerra fredda non debba finire e che la Russia, anche per le sue ricchezze naturali che fanno gola a troppi, non solo debba essere “contenuta” ma si debba puntare addirittura alla sua “dissoluzione”. Poiché iniziare una guerra aperta non è conveniente, si deve cominciare con l’indebolirla, umiliarla e, magari passando per possibili colpi di stato contro Putin, farla crollare per implosione. Non è per caso che diversi analisti politici americani si dilettino da tempo nello scrivere su ipotetiche guerre interne al Cremlino e sulle ipotesi di un “dopo Putin”.
Purtroppo, esattamente come fecero con l’Iraq di Saddam Hussein, questi novelli dottor Stranamore non pensano alle conseguenze se veramente si realizzasse quanto stanno fantasticando. A chi converrebbe una Russia spezzata in tanti pezzi o magari ancora unita ma indebolita dall’assenza di un vero potere centrale? Cosa ne sarebbe del suo potenziale nucleare? Chi fermerebbe il dilagare cinese in Asia? Quale nuova anarchia colpirebbe tutti gli stati dell’Asia Centrale?
Tante domande, queste e altre, a cui è difficile dare risposte sensate ma che una certezza ce la lasciano: chi oggi vuole “punire la Russia sta giocando masochisticamente col fuoco. E chi in Europa dà loro corda penalizzando, già sul breve, tutta la nostra economia è, quanto meno, non lungimirante e dimostra di non essere all’altezza della posizione che ricopre.
* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali
Ucraina: Donetsk,
un milione di persone sotto assedio
balcanicaucaso.org di Danilo Elia - 2 settembre 2014
Da settimane ogni giorno colpi di artiglieria o missili colpiscono la città ucraina di Donetsk. La città rimane sotto il controllo dei separatisti, circondati dalle forze di Kiev. In mezzo la popolazione che lotta per sopravvivere
L’aeroporto di Donetsk era stato costruito appena due anni fa, per gli europei di calcio. Una struttura moderna, degna di una città europea con più di un milione di abitanti. Vetro e cemento, una lunga fila di banchi per i check-in, duty free e negozi. L’aeroporto internazionale di Donetsk è in rovina. Da settimane, ormai, ogni giorno colpi di artiglieria o missili non guidati colpiscono la città. “Io e mio marito dormiamo per terra”, dice Olena. “È l’unico modo per evitare che una scheggia entri dalla finestra e ci uccida nel sonno. Ma non serve a evitare che un missile centri il nostro appartamento”. Succede, è successo. Anche in centro, dove abita Olena.
La denuncia di HRW: l'uso di missili Grad è un crimine di guerra
Sia l’esercito ucraino che i separatisti possiedono lanciamissili Grad. Sono armi altamente imprecise, buone per un campo di battaglia, devastanti in zone abitate. Non hanno alcun sistema di guida e spesso sono composti da testate multiple, in modo da colpire a pioggia. Secondo dati riportati da Human Rights Watch, il tipo più comune di Grad genera all’esplosione oltre 3mila frammenti. Una volta sparato, anche da 20 chilometri di distanza, ogni singolo missile può cadere ovunque in un’area di 54mila metri quadrati. In città equivale a svariati isolati, e una raffica è composta da 40 missili. Sempre secondo Hrw, usare questo tipo di arma in aree urbane è un crimine di guerra.
Le due parti si accusano a vicenda di sparare sulla città e sui civili. Sempre Hrw, in un rapporto diffuso alla fine di luglio, ha affermato che le indagini sui luoghi colpiti indicano come probabili responsabili le forze governative. C’è da dire che da luglio i bombardamenti si sono intensificati e non si può escludere che entrambe le parti facciano uso di artiglieria pesante e Grad sulla città. “Non sappiano chi ci spara addosso”, dice Olena. “Ma a giudicare dalla traiettoria dei colpi non credo che siano gli ucraini”. Intanto sembra ormai acclarato che i separatisti hanno la gran parte delle loro postazioni di artiglieria piazzate in pieno centro città.
Donetsk è una città sotto assedio
La morsa dell’Ato, l’Antiterrorističeskaja operatsja di Kiev in corso nelle regioni orientali, si è stretta sempre di più intorno a Donetsk, fino a toccarne la periferia. All’inizio di agosto il battaglione Azov dell’esercito ucraino era riuscito a entrare nel sobborgo di Mariinka, a meno di una decina di chilometri dal centro, prima di dover fare dietrofront. I separatisti hanno abbandonato via via le loro postazioni chiudendosi sempre di più in città, portando le loro armi e i loro carri armati tra le abitazioni. Hanno trasformato Donetsk nella loro roccaforte. “Sarà una seconda Stalingrado”, aveva detto Alexander Borodai, il “primo ministro” della Donetskaja respublika, DNR. Borodai si è dimesso e ha riparato a Mosca, ma in città restano migliaia di miliziani pronti a combattere fino all’ultimo.
Donetsk è una città sotto assedio. “Manca spesso l’acqua, e quando esce dai rubinetti è marrone”, dice Olena. I supermercati e i centri commerciali sono chiusi da mesi, ma in generale i negozi di alimentari continuano a vendere merce. I prezzi, però, continuano ad aumentare senza controllo. Dall’inizio della guerra sono cresciuti almeno del 50%. È il paradosso di una città in guerra senza accorgersene.
Donetsk è irriconoscibile. I locali affollati e i parchi pieni di mamme e bambini sono un ricordo così lontano che sembra impossibile siano passati solo pochi mesi. L’ultima volta che l’ho visitata un’ombra nera già si addensava sulla città, un’angosciante attesa turbava la sua gente, i camerieri dei ristoranti non si affannavano come un tempo e nei centri commerciali le commesse potevano limarsi le unghie. Ora che qualcosa come 400mila persone su circa un milione di abitanti sono scappate, è un posto surreale. Non è un città fantasma, è una città che lotta per non morire. I larghi viali dell’urbanistica sovietica sono svuotati come letti di fiumi in secca, ma qualche auto sfreccia ancora, senza nemmeno rispettare il rosso, mentre pochi passanti camminano a gambe levate. Persino i mezzi pubblici continuano a funzionare. “Gli autobus girano con due o tre persone a bordo. Nessuno vuole stare anche un minuto in più del necessario in strada”. E ha ragione Olena. Se non è una scheggia di shrapnel o Grad a farti fuori c’è sempre il rischio di incrociare la strada di qualche miliziano che ha alzato il gomito.
I padroni della città
Non ci sono forze dell’ordine a Donetsk, se si escludono alcune auto riverniciate con le insegne della polizia della DNR, e gli uomini armati che scorrazzano per le strade si comportano come i padroni della città. Rubano, bevono, sparano. Terrorizzano la popolazione. All’inizio di agosto tre ribelli armati hanno sfasciato la loro macchina contro un hotel a cinque stelle lasciando due morti, e due settimane dopo è successo di nuovo. A terra c’erano pezzi d’auto e proiettili. Qualche giorno fa una donna sospettata di essere una spia ucraina è stata legata a un palo sotto la minaccia dei kalashnikov e lasciata al pubblico ludibrio prima che intervenissero altri ribelli a liberarla, ma di lei non si è saputo più niente.
“Con un sacco di gente in giro armata è ovvio che abbiamo problemi di sicurezza”, ha detto il “viceministro della Difesa” della DNR, Fjodor Berezin, che ha ora preso il posto di Igor “Strelkov” Girgkin, ritiratosi in Russia. La verità è che Donetsk è in mano a bande armate che da mesi rapinano auto, saccheggiano negozi, rapiscono civili. Prima ci sono state le rapine delle auto di grossa cilindrata, poi sono venuti i saccheggi dei negozi. Già a maggio, avevano svuotato il fan store della squadra di hockey Donbass e dato fuoco allo stadio, poi è stata la volta dell’ipermercato Metro, e poi via via un po’ tutti i negozi. I bancomat sono stati disattivati perché presi d’assalto, le banche sono chiuse. Come se non bastasse, una paranoica paura delle spie ha preso il sopravvento tra la milizia. La caccia alle streghe ha raggiunto il colmo e basta andare in bicicletta per essere accusati di spiare le postazioni militari per riferirne la posizione al nemico. “Semplicemente, le strade sono pericolose”, dice Olena. “E allora qualche volta trasformiamo il rifugio del palazzo in una discoteca, mettiamo la musica, cerchiamo di non pensare a quello che succede su, in strada. Siamo ancora esseri umani, dobbiamo vivere”.
Ucraina. Dietro i rimpalli di colpe,
i numeri di una tragedia umanitaria
oltremedianews.com - 30/08/2014
Il numero di persone uccise nella guerra civile ucraina ha raggiunto quota 2600 ma nessuno nell’opinione pubblica internazionale sembra avere il minimo interesse alla situazione umanitaria della popolazione dell’Ucraina dell’Est.
Vuoi perchè li chiamano “russofoni”, vuoi perchè quella in Ucraina dell’Est è una guerra silenziosa che gli attori coinvolti combattono lontano dai riflettori, in pochi sembrano curarsi delle condizioni umanitarie in cui versa la popolazione civile.
Nella disputa internazionale sulle colpe e i motivi dell'escalation violenta nell'ex repubblica sovietica c'è infatti un aspetto che rischia di rimanere sullo sfondo senza che nessuno se ne occupi con l'adeguata urgenza. In Ucraina dell’Est si muore e a uccidere la popolazione civile non sono i separatisti filorussi che, al di là di qualsiasi considerazione sulla legittimità o meno del proprio operato, al contrario si oppongono all’avanzata dell’esercito di Kiev. Sono bensì le forze regolari ucraine che, secondo fonti locali, non avrebbero esitato a lanciare missili balistici e bombe al fosforo. A oggi sono almeno 2600 le persone rimaste uccise dall’inizio delle operazioni militari di Kiev contro le forze separatiste cominciate alla metà di aprile, e le cifre sono state confermate anche dall’Ufficio dell’Ala Commissione per i Diritti Civili della Nazioni Unite. Secondo i dati a disposizione il numero di morti nell’Est sarebbe in continuo aumento e Navi Pillay, alto commissario dei Diritti Umani, ha ammesso che tutte le unità militari che combattono in Ucraina dell’Est colpiscono deliberatamente obiettivi civili.
Stranamente però nessuno, né Hollande, né Obama, né la Merkel, né Renzi, chiedono però spiegazioni a Poroschenko per i massacri di civili che avvengono quotidianamente con Donetsk, la “capitale” della Repubblica Popolare del Donbass, che viene bombardata tutti i giorni quasi a tappeto. Circa la metà degli abitanti di Lugansk e Donetsk avrebbero già abbandonato le loro case, tuttavia l’evacuazione continua a non essere facile dal momento che l’artiglieria di Kiev continua a martellare quartieri civili. Sono molti i civili che hanno paura di morire mentre cercano di fuggire, e molti rifugiati sono stati colpiti e uccisi proprio mentre tentavano di mettersi in salvo.
A Donetsk e in tutta l’Ucraina dell’Est sono stati colpiti ospedali, asili, scuole e altre infrastrutture, ma nessuno ha mai minacciato Kiev di ripercussioni per questi atti di guerra. Dare tutta la colpa dell’escalation a Putin ottiene infatti quasi l’effetto indiretto di autorizzare l’esercito di Kiev a osare sempre di più, col risultato di nuovi civili innocenti morti ogni giorno.
I primi camion del convoglio
umanitario russo entrano in Ucraina
Internazionale - 22 agosto 2014
Il convoglio umanitario russo fermo in un’area disabitata nei pressi di Kamensk-Shaktinsky, a circa 40 minuti dal confine con l’Ucraina, il 14 agosto 2014. (Maxim Shemetov, Reuters/Contrasto)
Il 22 agosto il ministro degli affari esteri russo ha affermato che non ci sono più scuse per giustificare il blocco dei veicoli. “I pretesti per ritardare l’invio di aiuti in aree che stanno vivendo una catastrofe umanitaria si sono esauriti”, ha spiegato in un comunicato citato dall’Afp. “La Russia ha deciso di agire. Il nostro convoglio ha cominciato a muoversi verso Luhansk”, uno dei principali centri rimasti sotto il controllo dei ribelli in Ucraina orientale, circondato dall’esercito ucraino e privo di energia e acqua corrente da giorni.
In mattinata venti dei 280 camion del convoglio hanno attraversato il confine ucraino scortati da alcuni ribelli. I veicoli sono stati ispezionati il 21 agosto dalla polizia di frontiera e dalla dogana ucraina, e gli aiuti dovrebbero poi essere distribuiti attraverso la Croce rossa internazionale.
Nei giorni scorsi il governo russo ha detto che i camion contengono aiuti alimentari e altri generi di prima necessità per gli abitanti di Luhansk, ma il governo ucraino e la Nato sospettano che il convoglio trasporti rifornimenti per i ribelli e possa servire da giustificazione per un intervento militare russo. Per questo Kiev ha avvertito che avrebbe lasciato passare i camion solo dopo aver ricevuto delle garanzie di sicurezza, autorizzando il trasferimento del carico su un altro convoglio organizzato dalla Croce rossa internazionale (Cicr).
Secondo Mosca “sono state fornite tutte le garanzie necessarie”, e l’itinerario previsto per il convoglio è stato verificato dalla Cicr. “Dipendenti della Croce rossa internazionale sono pronti ad accompagnare e partecipare alla distribuzione degli aiuti, a cui crediamo possano contribuire anche rappresentanti della Croce rossa della Russia”, ha aggiunto il ministro.
La diplomazia russa ha ripetuto che “la responsabilità delle conseguenze di eventuali provocazioni nei confronti del convoglio” sarebbe da attribuire “totalmente” a Kiev, scrive l’Afp.
La mattina del 22 agosto la Cicr ha affermato che l’organizzazione non ha ancora ricevuto sufficienti “garanzie di sicurezza”.
La situazione a Luhansk. Intanto nelle province di Donetsk e Luhansk l’esercito ucraino ha conquistato alcune posizioni dei ribelli dopo pesanti bombardamenti e scontri. Kiev afferma di aver catturato due blindati appartenenti a una divisione aerotrasportata russa, presentando il fatto come una prova del coinvolgimento di Mosca nel conflitto. Il ministro della difesa russo ha respinto le accuse.
Il 21 agosto il governo ucraino ha annunciato che tre profughi, tra cui un bambino di cinque anni, sono morti a causa dei colpi sparati dai ribelli, e che il 18 agosto a Luhansk hanno perso la vita altri civili in fuga dai combattimenti. “I terroristi hanno colpito un gruppo di abitanti che volevano lasciare la zona delle violenze”, ha detto il portavoce del consiglio di sicurezza nazionale ucraino Andrij Lisenko, che ha definito il fatto un “crimine efferato”.
Se confermato, l’attacco del 18 agosto sarebbe il più grave compiuto contro civili dall’inizio del conflitto, scrive Npr. Ma le autorità ucraine devono ancora fornire prove sull’episodio, e informazioni più precise sul numero delle vittime (un portavoce di Lisenko ha dichiarato in seguito che sono stati recuperati 17 corpi). I ribelli hanno negato che l’attacco sia avvenuto, e comunque respingono ogni responsabilità.
Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto hanno perso la vita più di duemila persone, tra militari e civili, in alcuni casi mentre cercavano di attraversare il confine.
UCRAINA. Ripresa città mineraria di Avdiivka:
forze governative alle porte di Donetsk
notiziegeopolitiche.net di Giacomo Dolzani - 39 luglio 2014
Non si ferma l’avanzata dell’esercito di Kiev che, nell’ambito di quella che è stata denominata “Operazione antiterrorismo”, continua a riconquistare ampie aree dell’Ucraina orientale ed a riportare sotto il controllo del governo le città occupate dai ribelli filorussi in seguito alla rivoluzione che, rovesciato il presidente Viktor Yanukovich, fedelissimo di Mosca, ha portato al potere l’europeista Petro Poroshenko.
L’esercito governativo ha infatti conseguito oggi un’altra importante vittoria sul piano strategico, conquistando la cittadina di Avdiivka, un centro di 35mila abitanti, situato nella parte orientale del paese e che ospita diversi importanti impianti minerari, la quale già nei mesi scorsi era stata teatro di schermaglie tra i due schieramenti.
Avdiivka si trova meno di una decina di chilometri a nord di Donetsk che, insieme a Lugansk, è una delle due principali roccaforti dei ribelli. Anche quest’ultima è però già da 24 ore teatro di violenti combattimenti tra miliziani e forze regolari le quali stanno ora preparando l’assalto finale a Pervomaisk, cittadina poco distante.
Dopo i falliti tentativi di tregua, proposti da Poroshenko per creare un clima favorevole ad intavolare dei negoziati di pace ma mai rispettati, l’offensiva lanciata contro le forze filorusse (che tempo fa hanno saccheggiato il museo della Seconda Guerra Mondiale per appropriarsi degli armamenti esposti) sta riportando ampie aree del paese sotto il controllo dell’autorità legittima nonostante il sostegno russo alla ribellione.
Ucraina: tutti contro tutti
tra rapimenti e torture
unimondo.org di Alessandro Graziadei - 21 Luglio 2014
Forse senza il missile che giovedì scorso ha abbattuto il volo MH-17 della Malaysian Airlines uccidendo 283 passeggeri e 15 membri dell’equipaggio pochi si sarebbero ricordati che in Ucraina continua una “strana e poco mediatica guerra” che indipendentemente dalla ragioni (poche) e dai torti (tanti) che caratterizzano ogni guerra e le sue parti in causa, per Amnesty Internationalè sicuramente accompagnata negli ultimi tre mesi da un numero sempre più grande di rapimenti, pestaggi e altre torture inflitte a numerosi attivisti, manifestanti e giornalisti. Un nuovo rapporto dell’ong uscito lo scorso 11 luglio e dal titolo Rapimenti e torture in Ucraina orientale (.pdf) descrive, infatti, i risultati di una missione di ricerca a Kiev e nell’Ucraina sud-orientale che nelle ultime settimane ha raccolto e documentato con prove chiare e convincenti i rapimenti e le torture perpetrate da gruppi armati sia separatisti, che delle forze pro-Kiev.
“Con centinaia di rapiti negli ultimi tre mesi, è giunto il momento di fare il punto su quanto è successo in Ucraina, e fermare questa pratica aberrante in corso” - ha dichiaratoDenis Krivosheev, vicedirettore di Amnesty International per l'Europa e l’Asia centrale - La maggior parte dei rapimenti è stata perpetrata dai separatisti armati, con le vittime spesso sottoposte a pestaggi rivoltanti e torture. Ma vi sono prove di abusi anche da parte delle forze pro-Kiev”. Non esistono dati completi o affidabili sul numero di rapimenti, ma il ministero dell’Interno ucraino, sicuramente di parte, ha riferito circa 500 casi tra aprile e giugno 2014, mentre la forse più obiettiva missione delle Nazioni Unite di monitoraggio dei diritti umani per l’Ucraina ne ha registrati 222 solo negli ultimi tre mesi in tutta l'Ucraina orientale e nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Amnesty International ha incontrato anche vari gruppi di auto-aiuto che hanno raccolto dettagli sul numero crescente di rapimenti: “Al gruppo di ricerca è stato fornita una lista di oltre 100 civili che sono stati fatti prigionieri. Nella maggior parte dei casi sono emerse accuse di tortura” ha spiegato Amnesty.
Tra coloro che sono stati presi di mira dalle forze in campo figurano non solo la polizia, le forze armate e i funzionari locali, ma anche giornalisti, politici, attivisti, membri delle commissioni elettorali e uomini d’affari. “Ora che le forze pro-Kiev stanno ristabilendo il controllo su Slavyansk, Kramatorsk e vari altri luoghi nell'Ucraina orientale, quasi quotidianamente vengono rilasciati nuovi prigionieri e cresce il numero di casi inquietanti. È ora che questi siano meticolosamente documentati, i responsabili siano consegnati alla giustizia e le vittime risarcite”, ha affermato Krivosheev. Hanna, un’attivista pro-ucraina, ha raccontato ad Amnesty International come è stata rapita da uomini armati nella città orientale di Donetsk il 27 maggio. È stata trattenuta per sei giorni prima di essere liberata con uno scambio di prigionieri. “Mi hanno fracassato il viso, lui mi ha dato un pugno in faccia, ha cercato di colpirmi ovunque, mi coprivo con le mani ... ero rannicchiata in un angolo, raggomitolata con le mie mani intorno alle ginocchia. Era arrabbiato perché stavo cercando di proteggermi. È uscito ed è tornato con un coltello”. Hanna ha anche raccontato che chi la interrogava le ha fatto scrivere uno slogan separatista sul muro, con il suo stesso sangue.
Mentre la maggior parte dei rapimenti sembrano avere una motivazione “politica” molte persone sono state rapite anche a scopo di riscatto o per intimidire la popolazione. Sasha, un attivista diciannovenne pro-ucraino, è arrivato a Kiev dopo essere stato rapito dai separatisti sotto la minaccia delle armi a Luhansk. Ha detto di essere stato picchiato ripetutamente per 24 ore: “Mi hanno picchiato con i pugni, con una sedia, con tutto quello che riuscivano a trovare. Mi hanno spento sigarette sulla gamba e mi hanno dato scariche elettriche. È andato avanti per così tanto tempo. Non sentivo più niente, sono solo svenuto”, ha raccontato ad Amnesty. È stato alla fine rilasciato dopo che suo padre ha pagato un riscatto di 60.000 dollari.
Ma questa guerra civile non può essere riassunta con la ridicola semplificazione dei buoni contro i cattivi anche se nel rapporto di Amnesty sono una minoranza le storie e le informazioni sui rapimenti compiuti dall'esercito regolare, dalla polizia e, soprattutto, dai gruppi paramilitari nazisti che affiancano (se non addirittura sostituiscono) le forze armate ufficiali nelle operazioni di guerra. Eppure mentre la maggioranza delle accuse di rapimento e tortura è mossa, guarda a caso dal Governo Ucraino, contro i gruppi di separatisti pro-russi, anche le forze pro-Kiev, inclusi i gruppi di autodifesa, sono implicati nel maltrattamento e nella sparizione dei prigionieri. Il gruppo di ricerca di Amnesty International ha viaggiato da Kiev al porto sud-orientale di Mariupol oggi sotto il controllo ucraino. Qui un ragazzo di 16 anni, Vladislav Aleksandrovich è stato rapito dopo aver postato i video di brutali operazioni di polizia contro la popolazione russofona di Mariupol il 25 giugno scorso. In un video pubblicato dopo il suo rilascio il 27 giugno, Vladislav appare seduto dietro un uomo con il volto coperto e in uniforme mimetica. L’uomo aveva una mano sulla testa di Vladislav e sta minacciando lui e “tutti gli altri che mettono in pericolo l’unità dell’Ucraina con rappresaglie”. In una successiva intervista video, Vladislav sostiene di essere stato torturato, colpito con il calcio del fucile nella schiena, preso a pugni e costretto a scrivere una “dichiarazione al popolo ucraino” e a gridare “slogan nazionalisti pro-ucraini”. Stranamente a Mariupol “né la polizia né l’esercito ucraini sono stati visti in alcun posto durante la nostra visita. C’era un vuoto totale di autorità e sicurezza, con la paura di rappresaglie, rapimenti e tortura pervasiva tra la gente del posto”, ha evidenziato Krivosheev.
Amnesty International chiede adesso al Governo ucraino di creare "un unico e regolarmente aggiornato registro dei casi di rapimento e di indagare in maniera esauriente e imparziale ogni accusa di uso illegale della forza". “È riprovevole, stiamo assistendo ad una escalation di rapimenti e torture in Ucraina. Tutti gli attori di questo conflitto armato devono liberare immediatamente e incondizionatamente tutti i prigionieri ancora detenuti in violazione di legge, e garantire che fino al loro rilascio siano protetti dalla tortura e da altri maltrattamenti” ha concluso Krivosheev. Una richiesta legittima, ma che sembra destinata a cadere nel vuoto del tutti contro tutti che sta distruggendo l’Ucraina, soprattutto quando la richiesta è fatta ad un Governo che fino ad oggi si è reso complice di massacri come quello premeditato del “rogo della Casa dei Sindacati” a Odessa il 2 maggio scorso e che alcune fonti descrivono intento nella costruzione di strani “campi per immigrati” con soldi dell’Unione Europea forse destinati alla popolazione russa. Intanto l’operazione “anti terrorismo” va avanti per ordine di Kiev con continui bombardamenti sui quartieri residenziali di Lugansk e Donetsk che in un solo giorno, la settimana scorsa, hanno provocato ventotto civili morti. Ed è legittimo chiedersi: è questa l’Ucraina che sogniamo, al punto da volerla in Europa ed è questo il prezzo che vogliamo pagare per l’energia di domani? La risposta è no. Anche se “ce lo dovesse chiedere l’Europa”!
L’esercito ucraino riprende il controllo
dell’aeroporto di Luhansk
Internazionale - 14 luglio 2014
Separatisti filorussi a Donetsk, il 10 luglio 2014. (Maxim Zmeyev, Reuters/Contrasto)
Continuano i combattimenti tra i separatisti filorussi e l’esercito ucraino a Luhansk, nell’est dell’Ucraina. Il 13 luglio almeno 15 civili sono morti nella città e nella vicina regione di Donetsk. Il quotidiano locale Ukrayinska Pravda afferma che la mattina del 14 luglio le forze ucraine hanno ripreso il controllo dell’aeroporto di Luhansk, occupato da settimane dai ribelli filorussi.
La tensione tra i due paesi è salita nuovamente dopo che la Russia ha denunciato un attacco contro il suo territorio. Secondo Mosca, il 13 luglio un proiettile sparato dall’esercito ucraino ha colpito due abitazioni vicino al confine orientale, uccidendo un cittadino russo e ferendo due donne. Il Cremlino ha detto che ci saranno conseguenze “irreversibili” e ha definito l’incidente “un atto aggressivo contro la sovranità territoriale russa”. L’esercito ucraino ha negato di aver aperto il fuoco contro il territorio russo.
Kiev chiede nuove sanzioni. A sua volta, il presidente ucraino Petro Porošenko, durante una telefonata con il presidente del consiglio europeo Herman van Rompuy, ha accusato le forze russe di aver superato il confine e di aver attaccato un soldato ucraino. Porošenko ha chiesto all’Europa di approvare nuove sanzioni contro la Russia.
I separatisti filorussi combattono contro il governo di Kiev da aprile, quando hanno dichiarato l’indipendenza delle regioni di Luhansk e di Donetsk. Il 5 luglio l’esercito ucraino ha ripreso il controllo di Sloviansk. Centinaia di separatisti a quel punto si sono ritirati a Donetsk, occupando la città.
Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 una serie di crisi e scontri armati ha portato alla secessione della Crimea e a una rivolta nell’est dell’Ucraina, guidata da milizie filorusse che chiedono l’annessione a Mosca. Secondo l’Onu, dalla metà di aprile più di 420 persone sono morte nei combattimenti tra i ribelli filorussi e l’esercito ucraino.
Continuano i combattimenti nell’est dell’Ucraina,
almeno tre morti
Internazionale - 10 luglio 2014
Il villaggio di Semenovka, nell’est dell’Ucraina, distrutto da un bombardamento, il 9 luglio del 2014. (Gleb Garanich, Reuters/Contrasto)
Una colonna di blindati dell’esercito ucraino si dirige verso Donetsk, la città dell’Ucraina orientale che è ancora controllata dai separatisti filorussi. L’esercito si trova 23 chilometri a sud della città secondo quanto riportato dalla France-Presse. L’esercito ucraino continua a guadagnare posizioni sui filorussi, ha ripreso il controllo di Mariupol senza combattimenti.
Nelle ultime 24 ore sono stati uccisi tre soldati ucraini nei combattimenti con le milizie filorusse e 27 sono stati feriti. Secondo l’esercito ucraino due soldati sono morti a causa dell’esplosione di una mina a Donetsk. Un altro soldato è stato ucciso a Luhansk.
La Francia e la Germania hanno chiesto al presidente ucraino Petro Porošenko di trovare in tempi rapidi una soluzione alla crisi nel paese. Porošenko ha promesso un contenimento della violenza, ma ha accusato la Russia di fornire armi ai separatisti.
L’Unione europea ha deciso di aggiungere altri 11 nomi alla lista delle persone da sanzionare in relazione al conflitto in Ucraina.
Ucraina non proroga il cessate il fuoco.
Piano di pace resta in vigore
Lo ha annunciato il presidente Petro Poroshenko
Ansa - 01 luglio 2014
L'Ucraina non prorogherà il cessate il fuoco con i separatisti dell'est del paese. Lo ha annunciato il presidente Petro Poroshenko nella notte fra lunedì e martedì. "Il nostro piano di pace, come la strategia per l'Ucraina e il Donbass, resta in vigore''.
"Dopo aver esaminato la situazione, ho deciso, come comandante in capo delle forze armate, di non prorogare il regime di cessate il fuoco unilaterale", ha detto Poroshenko in un messaggio alla nazione il cui testo è stato diffuso dalla presidenza. "Noi attaccheremo" i separatisti che controllano da due mesi una gran parte delle regioni di Donetsk e Lugansk, ha proseguito il presidente. "Il nostro piano di pace, come la strategia per l'Ucraina e il Donbass, resta in vigore", ha aggiunto Poroshenko - e noi siamo ugualmente pronti a tornare al regime di cessate il fuoco in qualunque momento. Quando noi vedremo che tutte le parti si attengono ad applicare i punti essenziali di questo piano di pace... Che i combattenti liberino gli ostaggi. E che, dall'altra parte della frontiera (dalla parte russa, n.d.r.), si accenda un semaforo rosso per i sabotatori e i fornitori di armi. E che il rispetto delle regole alla frontiera sia sorvegliato dall'Osce".
L'annuncio del presidente arriva qualche ora dopo una conversazione telefonica a quattro fra Poroshenko, i presidenti russo e francese e la cancelliera tedesca, nella quale si era cercato di spingere Kiev a prorogare il cessate il fuoco, scaduto lunedì alle 19.
Ucciso giornalista tv russa - Un giornalista della principale rete tv pubblica russa, Perviy Kanal, è rimasto ucciso da proiettili nell'est dell'Ucraina. Anatoli Klian, 68 anni, che da 40 anni lavorava per la tv russa, fa sapere il sito dell'emittente, insieme a un gruppo di giornalisti russi stava seguendo a bordo di un pullman i filorussi dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk che si accingevano a incontrare le madri di alcuni soldati venute a supplicare che i loro figli potessero lasciare la zona. Secondo la tv, i colpi che hanno ferito a morte Klian sono partiti dai militari ucraini. Sulla vicenda ha aperto un'inchiesta il Comitato investigativo russo ha aperto un'inchiesta. Ma intanto Mosca punta il dito contro il governo ucraino. "La morte del giornalista russo - si legge in una nota del ministero degli Esteri di Mosca - è un'altra prova convincente che le autorità ucraine non vogliono una de-escalation del conflitto armato e stanno interrompendo la fragile tregua".
Kiev, decideremo entro le 22 se prolungare tregua - Il governo di Kiev deciderà se prolungare o meno il fragile cessate il fuoco tra le truppe ucraine e i separatisti entro le 22 di stasera (le 21 in Italia), quando scade la tregua. Lo ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza ucraino, Andri Lisenko, citato dall'agenzia Interfax. Intanto, il portavoce delle truppe di Kiev, Oleksi Dmitrashkovsk, fa sapere che un soldato ucraino è morto e altri otto sono rimasti feriti in diversi combattimenti con i miliziani separatisti nell'est dell'Ucraina. Loi. Uno dei feriti, che si trovava a bordo di un blindato finito sopra una mina, è in gravi condizioni. Da parte sua il ministro della Difesa dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Igor Strelkov, denuncia il ferimento di tre separatisti in uno scontro tra Nikolaievka e Nikiforovka: uno è grave. Mentre i miliziani separatisti si sono impadroniti ieri di una base militare antiaerea nella regione di Donetsk. Il portavoce delle truppe ucraine, Oleksi Dmitrashkovski, ha confermato alla testata online Ukrainska Pravda che i miliziani hanno preso parzialmente il controllo di una unità di difesa aerea "in un attacco attentamente pianificato" facendo diversi prigionieri
Putin fa revocare la concessione
di impiego dei militari in Ucraina.
E in Austria firma per il South Stream
notiziegeopolitiche.net di Guido Keller - 25 giugno 2014
Nonostante il cessate il fuoco annunciato dal premier dell’autoproclamata “Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Borodai, i separatisti hanno compiuto due attacchi ad altrettanti posti di blocco dei militari situati tra Sloviansk e Krasni Liman e tra Severodonetsk e Starobelsk, per altro senza provocare vittime. Ne ha dato notizia il portavoce delle forze ucraine a est, Vladislav Selezniov ed è segno che la tensione rimane altissima; d’altronde gli insorti hanno riportato che solo poche ore prima le truppe di Kiev hanno aperto il fuoco con colpi di artiglieria contro postazioni dei filo-russi nei pressi di Semenivka, come pure l’agenzia ufficiale russa Itar-Tass ha riportato di spari nella notte da parte dell’esercito ucraino nei dintorni del villaggio di Privolie, vicino Lisichansk, dove sarebbe rimasta uccisa una donna. Sarebbero tuttavia assai più numerosi da entrambe le parti i casi di infrazione della tregua.
Sul fronte politico-diplomatico c’è da registrare l’importante novità dell’iniziativa del presidente russo, Vladimir Putin, di chiedere al Senato la revoca della concessione della possibilità di utilizzare le truppe di Mosca nel territorio ucraino, un segnale importantissimo che va nella direzione di un sostegno al piano di mediazione proposto dal collega ucraino Petro Porosheno: esso si sviluppa su 14 punti che prevedono, tra l’altro, il disarmo, un’amnistia per i reati non comportanti l’omicidio e la tortura, il riconoscimento delle autonomie locali, la tutela della lingua russa e un salvacondotto per il rientro dei mercenari in Russia.
Punto irrinunciabile per il presidente russo rimane il coinvolgimento delle rappresentanze degli insorti nelle trattative di pace, ipotesi alla quale Poroshenko si è detto due giorni fa possibilista.
La notizia dell’iniziativa di Putin presso il Senato è stata accolta con soddisfazione dall’Unione europea e da Washington, dove il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha comunicato che “Salutiamo davvero ogni iniziativa russa per mettere termine alla crisi ucraina, in particolare la decisione del presidente Putin di chiedere alla Duma di revocare la risoluzione che dà autorizzazione alle forze russe di intervenire in Ucraina”. “Allo stesso modo – ha continuato – salutiamo l’accordo dei separatisti per un cessate-il-fuoco e chiediamo che lo rispettino. E sosteniamo anche in ogni punto le dichiarazioni del presidente Putin sull’importanza di un simile accordo”.
Earnest si è comunque fatto latore dell’ammonizione della Casa Bianca: “Detto ciò, se nei prossimi giorni queste parole non sono seguite da azioni, ci saranno problemi”, ovvero nuove sanzioni.
La strategia della tensione nelle regioni orientali dell’Ucraina ha permesso a Putin di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica sulla Crimea, la penisola annessa unilateralmente alla Russia e che ospita la Flotta del Mar Nero: sebbene lo stesso Poroshenko avesse detto non appena eletto che con la sua presidenza la Crimea sarebbe ritornata all’Ucraina, il Cremlino rimane irremovibile sulla non restituzione al legittimo proprietario, anche perché rappresenta una sorta di compensazione sulla mancata adesione di Kiev all’Unione Doganale e ai molti debiti che l’Ucraina ha con le banche russe.
Volendo ben guardare il passaggio della Crimea alla Russia converrebbe a tutti: alla Russia, all’Ucraina, che così potrebbe dirigersi verso Bruxelles come chiedevano i manifestanti di Piazza Maidan, e all’Unione Europea, che porrebbe un ulteriore freno all’espansionismo economico russo e chiuderebbe una volta per tutte la questione del Kosovo.
Dopo aver chiesto al Senato la revoca della concessione, Putin è volato a Vienna dove ha potuto sottoscrivere proprio grazie alla sua ritrovata veste di uomo di pace l’accordo per la costruzione del tratto austriaco del gasdotto South Stream.
Il modus operandi di Putin ha tuttavia avuto dei costi: come ha spiegato il vicesegretario dell’Ufficio per Diritti dell’Uomo presso l’Onu, Ivan Simonovic, sono infatti 423 i morti tra civili e militari in due mesi di scontri, mentre il numero degli sfollati in Ucraina “è raddoppiato da due settimane, con un vasto movimento di popolazione, circa 15.200 individui, nelle regioni di Donetsk e Louhansk”. In totale, al 23 giugno, l’Alto Commissariato Onu ai rifugiati ha recensito 46.100 sfollati, di cui 11.500 provenienti dalla Crimea e circa 34.600 dall’est dell’Ucraina, ma “le cifre reali sono verosimilmente più elevate”.
Ucraina. Putin schiera le truppe
lungo il confine: è strategia
della tensione, per tenersi la Crimea
notiziegeopolitiche.net di Enrico Oliari - 21 giugno 2014
Non appena è sembrato che il presidente ucraino Petro Poroshenko fosse riuscito a trovare la quadratura del cerchio per riportare stabilità nelle regioni ribelli, è giunta la notizia dal Pentagono che Mosca ha ordinato nuovamente il dislocamento di 65mila unità militari presso il confine ucraino, supportate da pezzi di artiglieria pesante, da carri armati e dall’aviazione.
La decisione improvvisa di Mosca arriva dopo che solo ieri Poroshenko, che si è sentito al telefono con Vladimir Putin, ha presentato una road map di 14 punti che prevede il cessate il fuoco unilaterale, l’amnistia per i reati meno gravi, il salvacondotto per i mercenari arrivati dal Caucaso e la concessione di maggiore autonomia a Donetsk, Lugansk e Kakriv. Addirittura il governo di Kiev ha denunciato l’ingresso in territorio ucraino di tank russi, ma questa notizia non è stata confermata da parte americana.
Di certo vi è che i militari russi continuano ad addestrare i miliziani ribelli oltreconfine, come pure i mercenari ceceni filo-russi, e armi passano ancora la frontiera con lo stratagemma che non sarebbero più in dotazione all’esercito russo, ma a quello ucraino.
Addirittura in Ucraina sarebbe stato trasferito un sistema lanciamissili già in dotazione alle forze russe in Cecenia.
Come in passato, Mosca respinge le accuse di dislocamento dei militari lungo il confine, sostenendo che si tratterebbe di reparti stanziati unicamente per proteggere il territorio russo dai disordini nelle regioni orientali ucraine.
Più preciso il ministro degli Esteri Serghei Shoigu, il quale ha comunicato che sono state messe “in allerta combattimento” le truppe del Distretto militare centrale per un test che durerà dal 21 al 28 giugno.
Inoltre con una nota il Cremlino ha bocciato la road map proposta da Poroshenko, affermando che “il cessate il fuoco sembra piuttosto un ultimatum” e manca ancora “l’elemento chiave”, ovvero la partecipazione dei separatisti ai negoziati di pace.
Obama, Merkel e Hollande, che si sono sentiti al telefono, hanno chiesto alla Russia di ritirare le sue forze dalla frontiera, di fermare il flusso di armi e di fare pressioni sui separatisti perché rinuncino alla violenza; nel caso la Mosca non compia passi ”concreti e immediati” per ridurre le tensioni nell’Ucraina orientale, “gli Usa e l’Unione europea adotterebbero ulteriori misure per imporre costi alla Russia”.
Contestualmente il ministro degli Esteri Serghei Lavrov si è sentito con il collega ucraino Pavlo Klimkin: il ministero degli Esteri di Mosca ha fatto sapere che per Lavrov “è importante arrivare al più presto a una de-escalation del conflitto e garantire la sicurezza dei cittadini ucraini”.
Appare tuttavia evidente che nei propositi di Putin vi sia quello di mantenere alta la tensione per rendere definitiva l’annessione della Crimea, dove la Russia ha la base della Flotta del Mar Nero: al suo insediamento, Poroshenko aveva affermato infatti che la penisola sarebbe dovuta tornare all’Ucraina, ma il presidente russo ha tutta intenzione di far pagare cara a Kiev la decisione di aderire all’Unione europea e non all’Unione doganale da lui ideata.
Intanto i militari di Kiev hanno ripreso il controllo di due villaggi vicino a Sloviansk, Iampil e Kirovsk; nell’operazione hanno perso la vita 12 militari e una guardia nazionale. Lo ha comunicato il portavoce del centro d’informazioni del Consiglio di Sicurezza e Difesa ucraino, Volodimir Cepovoi, il quale ha anche detto che nei combattimenti sarebbero morti circa 300 miliziani separatisti.
Il presidente ucraino Porošenko
presenta il piano di pace
Internazionale - 20 giugno 2014
Petro Porošenko a Kiev, il 19 giugno 2014. (Sergei Supinsky, Afp)
Il presidente ucraino Petro Porošenko ha ufficializzato un piano di pace in quattordici punti per mettere fine alla crisi nell’est del paese. L’annuncio è arrivato dopo un colloquio telefonico tra Porošenko e il presidente russo Vladimir Putin.
Secondo le prime anticipazioni, diffuse dalla televisione ucraina Inter Tv, il piano prevede il disarmo immediato nell’est dell’Ucraina, una zona occupata da alcuni mesi dai separatisti filorussi, e promette “una decentralizzazione del potere per la tutela della lingua russa” con una riforma costituzionale. Il progetto introduce anche l’amnistia per i separatisti filorussi che hanno commesso “gravi reati” e fornisce “un corridoio garantito” ai ribelli filorussi e ai mercenari ucraini per lasciare le zone del conflitto. Tra i 14 punti per ora non sembra esserci il cessate il fuoco unilaterale annunciato dal presidente Porošenko il 18 giugno.
Il piano di pace prevede anche la fine dell’occupazione illegale delle sedi del governo locale nelle province di Donetsk e Luhansk, la liberazione degli ostaggi e la creazione di una “zona cuscinetto” di 10 chilometri alla frontiera tra l’Ucraina e la Russia.
Nei prossimi mesi saranno inoltre organizzate delle elezioni locali e sarà creato un programma di incentivi all’occupazione.
Il patto con l’Europa. Il 19 giugno il presidente ucraino Petro Porošenko ha annunciato che il 27 giugno firmerà l’accordo di associazione con l’Unione europea. Una prima parte del patto, quella più strettamente politica, era stata firmata il 21 marzo a Bruxelles dal primo ministro ad interim ucraino Arsenij Jatsenjuk. Ma il testo era solo una parte del documento finale.
Nel frattempo continuano gli scontri nell’est del paese. Dal 19 giugno a Krasny Liman e Yampil, nella regione di Donetsk, i separatisti filorussi combattono contro l’esercito ucraino. Un generale dei separatisti, citato dalla Reuters, ha detto che le sue truppe hanno subito “pesanti perdite”.
Fuori controllo. Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 una serie di crisi e scontri armati ha portato alla secessione della Crimea e a una rivolta nell’est dell’Ucraina, guidata da milizie filorusse che chiedono l’annessione a Mosca. Il governo ucraino negli ultimi mesi ha perso il controllo di questa parte del paese. L’11 maggio nella regione di Donetsk, in quella di Luhansk e in altre vicino al confine orientale si è tenuto un referendum sull’indipendenza, non riconosciuto dal governo di Kiev e dall’occidente. La maggior parte dei votanti si è espressa a favore dell’indipendenza.
Pravy Sektor: birra e rivoluzione
balcanicaucaso.org di Danilo Elia - 18 giugno 2014
Il Pravy Sektor è la formazione più estremista della destra ucraina. Al suo interno ci sono formazioni paramilitari che hanno svolto un ruolo di primo piano nelle manifestazioni di Kiev. Ora che l’Ucraina ha un nuovo presidente, e che Euromaidan ha smontato le tende, molti suoi componenti si sentono orfani della rivoluzione
Oleg non dice mai di no a un goccetto. Passa le sue giornate alla sede del Pravy Sektor di Leopoli. Non si nascondono. La loro sede è nel cuore storico di Leopoli , con vista sulla chiesa barocca della Trasfigurazione e a un passo dalla ploša Rynok, affollata di turisti. Oleg siede a uno dei tavoli all’aperto. Beve e fuma, e guarda il passeggio. Ogni tanto fa qualche commento pesante su una ragazza che ci passa davanti, ride mostrando il vuoto tra un canino e un molare, e ingolla un altro sonoro sorso di birra. “Ti sembriamo tipi pericolosi? Nazisti che ammazzano la gente?”
Eccoli quelli del Pravy Sektor, in una soleggiata giornata di primavera tra gli stucchi cadenti di Leopoli, lontano dalla Maidan messa a ferro e fuoco tra dicembre e febbraio. All’interno della sede le pareti sono ricoperte di cimeli dalla battaglia: uno scudo ammaccato, mazze e molotov, una bandiera rossonera, messi lì come un altare. E poi foto di Kiev in quei giorni. Un ragazzino le sta spostando, un uomo con gli occhi trasparenti gli dà ordini scontroso. “Non c’è bisogno di gridare”, lui grida ancora più forte. Litigano, il ragazzino sbatte tutto e va fuori. L’uomo dagli occhi trasparenti è un capo, ma ha voglia di parlare.
Le foto mostrano con orgoglio membri del Pravy Sektor nel pieno della battaglia. Passamontagna e maschere antigas, fiamme e colonne di fumo nero, sangue. Sono immagini forti, che stridono con gli ideali liberali. Le molotov non vanno d’accordo con la democrazia. Eppure qui trasmettono un messaggio positivo. Dire di essere stati sulla Maidan, sulle barricate, vale una medaglia sul petto. “Anch’io ci sono stato, certo”, dice Oleg. “Da gennaio a marzo. Mi sono preso le mie bastonate, e ne ho date pure un bel po’. Ero in prima linea, come gli altri di qui”. Eppure degli oltre cento morti di Euromaidan nessuno faceva parte del Pravy Sektor. Com’è possibile se – come dicono – costituivano l’ossatura della prima linea? “Che c’entra? C’erano migliaia di persone nella Maidan. I cecchini della polizia hanno sparato sulla folla. Sarà stato un caso”.
Il giusto peso del Pravy Sektor
La prima volta che ho rivolto la parola a Oleg, l’uomo dagli occhi trasparenti gli ha abbaiato contro di non parlare con i giornalisti. Un po’ di birra però ha aiutato a sciogliergli la lingua. Oleg indossa una tuta mimetica e degli anfibi, un po’ l’uniforme del Pravy Sektor. Qualcuno ha la testa rasata, qualcun altro porta i capelli lunghi. Sono per lo più giovani o giovanissimi senza parte in commedia, a volte veri perdigiorno, i più pericolosi. Molti di loro hanno trovato nei giorni di Euromaidan una ragione e un senso, o anche l’illusione di aver qualcosa da fare. Il Pravy Sektor stesso è nato sulle barricate di Euromaidan, riunendo sotto un’unica bandiera una galassia di formazioni di estrema destra e accogliendo al proprio interno l’Unso, un’organizzazione paramilitare che continua a esistere con una identità distinta. E subito ha dato una svolta alla protesta, spingendo per l’occupazione dei palazzi pubblici, per la linea intransigente col governo e adottando metodi da guerriglia urbana contro la polizia. È difficile da casa nostra dare il giusto peso al ruolo del Pravy Sektor durante e dopo Euromaidan. Ma lo è altrettanto osservando dal di dentro la realtà ucraina. La sua presenza non è vista di cattivo occhio da chi ha sostenuto la rivoluzione, né è percepita come una pericolosa deriva estremista. Anzi, è vista da molti con benevolenza. Eppure il suo leader Dmytro Jaroš ha preso solo lo 0,7% dei voti alle elezioni presidenziali del 25 maggio. E la percentuale qui a Leopoli è stata uguale a quella nazionale, meno che a Kiev.
I biglietti da visita di Jaroš
Quando sono arrivato, Bogdan – un ragazzo con i capelli alla cosacca, un taglio di gran moda a Leopoli tra i giovani tatuati – mi ha accolto con un sorriso e un biglietto da visita rossonero col tridente. Quella dei biglietti da visita è una storia a parte. Alla fine di aprile la TV russa Life news, molto attiva nella propaganda anti Euromaidan, diffuse delle immagini di un biglietto da visita di Jaroš ritrovato sul luogo di uno scontro tra separatisti ed esercito di Kiev, vicino Slavjansk. In quell’occasione erano morte tre persone, e il cartoncino colorato col nome di Jaroš fu usato dalla propaganda russa come prova del coinvolgimento dell’organizzazione nell’est del paese. Il Pravy Sektor, e non solo, rispose con ironia inondando la rete con fotomontaggi del biglietto di Jaroš sui luoghi dei peggiori disastri, dall’affondamento del Titanic all’invasione degli alieni di Independence Day. Oggi molti negozi di souvenir a Leopoli hanno in vetrina un cartello: “Qui biglietti di Jaroš”.
Entra una famigliola, papà, mamma e due bimbi biondi. “È qui il Pravy Sektor?” Tutti e quattro indossano le vyšyvanka, le tradizionali camicie bianche con ricami colorati. Vengono da un villaggio qui vicino. “È interessante vedere queste foto. Vederle qui insieme a loro che hanno combattuto a Kiev”, dice il papà. “Questi ragazzi hanno rischiato la vita per il bene dell’Ucraina”. “Penso che senza di loro avremmo ancora Janukovič”, aggiunge la mamma. I bambini si fanno fotografare accanto a Bogdan, e il quadretto ricorda uno di quei manifesti della propaganda sovietica della Seconda guerra mondiale, col soldato e i bimbi biondi. Salutano, se ne vanno, “Gloria all’Ucraina, gloria agli eroi!”
Orfani di Euromaidan
Oleg scrocca un’altra birra. “Dicono che siamo razzisti, che odiamo i russi. La mia ragazza è russa, di Dnipropetrovsk. Dicono che siamo contro l’uso del russo, ma con lei non parlo ucraino”, e per dimostrarlo la chiama, me la passa. Lei parla un buon inglese, è a Dnipropetrovsk, sta lavorando come scrutatrice in un seggio. Ridò il telefono a Oleg, lui fa un po’ lo sbruffone. “Anche io ti amo piccola”, poi abbassa la voce. “No, non ho bevuto, davvero, ti dico che non ho bevuto”. Quando chiude, il boccale è già vuoto e tocca riempirlo di nuovo.
Dico che qui a Leopoli ho incontrato la comunità tatara fuggita dalla Crimea , e che è interessante che abbiano trovato ospitalità nella città del Pravy Sektor e di Svoboda. Fa un’espressione di disgusto. “Sì, il comune gli ha pure dato delle case. Dove li hai trovati?”. Dico che li ho incontrati durante la preghiera. “Hanno pure una moschea?”. No, è solo una sala di preghiera. “Vabbè, comunque non mi interessa”. Non è un segreto che l’ideologia del Pravy Sektor sia contro un’Ucraina multietnica e multireligiosa, e Oleg non lo nega. “Il punto non è essere contro, ma avere chiaro cosa è giusto e cosa no. È giusto combattere per il proprio paese, è giusto volere il bene del proprio popolo. Non è giusto dare le case a questa gente quando tanti ucraini dormono nella stazione o per strada”.
Bogdan si viene a sedere insieme a noi e dice qualcosa sottovoce. Sulla soglia, l’uomo dagli occhi trasparenti ci osserva. Oleg manda giù tutt’insieme un grosso sorso e vuota un altro boccale. Non parla più. Cosa farà ora che è tornato da Kiev, che l’Ucraina ha un nuovo presidente e che gli elettori hanno relegato Jaroš a una percentuale di voti minima? “Noi continuiamo a stare qui, a difendere il nostro paese e, se serve, a tornare alla Maidan. Che ne dici di un’altra birra?”
Pravy Sektor, Leopoli - foto D.Elia
Ucraina. Pomarov pronto ad amnistia e
cessate il fuoco unilaterale. Attentato al gasdotto
notiziegeopolitiche.net di Guido Keller - 18 giugno 2014
Dopo settimane di attacchi, con centinaia di morti, ai “terroristi” filo-russi delle regioni dell’Est, il neo-presidente ucraino Petro Poroshenko ha dichiarato oggi la sua disponibilità a “cessare il fuoco in maniera unilaterale”, in modo da far rientrare la crisi: “Il piano parte col mio ordine di cessare il fuoco in modo unilaterale – ha spiegato Poroshenko – . Ci aspettiamo in tempi brevi di ottenere il sostegno al piano da parte di tutti i partecipanti agli avvenimenti nel Donbass”. Non solo: il presidente si è detto disposto a “offrire un’amnistia a coloro che depongono le armi” e un “corridoio ai mercenari per lasciare il paese”, con allusione vari militanti delle diverse organizzazioni che sono arrivati dal confine russo, in particolare ceceni filo-russi.
Di certo Poroshenko si è sentito al telefono con il collega russo Vladimir Putin dopo che un colpo di mortaio ha ucciso il reporter della tv pubblica russa Rossyia 24 Igor Korneliuk e l’operatore video che era con lui, Anton Voloshin, per cui già ieri sera anche il Cremlino ha comunicato la “preoccupazione del presidente” e il suo auspicio per un cessate il fuoco.
D’altronde Putin, a cui interessava la Crimea (dove ha base la Flotta del Mar Nero) anche come risarcimento per i debiti e soprattutto per la mancata adesione dell’Ucraina all’Unione Doganale, ha da tempo rinunciato alla strategia della tensione volta al consolidamento dell’annessione della penisola, proprio togliendo il suo appoggio ai miliziani insorti a Kharkiv, Donetsh e Lugansk.
E’ stato invece un attentato dinamitardo a colpire nella regione di Poltava, nell’Ucraina centrale, uno dei gasdotti che portano il metano in Europa: a renderlo noto è stato il ministro dell’Interno ucraino Arsen Avakov, il quale già ieri sera ha puntato il dito contro Mosca parlando di “ennesimo tentativo della Russia di screditare l’Ucraina come partner nel settore del gas”, tant’è che il vice amministratore delegato della russa Gazprom, Vitali Markelov, aveva precedentemente avvertito che “ci saranno altri incidenti sul sistema dei gasdotti ucraino se Kiev non investe sulla sua manutenzione”.
Tuttavia di incidente non si è trattato, bensì di una bomba piazzata sotto un pilone di cemento del gasdotto “Urengoy-Uzhgorod-Pomary” che ha fatto scoppiare un gigantesco incendio con fiamme alte fino a 200 metri, fortunatamente senza causare vittime ne’ conseguenze sul flusso di gas verso l’Europa.
Probabile la matrice nazionalista ucraina, anche perché, non essendo Kiev riuscita a pagare le rimanenti forniture di gas pregresse (quasi 2 mld di dlr) alla Russia entro la scadenza del 16 giugno, è subentrato il regime di pagamento anticipato delle forniture di gas ed è saltato il compromesso proposto dalla Commissione europea, accettato da Kiev ma non da Mosca, di due diversi prezzi, ovvero di 300 dollari per 1000 metri cubi per l’estate e 385 dollari per l’inverno: la Gazprom ha rifiutato, esigendo il pagamento per le forniture pregresse e un prezzo futuro di 385 dollari, senza sconti estivi.
Per quanto in Europa si possa stare tranquilli in quanto Kiev è obbligata a far transitare il gas in base ad accordi contrattuali e comunque solo il 15 per cento del gas russo diretto in Europa passa per l’Ucraina (altri paesi hanno da tempo adottato un sistema di approvvigionamento misto: per l’Italia il maggior fornitore è l’Algeria (32%), quindi la Russia (28%), i Paesi Bassi (5,3%), la Norvegia (3,3%), la Libia (5,1%) e il 25,6% da altri paesi), nel paese dell’Est europeo si teme per il prossimo inverno, e di certo nessuno tollererà i furti di gas che vi sono stati negli anni passati.
UCRAINA. Accordo libero scambio Kiev-Ue:
Poroshenko, “ho già la penna in mano”
notiziegeopolitiche.net di Giacomo Dolzani - 8 giugno 2014
Non ha nessuna esitazione Petro Poroshenko, la sua marcia verso un’Ucraina sempre più vicina all’Unione Europea pare inarrestabile, soprattutto dopo i primi segni di cedimento del fronte russo davanti alla forza schieratagli contro (con un certo ritardo) dai paesi dell’Alleanza Atlantica.
Il neo presidente ucraino, eletto il 25 maggio scorso e succeduto al capo di stato ad interim Oleksandr Turčynov, si è infatti detto deciso a proseguire nel percorso, già cominciato, per il raggiungimento di un accordo di associazione e libero scambio tra il suo paese e Bruxelles, dichiarando di avere già “la penna in mano” ed essere pronto a firmare immediatamente la parte del trattato che regola i rapporti economici tra Kiev ed i paesi dell’Unione.
Già il 21 marzo scorso infatti, Arsenij Jacenjuk, Primo ministro ucraino, ne aveva ratificato la prima parte, riguardante le relazioni politiche, promettendo che il percorso d’intesa non sarebbe rimasto a metà e che il futuro della nazione è l’Occidente e non Mosca.
Secondo quanto affermato da Poroshenko nel suo discorso di insediamento, la firma definitiva del documento verrà apposta il 27 giugno prossimo, lo stesso giorno in cui a Bruxelles si terrà il vertice dell’Unione Europea.
Ucraina. Continuano i bombardamenti
e gli scontri a Slaviansk:
200 i morti fra ribelli filo-russi e civili
notiziegeopolitiche.netdi Guido Keller - 31 maggio 2014
Continuano i combattimenti nella parte orientale dell’Ucraina, dove i filo-russi resistono anche grazie all’ormai comprovato supporto di armi e di combattenti provenienti da fuori, come nel caso di ceceni antiseparatisti e di serbi.
Dopo l’abbattimento di ieri di un elicottero della Guardia nazionale di Kiev mentre sorvolava di Slaviansk, azione in cui sono rimasti uccisi 12 fra militari e militanti del Berkut (a bordo vi era anche un generale), sono ripresi nella notte i bombardamenti dell’artiglieria ucraina sulle postazioni dei ribelli della città.
L’agenzia russa Ria Novosti ha riportato che “il bombardamento ha causato vittime tra i civili” e i ribelli hanno accusato i militari di aver messo in atto una “vendetta per l’abbattimento dell’elicottero”.
In mattinata vi sono stati bombardamenti nella zona dell’aeroporto, per cui è in corso la fuga dei civili dalle zone interessate dai combattimenti; 175 bambini sono arrivati a Camp Artek, in Crimea, dove vi sono le colonie estive. Anche la Russia, per bocca del responsabile dei Diritti dell’infanzia, si è detta pronta ad accogliere bambini: nella sola Sloviansk ci sarebbero circa 20mila minori.
Secondo diverse fonti, ammonterebbe a 200 il numero dei morti degli ultimi 5 giorni, fra i quali alcuni civili e l’ex campione del mondo di kick-boxing, il 31enne Nikolay Leonov, che combatteva con gli insorti; non si hanno ancora notizie degli ispettori dei due team Osce sequestrati a Donetsk e a Slaviansk nei giorni scorsi.
Mentre il Cremlino, al quale interessava probabilmente solo la Crimea, sembra aver girato le spalle ai ribelli, per cui il Segretario di Stato Usa John Kerry ha confermato l’avvenuto ritiro delle truppe ammassate lungo il confine, da Washington è intervenuta la portavoce del dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, la quale ha ribadito che Kiev “ha la responsabilità di far rispettare la legge e mantenere l’ordine sul proprio territorio. Abbiamo visto tanti abusi da parte dei separatisti, compresi assassini, rapimenti e saccheggi. Alcuni sfortunati incidenti possono capitare in zona di guerra: raccomandiamo a Kiev di limitare i danni alla popolazione civile”.
La stampa russa ha dato molto risalto alle affermazioni di Psaki, in quanto Mosca definisce “crimini contro l’umanità” quelli che l’americana chiama “solo incidenti”
Elicottero Kiev abbattuto a Sloviansk
Secondo il presidente Turcinov i morti sono 14
Ansa - 29 maggio 2014
Quattordici persone sono rimaste uccise nell'abbattimento dell'elicottero militare ucraino vicino a Sloviansk: lo scrive la Bbc online citando il presidente ucraino ad interim Turcinov. Secondo fonti locali, ad abbattere l'elicottero sono stati i ribelli filorussi chel lo hanno colpito subito dopo che aveva trasportato un gruppo di soldati in una base militare.
Intanto fonti locali hanno riferito che davanti all'obitorio del principale ospedale della città sono allineate una trentina di bare di cittadini russi morti nella battaglia dell'aeroporto di Donetsk, Le bare verranno rimpatriate a bordo di camion che dovrebbero ripartire in giornata. Li riporteremo a casa, in Russia": ha detto il leader dei ribelli di Donetsk: "Erano volontari arrivati per aiutarci".
Stando a Interfax, inoltre i quattro osservatori Osce detenuti a Sloviansk potrebbero essere rilasciati già domani.
UCRAINA. Kiev lancia un nuovo ultimatum,
‘useremo armi di precisione’
Notizie Geopolitiche - 28 maggio 2014
Kiev ha lanciato oggi un nuovo ultimatum ai ribelli separatisti filo-russi dell’auto-proclamata “Repubblica Popolare di Donetsk”, riassumibile con il tiolo dell’agenzia Ria Novosti “Arrendersi o morire”: come ha affermato il portavoce del quartier generale delle truppe speciali ucraine impegnate nell’operazione, Vladislav Seleznyov, “Il comando dell’Operazione anti-terroristica ha garantito la sicurezza di quanti sono pronti a consegnare le loro armi”. Seleznyov ha spiegato che quello di oggi è il secondo invito lanciato agli insorti, i quali in precedenza lo hanno respinto. Ha poi aggiunto che se la situazione permarrà inalterata, i militari si vedranno costretti a sparare con armi di “alta precisione”.
Seleznyov ha smentito le notizie apparse sulla stampa di vittime civili dopo che le truppe ucraine hanno effettuato una serie di raid aerei contro l’aeroporto di della città, mentre il leader dei separatisti Denis Pushilin ha parlato di un centinaio di morti di cui la metà civili; secondo le fonti mediche le vittime sarebbero una trentina.
Dopo il sequestro di quattro osservatori Osce avvenuto ieri (un turco, un estone, un danese e uno svizzero), oggi manca all’appello un secondo gruppo di osservatori.
L’esercito ucraino ha ripreso
il controllo dell’aeroporto di Donetsk
Internazionale - 28 maggio 2014
Un separatista filorusso a Donetsk, il 27 maggio2014.
(Yannis Behrakis, Reuters/Contrasto)
Il ministro dell’interno ucraino ha detto che l’esercito ha ripreso il controllo dell’aeroporto di Donetsk, occupato dai separatisti filorussi il 26 maggio. Negli scontri sono morti più di 50 separatisti, scrive la Reuters. I filorussi parlano addirittura di 100 morti, ma la cifra non ha ancora ricevuto conferme ufficiali. Nel frattempo il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto la “fine immediata” delle operazioni militari ucraine nell’est del paese.
Alcune immagini degli scontri, pubblicate dall’Associated Press.
La nuova offensiva dell’esercito ucraino è arrivata due giorni dopo l’elezione del nuovo presidente Petro Porošenko, che ha vinto le elezioni del 25 maggio con il 54 per cento dei voti. Le votazioni, fissate dal governo ad interim, sono arrivate tre mesi dopo che le manifestazioni dei gruppi di Euromaidan a Kiev hanno portato all’allontanamento dell’ex presidente filorusso Viktor Janukovič, fuggito a Mosca il 22 febbraio, dopo il fallimento dell’accordo con l’opposizione.
Nel frattempo un prete cattolico polacco, padre Pawel Witek, è stato rapito a Donetsk. Lo ha confermato il ministro degli esteri polacco.
Il 27 maggio l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) ha detto di aver perso i contatti dal 26 maggio con quattro dei suoi osservatori inviati in Ucraina. Secondo la Bbc si tratta di quattro uomini: un turco, uno svizzero, un estone e un danese.
Il governo ucraino negli ultimi mesi ha perso il controllo della parte orientale del paese. L’11 maggio nella regione di Donetsk, in quella di Luhansk e in altre vicino al confine orientale si è tenuto un referendum sull’indipendenza, non riconosciuto dal governo di Kiev e dall’occidente e ispirato a quello che si è tenuto il 16 marzo in Crimea. La maggior parte dei votanti si è espressa a favore dell’indipendenza.
Sparatorie a scalo Donetsk
Ieri almeno 30 morti secondo fonti mediche
Ansa - 27 maggio 2014
E' di almeno 30 morti il bilancio dei violenti scontri di ieri a Donetsk: lo riferiscono fonti mediche nella città precisando che i cadaveri si trovano all'obitorio
Sono ripresi gli scontri attorno all'aeroporto di Donetsk, dopo il blitz di ieri delle forze ucraine contro i miliziani filorussi che lo avevano occupato. Colpi di armi automatiche e sporadiche esplosioni risuonano stamani nei pressi dello scalo. Lo riferiscono all'ANSA residenti nell'area. Secondo altre fonti, le forze ucraine avrebbero preso il controllo del ponte Putilovsky, a nord della città non distante dall'aeroporto. Il bilancio delle vittime di ieri negli scontri vicino alla stazione della città è di due morti e un bambino ferito.
Scontri armati si segnalano anche al confine russo-ucraino nella notte, dove le guardie di frontiera ucraina sostengono di aver intercettato una colonna di camion, pullmini e auto provenienti dalla Russia mentre entrava clandestinamente in Ucraina. Una parte del convoglio e' riuscito ad entrare dirigendosi verso Antratsit, ma due auto e un pullmino carichi di kalashnikov ed esplosivi sono stati bloccati e un guerrigliero e' rimasto gravemente ferito. Lo riferisce l'agenzia ucraina Unian
Nella notte l'agenzia russa Itar-Tass ha riferito di "almeno 24 uccisi" in un attacco a un camion che trasportava miliziani separatisti feriti a Donetsk. Il governatore dell'autoproclamata Repubblica popolare, Pavel Gubarev, afferma invece che i morti sono 35. La notizia non è verificabile indipendentemente
Gli Usa sosterranno Poroshenko
Gli Stati Uniti sosterranno il futuro presidente dell'Ucraina nei suoi sforzi per costruire una Ucraina "unita". Lo ha detto il Segretario di Stato, John Kerry, commentando la vittoria di Petro Poroshenko. Washington, sottolinea Kerry, "è impegnata a lavorare con l'Ucraina e gli altri paesi per trovare una soluzione pacifica al conflitto".
Poroshenko, proseguire operazione militare a est
Non si ferma la violenza nell'est russofono all'indomani del trionfo alle presidenziali ucraine di Petro Poroshenko, il quale ha affermato di non aver intenzione di interrompere l'operazione militare contro i separatisti filorussi nelle regioni dell'Ucraina orientale di Donetsk e Lugansk. Secondo Poroshenko però l'operazione deve proseguire in un "nuovo formato", deve essere "più efficiente" e va "condotta nel periodo di tempo più breve" possibile. Il 're del cioccolato' ha quindi sottolineato che i militari ucraini devono essere armati ed equipaggiati meglio.
Klitschko, smantellare barricate Maidan
Le barricate di piazza Maidan, a Kiev, "hanno adempiuto la loro missione e devono essere smantellate" in modo da riaprire al traffico il centralissimo viale Khreshatik e far "gradualmente tornare la città a una vita normale". Lo ha detto il 'dottor Pugno di ferro' Vitali Klitschko, futuro sindaco di Kiev, secondo gli exit poll, dopo il voto di ieri
Lavrov, rispetteremo volonta' elettori
Mosca rispettera' la volonta' del popolo ucraino: lo ha detto oggi il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov commentando l'esito delle presidenziali ucraine di ieri vinte dal pragmatico oligarca Petro Poroshenko. Mosca e' pronta al dialogo con Kiev e con Petro Poroshenko - il candidato presidenziale in testa con oltre il 50% con il 61% dei voti scrutinati - ma senza mediatori esterni: é il messaggio indirizzato oggi all'Ucraina del dopo-voto dal ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov.
Ianukovich, rispetto scelta popolo
Il deposto presidente ucraino Viktor Ianukovich, commentando le presidenziali del suo Paese, ha annunciato oggi di "rispettare la scelta fatta dal popolo ucraino nei tempi piu' difficili per la nostra patria, indipendentemente dall'affluenza alle urne in diverse regioni e dalla scelta fatta".
Il trionfo di Poroshenko, "l'Ucraina è in Europa"
"Il mio primo viaggio nel Donbass separatista"
Ansa - 26 maggio 2014
Con poco più della metà delle schede scrutinate (50,26%), l'oligarca filo-occidentale Petro Poroshenko si conferma in grado di vincere al primo turno delle presidenziali ucraine di ieri, con il 53,86% dei voti. Immensamente distante Iulia Timoshenko, con il 13,1% dei suffragi. In terza posizione il controverso nazionalista radicale Oleg Liashko, con un inaspettato 8,48%. Se questi risultati saranno confermati, non ci sarà bisogno di ballottaggio.
Per averne conferma ed essere sicuri che il 15 giugno non ci sarà alcun ballottaggio bisognerà aspettare i risultati ufficiali, ma la missione sembra compiuta per Poroshenko, il quale in serata ha subito precisato che le sue priorità saranno "l'integrazione con l'Europa" e la "fine della guerra" nell'est separatista, dove ha intenzione di fare il suo "primo viaggio" da capo dello Stato. E proprio a est, nelle tormentate regioni di Donetsk e Lugansk, votare oggi è stato pressoché impossibile, perché i miliziani filorussi dell'autoproclamata 'Novorossiya' (Nuova Russia) hanno impedito l'apertura della maggior parte dei seggi elettorali.
Ribelli Donetsk impongono legge marziale
Le autorità dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk hanno imposto a partire da oggi la legge marziale in tutta la regione. Lo scopo, afferma il presidente del Consiglio Supremo separatista, è quello di "ripulire la regione dalle unità militari ucraine".
non tutti i voli cancellati a Donetsk
Non tutti i voli da Donetsk sono stati cancellati: uno in partenza per Kiev, alle 11, è stato posticipato alle 14, mentre sono ancora previsti quelli della sera, con destinazione Istanbul o altri scali internazionali.
L'aeroporto di Donetsk, nell'est dell'Ucraina, ha sospeso temporaneamente i voli da stamane dopo un blitz notturno di alcune decine di miliziani filorussi che hanno chiesto il ritiro dei militari ucraini preposti alla sorveglianza del perimetro interno dello scalo. Lo riferisce l'agenzia ucraina online Ostrov. Il portavoce dell'aeroporto di Donetsk, Dmitri Kosinov, ha confermato la sospensione dei voli dopo il blitz ma ha precisato che lo scalo ''non e' sotto il controllo della Repubblica popolare di Donetsk''. ''Il perimetro dell'aeroporto non e' stato violato, nelle zone sterili (quelle ad accesso controllato, ndr) non ci sono persone estranee'', ha aggiunto.
Riprende offensiva forze Kiev a Sloviansk, feriti
L'esercito ucraino ha ripreso all' alba l'attacco contro Sloviansk, roccaforte dei filorussi. Lo riferiscono miliziani locali a Interfax. "Si e' ripreso a sparare a Semionovka e un ospedale e' sotto il fuoco delle armi. I pazienti sono stati evacuati nei sotterranei", hanno detto. I militari ucraini continuano a usare anche l'artiglieria dal monte Karaciun, contro il villaggio di Andreevka (nella zona dove l'altro giorno è stato ucciso il fotografo italiano Andy Rocchelli) e contro Vostochny. Ci sono feriti tra i filorussi.
Tatari e musulmani ucraini
invitati alla jihad contro la Russia
notiziegeopolitiche.net di Giuliano Bifolchi - 22 maggio 2014
Abdul Karim Krymsky, vice emiro di Jaish al-Muhajireen wa al-Ansar (JMA) ha chiamato alla jihad i tatari della Crimea ed i musulmani ucraini contro il governo russo attraverso un video pubblicato lo scorso 13 maggio sul canale Youtube di Abkhar Sham (notizie della Siria), sito in lingua russa che promuove le attività di JMA.
Nel video (vedi in seguito) Abdul Karim Krymsky (tataro della Crimea) appare insieme a Salahuddin Shishani (il Ceceno), emiro di JMA, esortando i propri fratelli alla guerra santa ed invitandoli a venire in Siria per imbracciare le armi contro Bashar al-Assad; secondo il leader dei combattenti, attualmente i musulmani ed i tatari presenti in Crimea ed Ucraina hanno raggiunto un livello di umiliazione elevato percepibile soltanto una volta raggiunta la Siria luogo dove, dopo essersi uniti ai gruppi di combattenti jihadisti, possono veramente e liberamente professare la propria religione. Per coloro cui sia impossibile lasciare il proprio paese, continua Krymsky, la jihad dovrà essere compiuta all’interno del territorio nazionale e direzionata contro il governo russo accusato di aver annesso con la forza la Crimea. I musulmani in Ucraina quindi hanno il compito di seguire l’operato dei “fratelli” caucasici e l’esempio di Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso) nella loro lotta avviata contro Mosca.
JMA è un gruppo jihadista indipendente affiliato all’Emirato del Caucaso e comprendente centinaia di combattenti caucasici, russi e siriani; il gruppo è direttamente alleato con il fronte di al-Nusrah, ramo ufficiale di al-Qaeda in Siria. Durante il video Krimsky definisce JMA un gruppo jihadista facente parte della lotta globale dell’Islam contro coloro i quali opprimono i musulmani, come ad esempio Assad, giustificando quindi la propria presenza in Siria. Il link con l’Emirato del Caucaso viene ribadito diverse volte dal vice emiro e viene sottolineata la differenza con Islamic State of Iraq and Sham (ISIS), gruppo jihadista direttamente connesso con Umar Shishani il quale ha cercato diverse volte di ricollegarsi con Imarat Kavkaz anche dopo la morte di Doku Umarov.
Recentemente JMA ha rilasciato un video promozionale delle proprie attività in Siria focalizzando l’attenzione sull’offensiva Layramoun lanciata in Aleppo; il video di 21 minuti pubblicato sempre da Akhbar Sham, canale ufficiale media di JMA, è stato girato il giorno 11 maggio durante l’attacco perpetrato dai combattenti jihadisti contro le forze del regime di Assad.
Dal canto suo ISIS, tramite le parole del combattente ceceno Abdullah Shishani pubblicate su ShamToday (profilo di VKontakte gestito da combattenti parlanti russo di ISIS la cui consultazione non è permessa in Italia), ha ultimamente criticato coloro che esortano i combattenti nord caucasici ad ingaggiare la guerra santa nel Caucaso e non in Siria; secondo quanto espresso dal militante jihadista la scelta di combattere nella regione caucasica deve essere vista come una scusa per poter rimanere a casa. Shishani, invece, esorta tutti coloro che non possono combattere all’interno del proprio territorio nazionale a venire in Siria e prendere parte alla lotta contro le forze del regime di Assad.
Ucraina:spiragli a vigilia voto,
giallo su truppe russe
Kiev apre a regioni est su ritiro soldati, autonomia e uso russo
Ansa - 21 maggio 2014
Primi spiragli di una soluzione pacifica in Ucraina alla vigilia delle presidenziali del 25 maggio, mentre resta un giallo il ritiro delle truppe russe dal confine ordinato da Vladimir Putin, volato nel frattempo a Shanghai per riorientare l'export di gas verso la Cina. Un piccolo passo verso la risoluzione della crisi è stato compiuto in serata dal parlamento ucraino, il quale ha approvato un memorandum ''di pace e reciproca comprensione'' che prevede il ritiro delle truppe ucraine dislocate nell'est secessionista se i filorussi cedono le armi e gli edifici occupati, e riforme costituzionali che garantiscano più autonomia alle regioni e tutelino lo status della lingua russa. Il documento non è però stato votato né dagli ultranazionalisti del partito Svoboda né dal partito delle Regioni. E al momento è soltanto una fievole luce in un tunnel buio. I pro-Mosca da parte loro hanno accolto il memorandum con prudente ottimismo sottolineando che ''il ritiro delle truppe sarebbe positivo'', ma allo stesso tempo stanno facendo di tutto per impedire nelle loro 'repubbliche' le presidenziali ucraine di domenica prossima. I ribelli dell' autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk hanno infatti occupato sei delle 22 commissioni elettorali distrettuali, mentre quelli della Repubblica popolare di Lugansk ne controllano cinque su 12. Sempre nella regione di Lugansk, inoltre, solo il 16% dei seggi elettorali ha le liste degli aventi diritto al voto aggiornate, e ad Artiomovsk, vicino a Donetsk, il direttore di una scuola è stato minacciato di essere impiccato se consentirà di far usare l'edificio come sede di un seggio elettorale. Quelle all'orizzonte, insomma, saranno probabilmente elezioni in tempo di guerra per l'Ucraina. Mancano infatti ormai pochi giorni al tanto atteso 25 maggio in cui 35,5 milioni di cittadini ucraini saranno chiamati a eleggere il successore del deposto presidente Viktor Ianukovich, ma la situazione a est non accenna a migliorare e difficilmente le autorità di Kiev riusciranno a garantire il diritto al voto a tutti gli abitanti delle regioni ''separatiste'' di Donetsk e Lugansk. Del resto neanche i 2.784 osservatori internazionali registrati fino a ieri sera potranno niente contro i kalashnikov dei ribelli. Contro di loro si é infine schierato l'oligarca Rinat Akhmetov, l'uomo piu' ricco dell'Ucraina e principale datore di lavoro del Donbass: che ha chiesto ai suoi operai di protestare ogni giorno alle 12 davanti alle sedi delle fabbriche, evocando il rischio di un ''genocidio'' nell'est. Ma gli insorti, che inizialmente contavano sul suo appoggio, gli hanno dichiarato guerra sbandierando la nazionalizzazione delle sue imprese. Una mossa non gradita peraltro dal 'ministro' dell'energia Alexiei Granovski, che si e' dimesso aprendo la prima crepa nel 'governo' locale. Le elezioni comunque si faranno, il nuovo governo ucraino salito al potere sull'onda della rivolta di Maidan non può infatti permettersi passi falsi.
Lo sa bene l'ex premier Iulia Timoshenko, che per sottolineare la necessità del voto ha citato addirittura una frase pronunciata da Abramo Lincoln nel 1864, quando negli Stati Uniti infuriava la Guerra di Secessione: ''Se i ribelli ci costringessero ad annullare, o rimandare, un'elezione nazionale, potrebbero a giusto titolo affermare di averci già sconfitti e abbattuti''. Una frase ad effetto, che non per niente arriva alla vigilia di una sfida che d'altronde - secondo i sondaggi - vede la ex 'pasionaria' della rivoluzione arancione largamente sfavorita, tra i 21 candidati, rispetto all'oligarca 're del cioccolato' Petro Poroshenko. Un potenziale segnale di apertura è arrivato comunque ieri da Mosca, quando Putin ha annunciato di aver ordinato alle truppe russe al confine con l'Ucraina di ritirarsi. Nato e Usa hanno espresso forti perplessità sulla veridicità delle parole del presidente russo. E lo stesso ha fatto oggi il ministero degli Esteri ucraino dichiarando che ''al momento non è avvenuto alcun cambiamento nella dislocazione'' dei reparti militari russi, anche se appena qualche ora prima le stesse Guardie di frontiera di Kiev avevano invece confermato l'assenza di forze russe entro dieci chilometri dal confine. Intanto da Shanghai, dove Putin è volato ieri per siglare importanti accordi commerciali con la Cina, non é giunta una posizione forte Mosca-Pechino sulla crisi in Ucraina, al netto della condanna congiunta delle sanzioni occidentali. Ma soprattutto non è stato ancora chiuso, almeno per ora, il maxi accordo trentennale sulle forniture di gas russo al 'dragone', dato per quasi fatto nei giorni scorsi da Mosca. Accordo che potrebbe ridurre la dipendenza della Russia dall'Europa come mercato di sbocco del proprio metano.
Kiev, uccisi 30 "terroristi"
Ansa - 6 maggi 2014
Ancora sangue a Sloviansk, bastione del separatismo filorusso nell'est ucraino, dove combattimenti sempre piu' pesanti allungano la scia delle vittime di questa guerra civile che secondo Mosca mette ormai a rischio la pace dell'Europa. Secondo il ministro degli interni ucraino Arsen Avakov ieri sono stati uccisi oltre 30 "terroristi", tra i quali molti provenivano dalla Crimea, dalla Russia e dalla Cecenia. Decine sarebbero i feriti. Ieri i filorussi avevano diffuso un bilancio di una decina di morti e 20-25 feriti. tra le loro file. Confermato invece il bilancio di quattro militari uccisi e una trentina di feriti tra i governativi. I ribelli hanno abbattuto anche un elicottero, un Mi-24, il terzo dalla ripresa del blitz di Kiev: in questo caso pero' i piloti sono sopravvissuti e sono stati salvati dai loro compagni. Intanto si moltiplicano i moniti e le iniziative diplomatiche per fermare la spirale delle violenze nel Donbass, cuore industrial-minerario (russofono) del Paese. Il ministero degli esteri russo ha chiesto a Kiev di ''porre fine allo spargimento di sangue, ritirare le truppe e mettersi finalmente al tavolo delle trattative per avviare un dialogo normale sulle vie per una soluzione della crisi''. Hollande questa mattina ha profilato il rischio di "caos e guerra civile" se non si svolgeranno le elezioni presidenziali come previsto.
Mosca ha ammonito che ''sta maturando una catastrofe umanitaria nelle città assediate, dove si avverte la mancanza di medicinali e inizia l'interruzione nell'approvvigionamento alimentare''. Lo stesso ministero russo ha pubblicato oggi un Libro Bianco di 80 pagine nel quale denuncia in Ucraina ''rilevanti violazioni di massa dei diritti umani'' da parte delle ''forze ultranazionaliste, estremiste e neonaziste'', invitando la comunità internazionale a reagire in modo adeguato e senza partito preso per evitare ''conseguenze distruttive per la pace, la stabilita' e lo sviluppo democratico dell'Europa''. Nel libro, basato su notizie di stampa, dichiarazioni ufficiali, testimonianze, si documentano vari episodi tra fine novembre e fine marzo, dalle ''ingerenze negli affari interni di uno Stato sovrano'' (per le visite a Kiev di responsabili europei e americani) alle violenze dei paramilitari dell'ultradestra ucraina di 'Pravi Sektor', sino agli ''odiosi tentativi di annientare la cultura russa'' nell'Ucraina dell'est.
Washington, dal canto suo, continua a puntare il dito sui filorussi (e su Mosca), anche se oggi il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha preferito parlare in generale di ''violenze inaccettabili'' in Ucraina, aggiungendo che ''i responsabili dovranno essere assicurati alla giustizia''. Al Cremlino, intanto, e' atteso mercoledi' il presidente di turno dell'Osce, Didier Burkhalter, per discutere con Putin una serie di tavole rotonde sotto il patrocinio della stessa Osce per facilitare un dialogo nazionale prima delle presidenziali del 25 maggio, come ha spiegato un portavoce della cancelliera tedesca Angela Merkel.
Quest'ultima intanto ha condiviso la proposta del suo ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier per una seconda conferenza di Ginevra, dopo il fallimento della prima: questa volta si tratterebbe di formalizzare impegni precisi e definire le modalita' per trovare prima una tregua e poi una soluzione politica al conflitto. Anche il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, si e' detto disponibile a offrire la sua mediazione, ''se necessario''. Si muove anche il ministro degli esteri britannico, William Hague, atteso domani a Kiev. Il 13 maggio, invece, la Commissione europea ricevera' a Bruxelles una delegazione del governo ucraino guidata dal premier Arseni Iatseniuk, per l'esame delle misure di sostegno a Kiev.
Due giorni prima, pero', sono previsti i referendum separatisti nelle regioni di Donetsk e Lugansk, dove si continua a combattere. E dove oggi il governatore-oligarca della vicina regione di Dnipropetrovsk, il chiacchierato Igor Koloimiski, quarto uomo piu' ricco d'Ucraina secondo Forbes, e' stato costretto a sospendere l'attivita' cash delle filiali della sua Privat bank, prese di mira dai ribelli dopo che aveva messo una taglia di 10 mila dollari per ogni 'sabotatore' catturato. L'11 maggio si annuncia quindi come una data chiave, un possibile punto di non ritorno. Ecco perche' l'esercito ucraino stringe il suo assedio a Sloviansk, avanzando a poco a poco verso il centro, ma tra incertezze e cautele, accusando i miliziani filorussi di farsi scudo dei civili e di incendiare le case. A Odessa, invece, Kiev ha di fatto commissariato l'inaffidabile polizia locale mandando uno speciale battaglione di agenti, formato da 'attivisti civili', dopo i tragici scontri tra antigovernativi e nazionalisti ucraini dei giorni scorsi e la strage di filorussi nel rogo del Palazzo dei Sindacati.
Ucraina. Procedono le azioni dei militari.
Pinotti, ‘pronti ad inviare una missione di pace”
notiziegeopolitiche.net di Guido Keller - 4 maggio 2013
Le notizie che arrivano dall’Ucraina riportano di un’azione dell’esercito su vasta scala, con mezzi e truppe diretti anche verso le città di Mariuopol, sul mare d’Azov, dove i militari sono stati in un primo momento respinti, e di Konstiantinivka, situata tra Donetsk e Sloviansk.
A Slaviansk i militari di Kiev hanno preso il controllo della televisione ed hanno tagliato la ferrovia che conduce a Donetsk, città che in queste ore viene circondata da un cordone di sicurezza; a Odessa circa 2mila miliziani filo-russi hanno preso d’assalto il commissariato dove sono stati reclusi i rivoltosi arrestati nei giorni scorsi, costringendo le autorità a rilasciarne 67 su circa 150.
Il segretario del Consiglio di Difesa e Sicurezza Nazionale ucraino, Andriy Parubiy, è intervenuto alla televisione per ribadire che l’azione continuerà ad oltranza e che “Quando si conclude l’operazione a Slavyansk e Kramatorsk, lanceremo operazioni in altre città dove gli estremisti e i terroristi ignorano la legge ucraina e minacciano la vita dei cittadini ucraini”. Ed anche oggi il premier ucraino Arseniy Yatsenyuk non si è risparmiato negli strali verso i gruppi separatisti filorussi “che aizzano i disordini” e verso la Russia, accusata di essere dietro a “una vera e propria guerra per cancellare l’Ucraina e cancellare l’indipendenza ucraina”.
Yatsenyuk, che è stato ad Odessa per incontrare i responsabili del mondo politico, economico e culturale della città, ha promesso “un’inchiesta completa, globale e indipendente” sul rogo della Casa del Sindacato, che è costato la vita a 42 persone, incidente di cui ha accusato senza mezzi termini “i Servizi di sicurezza e le Forze dell’ordine per non aver fatto nulla per stroncare questo attacco”.
Anche il capo della diplomazia europea, Chaterine Ashton, ha chiesto l’avvio di una inchiesta indipendente per identificare i responsabili delle violenze del dramma di Odessa, ed ha dichiarato che “i responsabili di queste azioni criminali devono finire in tribunale”. Ha quindi invitato “tutte le parti alla più grande moderazione e a non sfruttare questa tragedia per accendere più odio, divisioni e violenza gratuita”.
Intervistata da Repubblica il ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti ha dichiarato che “Se dovesse servire l’Italia è disposta anche ad inviare un contingente di peacekeeper”: per quanto il ministro non creda che la crisi ucraina possa rivelarsi a breve come “una guerra europea, non possiamo stare a guardare. Certo senza agire da soli, ma attraverso l’Onu, la Nato e l’Unione Europea”.
I separatisti filorussi assediano
il commissariato della polizia a Odessa
Internazionale - 5 maggio 2014
Un gruppo di separatisti filorussi ha preso d’assalto il commissariato di Odessa, nel sud dell’Ucraina, e ha costretto le autorità a liberare 60 attivisti arrestati dopo gli scontri del 2 maggio tra nazionalisti ucraini e separatisti, che hanno causato almeno 40 morti. La maggior parte delle vittime faceva parte dei manifestanti filorussi, che sono rimasti intrappolati in un incendio scoppiato nella casa dei sindacati. Nel frattempo migliaia di nazionalisti ucraini hanno invaso le strade della città, urlando “Odessa è Ucraina”. Tra di loro anche diversi esponenti del partito di estrema destra Pravij sektor.
Il presidente ad interim ucraino, Oleksandr Turčinov, ha detto che la Russia “è in guerra” con il suo paese e che il sostegno russo ai separatisti nell’est del paese è “un problema colossale”. Il presidente lo ha dichiarato ai microfoni della televisione ucraina 5 TV.
Il ministro dell’interno, Arsen Avakov, ha detto che le “operazioni antiterrorismo” dell’esercito ucraino contro i manifestanti filorussi continuano in diverse città nell’est del paese: Kramatorsk, Donetsk e Sloviansk. A Sloviansk l’esercito ha bloccato l’ingresso alla città, cercando di isolare i separatisti.
La più grande banca ucraina, Privatbank, ha chiuso temporaneamente le sue filiali a Donetsk e Luhansk, per questioni di sicurezza.
Russi di tutto il mondo unitevi!
(Sotto lo zar Vladimir)
unimondo.org di Lorenzo Piccoli Mercoledì - 30 aprile 2014
È la prima volta dal collasso dell’Unione Sovietica che le forze militari Russe si addentrano in un Paese dell’Est Europa occupandone i territori. L’invasione della Crimea è stata giustificata dal Presidente Russo Vladimir Putin come l’unica soluzione “proteggere i cittadini e i compatrioti Russi sul territorio Ucraino”. Ma chi è esattamente un cittadino e compatriota russo?
La nuova legge sulla cittadinanza varata dalla Duma e firmata dal Presidente Putin a metà aprile individua tutti coloro che parlano russo e che vivono nelle regioni dell’ex Urss come potenziali candidati alla cittadinanza russa. Una sostanziale minoranza della popolazione residente non solo in Ucraina, ma anche in Moldova, Lettonia, Estonia e Lituania corrisponde a queste caratteristiche. La nuova legge approvata da Mosca permetterebbe loro di ottenere la cittadinanza Russa in poco più di tre mesi. Quali conseguenze ci si può aspettare, dunque, dagli eventi in Crimea, per quanto riguarda gli altri Paesi dell’Est Europa che fecero un tempo parte dell’Unione Sovietica?
“Siamo nervosi, preoccupati, frustrati”. Parlo al telefono con un mio amico lituano che ha condiviso con me un appartamento e tante esperienze quando vivevo a Bruxelles: era stato lui a spiegarmi la sofferta storia dei Paesi Baltici e il rapporto complicato con la matrigna Russia. Da quando sono entrate nell’Unione europea nel 2004, Lituania, Lettonia ed Estonia hanno sempre premuto per una maggior coesione della politica europea comune come un modo per allontanarsi economicamente, politicamente e culturalmente da Mosca. La mancanza di una politica comune energetica e la dipendenza dal gas russo, ad esempio, è una questione che ha sempre innervosito i Paesi Baltici.
Quello dell’emancipazione dalla Russia è un tema delicato. Un esempio su tutti spiega bene le tensioni esistenti e i legami che non sono facili da rompere. Nel 2007 il governo estone decise di rimuovere una statua di un soldato sovietico “liberatore”, vestige dell’epoca precedente. La minoranza russa, quasi un quarto della popolazione in Estonia, si mobilitò con manifestazioni pacifiche e non. Il governo russo minacciò sanzioni economiche e ritorsioni diplomatiche. Seguirono tre settimane di cyber-attacchi, durante le quali molte agenzie governative, banche e altre organizzazioni in Estonia furono completamente paralizzate. Il governo Estone accusò il Cremlino, che negò risolutamente ogni coinvolgimento nell’operazione. Questo precedente fornisce un’idea del nervosismo che si respira oggi camminando per le strade di Vilnius, Tallinn e tante altre capitali europee.
La Russia ci mette del suo per aumentare la tensione. Il mese scorso, un contingente di 3500 militari russi hanno dato vita a un’enorme esercitazione nelle regioni di Kaliningrad e Leningrad, proprio sul confine con la Lituania. Il Presidente Lituano Dalia Grybauskaite ha detto che “la Russia oggi è molto pericolosa … Stanno provando a riscrivere i confini tracciati dopo le Seconda Guerra Mondiale in Europe”. L’ansia dei Paesi Baltici non si esprime solo a parole. Estonia, Lituana e Lettonia hanno aumentato la parte del bilancio dedicata alle spese della difesa e hanno rafforzato le basi militari, ricevendo un contingente NATO in tutte le basi sul confine. Militarmente, questi Paesi confidano negli Stati Uniti. Sanno che se la situazione degenerasse solo l’esercito americano potrebbe avere la forza e le risorse necessarie per proteggerli da Mosca. Il Pentagono ha già inviato sei F-15 e ampi contingenti militari allo scopo di far capire chiaramente la sua posizione in merito. Militarmente, è chiaro che l’Unione Europea conta poco.
L’UE potrebbe comunque avere un ruolo cruciale nei prossimi mesi. Mentre la situazione militare resta complicata, tra nuove leggi di cittadinanza e rinnovate tensioni con le minoranze, gli eventi delle ultime settimane stanno velocemente ri-disegnando la composizione della popolazione nei Paesi che fecero parte dell’Unione Sovietica. Le minoranze russe in Estonia, Lettonia e Lituania sono in fermento, come pure i Tatari di Crimea. Questa minoranza etnica musulmana che compone circa il 15% della popolazione della Crimea, potrebbe andarsene dalla Crimea. Molti di loro non parlano russo, non hanno votato al referendum e stanno ora fuggendo dal Paese. Le prime stime parlano di un numero di emigranti compreso tra i 1000 e i 1600. Alcuni hanno chiesto asilo politico alla Polonia, altri sono diretti verso i Paesi Baltici. E intanto Mosca fomenta le minoranze russe nei Paesi Baltici, non solo offrendo un percorso veloce di cittadinanza, ma anche criticando il trattamento riservato a queste minoranze dai rispettivi governi davanti al Comitato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Alcuni commentatori sostengono che questo fa parte di una precisa strategia del Cremlino mirata a fomentare le tensioni, antagonizzare i governamenti e poi trovare un pretesto per intervenire in protezione delle proprie minoranze – i cittadini e compatrioti russi, per l’appunto. È quindi in materia di cittadinanza e integrazione delle minoranze che l’UE potrebbe avere un ruolo chiave da giocare. Storicamente, Commissione e Consiglio europeo hanno saputo gestire meglio queste politiche rispetto alle questioni militari. Vedremo se in questo delicato contesto storico l’UE saprà vivere all’altezza degli standard che si è imposta.
Mosca evoca la guerra civile
Ansa - 8 aprile 2014
Kiev passa al contrattacco. Nella russofona Ucraina orientale, tra ieri notte e stamattina le forze dell'ordine hanno fatto sgomberare gli insorti filorussi da alcuni palazzi del potere caduti nelle loro mani. Ma la situazione resta tesa, soprattutto a Donetsk e Lugansk - le due città principali della regione mineraria del Donbas - e la Russia evoca il fantasma di una "guerra civile" chiedendo a Kiev di "fermare immediatamente tutti i preparativi militari".
Il Cremlino parla di "minacce ai diritti, alle libertà e alla vita di pacifici cittadini dell'Ucraina" e accusa Kiev di ammassare a sud-est "truppe dell'Interno e della guardia nazionale", ma - secondo Mosca - nella zona della rivolta filorussa ci sarebbero anche unità del gruppo paramilitare nazionalista 'Pravi Sektor' nonché "150 mercenari americani della compagnia privata Greystone, vestiti con l'uniforme delle forze speciali di polizia". La porta del dialogo resta comunque aperta, e ieri sera il segretario di Stato Usa, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov hanno discusso di possibili negoziati a quattro Ue-Usa-Russia-Ucraina per risolvere la crisi. Il capo della diplomazia del Cremlino vuole però che nelle trattative sia rappresentato anche il sud-est russofono del Paese, ma soprattutto pretende che prima dei negoziati venga presentata una bozza di una nuova Costituzione ucraina che preveda il federalismo tanto auspicato dalla Russia (e a cui Kiev è profondamente avversa). Per il momento un compromesso appare ancora alquanto lontano: Mosca avrebbe decine di migliaia di militari al confine pronti a intervenire, e oggi Kerry ha denunciato esplicitamente la presenza nell'est dell'Ucraina di "provocatori" e "agenti russi inviati per creare il caos". Ma ha parlato di un prossimo incontro con il collega russo.
I manifestanti filorussi
dichiarano l’indipendenza di Donetsk
internazionale.it - 7 aprile 2014
Un manifestante filorusso a Donetsk, in Ucraina. (Alexander Khudoteply, Afp)
Gli attivisti filorussi che occupano le sedi del governo ucraino a Donetsk hanno dichiarato l’indipendenza da Kiev, proclamando la nascita di una “repubblica popolare”.
L’annuncio, postato su YouTube, è stato dato da un portavoce dei manifestanti, che dal 6 aprile occupano i palazzi del governo nella città dell’est dell’Ucraina.
I contestatori hanno chiesto di organizzare un referendum entro l’11 maggio per chiedere l’annessione alla Russia, seguendo l’esempio di quello che si è tenuto in Crimea il 16 marzo.
Nel frattempo gli altri attivisti filorussi continuano a occupare il quartier generale delle forze di sicurezza a Luhansk, scrive il Guardian. Secondo il governo ucraino il 7 aprile la polizia è riuscita a riprendere il controllo della sede del governo a Charkiv.
Le tre sedi del governo nell’Ucraina orientale sono state occupate per la prima volta il 6 aprile. Ci sono stati scontri con la polizia. Una volta entrati negli edifici, i manifestanti hanno sventolato la bandiera russa e cantato slogan a favore del Cremlino. Ci sono stati almeno due feriti a Luhansk, dove gli agenti hanno sparato gas lacrimogeni nel tentativo di fermare le proteste.
Le immagini delle proteste del 6 aprile a Luhansk, riprese dalla televisione filogovernativa Russia Today.
Il ministro dell’interno ucraino, Arsen Avakov, ha accusato Vladimir Putin e l’ex presidente ucraino Viktor Janukovič di aver organizzato e finanziato i nuovi movimenti separatisti nell’est del paese.
La tensione resta alta anche in Crimea. Il 7 aprile un ufficiale di marina ucraino è stato ucciso da un soldato russo a Novofedorivka, nell’est della penisola, tornata a far parte del territorio russo dopo il referendum del 16 marzo.
In questi giorni il presidente russo Vladimir Putin ha detto più volte che Mosca ha il diritto di proteggere le popolazioni di lingua russa in Ucraina. Migliaia di soldati russi sono ancora schierati al confine orientale tra Russia e Ucraina.
Obama: basta alla pistola puntata di Mosca
Il premier ucraino: non ci arrenderemo mai
Ansa - 12 marzo 2014
(Un manifesto che pubblicizza il referendum del 16 marzo)
Altra giornata di dichiarazioni incrociate tra il 'blocco occidentale' e la Russia. A farla da padrona sempre la Crimea, ormai ago della bilancia della questione ucraina. ''Il popolo ucraino non può andare avanti avendo un Paese vicino che decida il loro futuro, come portare avanti i loro affari interni, con la canna di una pistola puntata'', ha detto Barack Obama al termine dell'incontro con il premier ucraino. Che a sua volta ha messo in chiaro quale sia l'aria che si respira a Kiev. ''Non ci arrenderemo mai'' ha detto infatti il premier ucraino Arseni Iasteniuk dopo l'incontro con Obama.
Il presidente USA ha poi definito l'intervento russo in Crimea contrario al diritto internazionale, aggiungendo che che se non cambierà atteggiamento, gli Stati Uniti e l'Unione Europea ''saranno costretti a far pagare un prezzo a Mosca''
Nuove sanzioni
E su questo punto sembra esserci intesa tra Washington e gli alleati europei. "L'annessione russa della Crimea sarebbe una chiara violazione della Carta dell'Onu" e di altri impegni assunti da Mosca, affermano i Paesi del G-7 in un comunicato diffuso dalla Casa Bianca in cui si afferma anche che se la Russia farà un passo del genere "noi intraprenderemo altri passi, individualmente e collettivamente".
La tensione dunque monta. "Se dovessero essere fatte scelte sbagliate da parte di Mosca la situazione potrebbe presto diventare brutta, sotto diversi aspetti", ha rimarcato minaccioso il il segretario di Stato Usa John Kerry parlando al Congresso. Poi però ha lanciato l'ennesima ciambella di salvataggio a Putin. "Il nostro interesse è quello di proteggere la sovranità territoriale dell'Ucraina: dobbiamo essere capaci di sederci e parlare".
A mantenere alto il pressing, anche dalla sponda europea dell'Atlantico, è Angela Merkel. "Sono passati sei giorni e non ci sono stati segnali dalla Russia sul gruppo di contatto", ha detto la Cancelliera. "Quindi ci dobbiamo preparare al successivo livello di sanzioni''. "Se la situazione non cambierà, come sembra, lunedì si deciderà il da farsi", ha aggiunto da Varsavia. ''Continueremo a fare dei tentativi'', ha continuato, "ma le trattative non sono andate come avremmo sperato''.
A darle manforte è il premier polacco Donald Tusk: "la prima parte dell'accordo di associazione fra Ue e Ucraina sarà firmata già la prossima settimana", ha annunciato. "Noi siamo dell'idea che sarebbe utile poter firmare velocemente l'accordo di associazione", ha sottolineato Tusk in conferenza stampa con Angela Merkel. La "parte politica" dell'accordo dovrebbe per questo essere firmata alla prossima seduta del Consiglio europeo. L'accordo era stato congelato a fine novembre da Kiev, all'indomani delle sanzioni economiche annunciate da Mosca. Il Paese non sarebbe stato abbastanza maturo per un passo del genere, aveva detto in proposito l'ex presidente Viktor Ianukovich.
La crisi in Ucraina è "probabilmente la più grave in Europa dai tempi dei conflitti nei Balcani. L'Italia giudica inaccettabile ogni aggressione che minacci l'integrità territoriale o l'indipendenza di uno Stato sovrano", ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, riferendo alle commissioni riunite Difesa di Camera e Senato.
Piano Marshall per l'Ucraina
Per l'Ucraina a questo punto ''c'è bisogno di una sorta di piano Marshall''. Lo ha detto a Londra il finanziere George Soros. Avendo l'Europa ''chiesto molto e dato poco, non è stato difficile per Vladimir Putin proporre un'offerta migliore'' ha sottolineato Soros, precisando quindi che a questo punto ''è molto importante rispondere, e rispondere nel modo giusto. Non necessariamente imponendo sanzioni alla Russia, ma aiutando l'Ucraina finanziariamente. Una sorta di piano Marshall europeo per l'Ucraina''.
Detto questo, da aprile le pensioni in Crimea verranno pagate in rubli. Lo ha annunciato il vicepremier Rustam Temirgaliev, precisando che subito dopo il referendum di domenica, le banche della Repubblica dovranno essere registrate in Russia.
La Crimea dichiara l’indipendenza
internazionale.it - 11 marzo 2014
Un cosacco di fronte al parlamento della Crimea a Simferopol, l’11 marzo. (Vadim Ghirda, Ap/Lapresse)
L’11 marzo il parlamento della Repubblica autonoma di Crimea ha adottato una dichiarazione d’indipendenza dall’Ucraina.
Il documento cita a sostegno della sua legittimità la sentenza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite del 2010 sull’indipendenza del Kosovo dalla Jugoslavia, “secondo cui la dichiarazione d’indipendenza di una parte di un paese non viola le norme internazionali”.
Secondo un comunicato del parlamento la dichiarazione entrerà in vigore se il referendum del 16 marzo deciderà in favore dell’annessione alla Federazione russa.
Il governo provvisorio ucraino ha definito illegale la dichiarazione, che è stata invece sostenuta dal ministero degli esteri russo. Secondo l’agenzia russa Ria Novosti il parlamento russo esaminerà l’eventuale richiesta di ingresso della Crimea nella Federazione russa il 21 marzo.
Ultime dalla Crimea – liveblog
I ministri degli Esteri di Stati Uniti e Russia
si vedranno per la prima volta dall'inizio della crisi,
mentre i russi continuano a controllare la Crimea
ilpost.it - 5 marzo 2014
12.10 – Arrivano rivendicazioni di cyber-attacchi dai pro-russi. La corrispondente di AP a Mosca, Laura Mills, ha scritto su Twitter: «Gruppi di “Cyber-Berkut” dicono che hanno hackerato diversi siti (alcuni governativi, altri no) di “traditori dell’Ucraina” mettendoci sopra quest’immagine» (nota: Berkut è il corpo speciale della polizia ucraina considerato responsabile delle dure repressioni contro i manifestanti anti-Yanukovych a Kiev dello scorso febbraio. Dopo l’allontanamento di Yanukovych dal potere, i Berkut sono stati smantellati dal parlamento ucraino, ma sono considerati ancora come degli “eroi” in alcune parti dell’Ucraina, come in Crimea).
La mappa fa riferimento alle accuse del governo russo, ma anche dei pro-russi dell’Ucraina, rivolte ad alcuni elementi di estrema destra (“nazisti”, li ha definiti Putin) che hanno partecipato alle proteste contro Yanukovych e che ora sarebbero liberi di condizionare la politica ucraina.
12.05 – Sergei Aksenov, primo ministro pro-russo della Crimea, ha detto che il suo governo rifiuta di negoziare con le autorità di Kiev, dice l’agenzia russa Ria Novosti, perché “illegittimo”. La scorsa settimana, giusto per non scordarlo, Aksenov aveva chiesto a Putin aiuto per garantire il ritorno della pace e della calma nella regione (come sappiamo, Putin ha interpretato a suo modo).
11.55 – La bandiera ucraina è stata messa di nuovo in cima all’edificio del governo regionale a Donetsk, nell’Ucraina orientale.
Oggi sarà un’altra giornata intensa di incontri per la diplomazia internazionale riguardo la crisi in Crimea e le recenti tensioni tra Ucraina e Russia. La NATO, che ha già tenuto degli incontri nei giorni scorsi senza però arrivare a conclusioni significative, vedrà i rappresentanti russi, mentre l’Ucraina ha annunciato che oggi arriveranno gli osservatori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione (OSCE, organizzazione internazionale per la promozione della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione in Europa) per valutare e analizzare la situazione in Crimea.
La tensione, specialmente tra Russia e Stati Uniti, rimane piuttosto alta: dopo lo scambio di accuse reciproche di ieri – sia le dichiarazioni piuttosto forti del presidente russo Vladimir Putin che le risposte ferme di Barack Obama e del segretario di stato americano John Kerry – il Pasadena Star News, sito di news della California, riporta oggi un commento ufficioso molto duro dell’ex segretario di stato Hillary Clinton, che avrebbe comparato le azioni di Putin in Crimea a quelle di Adolf Hitler degli anni Trenta. Oggi comunque è previsto un incontro tra John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, il primo tra i due dall’inizio della crisi in Crimea.
Altri aggiornamenti: la banca centrale russa afferma di aver venduto 11.4 miliardi di dollari in valuta estera per sostenere il rublo, mentre la polizia ucraina ha detto di avere evacuato l’edificio del governo regionale a Donetsk (città dell’Ucraina orientale che alle scorse elezioni presidenziali del 2010 ha votato a maggioranza per Viktor Yanukovych), che era stato occupato nei giorni scorsi da diversi manifestanti pro-russi. Reuters dice che in cima all’edificio è stata issata di nuovo la bandiera ucraina. Da ieri ci sono momenti di tensione all’alto comando navale ucraino a Sebastopoli, rimasto per ora fedele all’Ucraina, che è stato circondato da un gruppo di persone descritte come «filo-russi arrabbiati» e da unità militari russe: come è successo per altre basi militari ucraine in Crimea negli ultimi giorni, le forze filo-russe hanno circondato l’edificio bloccando tutte le uscite e chiedendo agli ufficiali al suo interno di allinearsi con il nuovo governo filo-russo della Crimea. Vice ha diffuso un video che mostra la situazione fuori e dentro l’edificio.
Presidente Usa in pressing su Putin
'Resa entro domattina o assalto'. Poi la smentita.
Obama e Merkel contro Putin: è sul lato sbagliato della storia,
è fuori dalla realtà. Usa e Ue: la Russia ritiri le truppe
Ansa - 4 marzo 2014
Gli Stati Uniti hanno "sospeso tutti i legami militari" tra Washington e Mosca, in seguito all'intervento russo in Crimea. Lo rende noto il Pentagono.
Gli Stati Uniti sospenderanno le trattative in corso con la Russia per aumentare gli scambi commerciali e gli investimenti. Lo afferma il segretario al Commercio americano, Michael Froman, secondo quanto riporta il Wall Street Journal. ''Alla luce degli eventi in Ucraina, abbiamo sospeso le trattative bilaterali commerciali e di investimento con il governo russo che puntavano a una piu' stretta collaborazione commerciale'', mette in evidenza Froman.
L'Ucraina rischia di frantumarsi. La Crimea è già in mano alla Russia, e la rivolta filo-Mosca dilaga in tutto l'est: dalla capitale economica del Paese, Donetsk, a Odessa. Le unità militari ucraine nella penisola sono circondate da soldati di Mosca e il ministero della Difesa di Kiev paventa addirittura un ultimatum entro le 5 del mattino, anche se il comando della flotta russa del Mar Nero smentisce come "una totale assurdità" il timore di un assalto.
Venti di guerra
Nelle regioni russofone dell'Ucraina orientale e di quella meridionale è comunque la piazza a muoversi in favore del Cremlino, mentre su alcuni palazzi del potere locale sventolano già i colori russi. A Donetsk, importante città del bacino minerario del Donbass, al confine con la Russia, migliaia di sostenitori del Cremlino sono scesi in piazza contro la nomina a governatore dell'influente oligarca Serghii Taruta decisa da Kiev e in centinaia hanno fatto irruzione nella sede del governo regionale occupandone alcuni piani. Non solo, ma il parlamento locale sembra voler seguire le orme della Crimea, dove il premier locale ha invocato stasera apertamente la "piena indipendenza" dall'Ucraina, annunciando di voler convocare a sua volta un referendum sullo status della regione: e intanto il potere di fatto da quelle parti appare nelle mani di Pavel Gubarev, il 'comandante' degli insorti locali, "eletto" governatore due giorni fa dai filorussi.
Imponenti manifestazioni a favore della Russia si sono svolte anche a Dnipropetrovsk, nella terra d'origine della pasionaria Iulia Timoshenko, e a Odessa. Nella storica città portuale sul Mar Nero centinaia di persone sono peraltro scese in piazza in favore del nuovo governo ucraino, lo stesso che il Cremlino accusa di "estremismo" e che non ritiene legittimo. Frattanto, mentre il premier di Kiev Arseni Iatseniuk tuona che l'Ucraina non cederà mai la Crimea e che "alle truppe russe non sarà permesso di fare irruzione nelle regioni orientali", i soldati del Cremlino continuano a sbarcare in massa nella penisola russofona. Secondo le guardie di frontiera ucraine, tra domenica e lunedì sono atterrati in Crimea 10 elicotteri da combattimento e otto aerei da trasporto, senza che Kiev fosse informata con 72 ore di anticipo, come previsto dall'accordo bilaterale sulla flotta russa del Mar Nero di stanza a Sebastopoli. E proprio in questa città dal primo marzo sarebbero arrivate quattro navi militari russe per lo sbarco di truppe.
Diplomazia al lavoro
In Crimea, insomma, la Russia la fa da padrone. Nonostante l'ex premier ucraina Iulia Timoshenko abbia lanciato un avvertimento a Mosca - affermando che con "l'occupazione" della Crimea la Russia "ha dichiarato guerra anche ai garanti della nostra sicurezza, Usa e Gran Bretagna" - per ora non sembra che l'Occidente abbia intenzione di impegnarsi in un conflitto che potrebbe avere conseguenze atroci. Se la Ue infatti "condanna con forza" la "chiara violazione" della sovranità ucraina e "gli atti di aggressione" della Russia, dopo cinque ore di Consiglio straordinario dei ministri degli Esteri non arriva nessuna denuncia "d'invasione" e non s'ipotizzano sanzioni a carico di Mosca. I 28 in sostanza cercano di dare spazio alla diplomazia in attesa che giovedì scendano in campo i leader, convocati da Herman Van Rompuy per un vertice d'emergenza a Bruxelles.
"La parola d'ordine è abbassare i toni", spiega Federica Mogherini, all'esordio a Bruxelles nelle vesti di ministro degli Esteri. L'obiettivo condiviso da tutti, dice, è quello di "evitare lo scenario peggiore", ovvero la divisione dell'Ucraina e "una vera e propria invasione". Ed evitare "scenari da guerra fredda", questi sì, che "avrebbero conseguenze su altri scenari internazionali". Nelle ultime ore, spiega, ci sono stati "contatti positivi" sul fronte della diplomazia. Ricorda che nel colloquio diretto con Lavrov di alcuni giorni fa, il ministro degli Esteri del Cremlino ha dato la sensazione di "essere consapevole della necessità di una soluzione condivisa".
L'avvertimento di Obama
Per il momento la risposta più forte all'azione militare russa da parte della comunità internazionale è il possibile boicottaggio del G8 di giugno a Sochi, anche se Germania e Italia frenano. E questo nonostante il fatto che fonti Usa raccontino al New York Times di una Angela Merkel "estremamente irritata" con Vladimir Putin, e che al telefono con Barack Obama avrebbe affermato di "non esser sicura" che il leader russo "abbia ancora contatto con la realtà". La risposta più netta arriva comunque dall'altro lato dell'Atlantico. Obama parla di "misure economiche" per isolare Mosca e accusa Putin di essere "dal lato sbagliato della storia". Intanto l'Europa minaccia "conseguenze sui rapporti bilaterali" se non ci saranno "passi di de-escalation da parte della Russia".
Palazzo di vetro
Ma di spiragli d'intesa se ne vedono pochi: al Consiglio di sicurezza in serata è andato in scena un botta e risposta Russia-Usa degno quasi dei tempi della guerra fredda. L'ambasciatore russo, Vitaly Churkin, ha sparato a zero contro il nuovo 'governo rivoluzionario' di Kiev denunciando l'avvento di "estremisti" e "antisemiti" in Ucraina occidentale e difendendo come "legittimo" l'intervento russo sulla base di una richiesta d'aiuto di Viktor Ianukovich, che Mosca considera tuttora unico presidente legittimo del Paese. Mentre la collega americana Samantha Power ha replicato parlando di "atto di aggressione" russo che "deve finire"; un'invasione - l'ha spalleggiata subito il francese Gerard Araud - che nei modi e nelle giustificazione ricorderebbe addirittura quella sovietica della Cecoslovacchia del lontano 1968.
Ucraina: il G7 contro Mosca. Borse in calo
Male le Borse, quella russa apre a -8%.
Oggi giornata di incontri delle diplomazie dopo
l'occupazione della Crimea da parte dei soldati di Mosca
globalist.ch - 3 marzo 2014
Primi effetti dei venti di guerra che soffiano dall'Est. I movimenti russi in Ucraina hanno fatto aprire in negativo le borse europee, compresa quella italiana, che ha perso il 2%. Crollo per Mosca, che ha aperto facendo registrare un -8%, costringendo la la Banca Centrale russa ad alzare dal 5.5 al 7% il tasso d'interesse nel tentativo di limitare le perdite.
Intanto, mentre in Crimea continua l'occupazione russa, le diplomazie occidentali sono al lavoro per costringere Mosca a fare un passo indietro: il primo gesto è l'annuncio dei membri del G7 di non partecipare all'organizzazione del prossimo G8 in programma a Sochi. La decisione è stata presa, si legge nel comunicato dei Paesi coinvolti (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Usa) "per condannare la chiara violazione della Russia della sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina". Il documento continua affermando che "le azioni russe in Ucraina violano i principi e i valori che animano il G7 e il G8. Quindi abbiamo deciso per il momento di sospendere la nostra partecipazione alle attività connesse alla preparazione del G8 di giugno a Sochi, fino a quando non tornerà il clima in cui il G8 sia in grado di avere una discussione significativa". I membri del G7 affermano infine la piena sovranità dell'Ucraina e "il suo diritto di scegliere il proprio futuro. Ci impegniamo a sostenere l'Ucraina nei suoi sforzi per ristabilire l'unità e la stabilità politica ed economica del Paese".
Oggi è in programma l'incontro di Yulia Timoshenzo con il presidente russo, Vladimir Putin. A Kiev arriverà l'alto rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton, domani sarà il turno del segretario di Stato Usa, John Kerry. Incontro, sempre oggi, in programma a Ginevra tra il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov.
Ucraina. Crisi con la Russia: richiamati i riservisti
notiziegeopolitiche.net di Giacomo Dolzani -2 marzo 2014
Il Consiglio di Sicurezza Nazionale ucraino ha deciso di richiamare i riservisti per “garantire la sicurezza e l’integrità del territorio”; di fatto la contromossa di Kiev in seguito allo sbarco di truppe russe in Crimea ed alla presenza di migliaia di militari e mezzi corazzati inviati da Mosca, appostati sul confine orientale dell’Ucraina e pronti ad intervenire nel caso arrivasse l’ordine d’attacco.
Ad annunciarlo è lo stesso responsabile del Consiglio, Andrii Paroubii, esprimendo la sua preoccupazione per l’atteggiamento del governo russo nei confronti di Kiev, da dove è giunta la richiesta ad Ue, Nato e Stati Uniti, finora rimasti spettatori passivi ed inermi, di intervenire al fine di garantire la sicurezza del paese.
La giustificazione morale accampata da Putin per aggredire l’Ucraina si basa principalmente sul fatto che nell’est del paese ed in Crimea una buona parte della popolazione è russofona (e non sicuramente sui 30 miliardi di dollari di debiti accumulati dal paese europeo verso Gazprom (10mld) e nei confronti delle banche russe (20mld); non per niente l’invasione della Crimea e la conquista degli aeroporti e degli scali navali della penisola, avvenuta negli ultimi giorni con l’ausilio di 6000 uomini fatti sbarcare in territorio ucraino con un ponte aereo, è stata portata avanti scandendo lo slogan “difendiamo la popolazione russa!” e favorendo la nascita di gruppi paramilitari di guerriglieri sostenitori dell’ex presidente Yanukovich.
Dopo il via libera del parlamento di Mosca ad un possibile intervento militare su larga scala contro Kiev anche in patria Putin ha dovuto però fare i conti con gruppi di manifestanti i quali, nella capitale, di fronte al ministero della Difesa hanno mostrato striscioni con scritte pacifiste come “Perdonaci Ucriania” o “Mi vergogno dei carri armati in Crimea”, il tutto prima di essere rigorosamente arrestati dalla polizia moscovita.
Ucraina, rischio di guerra civile.
La Russia schiera i mezzi blindati.
Kiev: non tollereremo separatismi
ilmessaggero.it di Giuseppe D’Amato - 26 febbraio 2014
Giù le mani dall’Ucraina. Questo il messaggio lanciato dalle ex opposizioni, ora al potere a Kiev. «Non tollereremo tentativi separatisti e pressioni» ha
detto a chiare lettere Arsenij Jatseniuk, uno dei leader della protesta, indicato come possibile prossimo primo ministro. La situazione nelle regioni orientali, prevalentemente russofone, rimane tesa. Il nervo scoperto resta, però, sempre Sebastopoli. Sembra di essere tornati al gennaio 2006, quando Russia e Ucraina non se le mandarono di certo a dire e si scontrarono per il controllo dei cosiddetti "fari". Il problema è che adesso ci sono di mezzo anche gli europei e gli Stati Uniti, ossia la detestata Alleanza atlantica.
LA FLOTTA E I MEZZI PESANTI
Le misure di sicurezza a protezione dei siti nella città crimeana, dove hanno sede le installazioni della Flotta del mar Nero, sono state ulteriormente rafforzate. Due autoblindo sono state dislocate davanti al Quartier generale della Marina e ad un edificio amministrativo. Si temono provocazioni. Otto anni fa si registrarono gravi incidenti con scontri tra nazionalisti ucraini, provenienti fuori dalla penisola, e giovani locali. I 350mila abitanti sono in prevalenza russi o ucraini con passaporto di Mosca. Solo chi è in tale condizione può lavorare per la Flotta, una delle principali fonti di sostentamento della città, per decenni chiusa agli stranieri. Come ribadisce la stampa locale, non è vero che i militari russi abbiano posizionato delle autoblindo all’ingresso di Sebastopoli.
«Invito i Paesi del memorandum di Budapest – ha detto Jatseniuk – e in particolare la Russia, a ricordarsi delle garanzie di sicurezza territoriale garantita allo Stato ucraino». Quel documento del dicembre 1994, firmato anche da Mosca e Washington, ribadisce l’indipendenza, la sovranità e l’intangibilità delle frontiere della repubblica ex sovietica in cambio della consegna dell’arsenale atomico allora detenuto. Dopo le dure dichiarazioni di lunedì del premier Medvedev la Russia ha ammorbidito i toni. Il ministro degli Esteri, Serghej Lavrov, ha semplicemente invitato Europa e Stati Uniti a stare fuori dall’Ucraina, senza cercare «vantaggi unilaterali». Che siano i suoi cittadini a decidere il loro destino, questo il senso del messaggio. Ma a Kiev ha tenuto due giorni di consultazioni il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton. Il nodo rimane sempre lo stesso, ossia il finanziamento rapido della repubblica ex sovietica. Servono 3-4 miliardi di dollari subito e 35 in due anni. Sul Maidan gli attivisti appaiono nervosi e non capiscono il tergiversare della Rada. Ieri doveva nascere il governo di Unità nazionale, invece il presidente ad interim Aleksandr Turchinov ha annunciato che ci vorranno ancora 48 ore. Il partito delle Regioni del deposto presidente Yanukovich l’appoggerà dall’esterno.
LA RISOLUZIONE
A proposito dell’ex leader ucraino, di cui si sono perse le tracce, i deputati hanno votato una risoluzione per farlo processare dal Tribunale penale internazionale a L’Aia. Ma tale possibilità non è così automatica, affermano dall’Olanda, poiché Kiev non ha mai firmato la convenzione del del Tribunale.
Ucraina: rischio neonazismo e antisemitismo
Appello a Israele. Ianukovich è stato visto in Crimea.
Parte la corsa per le presidenziali, convocate per il 25 maggio.
Barroso: la Russia lavori con noi
globalist.it - 25 febbraio 2014
La pace in Ucraina, dopo la deposizione dell'ex capo di Stato Viktor Yanukovich e la firma degli accordi con l'opposizione, sembra essere solo una tregua apparente. Il rischio di ripercussioni sulle minoranze è ancora molto alto. Una richiesta urgente di aiuti, infatti, è stata rivolta al premier israeliano Benyamin Netanyahu e al ministro della Difesa Moshe Yaalon. È stata inviata oggi dal direttore generale dell'Associazione delle organizzazioni ebraiche in Europa, il rabbino Menachem Margolin, in seguito al moltiplicarsi di episodi di antisemitismo in Ucraina. In particolare, riferiscono i media israeliani, viene richiesto l'invio urgente in Ucraina di guardie di protezione.
Oggi il governo provvisorio - Intanto continua il processo di transizione in Ucraina dopo la rivolta che ha portato alla destituzione del presidente Viktor Ianukovich, uomo fedele a Mosca. Oggi è prevista la formazione del nuovo governo provvisorio: Yulia Tymoshenko ha preventivamente rifiutato l'incarico di premier perchè vuole candidarsi alle presidenziali, convocate per il 25 maggio, ma sta lavorando per posizionare i suoi uomini di fiducia nelle posizioni-chiave. Per la posizione di premier, infatti, si fa il nome di Arseniy Yatsenyuk, fedelissimo e anima del partito Patria mentre la Tymoshenko era in carcere.
Oltre alla Tymoshenko, i candidati più probabili sono il leader di Udar, Alleanza Democratica, l'ex pugile Vitali Klitschko - che però ha il passaporto tedesco e non potrebbe, secondo le leggi vigenti - il presidente del partito di estrema destra Svoboda, Oleg Tyaghnibok, e Mikhail Dobkin, capo dell'amministrazione regionale filorussa di Kharkov.
E dal presidente ad interim, Oleksander Turchynov, arriva anche l'allarme separatismo nelle zone russofone che hanno vissuto male sia la destituzione di Yanukovich sia l'arrivo di una leadership filoeuropea. Dall'altro lato ci sono i nazionalisti. Il vicepresidente del Parlamento, Ruslan Koshulinski, di Svoboda, ha dato ordine di rimuovere "tutti i simboli del totalitarismo dall'edificio del Parlamento". La prima a cadere è stata la stella sovietica.
Yanukovich ancora in fuga - Intanto resta ancora irreperibile Yanukovich, sul quale pende un mandato di cattura per omicidio di massa. Sarebbe stato visto in Crimea. E, secondo l'opposizione, avrebbe pianificato una strage anche a Piazza Maidan. Secondo l'ex viceministro dell'Interno Hennadi Moskal, del partito della Tymoshenko, Yanukovich avrebbe pianificato di fare circondare la piazza dai cecchini per sparare contro i manifestanti. Moskal sostiene di possedere un documento nel quale si legge che l'ex presidente avrebbe messo in campo 22 mila agenti.
La Russia marcia contro - Proprio da Mosca vengono i primi distinguo. Il premier russo Dimitri Medvedev ha detto infatti che "la legittimità di alcuni organi istituzionali" dell'Ucraina "suscita forti dubbi". "La situazione - ha aggiunto scuro in volto - rappresenta una minaccia per i nostri interessi e per la vita dei nostri cittadini", spiegando così le ragioni del richiamo dell'ambasciatore russo a Kiev. "La gente armata e a volto coperto non è un partner con cui poter dialogare", ha poi rimarcato.
Appello di Barroso: la Russia lavori con noi - "La Russia lavori costruttivamente con noi per garantire un'Ucraina unita" che sia "elemento di stabilità" per l'Europa e "abbia buone relazioni con i vicini a est e ovest". È l'appello lanciato da Josè Manuel Barroso parlando alla plenaria del Parlamento europeo, affermando che la priorità è rispettare "l'unità territoriale del paese".
Niet secco di Mosca: "Non interferiremo, pericoloso imporre a Kiev la scelta o con noi o contro di noi", ha detto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.
Intanto Catherine Ashton è già in Ucraina. La raggiungerà William Burns, numero due della rappresentanza americana, accompagnato da una delegazione del Tesoro per discutere del paracadute economico per la ex Repubblica Sovietica. Mentre il premier russo ha già fatto sapere di considerare "illegittimo e aberrante" un governo nato da una rivolta.
Sebastopoli, blindato russo in piazza - Un blindato russo sarebbe arrivato in piazza Nakhimov, nel centro di Sebastopoli, in Crimea, dove c'è la sede della flotta russa del Mar Nero. A riferirlo è la tv 'Russia Today' che lo ha scritto su Twitter in lingua inglese. Alcuni siti locali riferiscono che altri mezzi blindati sono stati visti nelle vie principali all'ingresso della città.
E i sostenitori del 'Fronte Crimea' filorusso hanno manifestato di fronte al Parlamento della Repubblica, a Simferopoli, chiedendo una "risposta forte" agli sviluppi politici in corso a Kiev. Alcuni dimostranti hanno lanciato slogan in favore della secessione e dell'annessione alla Russia.
Il rischio bancarotta - Alla crisi politica si aggiunge il rischio bancarotta. L'Ucraina ha detto di aver bisogno di 35 miliardi di euro. La Russia ha rifiutato il prestito promesso da Putin a Yanukovich e le speranze sono tutte rivolte all'Europa che ne promette molti meno. L'intero programma di cooperazione tra Ue, Fondo Monetario, Banca Europea degli Investimenti e Banca Europea per la Ricostruzion e lo Sviluppo dovrebbe essere di 15 miliardi di dollari.
UCRAINA. Emesso mandato di cattura
per ex Presidente Yanukovich
notiziegeopolitiche.net di Giacomo Dolzani - 24 febbraio 2014
È stato emesso oggi un mandato di cattura per l’ex Presidente ucraino Viktor Yanukovich; a riferirlo con un post su Facebook è Arsen Avakov, ministro dell’interno ad interim del nuovo governo, guidato da Serhiy Arbuzov, instauratosi dopo l’insediamento di Oleksandr Turčinov, braccio destro di Yulia Tymoshenko, come nuovo Capo dello Stato.
Secondo quanto dichiarato da Avakov “è stata aperta un’inchiesta per uccisioni di massa di civili. Yanukovich ed altri funzionari sono stati inseriti nella lista dei ricercati”.
Dopo la sua deposizione l’ex Presidente si è dato alla fuga: filmato mente lasciava Kiev a bordo di un elicottero se ne sono poi perse le tracce; l’ultima volta che è stato visto si trovava infatti a Balaklava, in Crimea, nell’Ucraina meridionale, una regione nella quale gode ancora di un vasto consenso tra la popolazione e dove, secondo quanto riferito ieri da un inviato del Wall Street Journal, centinaia di volontari sarebbero in fila per arruolarsi nelle “Brigate Popolari”, un gruppo paramilitare filorusso il cui fine dovrebbe essere quello di difendere la Repubblica Autonoma di Crimea da una possibile avanzata degli europeisti.
Kiev: dopo i morti, la speranza
balcanicaucaso.org di Maura Morandi - 24 febbraio 2014
Dopo l'accordo con le opposizioni, il presidente Yanokovich è stato destituito e l'ex primo ministro Yulia Tymoshenko liberata dopo tre anni di carcere. Dopo 82 morti e 600 feriti, causati dagli scontri della settimana scorsa nelle vie di Kiev, l'Ucraina cerca soluzioni alla grave crisi politica in cui versa da mesi
Un anello di fuoco circonda la piazza. Le barricate fatte di copertoni, sacchi di neve ormai sciolta e filo spinato bruciano. Fiamme alte diversi metri separano le forze di polizia speciale in assetto anti-sommossa e i manifestanti che si sono rifugiati nella piazza. I canti liturgici intonati dai pope (i preti ortodossi), le esplosioni delle granate stordenti usate dalla polizia e i fragori delle bombe molotov gettate dai manifestanti fanno da tragica colonna sonora. Gli scontri e le litanie accompagnano – senza tregua – l’intera notte di Kiev, capitale dell’Ucraina. Una lunghissima notte di attesa e paura per il popolo di Maidan di essere disperso con la forza dai corpi di polizia speciale, dopo tre mesi di proteste che hanno conosciuto varie fasi di evoluzione. E’ l’inizio di una lunga settimana di scontri durissimi e violenza inaudita che ha lasciato 82 morti e oltre 600 feriti sulle strade di una capitale d’Europa.
Proteste pacifiche erano iniziate il 21 novembre scorso quando il governo ucraino guidato dal presidente Viktor Yanukovich (eletto nel 2010 con un esiguo scarto di voti rispetto al suo nemico politico di sempre Yulia Tymoshenko) decise, a pochi giorni dalla firma, per un’improvvisa sospensione dell’accordo di associazione con l’Unione Europea che prevede, in particolare, la creazione di un’area di libero scambio. Nella notte del 30 novembre le proteste pacifiche, per lo più composte di studenti universitari e giovani che desideravano il loro futuro con l’UE, furono disperse con violenza dalla polizia, causando numerosi feriti e scatenando l’indignazione dell’opinione pubblica. L’1 dicembre migliaia di manifestanti si riversarono su Maidan, la centralissima piazza dell’Indipendenza, e chiesero a gran voce le dimissioni del ministro dell’Interno ritenuto responsabile di aver dato l’ordine di attacco contro i dimostranti pacifici. Non ricevendo alcuna risposta da parte delle autorità alla loro richiesta, i manifestanti si stabilirono sulla piazza, occuparono il municipio di Kyiv e iniziarono a costruire alte barricate, all’inizio leggere poi via via più fortificate, per proteggere la protesta pacifica che in più occasioni la polizia tentò di disperdere.
Migliaia di attivisti iniziarono ad affluire verso Kiev dalle regioni, in particolare dalla parte occidentale del Paese, un’area di grande importanza per la storia d’Europa e con legami storici con il nostro Trentino-Alto Adige. Cento anni fa, infatti, migliaia di tirolesi (di lingua italiana e di lingua tedesca) furono spediti in Galizia (estrema regione nord-orientale dell’Impero d’Austria-Ungheria, oggi territorio suddiviso tra Polonia e Ucraina) nei reparti dei Kaiserjäger, Ladesschützen e Landstrum per difendere i confini dell’Impero. Combatterono insieme a polacchi, ucraini e altre nazionalità dell’impero. Migliaia di loro perirono sul campo di battaglia, per le ferite riportate o per malattia e qui furono sepolti. Come ha scritto Alberto Miorandi, Presidente del Museo Storico Italiano della Guerra con sede a Rovereto, “con la Prima Guerra mondiale la Galizia, la Polonia, l’Ucraina, la Russia e la allora Cecoslovacchia (oltre naturalmente all’Italia) divennero riferimenti imprescindibili nelle relazioni che legano il Trentino all’Europa del Novecento”.
Mentre le autorità ignoravano le richieste di Maidan, le proteste gradualmente si radicalizzavano. Il 16 gennaio, in una movimentata e controversa sessione plenaria, la maggioranza parlamentare adottò una serie di leggi anti-protesta definite “dittatoriali” dalla piazza e dall’opposizione e fortemente criticate dalla società civile ucraina e dalle organizzazioni internazionali. Le leggi furono poi revocate dallo stesso parlamento dieci giorni dopo. Ma ormai era troppo tardi, il primo sangue era stato versato. Le leggi avevano provocato, infatti, disordini nella via che da Maidan conduce al vicino Parlamento con progressiva intensificazione, lanci di bombe molotov e formazione di squadre di “autodifesa” dei protestanti. Le autorità risposero ordinando alle unità speciali di polizia di sparare sui manifestanti con pallottole di gomma e arruolando “titushki”, giovani dal fisico atletico pagati per condurre pestaggi e agitazioni. Ne seguirono giorni di paura per l’Ucraina con numerosi casi di tortura, sparizioni e violazioni di diritti umani perpetrati per conto delle autorità contro gli attivisti. Furono presi di mira anche giornalisti e reporter che documentavano gli eventi sul terreno, tanto che molti decisero di togliersi l’identificazione di “press” (stampa) perché diventata sinonimo di “bersaglio”. Alcuni di loro persero gli occhi a causa delle pallottole di gomma sparate dalla polizia.
Nemmeno le prime vittime da entrambe le parti sono servite, però, a far spazio a un dialogo autentico e a negoziazioni costruttive basate sulla presa in considerazione delle richieste e delle motivazioni di tutte le parti. E così all’inizio della scorsa settimana, dopo l’ennesimo tergiversare delle autorità di fronte alla richiesta dell’opposizione parlamentare di un’immediata ridistribuzione dei poteri governativi tra presidente e parlamento a favore di quest’ultimo, i manifestanti si sono diretti verso il parlamento presidiato da migliaia di agenti di polizia. Ne sono succeduti violentissimi scontri che sono durati giorni e che hanno visto l’uso di armi da fuoco e cecchini da parte della polizia, che in molti casi ha sparato sui manifestanti disarmati, ma anche da parte di un ristretto gruppo particolarmente radicale in seno ai manifestanti. Sul campo di battaglia sono cadute decine di protestanti e sedici poliziotti. Centinaia di feriti si sono contanti da entrambe le parti.
Le violenze si sono fermate solo quando i manifestanti hanno riguadagnato le posizioni iniziali su piazza dell’Indipendenza e vie limitrofe e un accordo è stato raggiunto da presidente e opposizione parlamentare dopo intensi negoziati alla presenza di rappresentanti dell’Unione Europea e della Russia. Il debole accordo sembra aver dato la possibilità per una nuova fase storica dell’Ucraina. Nelle ultime ore, infatti, sono stati adottati dal parlamento una serie di provvedimenti destinati ad avere un forte impatto politico. E’ stato votato il ritorno a un sistema di governo che prevede un aumento di poteri al parlamento e un maggiore bilanciamento delle cariche dello stato. E’ stata dichiarata la dismissione di Yanukovich da presidente attraverso il voto di “impeachment”. Già nella notte tra venerdì e sabato Yanukovich aveva lasciato Kiev per riapparire poi solo in un’intervista televisiva da una località ignota nella quale ha affermato di non riconoscere la legittimità delle leggi adottate dal parlamento e si è detto determinato a restare nel paese per combattere “questi banditi”. La profonda crisi politica, quindi, non è ancora terminata e il processo di stabilizzazione e normalizzazione del paese sarà molto lungo.
Per tre mesi Yanukovich e il suo governo hanno ignorato le richieste e probabilmente anche le proporzioni e le profonde motivazioni delle manifestazioni popolari, che con il tempo sono diventate proteste contro un sistema tra i più corrotti al mondo, repressivo, ingiusto, lontano dalle esigenze dei cittadini, con un sistema giudiziario al servizio del potere e severe limitazioni alla libertà di espressione. Sembra che il presidente e i suoi collaboratori più vicini non siano riusciti a capacitarsi che la gente possa andare in piazza e sacrificare anche la propria vita per valori come giustizia, libertà e democrazia. Anche davanti alla radicalizzazione del malessere sociale, dello scontento popolare e all’acuirsi degli scontri, le autorità non hanno reagito in alcun modo, rimanendo quasi indifferenti, intenzionalmente o per inettitudine.
Questo è il paese che i futuri governanti si troveranno ad affrontare. Con la cognizione, ora, che negli ucraini vi è una maggiore consapevolezza che il potere appartiene al popolo. Consapevolezza che hanno pagato con il loro sangue.
Massacro a Kiev, è “bagno di sangue”
Deputati in fuga dal parlamento
Evacuati i palazzi governativi, oltre 50 poliziotti
prigionieri dei manifestanti. “Almeno cinquanta morti” e
centinaia di feriti negli scontri di oggi.
Si dimette il sindaco di Kiev.Ianukovich a colloquio
con i ministri degli Esteri occidentali.
lastampa.it 20/02/2014, ore 13,50
Ha riconquistato la piazza centrale di Kiev la folla di manifestanti antigovernativi che ieri aveva accettato la tregua con la polizia. Stamattina Maidan è tornata a trasformarsi in un campo di battaglia. Il bilancio è già pesantissimo. «Solo questa mattina - ha riferito l’ambasciatore italiano in Ucraina Fabrizio Romano a Radio Radicale - i morti a Kiev sono almeno 50» . Per il ministero della Sanità ucraino i feriti sono 500.
Secondo il Telegraph online che ha raccolto testimonianze in piazza, alcuni dei dimostranti vittime dei combattimenti sarebbero stati uccisi da cecchini del governo. «Questi sono proiettili veri - ha detto un manifestante - Potete vedere cosa hanno fatto».
Nel frattempo il sindaco di Kiev Volodimir Makeienko si è dimesso dal partito delle Regioni del presidente ucraino. Bisogna fermare il «bagno di sangue e il fratricidio nel cuore dell’Ucraina», ha sottolineato.
Gli insorti - riportano i media locali - hanno fatto prigionieri oltre cinquanta poliziotti e li hanno portati in un edificio occupato vicino al municipio di Kiev facendoli passare attraverso un corridoio umano di dimostranti antigovernativi. Il palazzo che ospita la sede del governo - fa sapere l’agenzia Interfax - è stato evacuato per motivi di sicurezza. Anche agli impiegati dell’amministrazione presidenziale è stato ordinato di tornare nelle proprie abitazioni. Il Verkhovna Rada, il parlamento, è stato abbandonato da deputati e impiegati per motivi di sicurezza.
Il presidente Viktor Ianukovich è in questo momento impegnato in un incontro con i ministri degli Esteri francese, tedesco e polacco. Lo ha detto Anna Gherman, una consigliera del capo di Stato ucraino, citata dall’agenzia Interfax. Il presidente ieri sera aveva chiesto una interruzione degli scontri per «fermare il bagno di sangue e stabilizzare la situazione», mossa giunta in serata dopo le aspre critiche dell’occidente e la minaccia di sanzioni da parte dell’Ue. Ieri il bilancio degli scontri era arrivato a 28 morti. Per il ministro Emma Bonini, l’Europa oggi discuterà «sanzioni sui visti, un embargo sulle armi e la questione degli assetti finanziari».
Alcuni atleti ucraini, come anche raccontato dai nostri inviati sul liveblog da Sochi Insalata russa, hanno deciso di lasciare i Giochi invernali per le violenze e i morti negli scontri a Kiev. «Alcuni di loro hanno deciso di ritornare a casa - dice il portavoce del comitato olimpico Mark Adams -, Sergei Bubka (presidente comitato olimpico ucraino, ndr) rispetta la loro decisione». Il Cio non ha reso noto chi e quanti atleti della delegazione ucraina (43 quelli presenti) hanno deciso di ritirarsi a tre giorni dalla chiusura. Stamattina la delegazione olimpica dell’Ucraina ha osservato un minuto di silenzio per ricordare le vittime degli scontri di piazza a Kiev tra polizia e manifestanti. Nel quartier generale del villaggio olimpico a Sochi, tutti i 43 atleti ucraini, insieme con i dirigenti, si sono alzati in piedi, esponendo la bandiera nazionale.
Mosca si è schierata apertamente con le autorità ucraine denunciando un tentativo di «colpo di Stato» da parte delle forze estremiste della piazza ed esigendo dai leader dell’opposizione lo stop delle violenze. Non collaboreremo con un governo «zerbino» ma con autorità «legittime», «efficaci» e in grado di difendere «gli interessi dello stato». È l’avvertimento del ministro degli esteri russo Dmitri Medvedev. «Bisogna che i nostri partner abbiano autorità, che il potere in Ucraina sia legittimo ed efficace - ha detto - e che non venga calpestato come uno zerbino». Una condanna nei «termini più forti» della deriva sanguinosa degli avvenimenti è quindi arrivata dal presidente americano Barack Obama, che ha avvisato che «ci saranno conseguenze se si oltrepasserà il segno».
Ucraina: Yanukovich annuncia tregua
Gli insorti riconquistano piazza Maidan.
Un manifestante è morto. Fabius, oggi sanzioni
Ansa - 20 febbraio 2014
Nonostante le parole e le promesse, l'Ucraina non riesce a svoltare pagina. Questa mattina infatti, nonostante il presidente ucraino Viktor Ianukovich avesse annunciato una "tregua" per "fermare il bagno di sangue" e la ripresa dei colloqui con l'opposizione, nel centro di Kiev sono ripresi gli scontri tra polizia e manifestanti. Intanto il bilancio dei caduti di quella che rischia di diventare una guerra civile si fa sempre più aspro, con i morti che salgono da 26 a 28, mentre 287 feriti sono ancora in ospedale. Lo ha annunciato il ministero ucraino della Salute. Il ministero ha precisato in un comunicato postato sul suo sito Internet che tra i feriti nelle violenze di martedì sera nella capitale ucraina c'erano anche quattro giovani di meno di 18 anni e due cittadini stranieri.
Gli insorti hanno costretto gli agenti delle forze speciali ucraine ad arretrare abbandonando le posizioni conquistate in Maidan, la piazza centrale di Kiev. Secondo il Kyiv Post si sentono in continuazione colpi di arma da fuoco, e continua anche il lancio di molotov. Un mezzo della polizia è in fiamme, e i dimostranti stanno occupando negozi e magazzini vuoti nella piazza. Un cecchino degli insorti antigovernativi starebbe poi sparando sulla polizia dall'edificio del conservatorio di Kiev e avrebbe già ferito più di 20 agenti. Lo sostiene il ministero dell'Interno. Il conservatorio si affaccia su Maidan, la piazza centrale di Kiev cuore della protesta antigovernativa.
Uno dei manifestanti di Kiev è morto durante i combattimenti iniziati di nuovo stamattina nel centro della capitale. Lo sostengono i servizi sanitari della rivolta in Ucraina. Inoltre, un altro manifestante sarebbe in condizioni gravi. Gli antigovernativi hanno catturato circa 20 poliziotti, cinque sono feriti e i medici di piazza Maidan gli stanno prestando soccorso.
In tutto questo il Parlamento è stato evacuato per precauzione. Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, alla vigilia dell'incontro (poi annullato) col presidente ucraino Viktor Ianukovich, ha dichiarato: "Dirò che bisogna fermare la violenza, che è evidentemente inaccettabile, e che ci apprestiamo questo pomeriggio ad adottare sanzioni contro i responsabili della violenza". Il meeting però non ha avuto luogo.
I ministri degli Esteri francese, tedesco e polacco hanno infatti annullato il loro incontro con il presidente ucraino "per motivi di sicurezza". "Non ci sono più luoghi sicuri nel centro di Kiev", ha detto all'agenzia stampa francese Afp un funzionario occidentale.
Gli insorti ucraini hanno fatto prigionieri una cinquantina di poliziotti e li hanno portati in un edificio occupato vicino al municipio di Kiev facendoli passare attraverso un corridoio umano di dimostranti antigovernativi.
La temperatura però sale anche al di fuori dei confini ucraini.
"Invito fortemente il governo ucraino ad astenersi da ulteriore violenza. Se i militari interverranno contro l'opposizione, i legami con la Nato saranno seriamente danneggiati", ha dichiarato il segretario generale dell'Allenaza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen.
I ministri degli Esteri di Francia, Germania si recheranno oggi a Kiev con il loro omologo polacco, già partito per la capitale ucraina: è quanto ha riferito il capo della diplomazia francese, Laurent Fabius.
Le forze armate potrebbero entrare in azione contro i manifestanti antigovernativi in Ucraina. Lo annuncia il ministero della Difesa di Kiev in una nota pubblicata sul suo sito web ufficiale parlando di un intervento dei militari in una "operazione antiterrorismo".
Gli Stati Uniti stanno lavorando con l'Unione europea per rispondere alla situazione in Ucraina. Lo afferma il presidente americano, Barack Obama, sottolineando che ''ci saranno conseguenze se si oltrepasserà il segno''. Gli Stati Uniti condannano nei ''termini più forti'' le violenze in Ucraina. Lo afferma il presidente americano Barack Obama.
Josè Manuel Barroso ha telefonato al presidente ucraino Viktor Ianukovich per comunicare "lo shock e lo sgomento", per "chiedere l'immediato stop della violenza" e la "ferma condanna dell'uso della forza" e che la Ue "è pronta a reagire fermamente ad un ulteriore deterioramento della situazione".
"La gravità degli scontri in corso a Kiev pone il popolo ucraino di fronte ad una situazione drammatica, di una violenza inaccettabile che come europei condanniamo con estrema fermezza. E' con massima preoccupazione che va considerato - e scongiurato - il rischio concreto di una guerra civile alle porte dell'Unione Europea". E' il grido di allarme lanciato dal ministro degli Esteri italiano Emma Bonino all'indomani della tragica notte di scontri nella capitale ucraina.
ripresi gli scontri. L’opposizione ha “oltrepassato
i limiti” e “i responsabili saranno giudicati”,
le parole che arrivano dal presidente Viktor Yanukovich
fanpage.it - 19 febbraio 2014
Si rinfiamma la guerriglia in Ucraina e nella capitale Kiev continua a scorrere il sangue dei manifestanti. Nelle ultime ore, secondo il dicastero della Sanità, sono rimaste uccise almeno 25 persone, ma il bilancio potrebbe aumentare ancora. Secondo il ministero degli Interni, sono nove gli agenti di polizia uccisi, 74 sono stati feriti da colpi di arma da fuoco. Nella serata di ieri le forze di sicurezza hanno dato l’assalto a Maidan Nezalezhnosti, la piazza Indipendenza ormai da mesi cuore della rivolta antigovernativa.
A Kiev è scoppiato un incendio nella sede dei sindacati, uno degli edifici occupati dai manifestanti e che si affaccia su Maidan. La notte è stata un susseguirsi di esplosioni e lacrimogeni fino all’alba. Il presidente Viktor Yanukovich ha respinto gli appelli a ritirare la polizia dalle strade e ha accusato l’opposizione di aver “passato il limite”. I responsabili, ha fatto sapere, saranno giudicati. “I leader dell’opposizione non hanno considerato il principio democratico secondo cui si ottiene il potere con le elezioni e non nella strada – ha detto Ianukovich in un messaggio alla nazione pronunciato mentre l’ assalto in piazza era ancora in corso -. Hanno passato i limiti chiamando la gente a prendere le armi. C’è una eclatante violazione della legge e i colpevoli compariranno davanti alla giustizia”.
La protesta dilaga anche in altre città ucraine - L’aggravarsi della situazione in Ucraina ha suscitato la condanna dell’Onu, l’Unione europea e di vari governi. Nella notte il vicepresidente americano Joe Biden ha chiamato il presidente Yanukovich per chiedergli di ritirare le forze di sicurezza dalle strade e di avviare il dialogo con l’opposizione. Ma il suo appello è rimasto vano. Vitali Klitschko, uno dei leader dell’opposizione, ha reso noto che un incontro con Yanukovich non ha prodotto alcun accordo su come far finire alle violenze. E gli scontri non sono limitati alla capitale Kiev: anche in altre città dell’Ucraina si segnalano delle violenze. Tra queste Leopoli, roccaforte dell’opposizione più nazionalista, dove circa 5.000 insorti si sono impossessati di un deposito di armi.
Gli scontri di Kiev
Proseguono da martedì e sono i più violenti
dall'inizio delle proteste: ci sono almeno 25 morti,
centinaia di feriti e incendi in piazza Indipendenza
ilpost.it - 18 febbraio 2014
Nella notte tra martedì 18 e mercoledì 19 febbraio almeno 25 persone sono morte negli scontri tra polizia e manifestanti a Kiev, la capitale dell’Ucraina. Oltre a comunicare il numero dei morti, il ministero della Salute ha comunicato che almeno 241 persone sono state ricoverate in ospedale e che tra queste ci sono 79 agenti di polizia e cinque giornalisti. Anche tra i morti c’è un giornalista, scrive BBC.
Migliaia di persone stanno ancora protestando contro il governo. Il ministero dell’Interno ucraino aveva annunciato in un comunicato che avrebbe restaurato l’ordine nel caso i disordini fossero continuati oltre le 18 locali (le 17 italiane) di martedì. Dalle 20 circa (ora locale), la polizia si è concentrata attorno a piazza Indipendenza, il centro delle proteste degli ultimi mesi, avviando le operazioni di sgombero del sit-in organizzato dai manifestanti anti-governativi. Da quel momento gli scontri sono diventati sempre più violenti: i manifestanti, tra le altre cose, hanno accusato la polizia di usare proiettili veri sulla folla. È stata la giornata più violenta dall’inizio delle proteste.
Verso le 23 di martedì, Vitaly Klitschko – ex pugile, leader del partito liberale di centro-destra Udar, uno dei leader delle proteste anti-governative – ha iniziato un incontro con il presidente ucraino Viktor Yanukovych, con l’obiettivo di trovare un accordo per mettere fine alle violenze. Secondo l’agenzia russa Interfax un altro dei leader dell’opposizione, Oleksandr Turchynov, è rimasto ferito per alcuni colpi di arma da fuoco sparati da un cecchino. In tarda serata il vicepresente statunitense Joe Biden ha chiamato il presidente Yanukovych chiedendogli di ritirare le forze governative e mettere fine ai durissimi scontri contro i manifestanti.
La legge sull’amnistia in Ucraina
È stata approvata dal parlamento e sarà applicata
solo quando i manifestanti sgombereranno gli edifici
governativi occupati: l'opposizione l'ha rifiutata
ilpost.it - 29 gennaio 2014
Mercoledì sera il parlamento ucraino ha approvato la legge che concederà l’amnistia agli attivisti arrestati dalle forze governative durante le recenti proteste nel paese. L’amnistia, ha stabilito il parlamento, sarà applicata solo una volta che i manifestanti avranno lasciato gli edifici governativi occupati a Kiev e in altre città ucraine nell’ultima settimana. La legge ha ottenuto 232 voti favorevoli, provenienti dal Partito delle Regioni – la forza politica del presidente Viktor Yanukovych, bersaglio primario delle proteste – e dal Partito Comunista suo alleato, mentre i parlamentari di opposizione si sono astenuti e hanno contestato alcune delle condizioni imposte.
La legge sull’amnistia è già stata rifiutata delle opposizioni, che hanno accusato il governo di trattare gli attivisti arrestati durante le proteste come dei prigionieri politici. Oleh Tyahnybok, leader del gruppo di estrema destra Svoboda e protagonista delle recenti proteste, ha detto: «Il parlamento ha appena approvato una legge sugli ostaggi. Le autorità stanno considerando gli ostaggi come se fossero terroristi, in modo che sia possibile intavolare degli scambi». Vitaly Klitschko, ex pugile e leader del partito liberale di centro-destra Udar, tra i più carismatici sostenitori delle proteste di questi mesi, ha detto che l’opposizione continuerà a cercare la scarcerazione degli attivisti, ma senza l’obbligo di accettare condizioni così dure dal governo.
Come scrive il Wall Street Journal, comunque, le opposizioni ucraine sono piuttosto divise tra loro su alcuni punti, specie per una diversa attitudine verso possibili colloqui con le forze governative. Per esempio, la parte “politica” dell’opposizione, cioè quella formata dai sostenitori dei partiti in parlamento, ha costretto un’altra fazione più “militante”, Causa Comune, a ritirarsi dal ministero dell’Agricoltura che era rimasto occupato per giorni, in modo da mandare un segnale di apertura nei confronti del governo. Tra le due fazioni era scoppiata anche una rissa in cui sono rimaste ferite cinque persone. Negli ultimi giorni Causa Comune, che dice di poter contare su centinaia di sostenitori, ha occupato tre ministeri, accusando i leader dell’opposizione politica di essere troppo passivi nei tentativi di far dimettere il presidente Yanukovych.
L’approvazione della legge sull’amnistia è arrivata il giorno dopo altre due decisioni molto significative da parte del governo e del presidente. Martedì il primo ministro Mykola Azarov si era dimesso dal suo incarico, facendo cadere l’intero governo, e il parlamento aveva abolito la legge anti-proteste, entrata in vigore soltanto sei giorni prima e ampiamente criticata dalle opposizioni: tra le altre cose, la legge prevedeva fino a cinque anni di carcere per chi partecipava a manifestazioni non autorizzate; vietava di protestare a volto coperto o indossando un casco, di utilizzare un megafono in un luogo pubblico o di partecipare a cortei con più di cinque auto; vietava gli accampamenti. Le recenti concessioni del parlamento e del presidente, dicono molti esperti, sono state fatte per cercare di fermare le violenze che si sono intensificate in tutto il paese negli ultimi giorni.
Mercoledì il presidente russo Vladimir Putin ha detto di volere aspettare la formazione del nuovo governo prima di erogare ulteriori prestiti nel quadro del pacchetto di salvataggio di 15 miliardi di dollari che la Russia ha stanziato nei confronti dell’Ucraina lo scorso dicembre. Finora gli scontri sono hanno provocato la morte di quattro manifestanti e il ferimento di diverse altre centinaia.
Foto: La scritta dice “rivoluzione”, in centro a Kiev (AP Photo/Efrem Lukatsky)
Il governo ucraino si è dimesso
Ed è stata abolita la legge anti-proteste,
entrata in vigore soltanto sei giorni fa
e molto criticata dalle opposizioni,
ma per ora il presidente rimane al suo posto
ilpost.it - 28 gennaio 2014
Aggiornamento 20.00 - Il presidente ucraino Viktor Yanukovych ha accettato le dimissioni presentate oggi dal primo ministro Mykola Azarov e dal suo governo, nel tentativo di fare delle concessioni alle opposizioni e ai manifestanti che stanno protestando a Kiev e in altre zone dell’Ucraina occidentale. Azarov era particolarmente impopolare tra le opposizioni, che lo avevano accusato in diverse occasioni di avere gestito male l’economia del paese e di avere fallito nel combattere la corruzione. Secondo l’inviato di BBC a Kiev, David Stern, fino a due settimane fa le dimissioni di Azarov e del suo governo erano una mossa impensabile.
I membri del governo ucraino rimarranno ai loro posti ancora per 60 giorni, fino a che non verrà formato il nuovo governo. Il portavoce di Azarov ha detto all’agenzia di news russa Interfax che ad assumere l’incarico temporaneo a capo del governo sarà il viceprimo ministro Serhiy Arbuzov.
Intanto il presidente russo Vladimir Putin ha parlato della situazione ucraina durante il summit a Bruxelles, in Belgio, tra Unione Europea e Russia. Putin ha detto che la recente assistenza finanziaria che la Russia ha garantito all’Ucraina non aveva l’obiettivo di sostenere il governo, ma la sua popolazione: ha anche detto che tutti gli accordi conclusi tra il suo governo e quello ucraino – anche se dimissionario – sono da considerarsi ancora validi, anche se saranno le opposizioni a formare il nuovo esecutivo. Nei prossimi giorni è in programma anche l’incontro tra il capo della diplomazia dell’Unione Europea, Catherine Ashton, il presidente Yanukovych e i leader delle opposizioni.
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Il Parlamento ucraino ha abolito le contestate norme che aveva approvato soltanto pochi giorni fa nel tentativo di reprimere le proteste anti-governative che vanno avanti ormai da mesi. Le norme erano entrate in vigore il 22 gennaio, adottate per alzata di mano e senza dibattito dalla maggioranza lo scorso 16 gennaio: tra le altre cose, prevedevano fino a cinque anni di carcere per chi partecipava a manifestazioni non autorizzate; vietavano di protestare a volto coperto o indossando un casco, di utilizzare un megafono in un luogo pubblico o di partecipare a cortei con più di cinque auto; vietavano gli accampamenti. La loro principale conseguenza era stata un grandissimo aumento dell’intensità e della forza delle proteste. Già lunedì sera il presidente ucraino Viktor Yanukovych aveva confermato la sua volontà di eliminare le norme anti-proteste.
Poco prima dell’abolizione della legge da parte del parlamento, il primo ministro ucraino Mykola Azarov si era dimesso dal suo incarico, nel tentativo di creare le condizioni per un «compromesso sociale e politico» nel paese. Azarov ha diffuso un comunicato in cui si legge anche che il governo «ha fatto tutto il possibile per risolvere pacificamente il conflitto» e che avrebbe fatto «tutto il possibile per prevenire altri spargimenti di sangue, un’escalation di violenza e la violazione dei diritti dei cittadini». Yanukovich ha firmato il decreto per accettare le dimissioni, facendo così decadere l’intero governo: i suoi membri, comunque, potranno rimanere al loro posto per altri 60 giorni, fino a che non si formerà un nuovo governo.
Entrambe le misure di oggi, scrive AP, sono concessioni fatte dal governo ai manifestanti, ma potrebbero non essere sufficienti a incontrare le richieste delle opposizioni, visti i disaccordi che ancora ci sono su alcuni punti centrali, come le richieste di dimissioni del presidente Yanukovych e di elezioni anticipate.
Ucraina, scontri a Kiev:
Russia non intende intervenire
Lo ha fatto sapere il portavoce di Putin
ilmondo.it - 23 gennaio 2014
La Russia non interverrà nella situazione in Ucraina, dove violenti scontri tra manifestanti filoeuropeisti e forze dell'ordine hanno provocato cinque morti. Lo ha annunciato il portavoce del presidente russo Vladimir Putin.
"Noi non pensiamo di avere il diritto di intervenire nelle questioni interne dell'Ucraina, in qualunque modo. E' assolutamente inaccettabile per noi effettuare ingerenze negli affari interni" di un altro Paese, ha dichiarato Dmitri Peskov in un'intervista pubblicata sul sito del quotidiano Komsomolskaia Pravda.
La Russia è "convinta" che le autorità ucraine "sappiano che cosa bisogna fare e troveranno la miglior soluzione per far tornare la situazione alla normalità e ristabilire la pace", ha indicato Peskov. Che ha inoltre censurato le "ingerenze straniere" nella crisi in Ucraina, a suo giudizio piuttosto evidenti.
"Non riusciamo a comprendere gli ambasciatori dei Paesi stranieri che lavorano a Kiev, che dicono che cosa fare alle autorità ucraine e che devono ritirare le loro truppe e la loro polizia", ha indicato. L'adozione la scorsa settimana di leggi controverse, che inaspriscono drasticamente le sanzioni contro i manifestanti, ha rilanciato la mobilitazione dell'opposizione filo-europea, provocando scontri violentissimi a Kiev.
La polizia spara: due morti in Ucraina
Violenti scontri nella notte nel cuore di Kiev.
Il governo prova a escludere la responsabilità
degli agenti ma la Procura li inchioda
globalist.it - 22 gennaio 2014
Non c'è pace in Ucraina, ancora teatro di violenti scontri tra le forze dell'ordine e i manifestanti che si oppongono al governo del presidente Yanucovich. Due le vittime delle proteste della notte scorsa, un manifestante che sarebbe stato colpito dalla polizia e un altro morto cadendo da una colonna all'ingresso dello stadio della Dinamo, entrambi nella centralissima via Grushevski, vicino alle barricate. In realtà, secondo quanto riferito dalla Procura, sarebbero entrambi morti per colpi di arma da fuoco.
Violente le proteste nella notte, con lanci di molotov e pietre contro gli agenti, che hanno risposto con lanci di lacrimogeni e granate assordanti. I testimoni hanno parlato di spari contro la folla ma il ministero dell'Interno ha escluso la responsabilità delle forze dell'ordine, sostenendo che non hanno armi da fuoco in via Grushenvki.
Questa mattina, dopo la nuova notte di scontri, gli agenti hanno sfondato le barricate per sgomberare la zona occupata dai dimostranti nel cuore di Kiev. Un giro di vite annunciato proprio ieri sera dal premier ucraino, Mikola Azarov: se le violenze di piazza e le provocazioni continueranno, aveva detto, il governo non avrebbe avuto altra scelta che "utilizzare la forza nell'ambito della legge". Come è successo ieri notte.
Yanukovich: basta scontri, non seguite gli estremisti - Il presidente ucraino Yanukovich ha invitato i cittadini a non seguire gli appelli dei politici radicali e l'opposizione a cessare le ostilità e a sedersi al tavolo negoziale. Il capo dello Stato ha anche espresso rammarico per le vittime degli scontri e condoglianze alle loro famiglie, attribuendo la responsabilità dell'accaduto agli "estremisti politici" e disponendo lo svolgimento di indagini accurate.
Il presidente ucraino ha inoltre incontrato oggi i tre principali leader dell'opposizione per cercare di trovare una soluzione ai violenti scontri riesplosi domenica. Le proteste filoeuropeiste contro Yanukovych e il governo vanno avanti da circa due mesi.
Il premier Azarov: "Accuse infondate contro gli agenti. Non hanno armi da fuoco" - "I partecipanti a queste agitazioni non possono essere definiti manifestanti pacifici e dimostranti. Sono criminali che dovranno rispondere delle loro azioni". Lo ha detto il premier dell'Ucraina, Mykola Azarov, citato dall'agenzia stampa Interfax Ucraina. "In qualità di primo ministro, dichiaro ufficialmente che, sfortunatamente, ci sono delle vittime le cui responsabilità ricadono sugli organizzatori delle proteste e su certi partecipanti alle agitazioni di massa" ha aggiunto Azarov riferendosi ai morti finora registrati. Il premier ha sollevato le forze di polizia dalla responsabilità dei decessi: "Le accuse contro gli agenti delle forze dell'ordine sono completamente prive di fondamento, poiché non hanno armi da fuoco a disposizione".
Ieri il premier ucraino, aveva avvertito i manifestanti: se "le provocazioni" e le violenze di piazza continueranno, il governo di Kiev non avrà altra scelta che "utilizzare la forza nell'ambito della legge".
Gli Stati Uniti valutano nuovi provvedimenti contro gli autori delle violenze - Gli Stati Uniti hanno risposto alle azioni di novembre e dicembre contro i manifestanti a Kiev revocando i visti di diversi cittadini ucraini legati alle violenze e stanno esaminando ulteriori provvedimenti contro i responsabili delle violenze attuali. Lo rende noto l'ambasciata Usa a Kiev.
L'Ue chiede lo stop delle violenze - L'Unione europea chiede all'Ucraina di porre immediatamente fine agli episodi di violenza che stanno causando vittime nel Paese.
Barroso: "Stiamo valutando possibili azioni" - "Stiamo valutando la possibilità di azioni che possano essere prese a livello Ue e le conseguenze che queste avrebbero sulle relazioni col paese".Così il presidente della commissione europea, José Manuel Barroso, commenta la situazione in Ucraina, dicendosi "scioccato per la morte dei manifestanti" e facendo un "appello per lo stop alle violenze".
Russia: no a interferenze esterne - "Chiediamo ai circoli politici occidentali, che stanno interferendo negli affari interni dell'Ucraina, in violazione del diritto internazionale, di smettere di alimentare l'escalation del conflitto" ha ammonito la Duma di Stato in una dichiarazione ufficiale sul tema, diffusa oggi. I deputati russi ritengono che la crisi politica a Kiev sia stata provocata sia da forze estremiste dell'opposizione interna, sia da alcuni politici occidentali. Il riferimento è a chi si è unito nelle settimane scorse ai manifestanti in piazza Maidan, teatro delle più massicce dimostrazioni anti-governative.
Continuano gli scontri a Kiev
E domani entrano in vigore le nuove leggi
che prevedono il carcere per chi partecipa
a manifestazioni non autorizzate,
definite repressive da Unione Europea e Stati Uniti
ilpost.it - 21 gennaio 2014
Dalla mezzanotte di mercoledì 22 gennaio entreranno in vigore in Ucraina una serie di norme in materia di libertà di associazione e di manifestazione che hanno l’obiettivo di limitare le proteste e introdurre sanzioni molto severe nei confronti dei dimostranti. I testi che erano stati adottati per alzata di mano e senza dibattito dalla maggioranza del Parlamento lo scorso 16 gennaio sono stati pubblicati oggi sul giornale ufficiale del governo Golos Ukrainy. Contro le nuove leggi proseguono da domenica 19 gennaio le proteste e gli scontri molto violenti con la polizia nel centro di Kiev: finora sono state arrestate 32 persone e circa in 200 sono rimaste ferite. I leader dell’opposizione a sostegno delle proteste hanno detto che le nuove norme sono “incostituzionali” e porteranno l’Ucraina a diventare uno “stato di polizia”.
Le nuove leggi prevedono fino a cinque anni di carcere per chi decida di partecipare a manifestazioni non autorizzate; vietano di protestare a volto coperto o indossando un casco, di utilizzare un megafono in un luogo pubblico o di partecipare a cortei con più di cinque auto; vietano gli accampamenti e sono esplicitamente rivolte contro i manifestanti che da circa due mesi hanno creato accampamenti e barricate nel centro di Kiev e hanno occupato diversi edifici pubblici. Le nuove norme prevedono anche una serie di provvedimenti restrittivi verso le Ong che ricevono finanziamenti esteri, introducono il reato di diffamazione, e limitano la libertà di espressione obbligando alla registrazione tutti i siti web che pubblicano notizie e imponendo ai fornitori di servizi Internet di bloccare l’accesso alla rete a gruppi o singole persone su richiesta diretta del governo.
Giovedì 16 gennaio, dopo l’approvazione delle nuove leggi, gli Stati Uniti e l’Unione Europea ne avevano chiesto l’immediata abrogazione perché ritenute «repressive»: «Il popolo ucraino vuole la partnership con l’Europa e vuole proseguire in quella direzione. La decisione presa giovedì è antidemocratica. Sbagliano. Stanno rubando al popolo ucraino la loro opportunità di futuro» aveva dichiarato il segretario di Stato americano John Kerry. Della stessa opinione sono diversi ministri degli Esteri e vari commissari europei. Štefan Füle, commissario europeo per l’allargamento e la politica europea, si è detto «profondamente preoccupato» e ha scritto su Twitter:
#Ukraine profoundly concerned by new legislation limiting freedoms,contradicting European aspirations & commitments from #AssocAgreeement — Štefan Füle (@StefanFuleEU) 17 Gennaio 2014.
Il presidente ucraino, Viktor Yanukovich, ha detto di non tollerare più le proteste che si sono ormai trasformate in «disordini di massa»; dall’Ufficio del Procuratore Generale di Kiev hanno fatto sapere che i violenti scontri degli ultimi giorni sono di fatto un «crimine contro lo Stato». Le manifestazioni contro la nuova legge si inseriscono nel contesto più ampio del movimento che da molte settimane chiede le dimissioni del governo di Viktor Yanukovich e una maggiore vicinanza del paese all’Unione Europea. Vanno avanti da oltre due mesi e sono cominciate dopo che il presidente Yanukovych aveva interrotto una serie di colloqui con i leader europei, arrestando il percorso che avrebbe introdotto il paese nell’Unione Europea. Poi, a dicembre, Yanukovych e il presidente russo Vladimir Putin – provocando nuove proteste e manifestazioni – firmarono un accordo con cui il governo russo si impegnò a tagliare il prezzo del gas che viene esportato in Ucraina e ad acquistare circa 10 miliardi di euro in titoli di stato ucraini.
Ashton oggi in Ucraina:
pericolo che la crisi "deragli"
Dopo il blitz contro la sede del partito di Tymoshenko
ilmondo.it - 10 dicembre 2013
Catherine Ashton sarà in visita per due giorni, a partire da oggi, in Ucraina. L'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue sarà a Kiev per tentare una mediazione nella grave crisi politica in corso. Crisi - ha detto alla vigilia della missione - che potrebbe "deragliare" verso il binario della repressione violenta, come segnala il raid delle forze dell'ordine contro l'opposizione di ieri. "Sono inquieta per le informazioni secondo le quali la polizia ha forzato l'ingresso della sede del più grande partito di opposizione", ha affermato Ashton in un comunicato emesso nella notte. Questi fatti, "nello stesso giorno in cui il presidente Yanukovich ha proposto una tavola rotonda, rischiano di far seriamente deragliare il processo" di ricerca di una soluzione pacifica alla crisi, ha aggiunto il capo della diplomazia europea, esortando le autorità ucraine "a dare prova della maggiore moderazione possibile e ad astenersi dall'ulteriore ricorso alla forza, in modo da lasciare il campo ad una soluzione negoziata". Nella notte anche gli Stati Uniti hanno lanciato un appello al capo di stato ucraino, affinchè usi la sua influenza per ripristinare "la pace" in Ucraina. E' stato il vicepresidente John Biden a segnalare direttamente "la sua profonda preoccupazione" a Yanukovich, con una telefonata. La Casa Bianca ha confermato che gli Usa appoggiano "la scelta europea dell'Ucraina", pur ribadendo di non volere uno scontro con la Russia su questo tema. (segue) AFP
«L'Ukraine voudrait ne pas choisir entre Moscou et Bruxelles»